Indipendenza emotiva?

Gentili Dottori, vi scrivo in quanto vorrei cercare di capire meglio come indirizzare la mia vita. La mia infanzia è stata normale, figlia unica, mia madre dice che quando mi chiedeva se desiderassi un fratellino urlavo di no, che l’avrei buttato fuori. In realtà a scuola mi dicevano la classica frase: “Con un fratello i tuoi non ameranno più te”. Mia madre andò in pensione quando avevo pochi anni (quando nacqui lei aveva 36 anni, i miei genitori si sono sposati tardi), come pensionata baby, perché non sopportava più la scuola (insegnante), mia nonna era difficile a tenermi, io non crescevo. In realtà ero sana come un pesce, e la pediatra lo diceva, ma mio padre soprattutto tormentava mia madre perché non ero robusta, ero gracile, piccola. Peccato che entrambi fossero bassi e magri. Inoltre io dormivo in mezzo, perciò altri figli non ce ne furono, mia madre nemmeno li voleva perché sfidare la sorte non era il caso e, come mi disse poi, mio padre non era un grande amatore. Quando avevo otto anni ci trasferimmo. Io ero rimasta abbastanza destabilizzata dalla scuola: la maestra picchiava tutti in modo eguale e democratico, ma giustamente ne dava di più ai bimbi meno ‘svegli’ ed io ero tormentata dai bulli. Esclusa da tutti, spesso finivo nel banco da sola. Però non ero troppo sensibile: finita la giornata, dimenticavo tutto e volavo da mia madre, che lottava senza risultati contro l’insegnante. Io ero brava come voleva mia madre. In un certo senso capivo che lei era orgogliosa di me, anche se ora dice che della scuola non le importava nulla, ma se toppavo erano sculaccioni! Nella nuova città la casa era grande, mia madre voleva arredarla tutta, mio padre diceva che i mobili non servivano: iniziarono i primi veri litigi. Alle medie i maschi mi tormentavano, i prof mi vezzeggiavano, cominciai a 12 anni a capire che gli uomini non facevano per me. E mi successe una cosa strana: il giorno in cui si partiva, iniziava una colica intestinale pazzesca, pareva non ci fosse una fine a tutta l’acqua ( era acqua pura, null’altro) che dovevo cacciare, all’ultimo giorno mi passava. Rimase un mistero irrisolto, attribuito ai farmaci per l’acne.
Non so quando cominciò, se in quel periodo, verso i miei 12 anni, ma mia madre cominciò a fissarsi con la pulizia, anzi, con l’igiene: ogni cosa che entrava in casa doveva essere igienizzata e disinfettata un tot numero di volte per un tot di tempo. La casa era sacra, il suo sogno, nessuno ci doveva venire per non rovinare nulla. Mio padre la mandava al diavolo, io… mi adeguavo. Poco lungimirante, imboccai la strada più semplice. Mio padre diceva che ero io che dovevo prendere in mano la situazione e far ragionare mia madre con la menopausa. Io non ne avevo voglia, non ne ero capace, vedevo il subito e non volevo sentire loro urlare.
Alle superiori fu un disastro. . L’acne peggiorava, i compagni mi tormentavano, mia madre e le sue fissazioni erano ormai fuori controllo, le urla erano incontrollabili, io avrei voluto essere una ‘’ok’, non una sfigata, volevo preoccuparmi di ragazzi, di jeans e magliette, e non di mia madre che odiava sempre più mio padre e mi descriveva tutti i pianti che si era fatta. Non siamo diventate amiche come speravo, non ho fatto la mia ribellione giovanile, non ho lottato per rientrare tardi la sera. A casa odiavo mio padre e mia madre, entrambi, volevo si separassero, volevo che mio padre se ne andasse di casa, lui diceva che quella era casa sua, che era mia madre che non serviva, che era pazza, io lo odiavo a morte, fantasticavo di ucciderli a volte, salvo avere paura quando mia madre gli si lanciava addosso armata di coltello di 20 cm. Lui non era indifeso, e se le davano reciprocamente. Scoprii che se la spazzatura la buttava lui poi ci rimestava dentro per vedere cosa ci fosse: era convinto che mia madre buttasse il mangiare, perché se ne comprava troppo. Finì che la gettavo io di nascosto. Nessuno dei due cedeva, in preda alla disperazione, dicevo a mia madre di andarsene lei, ma mi rispondeva furiosa che non poteva lasciarmi, che sarebbe stata una madre degenere. In terzo avrei dovuto fare un concorso che mi avrebbe permesso di essere libera: era la speranza di una vita migliore, l’entrata in una scuola di prestigio estera, mia madre se ne sarebbe andata senza la preoccupazione di lasciarmi sola, da quando avevo 12 anni coltivavo questo sogno, grazie alle prof delle medie che erano sicure fosse la scuola per me. Il figlio di una di loro era nella commissione, era entrato in quella scuola qualche anno prima di me e mi diede dei consigli. Ero sicura di riuscirci ed invece fallii miseramente: terza su dieci, non fu sufficiente a superare lo sbarramento. Se la mia prova scritta era la migliore, non avevo dato prova di essere interessata allo scambio culturale ed umano. Mi aspettavano altri due anni in quella situazione. Pazienza, mi dissi alla fine: toccava arrendersi. A casa le cose peggiorarono, si toccò il fondo, fortunatamente mio padre prese l’abitudine di andarsene fuori qualche sera a dormire. Fu un sollievo. La fine della scuola fu un parto, un miracolo. Sarei partita per l’università, avrei vissuto veramente, sarei stata felice, avrei potuto dimenticare i miei. Invece quando partii ebbi uno shock, credo: lasciare la sicurezza mi terrorizzò, come la grande città. Vomitavo come un’esorcizzata, non smettevo, all’inizio pensai di resistere e ce la feci: mia madre approfittò dei dieci giorni di avanscoperta nella città miei e di mio padre per fare le valigie ed andarsene. Tornò dalla madre. Quando tornai, mi fermai da lei. L’idea era di ripartire il mese dopo per l’università, per i risultati dei test e per sistemarmi. La sera prima di partire, invece, mi sentii male di nuovo: volevo stare con mia nonna, godermela, coccolarla, e ritrovare mia madre, con cui il rapporto non si era mai rotto completamente. Arrivata stetti così male che non ci fu scelta: tornai con mia madre, che archiviò tutto come argomento tabù secondo il mio volere e mi iscrissi ad una facoltà in zona. Mio padre dopo un po’ si abituò a stare solo: trovò i suoi interessi, chiuse la casa che tanto mia madre non gli aveva fatto godere e si trasferì in un’altra casa. All’inizio fu meraviglioso, poi stetti male di nuovo: mia madre divenne feroce, non capiva, poi si arrese e mi portò da un terapeuta. Onestamente non ne cavai nulla: non seppe darmi spunti, non mi aiutò a realizzare cosa mi fosse successo, o le mie paure, non mi diede certezze e smontò le poche che avevo. Non riuscii a parlargli di mia madre e alla fine lui dedusse che l’unica soluzione era trovarmi dei maledetti amici. Io mi dannavo, mi sgridava perché non trovavo nessuno che uscisse con me, io insistevo e tutti mi dicevano che avevano il fidanzato, i loro amici e non gliene fregava nulla di uscire con me o di aggregarmi ala loro comitiva. Io non volevo impormi nella vita di nessuno, avevo giurato a me stessa che non avrei mai più retto il moccolo o permesso a qualcuno di dimenticarsi di me in bagno ed andarsene (mi è successo), ma il terapeuta insisteva, dicendo che potevo evitare di andare in bagno e piantonare gli ipotetici amici. Alla fine piantai la terapia: stavo male e non c’erano risultati. Andai da un altro specialista e con una blanda cura dopo poco stetti benissimo. Finii l’università, e decisi di tornare da mio padre, visto che mi tormentava, ma ritrovarmi in quella casa, dopo tanto, con tutta quella polvere e puzza di muffa mi terrorizzò. Stetti male e tornai a casa, tra le urla di mio padre, che diceva che era colpa di mia madre.
Ora ho 28 anni e sto cercando lavoro. Io e mia madre abbiamo una casa, perché non voleva stare con mia nonna dopo due anni e la casa era piccola, mio padre passa un assegno, si sono separati, la casa è abbandonata ma mio padre non vuole venderla e quindi litigano per questo, mia madre si è un po’ calmata, forse, non so. Sicuro non è felice. Alla fine la vita si risolve da sola. Ho scoperto che vestirmi di rivoluzione non è servito a nulla, non mi ha garantito l’accesso all’olimpo dei cervelli, che avevano ragione i miei compagni a dire che avevo delle amiche cretine, ho smesso di nascondermi dietro a un dito e ho capito che la pensavo esattamente come loro, che se tutti ti dicono una cosa, è vera e c’è poco da fare. Alla fine l’amicizia con una di loro, l’unica rimasta perché forse la volevo, o forse perché era meno o più cretina (a seconda dei punti di vista, per mia madre era una microcefala), o forse più semplicemente e più veramente perché era l’unica a disposizione (sì, è vero, se i miei compagni mi avessero accettata, col cavolo che le avrei guardate, non avevamo niente in comune (forse), erano un misero ripiego) è finita: lei ha saputo che io avevo suggerito ai suoi di tirarle due schiaffi quando non voleva fare gli esami di stato. Fu una fatica convincerla a farli! Alla fine nemmeno lei ha concluso nulla. Era venuta con me, ma tornò a casa dopo pochi mesi e all’università non ha più dato esami.
Adesso ciò che mi preme è cercare di capire alcune cose: penso non sia giusto arrendersi e dire ‘ Ormai è così la mia vita’, un tentativo serio va pur fatto per cercare di capirci e cambiare qualcosa.
Secondo voi perché ho paura di spostarmi da casa? E’ una cosa dell’università, originatasi da lì, oppure risale a prima, a sempre, visto che alle gite stavo male con la pancia sempre? Perché è successo alle medie e alle superiori. Addirittura alle superiori – 15 giorni all’estero – poi non ebbi il ciclo per mesi…
Da cosa si origina? E come posso risolverlo? il neurologo mi ha detto di provare con piccoli spostamenti, un po’ alla volta, perché andare da mio padre sarebbe troppo.
Può essere il tornare in quella casa? E secondo lei c’entrano le fissazioni di igiene di mia madre? Perché il problema che sorgeva alle gite è precedente.
E come fare per avere un compagno? Ho 28 anni, sono vergine e non lo desidero, il condizionamento ricevuto dall’educazione è forte, ma vorrei avere qualcuno. Se mi iscrivessi ad un sito di incontri? All’università mi piaceva un ragazzo, visto che gli piacevano gli animali e io li adoro, ho provato a chiacchierare di questo, ma niente: ci incontravamo a lezione, piaceva anche a lui la poesia, ma dopo un po’ ha dato segni di insofferenza: se ci vedevano insieme le altre ridevano, così un giorno, passando per un’aula di studio, l’ho visto seduto da solo. Pensavo di fermarmi, ma ho visto che lui si nascondeva la faccia facendo finta di non avermi visto e poi alzava il libro per ficcarcisi dietro. Ho capito e ho tirato dritto.
Mi chiedo cosa ci sia in me di sbagliato. So di essere pignola nello studio e nelle cose che faccio, (mi dissero dei ragazzi che ero abominevole, seccante, pignola, ossessiva, ossessionante…), ma mi chiedo se io sia così cattiva o disgustosa da meritare questo disprezzo. Non puzzo, ma mi rendo conto di essere sgradevole: non per l’alitosi, ma perché ho un tono di voce squillante. Ho così provato a parlar meno e più a bassa voce, ma nessuno mi ascoltava ed alla fine era come se non ci fossi: nessuno mi rivolgeva la parola. All’università abitano tutti in posti diversi, e hanno lì la loro vita. Mi piaceva anche un assistente, ci sono andata a ricevimento per cercare di attirare l’attenzione, ma poi mi è venuto in mente ciò che mi diceva mia madre : ‘Non renderti ridicola’ e ho lasciato perdere. Ero terrorizzata dall’idea di metterlo in imbarazzo o che fosse lui a dirmi di andarmene.
Vorrei capire come relazionarmi con gli altri, come risultare gradevole.
Inoltre ho sempre amato i manga giapponesi ed ho letto i romanzi spazzatura harmony, con i loro uomini incredibili… ci fantastico spesso, non vorrei diventassero un ulteriore ostacolo, perché non vorrei avere la tendenza a non vedere la realtà e a sognare ad occhi aperti, idealizzando i rapporti a due e risultando immatura, o, peggio ancora, pensando che chi si interessa a me sia un idiota, visto che non mi stimo molto.
Vorrei una vita, degli amici, un amante… non voglio arrendermi. Vorrei recuperare con mio padre, fare qualcosa che lo renda orgoglioso, dirgli che mi dispiace, vorrei staccarmi da mia madre, sapere cosa non è sano in me, vorrei capirmi meglio e amarmi di più. Vorrei migliorarmi. Prima che sia davvero tardi. E’ strano, ma nella metropoli mi sentivo incredula, prima di star male: guardavo la mia amica e mi dicevo “Non mi ci vedo qui”, o meglio, era una sensazione indefinita, nel retro della mia mente, un’incredulità soffusa, difficilmente inquadrabile allora, che è divenuta chiara con il tempo. Mi pare di essere rinchiusa. Ho letto che è difficile scappare da ciò che non ci piace, che bisogna avere coraggio, e non tutti sono in grado di averlo. Io vorrei averlo e coltivarlo. Anche quella mia amica aveva una situazione familiare difficile, forse anche per questo avevamo legato, e anche lei ci era ripiombata e non sapeva come uscirne. Mia madre mi aveva fatto delle promesse, non le ha mantenute: dice che questa è casa sua, che sono io a dovermi adeguare, che lei deve stare dietro a tutti, che non è libera, non è capita… quando le dico ‘E io?’ mi risponde ‘Cosa vuoi da me? Se non ti sta bene vattene’. E io sto zitta perché ha ragione. Vorrei andarmene, ma dove? Se superassi il problema potrei tornare da mio padre, visto che è l’unica alternativa, anche se l’idea di stare tra quella gente non mi piace. Spesso litigo con mia madre, ogni volta che esco (pochissimo) al ritorno si lagna delle cose che ho comprato, del fatto che non ho giocato la schedina (spera di vincere), del fatto che lei mi serve e lavora per me. Ma io tutto lo sporco che vede lei non lo vedo.

[#1]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Gentile Utente,
Il consulto online dovrebbe essere più conciso.

Provi a riformulare la domanda in maniera chiara, non siamo in un setting da studio o da ospedale.

Ma lei ha 89 anni così come risulta dai suoi dati?

"Vorrei una vita, degli amici, un amante… non voglio arrendermi. Vorrei recuperare con mio padre, fare qualcosa che lo renda orgoglioso, dirgli che mi dispiace, vorrei staccarmi da mia madre, sapere cosa non è sano in me, vorrei capirmi meglio e amarmi di più. Vorrei migliorarmi."

Sicuramente tutto questo è possibile, ma bisognerebbe partire dalla disamina completa - non fattibile online - della sua psiche, struttura di personalità, dinamiche familiari e tantissimo altro.

Anche capirsi meglio è fattibile, ma sempre non online

Il suo bisogno di essere ascoltata e di raccontarsi, merita un setting più consono alle sue richieste

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

[#2]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile utente,
una richiesta così "lunga" non è di facile lettura. Quale è il suo problema e la sua richiesta?



Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#3]
Utente
Utente
è l'account di mia nonna. non ne ho creato un altro perché mi pareva inutile. io ho 28 anni. scusate se la mia richiesta vi ha confuso. non ho tenuto conto dei dati già immessi. ho problemi ad allontanarmi da casa. e con il rapporto con mia madre. la richiesta è lunga semplicemente perché non sapevo quali dati fossero utili, volevo fornire un quadro chiaro, ma vedo che è complesso. grazie lo stesso.
cordiali saluti
[#4]
Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
>>è l'account di mia nonna. non ne ho creato un altro perché mi pareva inutile.<<
sono delle piccole cose, ma dicono molto sulla sua difficoltà a separarsi dalle figure di riferimento (ad es. allontanarsi da casa). Il bisogno di creare un account personale forse è un piccolo passo, ma sarebbe utile almeno per creare una sua intimità, una spazio all'interno del quale può accedere soltanto lei.







Dott. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica
www.psicologoaviterbo.it

[#5]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile utente,
Piuttosto che fornire brevi risposte alle domande espresse dagli esperti rinuncia?

Perchè?




[#6]
Utente
Utente
mi pare di averle risposto. non so cosa altro dire....
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