Sconforto
Ho 32 anni. Da anni alterno periodi di serenità a periodi di angoscia. Ho preso antidepressivi nel 2001 e nel 2009. Roba non troppo pesante, Entact. Due cadute, insomma.
So socializzare ma non riesco molto bene nel lavoro. Come se ci fosse una schizofrenia tra mondo al di fuori e ruolo lavorativo. Fuori me la cavo bene. Amici, uscite, famiglia. Tutto a posto, anzi, anche soddisfazioni. Al lavoro, sono mediocre. Ho lasciato l'università (lingue e letteratura) a 25 anni, ma non ho mai saputo (e ci rinuncio a 32 anni, ormai) cosa voglio. Prendendo coscienza di non aver le idee chiare su NIENTE di pratico, mi sono accontentata di tutti i lavori in cui sono inciampata. Commessa, call center e ora, il più schifoso e umiliante: addetto mensa (per fortuna a 30 km da casa mia). Umiliante non per la mansione in sé (mi piace servire in sala), ma per la pesantezza fisica. Finita la sala, cucinando noi anche per 5 scuole del circondario, dobbiamo stare ore al lavandino a lavare le teglie che rientrano. E' molto pesante, e avendo una protrusione alla L5, sollevare centinaia di teglie al giorno mi fa tornare a casa con la schiena infiammatissima.
Ho questo lavoro da un anno e mezzo. Me l'ha trovato mia madre. Sono disperata da quando ho iniziato. Con i colleghi non va male, ma, fisicamente, io non reggo.
Già da 3 anni (prima di iniziare qui in mensa, quindi) ho una stanchezza negli arti piuttosto forte. Ho fatto un po' di esami, ma nulla. Alla fine, tempo fa, vado da un neurologo e mi dice "fibromialgia". Ok, ho pensato. Ci risiamo. Ho deciso di fregarmene e non prendere la Duloxetina, perché, a differenza del 2001 e del 2009, qui, di angosce o DOC non ce ne sono.
E' come se fosse sopravvenuta solo una visione reale e lucida della mia inettitudine, e, tale visione e mancanza di autostima, si traduce in un calo di forze e in una spossatezza, chiamato, dagli addetti ai lavori "fibromialgia".
Non sono stata a casa che un solo giorno da questo lavoro. Questo per togliere il cliché del depresso che si mette in malattia ogni due per 3. Io, però, mi sento - fisicamente - distrutta.
E psicologicamente, anche.
Inoltre, il fatto che questo schifo di occupazione l'abbia trovata mia madre, mi fa provare rabbia verso di lei, anche se, razionalmente, so che l'ha fatto per non farmi stare a casa al pc (ero disoccupata da 2 anni).
Ho fatto dei colloqui psicologici per 10 anni, dai 18/19 (quinta superiore) ai 29. Questo medico mi ha aiutato tanto, anche a trovare i lavori precedenti, che, altrimenti, avrei scansato.
Non era una psicoterapia, ma solo colloqui. Per i primi anni di 2 volte a settimana, poi, una volta al mese. Circa 3 anni fa abbiamo deciso (lui, io avrei continuato) che potevo cavarmela da sola.
Mm....si vede. Ho provato con un altro per un anno, ma non ho stima. E' giovane e parla a sproposito, fornendomi più dubbi che rassicurazioni (esempio - gli dico che ho l'ansia in cassa e lui: " Magari sei discalculica" e altre cazzate così)
Non so che fare.
So socializzare ma non riesco molto bene nel lavoro. Come se ci fosse una schizofrenia tra mondo al di fuori e ruolo lavorativo. Fuori me la cavo bene. Amici, uscite, famiglia. Tutto a posto, anzi, anche soddisfazioni. Al lavoro, sono mediocre. Ho lasciato l'università (lingue e letteratura) a 25 anni, ma non ho mai saputo (e ci rinuncio a 32 anni, ormai) cosa voglio. Prendendo coscienza di non aver le idee chiare su NIENTE di pratico, mi sono accontentata di tutti i lavori in cui sono inciampata. Commessa, call center e ora, il più schifoso e umiliante: addetto mensa (per fortuna a 30 km da casa mia). Umiliante non per la mansione in sé (mi piace servire in sala), ma per la pesantezza fisica. Finita la sala, cucinando noi anche per 5 scuole del circondario, dobbiamo stare ore al lavandino a lavare le teglie che rientrano. E' molto pesante, e avendo una protrusione alla L5, sollevare centinaia di teglie al giorno mi fa tornare a casa con la schiena infiammatissima.
Ho questo lavoro da un anno e mezzo. Me l'ha trovato mia madre. Sono disperata da quando ho iniziato. Con i colleghi non va male, ma, fisicamente, io non reggo.
Già da 3 anni (prima di iniziare qui in mensa, quindi) ho una stanchezza negli arti piuttosto forte. Ho fatto un po' di esami, ma nulla. Alla fine, tempo fa, vado da un neurologo e mi dice "fibromialgia". Ok, ho pensato. Ci risiamo. Ho deciso di fregarmene e non prendere la Duloxetina, perché, a differenza del 2001 e del 2009, qui, di angosce o DOC non ce ne sono.
E' come se fosse sopravvenuta solo una visione reale e lucida della mia inettitudine, e, tale visione e mancanza di autostima, si traduce in un calo di forze e in una spossatezza, chiamato, dagli addetti ai lavori "fibromialgia".
Non sono stata a casa che un solo giorno da questo lavoro. Questo per togliere il cliché del depresso che si mette in malattia ogni due per 3. Io, però, mi sento - fisicamente - distrutta.
E psicologicamente, anche.
Inoltre, il fatto che questo schifo di occupazione l'abbia trovata mia madre, mi fa provare rabbia verso di lei, anche se, razionalmente, so che l'ha fatto per non farmi stare a casa al pc (ero disoccupata da 2 anni).
Ho fatto dei colloqui psicologici per 10 anni, dai 18/19 (quinta superiore) ai 29. Questo medico mi ha aiutato tanto, anche a trovare i lavori precedenti, che, altrimenti, avrei scansato.
Non era una psicoterapia, ma solo colloqui. Per i primi anni di 2 volte a settimana, poi, una volta al mese. Circa 3 anni fa abbiamo deciso (lui, io avrei continuato) che potevo cavarmela da sola.
Mm....si vede. Ho provato con un altro per un anno, ma non ho stima. E' giovane e parla a sproposito, fornendomi più dubbi che rassicurazioni (esempio - gli dico che ho l'ansia in cassa e lui: " Magari sei discalculica" e altre cazzate così)
Non so che fare.
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Quando si tratta di psicopatologie i colloqui psicologici non possono sostituire una psicoterapia, perché non sono curativi e soprattutto nel suo caso si sono protratti nel tempo, per un lungo periodo e questo potrebbe aver alimentato delle dinamiche di dipendenza piuttosto che facilitare l'autonomia e il senso di sicurezza.
Si è rivolta ad uno psicologo o ad uno psichiatra?
Credo sia importante iniziare una psicoterapia, meglio se ad indirizzo dinamico che non deve durare necessariamente anni.
E' stata fatta una diagnosi?
Si è rivolta ad uno psicologo o ad uno psichiatra?
Credo sia importante iniziare una psicoterapia, meglio se ad indirizzo dinamico che non deve durare necessariamente anni.
E' stata fatta una diagnosi?
Dott. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica
www.psicologoaviterbo.it
[#2]
Ex utente
Ma io a 18 anni come facevo a sapere il tipo di psicoterapia che più si confà? Avevo il DOC e lo psichiatra mi mandò da questo psicologo, con cui mi trovai molto bene, fin da subito. Mi dissero, entrambi, che avevo una forte ansia e fobia sociale. Nessun disturbo della personalità.
Poi, dato che i problemi ruotavano sempre intorno alle "vergogne" nel lavorare, lo psicologo mi portò pian piano a presentarmi ai colloqui e a buttarmi. Tanto, il succo, si era capito: sapevo cosa non volevo (esempio: lavorare al mio paesino), ma non quello che volevo (che tipo di lavoro fare). Quindi, dopo aver tentato il "riprendi a studiare", "prova con un'altra facoltà", "eri brava a scuola", ecc, si arrese alla mia inettitudine e pensammo a come sopravvivere.
Dopo esserci salutati, il mio contratto non venne prolungato, io rimasi a casa 2 anni, et oplà, altra stangata.
Ho provato, appunto, con un altro (cognitivo comportamentale), per un anno..Che Dio mi scampi, zero, non mi trovavo proprio.
Quindi, ad ora, mi sento - come da titolo - piena di sconforto: pensieri bui (non angoscianti come il DOC, ma, forse peggiori, perché pieni di grigiume per il futuro); stanchezza degli arti, formicolii di notte, fitte di notte agli arti, spossatezza forte.
Nessuna immagine di futuro.
Se non sconfitta. Insomma dalla laurea in lingue allo scrostare le padelle, voglio vedere chi non si deprimerebbe, senza retorica e ipocrisia.
Detto questo non riprenderei in mano i libri neanche sotto tortura.
Non so come uscirne, comunque.
Da che parte cominciare. Anche perché, se penso che a 32 anni vivo in casa e prendo 600 euro al mese spaccandomi la schiena, mi deprimo.
Ma non è il lavoro per me. Non tutti abbiamo lo stesso fisico.
Poi, dato che i problemi ruotavano sempre intorno alle "vergogne" nel lavorare, lo psicologo mi portò pian piano a presentarmi ai colloqui e a buttarmi. Tanto, il succo, si era capito: sapevo cosa non volevo (esempio: lavorare al mio paesino), ma non quello che volevo (che tipo di lavoro fare). Quindi, dopo aver tentato il "riprendi a studiare", "prova con un'altra facoltà", "eri brava a scuola", ecc, si arrese alla mia inettitudine e pensammo a come sopravvivere.
Dopo esserci salutati, il mio contratto non venne prolungato, io rimasi a casa 2 anni, et oplà, altra stangata.
Ho provato, appunto, con un altro (cognitivo comportamentale), per un anno..Che Dio mi scampi, zero, non mi trovavo proprio.
Quindi, ad ora, mi sento - come da titolo - piena di sconforto: pensieri bui (non angoscianti come il DOC, ma, forse peggiori, perché pieni di grigiume per il futuro); stanchezza degli arti, formicolii di notte, fitte di notte agli arti, spossatezza forte.
Nessuna immagine di futuro.
Se non sconfitta. Insomma dalla laurea in lingue allo scrostare le padelle, voglio vedere chi non si deprimerebbe, senza retorica e ipocrisia.
Detto questo non riprenderei in mano i libri neanche sotto tortura.
Non so come uscirne, comunque.
Da che parte cominciare. Anche perché, se penso che a 32 anni vivo in casa e prendo 600 euro al mese spaccandomi la schiena, mi deprimo.
Ma non è il lavoro per me. Non tutti abbiamo lo stesso fisico.
[#3]
>>a 18 anni come facevo a sapere il tipo di psicoterapia che più si confà?<<
infatti in questi casi è compito del professionista non del paziente. Però mi sembra di capire che aspetti positivi nell'intervento ci sono stati, anche se la questione nodale è rimasta insoluta.
Non si può centrare un trattamento di consulenza o di psicoterapia solo sulla dimensione "lavoro e università" (in genere si tratta di epifenomeni), perché il nocciolo della questione è probabilmente un altro: la sua sfera emotivo-affettiva.
In genere gli aspetti depressivi e le frustrazioni emergono nel momento in cui le aspettative personali si distanziano dalla realtà che si vive. Maggiore è questa distanza, maggiore è la possibilità che il benessere psicofisico venga "inquinato".
infatti in questi casi è compito del professionista non del paziente. Però mi sembra di capire che aspetti positivi nell'intervento ci sono stati, anche se la questione nodale è rimasta insoluta.
Non si può centrare un trattamento di consulenza o di psicoterapia solo sulla dimensione "lavoro e università" (in genere si tratta di epifenomeni), perché il nocciolo della questione è probabilmente un altro: la sua sfera emotivo-affettiva.
In genere gli aspetti depressivi e le frustrazioni emergono nel momento in cui le aspettative personali si distanziano dalla realtà che si vive. Maggiore è questa distanza, maggiore è la possibilità che il benessere psicofisico venga "inquinato".
[#4]
Ex utente
Eh, lo so.
Ma ora, nel pratico, che faccio? Mi sembra che la situazione attuale mi sovrasti. Non so come uscirne. Nel pratico, proprio.
Licenziarmi? Mi sentirei uno schifo
Aspettare e nel frattempo cercare altro? Non si trova nulla e chi trova: o è super specializzato, o si butta senza troppe vergogne.
Io non ho interesse a specializzarmi e non riesco a togliere le vergogne (qui avrei interesse).
Inoltre, non ho entusiasmo a pensare di incontrare - di persona - un terzo psicologo con cui iniziare daccapo (dopo il flop del secondo).
Però sto così male da 2 anni.
Ma ora, nel pratico, che faccio? Mi sembra che la situazione attuale mi sovrasti. Non so come uscirne. Nel pratico, proprio.
Licenziarmi? Mi sentirei uno schifo
Aspettare e nel frattempo cercare altro? Non si trova nulla e chi trova: o è super specializzato, o si butta senza troppe vergogne.
Io non ho interesse a specializzarmi e non riesco a togliere le vergogne (qui avrei interesse).
Inoltre, non ho entusiasmo a pensare di incontrare - di persona - un terzo psicologo con cui iniziare daccapo (dopo il flop del secondo).
Però sto così male da 2 anni.
[#5]
>>Ma ora, nel pratico che faccio? Mi sembra che la situazione attuale mi sovrasti. Non so come uscirne. Nel pratico, proprio.<<
non si può sperare di risolvere nell'immediato una situazione che si porta dietro da anni, senza magari affrontare le modalità disfunzionali e i modelli di pensiero che probabilmente mantengono attivo il problema.
non si può sperare di risolvere nell'immediato una situazione che si porta dietro da anni, senza magari affrontare le modalità disfunzionali e i modelli di pensiero che probabilmente mantengono attivo il problema.
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 1.5k visite dal 02/04/2015.
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