Relazione che genera solo ansia
Gentili dottori,
Sono un ragazzo gay di 26 anni, sto frequentando da oltre 5 mesi un ragazzo di 32 anni, straniero. Ho frequentato pochissimi altri ragazzi e questa è la prima relazione della mia vita a cui tengo molto più di quanto avrei potuto immaginare. Purtroppo però ciò che mi dà questo legame al momento è solo una crescente odiosa sensazione di ansia.
Nei primi tempi c'era interesse reciproco a sentirci spesso, riuscivamo a vederci non solo nei finesett ma perfino durante la settimana, nonostante gli orari di lavoro disastrosi che abbiamo entrambi, ma poi le cose sono cambiate.
Mi ha presentato ai suoi amici e abbiamo iniziato ad uscire con loro. Poi ha smesso di contattarmi di sua iniziativa, devo essere io a chiedergli di vederci o a scrivergli. E' diventato meno interessato a che ci incontriamo in settimana, e adesso anche il fatto di non incontrarci nel weekend sembra per lui normale.
Mi sento sempre più spesso "fastidioso" e rompiballe nel chiedergli di uscire o nel proporgli di vederci, così ora mi sforzo di non scrivergli niente e di non voler passare il mio poco tempo libero con lui, anche se vorrei.
Lui nel frattempo è assolutamente tranquillo, gentile, tenero, a suo agio. Ignaro. Una sola volta non ho resistito a fargli notare che mi aveva messo in difficoltà (per es. dimenticandosi di rispondermi per tempo) e lui è sembrato dispiaciuto e volenteroso nel rimediare.
Credo che si stia instaurando un meccanismo sbagliatissimo, in cui io sono il paranoico che si corrode al minimo fraintendimento, lui quello perfettamente "immune" e qualsiasi cosa succeda, ne uscirà vincitore.
Non posso parlargli di queste sensazioni, sarebbe come ammettere la mia sconfitta, sarebbe come ammettere di essere debole e di essere più attaccato di lui alla relazione. Lui ha più anni di me e sicuramente ha molta più esperienza, ha mille amici, ed è molto più temprato quindi è automatico che per lui io sono una persona anonima, non ho nulla di speciale rispetto a tutta la gente che può aver incontrato nel suo passato. Non sono della posizione di chiedergli nulla o aspettarmi cambiamenti; in ogni istante può trovare qualcuno migliore di me.
Sono certo che andrà a finire male: essendo lui ricercatore prima o poi dovrà partire per l'estero, e io forse farò lo stesso. Nel mentre, speravo almeno che questo legame mi avrebbe portato delle sensazioni positive, vista l'estrema affinità di interessi e di mentalità, invece no, sto sviluppando solo paranoia, distrazione sul lavoro, voglia di isolarmi dai miei amici.
Nei momenti di rabbia penso che dovrei lasciarlo. lui mi piace ma non posso vivere così, è sfiancante, le relazioni sono fatte per apportare benessere alle persone, non questi stati di angoscia perenne.
Ora che ho scritto queste ansie(di cui mi vergogno) mi sento meglio. Però non so cosa fare perché non so se sono io ad avere problemi relazionali oppure il problema è oggettivo. Non so cosa mi succede,sto sempre peggio e vi chiedo un consiglio.
Sono un ragazzo gay di 26 anni, sto frequentando da oltre 5 mesi un ragazzo di 32 anni, straniero. Ho frequentato pochissimi altri ragazzi e questa è la prima relazione della mia vita a cui tengo molto più di quanto avrei potuto immaginare. Purtroppo però ciò che mi dà questo legame al momento è solo una crescente odiosa sensazione di ansia.
Nei primi tempi c'era interesse reciproco a sentirci spesso, riuscivamo a vederci non solo nei finesett ma perfino durante la settimana, nonostante gli orari di lavoro disastrosi che abbiamo entrambi, ma poi le cose sono cambiate.
Mi ha presentato ai suoi amici e abbiamo iniziato ad uscire con loro. Poi ha smesso di contattarmi di sua iniziativa, devo essere io a chiedergli di vederci o a scrivergli. E' diventato meno interessato a che ci incontriamo in settimana, e adesso anche il fatto di non incontrarci nel weekend sembra per lui normale.
Mi sento sempre più spesso "fastidioso" e rompiballe nel chiedergli di uscire o nel proporgli di vederci, così ora mi sforzo di non scrivergli niente e di non voler passare il mio poco tempo libero con lui, anche se vorrei.
Lui nel frattempo è assolutamente tranquillo, gentile, tenero, a suo agio. Ignaro. Una sola volta non ho resistito a fargli notare che mi aveva messo in difficoltà (per es. dimenticandosi di rispondermi per tempo) e lui è sembrato dispiaciuto e volenteroso nel rimediare.
Credo che si stia instaurando un meccanismo sbagliatissimo, in cui io sono il paranoico che si corrode al minimo fraintendimento, lui quello perfettamente "immune" e qualsiasi cosa succeda, ne uscirà vincitore.
Non posso parlargli di queste sensazioni, sarebbe come ammettere la mia sconfitta, sarebbe come ammettere di essere debole e di essere più attaccato di lui alla relazione. Lui ha più anni di me e sicuramente ha molta più esperienza, ha mille amici, ed è molto più temprato quindi è automatico che per lui io sono una persona anonima, non ho nulla di speciale rispetto a tutta la gente che può aver incontrato nel suo passato. Non sono della posizione di chiedergli nulla o aspettarmi cambiamenti; in ogni istante può trovare qualcuno migliore di me.
Sono certo che andrà a finire male: essendo lui ricercatore prima o poi dovrà partire per l'estero, e io forse farò lo stesso. Nel mentre, speravo almeno che questo legame mi avrebbe portato delle sensazioni positive, vista l'estrema affinità di interessi e di mentalità, invece no, sto sviluppando solo paranoia, distrazione sul lavoro, voglia di isolarmi dai miei amici.
Nei momenti di rabbia penso che dovrei lasciarlo. lui mi piace ma non posso vivere così, è sfiancante, le relazioni sono fatte per apportare benessere alle persone, non questi stati di angoscia perenne.
Ora che ho scritto queste ansie(di cui mi vergogno) mi sento meglio. Però non so cosa fare perché non so se sono io ad avere problemi relazionali oppure il problema è oggettivo. Non so cosa mi succede,sto sempre peggio e vi chiedo un consiglio.
[#1]
<Però non so cosa fare perché non so se sono io ad avere problemi relazionali oppure il problema è oggettivo.>
Gentile Utente,
ha preso in considerazione il suggerimento ricevuto da qui in un precedente consulto di rivolgersi direttamente a un nostro collega?
Se non ancora cosa la frenerebbe dal farlo?
Potrebbe essere ad esempio che se lei avesse scarsa autostima, insicurezza, paura di non essere all'altezza, come ci diceva in precedenza, tutto ciò si riverberi sul suo modo di intendere, sentire, comportarsi nelle sue relazioni affettive.
Questo per dirle che anche i suoi contributi personali hanno un effetto su ciò che accade in questo rapporto e in genere nelle sue relazioni.
Che ne pensa?
Gentile Utente,
ha preso in considerazione il suggerimento ricevuto da qui in un precedente consulto di rivolgersi direttamente a un nostro collega?
Se non ancora cosa la frenerebbe dal farlo?
Potrebbe essere ad esempio che se lei avesse scarsa autostima, insicurezza, paura di non essere all'altezza, come ci diceva in precedenza, tutto ciò si riverberi sul suo modo di intendere, sentire, comportarsi nelle sue relazioni affettive.
Questo per dirle che anche i suoi contributi personali hanno un effetto su ciò che accade in questo rapporto e in genere nelle sue relazioni.
Che ne pensa?
Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it
[#2]
Ex utente
Gentile Dottoressa,
Intanto grazie per la cortese risposta.
Il mio dubbio è incentrato sull'incapacità di trarre beneficio da una relazione, sul pensiero di volerla chiudere e sul non sapere se questa incapacità è un problema mio oppure effettivamente la cosa sta finendo da sé.
Con "contributi personali" vuole suggerire che mi sono comportato in modo da rovinare tutto? Eppure io mi sono impegnato sempre, ho ritagliato tutto il mio poco tempo disponibile, ho accettato di entrare nel suo giro di amici anche se non conoscevo nessuno, ho aderito alle sue proposte di uscite e ne ho fatte anche io, mi sono fatto in quattro per regali originali e pensieri divertenti.
Al momento vivo nella frustrazione del fatto di vederci pochissimo, a cadenze molto dilazionate, sempre su mia iniziativa. Però sento anche una frustrazione più generale, un confronto fra esperienze di vita che non posso vincere, una completa incapacità di poter essere all'altezza delle aspettative, aspettative che nemmeno conosco. Non ho idea di come comportarmi per questo sto pensando di rassegnarmi e gettare la spugna. Secondo me lui non capirà nemmeno, ma io non ne posso più stare così male per motivi così folli.
Devo confessare che sono allibito. pensavo che vivere una relazione importante fosse un'esperienza positiva, piacevole, appagante. Invece è solo un silenzioso incubo ansiogeno.
Intanto grazie per la cortese risposta.
Il mio dubbio è incentrato sull'incapacità di trarre beneficio da una relazione, sul pensiero di volerla chiudere e sul non sapere se questa incapacità è un problema mio oppure effettivamente la cosa sta finendo da sé.
Con "contributi personali" vuole suggerire che mi sono comportato in modo da rovinare tutto? Eppure io mi sono impegnato sempre, ho ritagliato tutto il mio poco tempo disponibile, ho accettato di entrare nel suo giro di amici anche se non conoscevo nessuno, ho aderito alle sue proposte di uscite e ne ho fatte anche io, mi sono fatto in quattro per regali originali e pensieri divertenti.
Al momento vivo nella frustrazione del fatto di vederci pochissimo, a cadenze molto dilazionate, sempre su mia iniziativa. Però sento anche una frustrazione più generale, un confronto fra esperienze di vita che non posso vincere, una completa incapacità di poter essere all'altezza delle aspettative, aspettative che nemmeno conosco. Non ho idea di come comportarmi per questo sto pensando di rassegnarmi e gettare la spugna. Secondo me lui non capirà nemmeno, ma io non ne posso più stare così male per motivi così folli.
Devo confessare che sono allibito. pensavo che vivere una relazione importante fosse un'esperienza positiva, piacevole, appagante. Invece è solo un silenzioso incubo ansiogeno.
[#3]
<<Al momento vivo nella frustrazione del fatto di vederci pochissimo, a cadenze molto dilazionate, sempre su mia iniziativa.<<
Gli stili di attaccamento possono essere differenti. Quello che per uno è una "giusta distanza" per l'altro può essere un legame soffocante o all'opposto distanza eccessiva.
Tuttavia la rappresentazione che Lei ha di "una relazione importante come un'esperienza positiva, piacevole, appagante", non è completa: anche nelle relazioni da Lei descritte non manca la differenza, il conflitto, la negoziazione, il dolore e la delusione.
Gli stili di attaccamento possono essere differenti. Quello che per uno è una "giusta distanza" per l'altro può essere un legame soffocante o all'opposto distanza eccessiva.
Tuttavia la rappresentazione che Lei ha di "una relazione importante come un'esperienza positiva, piacevole, appagante", non è completa: anche nelle relazioni da Lei descritte non manca la differenza, il conflitto, la negoziazione, il dolore e la delusione.
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#4]
Ex utente
Gentili Dottoressa,
Ma allora perché la gente ricerca spasmodicamente relazioni importanti e la stessa psicologia le propaganda come un elemento positivo della vita delle persone? E' molto autolesionista questa cosa. Invidio molto le persone che non nutrono alcuna forma di attaccamento. Io stesso in passato ero totalmente refrattario ed inerte rispetto a qualsiasi contatto sia sessuale che affettivo con gli altri, e avrei fatto meglio a rimanere isolato come ero.
Io non so nulla di come comportarsi, per esempio non so fino a che punto ciò che mi fa stare male è un problema mio oppure è una oggettiva conseguenza di un comportamento altrui, cosicché non sono capace di sapere se esplicitare il malessere per far notare che è conseguenza del suo comportamento oppure se tenere la cosa per me sapendo che sono nel torto. Finora io ho taciuto pensando a priori di essere io quello "anormale", inesperto, con esigenze sbagliate ed irrealistiche, ma non sono sicuro che sia così.
Però esplicitare un disagio all'altro significa anche chiudere la relazione, perché è un passo irreversibile, non si torna più indietro: le persone infatti non possono cambiare il loro carattere e nessuno può pretendere da loro questo cambiamento.
Ma allora perché la gente ricerca spasmodicamente relazioni importanti e la stessa psicologia le propaganda come un elemento positivo della vita delle persone? E' molto autolesionista questa cosa. Invidio molto le persone che non nutrono alcuna forma di attaccamento. Io stesso in passato ero totalmente refrattario ed inerte rispetto a qualsiasi contatto sia sessuale che affettivo con gli altri, e avrei fatto meglio a rimanere isolato come ero.
Io non so nulla di come comportarsi, per esempio non so fino a che punto ciò che mi fa stare male è un problema mio oppure è una oggettiva conseguenza di un comportamento altrui, cosicché non sono capace di sapere se esplicitare il malessere per far notare che è conseguenza del suo comportamento oppure se tenere la cosa per me sapendo che sono nel torto. Finora io ho taciuto pensando a priori di essere io quello "anormale", inesperto, con esigenze sbagliate ed irrealistiche, ma non sono sicuro che sia così.
Però esplicitare un disagio all'altro significa anche chiudere la relazione, perché è un passo irreversibile, non si torna più indietro: le persone infatti non possono cambiare il loro carattere e nessuno può pretendere da loro questo cambiamento.
[#5]
<<Però esplicitare un disagio all'altro significa anche chiudere la relazione, perché è un passo irreversibile,<<
eh no, anzi forse al contrario. E' svelare una parte "sofferente" di sè e chiedere ascolto. Talune relazioni "tengono" proprio per questo chiedere e dare aiuto reciprocamente, in ruoli non fissi ma scambievoli.
<<le persone non possono cambiare il loro carattere e nessuno può pretendere da loro questo cambiamento.<<
Se non si può pretendere il cambiamento dell'altro, è l'altro che per amore può scegliere e decidere di modificare "un po' " i propri comportamenti.
A priori non si sa SE "la quantità" di cambiamento che ognuno dei due riesce a mettere in atto è sufficiente a mantenere la relazione, ma provarci (se ci teniamo) è possibile e auspicabile.
Saluti cari
eh no, anzi forse al contrario. E' svelare una parte "sofferente" di sè e chiedere ascolto. Talune relazioni "tengono" proprio per questo chiedere e dare aiuto reciprocamente, in ruoli non fissi ma scambievoli.
<<le persone non possono cambiare il loro carattere e nessuno può pretendere da loro questo cambiamento.<<
Se non si può pretendere il cambiamento dell'altro, è l'altro che per amore può scegliere e decidere di modificare "un po' " i propri comportamenti.
A priori non si sa SE "la quantità" di cambiamento che ognuno dei due riesce a mettere in atto è sufficiente a mantenere la relazione, ma provarci (se ci teniamo) è possibile e auspicabile.
Saluti cari
[#6]
Ex utente
Mi mancano molti tasselli, non so mai come comportarmi, per esempio non so se scrivere un messaggio alla settimana potrebbe essere troppo invadente, oppure se proporre una cosa o rifiutarne un'altra potrebbero essere comportamenti che rovinano la complicità, oppure se non tenersi aggiornati su certi argomenti piuttosto che altri potrebbe rendermi meno interessante, oppure se parlare di un problema inerente la relazione potrebbe farmi apparire debole e far cadere tutto il castello di carte, eccetera.
Però leggendo un articolo del professor Nardone su questo sito ( https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/2119-quando-il-dubbio-diventa-patologico.html ) ho trovato degli spunti interessanti che mi fanno sentire un po' di sollievo.
Sono tutti dubbi a cui forse non esiste una risposta. Non è possibile rispondere perché le risposte razionali potrebbero essere un milione, un miliardo, ma non sarebbero comunque capaci di offrire una soluzione vera ad un problema che forse non esiste, almeno non esiste nei termini in cui me lo pongo io.
Qualsiasi cosa possa succedere, io non ho il benché minimo controllo su di essa. Non esistono soluzioni corrette, qualsiasi mia azione sarà giusta e sbagliata al medesimo tempo. Esistono solo un ammasso di circostanze di fatto neutrali nelle quali mi muovo totalmente alla cieca. E' inevitabile che sia così, mi rassegno quasi con sollievo a questa constatazione.
Sono purtroppo obbligato a convivere con le mie tendenze ossessivo-compulsive perché ho bisogno ancora di tempo per raccogliere i soldi per poter iniziare un percorso con un professionista che possa seguirmi da vicino. Per ora non me lo posso permettere e quindi nell'attesa devo rattoppare da solo.
Però leggendo un articolo del professor Nardone su questo sito ( https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/2119-quando-il-dubbio-diventa-patologico.html ) ho trovato degli spunti interessanti che mi fanno sentire un po' di sollievo.
Sono tutti dubbi a cui forse non esiste una risposta. Non è possibile rispondere perché le risposte razionali potrebbero essere un milione, un miliardo, ma non sarebbero comunque capaci di offrire una soluzione vera ad un problema che forse non esiste, almeno non esiste nei termini in cui me lo pongo io.
Qualsiasi cosa possa succedere, io non ho il benché minimo controllo su di essa. Non esistono soluzioni corrette, qualsiasi mia azione sarà giusta e sbagliata al medesimo tempo. Esistono solo un ammasso di circostanze di fatto neutrali nelle quali mi muovo totalmente alla cieca. E' inevitabile che sia così, mi rassegno quasi con sollievo a questa constatazione.
Sono purtroppo obbligato a convivere con le mie tendenze ossessivo-compulsive perché ho bisogno ancora di tempo per raccogliere i soldi per poter iniziare un percorso con un professionista che possa seguirmi da vicino. Per ora non me lo posso permettere e quindi nell'attesa devo rattoppare da solo.
Questo consulto ha ricevuto 9 risposte e 2.2k visite dal 06/03/2015.
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Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.