Rimuginazione ossessiva

Gentili dottori,
sono in cura da una psicoterapeuta da qualche mese. Da quando vado ho visto dei miglioramenti, sono riuscita a riprendere a studiare, che è il motivo principale per il quale mi sono rivolta a lei.
Altri problemi non li ho ancora risolti. Uno su tutti, una rimuginazione ossessiva che spesso e “volentieri” accompagna le mie giornate. In breve rimugino su tutto quello che mi capita, specie se ho a che fare con delle persone. È come se avessi bisogno di ripercorrere i dialoghi, i gesti, le parole. Quando sto con gli altri spesso mi sento sbagliata e questo sintomo non fa altro che prolungare la mia sofferenza, perché così facendo continuo a sentirmi sbagliata anche dopo. In effetti non so bene perché lo faccio, sembrerebbe una sorta di masochismo. Non so se si tratti di un vero e proprio “rituale”, però effettivamente anche se mi rendo conto che non serve a niente poi mi viene automatico continuare a farlo, a volte in maniera totalmente inconsapevole. È chiaro che non è sempre così. Mi succede soprattutto quando ho a che fare con delle persone, specialmente durante e dopo l’incontro con loro.
Ho scelto la terapia breve strategica (dopo una terapia analitica), perché avevo letto molte cose a riguardo e pareva fosse molto indicata per problematiche ossessive. Eppure con me su questo fronte non ha avuto il risultato sperato perché oggi la terapeuta, dopo diversi mesi di terapia, mi ha chiesto se non abbia mai pensato a una terapia farmacologica. Mi ha detto che altri pazienti con questa problematica li stanno usando e stanno meglio.
Quindi la mia domanda è: questo tipo di problematica in linea generale si può risolvere bene con la sola psicoterapia oppure di solito è necessario usare dei farmaci? È chiaro che essendo la domanda generale la risposta non può che essere generale e quindi non necessariamente valida per il mio caso, ma mi chiedo se sia carente la terapia che sto facendo, se sia io a dover “impegnarmi” di più (di quanto già non faccia), oppure si tratti realmente di una problematica di competenza farmacologica.
Grazie dell'attenzione.
[#1]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Molti casi di ossessioni si possono risolvere con la sola psicoterapia e la TBS è adatta per questo tipo di problema. Ovviamente non posso esprimermi sul suo caso specifico, non conoscendola.

Che tipo di compiti le ha assegnato la terapeuta?

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#2]
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220
gentile utente, la presenza di una sintomatologia ostinata non è sempre espressione della gravità della patologia ma del modo di approcciarsi ad essa (paure, debolezze, resistenze, soluzioni inadeguate) per cui alcuni ne escono con la sola psicoterapia altri, per la stessa problematica patologica, hanno bisogno di un supporto farmacologico.
se il suo terapeuta le ha dato questo consiglio avrà, probabilmente, inquadrato qualche forma di resistenza che contribuisce a cronicizzare il sintomo.
legga questo
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/4088-quando-il-paziente-si-allea-con-la-propria-malattia.html
saluti

Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks

[#3]
Attivo dal 2015 al 2015
Ex utente
Grazie delle risposte velocissime.
Ho letto l'articolo. Sì è probabile che io abbia delle resistenze al cambiamento, ma a me sembra di essermi messa anche molto d'impegno. E' come un continuo tira e molla tra il disturbo e la mia voglia di cambiare.


I compiti che mi ha dato sono il blocco delle risposte e la scrittura (quando il blocco non è sufficiente).

Per quanto riguarda il blocco delle risposte non riesco quasi mai, o meglio, riesco solo se mi dedico completamente a quello: mi metto tranquilla e concentro l'attenzione sul respiro per una ventina o più di minuti. Tutte le volte che arriva un pensiero riporto l'attenzione sul respiro. Dopodichè mi sento decisamente meglio. Ma ciò ovviamente non è sempre attuabile, se sono in mezzo alla gente o sto facendo altro e non posso mettermi tranquilla per qualche minuto.

La scrittura anche mi aiuta, ad esempio mentre studio scrivo tantissimo, pensieri, ansie, paure che mi bloccano, e questo mi ha aiutato molto a riprendere a studiare con regolarità. Quando non studio devo ammettere che non scrivo con la stessa frequenza. (qui potrei migliorare)

Il problema è anche come gestire la cosa quando sono in mezzo agli altri. In questo caso la mia terapeuta non mi ha dato compiti specifici se non dichiarare il perturbante segreto, dire apertamente le mie paure, ma non mi è mai riuscito, proprio non mi viene neanche in mente. A essere sincera, con tutto quel rimuginio, non riesco neanche a mettere a fuoco le mie paure, entro come in una sorta di trance (non so come spiegarlo) in cui non sono per nulla consapevole dei miei pensieri.

Forse dovrei semplicemente intensificare queste tecniche ancora di più e, nel caso non bastasse, valutare l'idea dei farmaci, anche se avrei preferito di no.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
La resistenza è di solito intensa nel caso delle ossessioni, perché la persona, come rileva anche lei, si trova presa in una specie di trance. L'ossessivo è fortemente convinto di dover dare valore a tutto ciò che pensa e sente. Anche quando si tratta di sensazioni o pensieri stupidi, che gli si ritorcono contro. Ma non tutto ciò che pensiamo o sentiamo ha un reale valore...

Dal punto di vista psicologico l'ossessività si può definire come una forma di egocentrismo porttata all'estremo. Non conta più il confronto con l'esterno, ma solo quello della mente con se stessa.

L'ossessivo è una persona di base ansiosa, che ha trovato nel rituale ripetitivo un modo per rassicurarsi. Tutto ciò che è ripetitivo rassicura.

Ho l'impressione che la sua terapia non stia avendo successo perché lei rifiuta, inconsapevolmente, l'idea di poter diventare davvero libera dalle ossessioni. Ha un certo timore di disfarsene. E di conseguenza non mette in atto le prescrizioni in modo dovuto.

Perciò se è poco motivata, è possibile che una terapia farmacologica potrebbe esserle d'aiuto. Bisognerebbe però vedere con quanta regolarità riuscirebbe a fare anche quella...

Ad esempio, nel caso del bloccare le risposte, la prescrizione non va eseguita in modo ritualizzato (ossessivo), dedicandogli del tempo specifico ("via, oggi faccio la prescrizione") mettendosi distesi e spostando l'attenzione sul respiro. Va eseguita *sempre*. Sta guidando in macchina, le viene una domanda ossessiva e lei si rifiuta di rispondere. Sta preparando gli spaghetti, lo stesso. Si sta lavando i denti e fa la prescrizione.

Può essere necessario un certo tempo prima che inizi a fare effetto. Anche mesi. Ma con le ossessioni occorre persistenza. Occorre essere più ossessivi di loro, cioè ritorcere l'ossessività contro se stessa.

Altro esempio: scrivere domande e risposte. Non è un compito da fare per sfogo. È un compito da fare fino all'esaurimento, cioè deve diventare un supplizio. Non a caso questo tipo di compiti, come anche il precedente, prendono il nome di "ordalie". Lei deve insegnare al suo cervello che se si mette a fare domande stupide, starà peggio di prima, non meglio. Invece lei ora ricava un senso morboso e viziato di rassicurazione dall'indugiare nelle sue rimuginazioni.

Quanto al dichiarare il perturbante segreto, se non lo fa, come può pensare di migliorare?
[#5]
Attivo dal 2015 al 2015
Ex utente
"Ad esempio, nel caso del bloccare le risposte, la prescrizione non va eseguita in modo ritualizzato (ossessivo), dedicandogli del tempo specifico ("via, oggi faccio la prescrizione") mettendosi distesi e spostando l'attenzione sul respiro."

Questo lo faccio quando sono completamente satura di pensieri. E' l'unico modo che conosco che mi fa ritornare consapevole. E' sbagliato farla (anche) così? Non capisco perché dovrebbe essere una modalità ossessiva..

"Va eseguita *sempre*. Sta guidando in macchina, le viene una domanda ossessiva e lei si rifiuta di rispondere. Sta preparando gli spaghetti, lo stesso. Si sta lavando i denti e fa la prescrizione. "

Non mi sono spiegata bene. Questo sto tentando di farlo, sempre. E' una lotta continua. Mi dico "Ora basta" ma il secondo dopo la rimuginazione è già partita. E allora di nuovo basta. Ma poi riparte. E così via.
Il tutto è complicato da quello stato di trance dove mi rendo conto a fatica che sto rimuginando.
Lo immagino che ci voglia del tempo, ma non sono io ad aver parlato di farmaci...

"Perciò se è poco motivata, è possibile che una terapia farmacologica potrebbe esserle d'aiuto. Bisognerebbe però vedere con quanta regolarità riuscirebbe a fare anche quella..."

Non capisco perché debba insinuare che non riesca a seguire con regolarità una terapia farmacologica. Cosa glielo fa pensare, mi scusi?
Il fatto di dirmi che sono poco motivata in realtà lo trovo ingiusto. I problemi che ho sono diversi, moltissimo impegno lo metto nello studio. E' chiaro che la rimuginazione non dura solo la durata dello studio ma tutta la giornata quindi seguirla per 15-16 ore al giorno più diventare complesso e a volte può mi può sfuggire di mano, soprattutto quando gli stimoli esterni sono tanti. Ma si può migliorare e vorrei farlo.

"Invece lei ora ricava un senso morboso e viziato di rassicurazione dall'indugiare nelle sue rimuginazioni."

Da dove lo deduce questo? A dire il vero molte volte trovo stancante scrivere, non ne ricavo piacere.
Quando studio scrivere mi serve per mettere a fuoco le mie paure (che altrimenti rimangono inconsapevoli) e anche per ristrutturare le mie convinzioni, non è un crogiolarmi. Se ad esempio scrivo "ho paura di non farcela" poi subito dopo tento di farmi capire che non è vero, cerco di trovare un modo per farcela, ecc.

"Quanto al dichiarare il perturbante segreto, se non lo fa, come può pensare di migliorare?"

E' una domanda retorica?

Comunque ho capito, devo intensificare i compiti ancora di più e tenere il punto. Va bene. Grazie dei chiarimenti.