Infelicità
Gent.mi Dottori,
chi meglio di voi conosce la natura e le dinamiche della mente umana, pertanto vorrei portarvi all’attenzione una questione:
ho 23 anni e mi sento profondamente infelice. La mia infelicità non è dovuta a un evento in particolare, ma semplicemente deriva dalla mia esistenza. Conduco una vita troppo ordinaria, molto pacata, priva di qualsiasi soddisfazione ed emozione (anche la più semplice o frivola). E’ tutto molto lineare, senza particolari problemi, molto poco eccitante e questo sta avendo conseguenze anche sulla mia persona. Infatti mi sento molto apatico, poco solare, in una parola infelice.
Dal punto di vista materiale posso dire che non mi manca niente, ho sempre avuto quasi tutto (nei limiti del possibile) e non ho mai attraversato periodi di particolare difficoltà (ad esempio problemi economici o perdite fra le persone care) ma se dovessi dare una valutazione della mai vita fino ad ora sarebbe zero. Mi rendo conto che tante persone se dovessero leggere questo messaggio subito penserebbero che sono un viziato che non si accontenta dei privilegi che ha avuto, ma sono abbastanza sicuro che la felicità non si misura in quello che effettivamente uno ha, ma essendo (la felicità) uno stato emozionale, per poterla quantificare sono necessarie delle emozioni positive (che non ho).
La cosa sulla quale mi interrogo di più su tutto questo è il fatto che non saprei stabilire a quanto tempo addietro risale quest’infelicità oppure se l’essere così “infelice” è una caratteristica del mio carattere, ma persone che mi sono particolarmente vicine, mi descrivevano da bambino come una persona particolarmente vivace e allegra quindi escluderei che si tratti di una caratteristica intrinseca del mio modo di essere (a tali persone non ho manifestato il mio reale stato d’amico, ma ho chieste queste cose in maniera indiretta). Questo mi porta ad un nodo che considero centrale nel discorso, ovvero il fatto che sembra che la mia condotta di vita non rifletta in realtà la mia personalità, cioè sembra quasi che mi trovo a vivere in una situazione (emotivamente parlando) che non mi appartiene. Mi spiego meglio: profondamente sento di essere ben diverso da come appaio, credo di essere molto dinamico, molto più loquace e “attivo” di quanto in realtà poi sono; è come se ci fosse una disfunzione tra il mio modo di essere e di apparire (ovvero sento di essere una persona molto libera da regole preconcetti ma appaio e gli altri mi vedono come una persona molto inquadrata etc). Questa sorta di contrasto tra il mio modo di essere è spesso percepito anche dalle altre persone: capita spessissimo infatti che tanti, convinti del fatto che io sia sempre una persona estremamente controllata e pacata, vedendomi fare qualcosa di leggermente sopra le righe mi dicano "non immaginavo fossi un tipo così.......". Inutile dire che questa frase mi infastidisce parecchio, perché in realtà è in quei rari momenti in cui faccio venire fuori la mia vera personalità che mi sento veramente Io, non in tutti gli altri momenti in cui appaio come il classico "perfettino" (per usare un'espressione da scuola elementare); trovo questo fatto quasi un invalidità rispetto al modo con cui vivo i rapporti con gli altri, in quanto mi trovo spesso a essere inquadrato in uno schema, in una tipologia di persona che non mi appartiene.
Da circa 6-8 anni attraverso l'immaginazione mi sono costruito una sorta di esistenza parallela che ormai, me ne rendo conto, mi tiene occupato qualche ora al giorno. In questa realtà il mio personaggio diciamo che è sostanzialmente identico a me (stessi pensieri, stessi gusti, stesso modo di ragionare, stessi hobby), ma a differenza del mio "Io reale" è un c.d. "bad boy", quindi tante donne, una vita sregolata ed eccitante (sempre entro un limite di legalità, diciamo che potrebbe essere inquadrabile nella categoria dei tipici ragazzi di buona famiglia "ribelli" (spero di aver reso l'dea)). Dico che è sostanzialmente identico a me, perchè anche io ragiono in quel modo, quindi mi sento "un ribelle", ma nella vita quotidiana metto quasi da parte questa parte di me in favore di una persona dalla vita estremamente ordinaria, noiosa e per niente eccitante (studio, qualche ordinaria uscita con gli amici etc).
Dalla letteratura e dal cinema ho imparato che purtroppo la creazione di un alter ego, di fantasie di questo genere, oltre che essere sintomo di un malcontento ha la “funzione” di dare una scossa all’esistenza, per cercare di “far vivere" almeno nella fantasia la persona che profondamente ci si sente di essere.
La mia domanda allora è questa: come è possibile che mentalmente ci si senta diversi, poi nel realizzare gli imput che vengono dal cervello, sembra quasi le volontà reale venga messa da parte? E’ semplicemente vergogna nell’esternare il proprio modo di essere o c’è dell’altro? Questo è un problema che ultimamente vivo abbastanza male, sul quale non vedo una facile soluzione, in quanto quasi non saprei se io stesso sono quello che in realtà penso (quindi la mia volontà interna) oppure quello che in realtà manifesto all’esterno? Poi ancora è normale poi aver dato alla luce un’altra realtà di fantasia dove far vivere i propri desideri e che questa duri da così tanto tempo?
Spero di essere stato chiaro e attendo una vostra gentile risposta
cordiali saluti
chi meglio di voi conosce la natura e le dinamiche della mente umana, pertanto vorrei portarvi all’attenzione una questione:
ho 23 anni e mi sento profondamente infelice. La mia infelicità non è dovuta a un evento in particolare, ma semplicemente deriva dalla mia esistenza. Conduco una vita troppo ordinaria, molto pacata, priva di qualsiasi soddisfazione ed emozione (anche la più semplice o frivola). E’ tutto molto lineare, senza particolari problemi, molto poco eccitante e questo sta avendo conseguenze anche sulla mia persona. Infatti mi sento molto apatico, poco solare, in una parola infelice.
Dal punto di vista materiale posso dire che non mi manca niente, ho sempre avuto quasi tutto (nei limiti del possibile) e non ho mai attraversato periodi di particolare difficoltà (ad esempio problemi economici o perdite fra le persone care) ma se dovessi dare una valutazione della mai vita fino ad ora sarebbe zero. Mi rendo conto che tante persone se dovessero leggere questo messaggio subito penserebbero che sono un viziato che non si accontenta dei privilegi che ha avuto, ma sono abbastanza sicuro che la felicità non si misura in quello che effettivamente uno ha, ma essendo (la felicità) uno stato emozionale, per poterla quantificare sono necessarie delle emozioni positive (che non ho).
La cosa sulla quale mi interrogo di più su tutto questo è il fatto che non saprei stabilire a quanto tempo addietro risale quest’infelicità oppure se l’essere così “infelice” è una caratteristica del mio carattere, ma persone che mi sono particolarmente vicine, mi descrivevano da bambino come una persona particolarmente vivace e allegra quindi escluderei che si tratti di una caratteristica intrinseca del mio modo di essere (a tali persone non ho manifestato il mio reale stato d’amico, ma ho chieste queste cose in maniera indiretta). Questo mi porta ad un nodo che considero centrale nel discorso, ovvero il fatto che sembra che la mia condotta di vita non rifletta in realtà la mia personalità, cioè sembra quasi che mi trovo a vivere in una situazione (emotivamente parlando) che non mi appartiene. Mi spiego meglio: profondamente sento di essere ben diverso da come appaio, credo di essere molto dinamico, molto più loquace e “attivo” di quanto in realtà poi sono; è come se ci fosse una disfunzione tra il mio modo di essere e di apparire (ovvero sento di essere una persona molto libera da regole preconcetti ma appaio e gli altri mi vedono come una persona molto inquadrata etc). Questa sorta di contrasto tra il mio modo di essere è spesso percepito anche dalle altre persone: capita spessissimo infatti che tanti, convinti del fatto che io sia sempre una persona estremamente controllata e pacata, vedendomi fare qualcosa di leggermente sopra le righe mi dicano "non immaginavo fossi un tipo così.......". Inutile dire che questa frase mi infastidisce parecchio, perché in realtà è in quei rari momenti in cui faccio venire fuori la mia vera personalità che mi sento veramente Io, non in tutti gli altri momenti in cui appaio come il classico "perfettino" (per usare un'espressione da scuola elementare); trovo questo fatto quasi un invalidità rispetto al modo con cui vivo i rapporti con gli altri, in quanto mi trovo spesso a essere inquadrato in uno schema, in una tipologia di persona che non mi appartiene.
Da circa 6-8 anni attraverso l'immaginazione mi sono costruito una sorta di esistenza parallela che ormai, me ne rendo conto, mi tiene occupato qualche ora al giorno. In questa realtà il mio personaggio diciamo che è sostanzialmente identico a me (stessi pensieri, stessi gusti, stesso modo di ragionare, stessi hobby), ma a differenza del mio "Io reale" è un c.d. "bad boy", quindi tante donne, una vita sregolata ed eccitante (sempre entro un limite di legalità, diciamo che potrebbe essere inquadrabile nella categoria dei tipici ragazzi di buona famiglia "ribelli" (spero di aver reso l'dea)). Dico che è sostanzialmente identico a me, perchè anche io ragiono in quel modo, quindi mi sento "un ribelle", ma nella vita quotidiana metto quasi da parte questa parte di me in favore di una persona dalla vita estremamente ordinaria, noiosa e per niente eccitante (studio, qualche ordinaria uscita con gli amici etc).
Dalla letteratura e dal cinema ho imparato che purtroppo la creazione di un alter ego, di fantasie di questo genere, oltre che essere sintomo di un malcontento ha la “funzione” di dare una scossa all’esistenza, per cercare di “far vivere" almeno nella fantasia la persona che profondamente ci si sente di essere.
La mia domanda allora è questa: come è possibile che mentalmente ci si senta diversi, poi nel realizzare gli imput che vengono dal cervello, sembra quasi le volontà reale venga messa da parte? E’ semplicemente vergogna nell’esternare il proprio modo di essere o c’è dell’altro? Questo è un problema che ultimamente vivo abbastanza male, sul quale non vedo una facile soluzione, in quanto quasi non saprei se io stesso sono quello che in realtà penso (quindi la mia volontà interna) oppure quello che in realtà manifesto all’esterno? Poi ancora è normale poi aver dato alla luce un’altra realtà di fantasia dove far vivere i propri desideri e che questa duri da così tanto tempo?
Spero di essere stato chiaro e attendo una vostra gentile risposta
cordiali saluti
[#1]
Gentile utente, mi domando che educazione abbia ricevuto, molto normativa, con regole troppo rigide, e che genitori ha avuto ,forse chiusi, un pò esigenti. Sembra che lei non osi esprimere una personalità con manifestazioni simpatiche e condivisibili.. come se avesse .. paura.. del giudizio degli altri , di sbagliare. prenda contatto con uno psicoterapeuta per essere aiutato a trovare i suoi spazi, senza costringersi in una gabbia di doveri, di .. un falso sè.. che la fa soffrire.
Ma lo faccia subito , non perda altri giorni di giovinezza..
Cosa ne pensa ?
Ma lo faccia subito , non perda altri giorni di giovinezza..
Cosa ne pensa ?
MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it
[#2]
Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo
Caro ragazzo,
la sua crisi "esistenziale" fa riflettere sulla natura dell'essere umano... questa natura che permette di realizzare le proprie potenzialità.
Autocomprensione, autorealizzazione...
Mi sovviene l'immagine delle "emozioni dell'albero": come mi vedono gli altri; i miei genitori dicono di me; come mi vedo io...
A volte ci troviamo ad "essere", perché non possiamo "essere"!
Ora i suoi bisogni (le spinte che determinano il nostro comportamento) la stanno facendo da padrone.
Si ascolti e accolga questa necessità tra un io reale ed un io ideale.
Un confronto con un professionista la puoi aiutare in queste riflessioni... Può rivolgersi ad un centro pubblico della sua città e provare, così, a prendersi un po' cura di se' ...
Un caro saluto.
la sua crisi "esistenziale" fa riflettere sulla natura dell'essere umano... questa natura che permette di realizzare le proprie potenzialità.
Autocomprensione, autorealizzazione...
Mi sovviene l'immagine delle "emozioni dell'albero": come mi vedono gli altri; i miei genitori dicono di me; come mi vedo io...
A volte ci troviamo ad "essere", perché non possiamo "essere"!
Ora i suoi bisogni (le spinte che determinano il nostro comportamento) la stanno facendo da padrone.
Si ascolti e accolga questa necessità tra un io reale ed un io ideale.
Un confronto con un professionista la puoi aiutare in queste riflessioni... Può rivolgersi ad un centro pubblico della sua città e provare, così, a prendersi un po' cura di se' ...
Un caro saluto.
[#3]
Utente
Gent.ma Dr. MAGDA MUSCARA FREGONESE,
la cosa assurda è che sono cresciuto con genitori giovani e assolutamente aperti su tutto. Più che un educazione normativa ho ricevuto un'educazione senza regole, nel senso che sono stato cresciuto libero da ogni precetto morale e cose di questo genere (per questo sono molto grato ai miei) e libero anche nelle mie attività (quando ero adolescente non ho mai avuto orari o divieti particolari ad esempio, come invece facevano i genitori dei miei amici). Questo credo che mi abbia reso responsabile (secondo me) fin da subito delle mie azioni, ad esempio nonostante non avevo orari particolari per rientrare il sabato sera, non mi sono mai sognato di rientrare a casa alle 6 del mattino a 15 anni (ho sempre avuto tanta libertà quindi non mi sono mai approfittato di queste cose), oppure non ho mai subito la tiritera assillante e inutile che tanti genitori fanno ai figli adolescenti "non usare droghe", "non fumare" etc ma non per questo sono diventato uno che di sabato sera beve o fa altre cose così (al contrario di molti altri che sono stati assillati con queste lagne e ora di sabato sera sono perennemente "fuori"), o ancora non mi sono mai dovuto sorbire sul profitto a scuola (se c'era da studiare lo facevo senza che mi "rompessero" i miei e tutt'ora i miei studi all'università procedono spediti senza particolari pressioni.)...posso farne a centinaia di esempi del genere.
Il fatto di non avere regole però (nonostante i vantaggi suddetti), mi ha reso totalmente incapace e restio a rispettare qualsiasi regola che non abbia una ragione giustificatrice oggettiva: ad esempio il classico comando imposto nel modo "fai in questo modo perchè io ti dico di fare così" in me non ha mai avuto successo, e poco mi importa se a darmi questo comando sia un mio "superiore" (anche questo però lo considero come un tratto del mio carattere che non cambierei).
Il mio problema comunque non sta tanto nelle regole di comportamento (in questo campo non credi di avere problemi), quanto nell'esprimere la personalità (lei ha detto bene) e questo include anche una sorta di menomazione nel campo dei sentimenti (nell'esternarli). Più di una volta purtroppo sono stato "accusato" di essere distaccato e freddo quando erano in ballo i sentimenti (questa constatazione da parte mia e quindi la presa di coscienza di questo fatto è in realtà abbastanza recente ed è dovuta ad una confidenza con un'amica su una mia precedente relazione sentimentale).
Comunque la sua citazione "non perda altri giorni di giovinezza" mi fa ulteriormente riflettere sulla gravità di questo problema.
Gent.ma Dr.ssa Antonietta Albano,
purtroppo prendo atto solo ora delle "spinte", dei miei bisogni che spingono per far uscire il mio vero essere, e mi rendo conto che forse avrei dovuto accorgermi di queste necessita ben tanto tempo prima; comunque non credo che il mio atteggiamento sia dovuto alla paura di un giudizio cattivo da parte degli altri, ma allo stesso tempo non saprei individuare la causa di cio.
Ad ogni modo vi ringrazio per le tempestive risposte
cordilità
la cosa assurda è che sono cresciuto con genitori giovani e assolutamente aperti su tutto. Più che un educazione normativa ho ricevuto un'educazione senza regole, nel senso che sono stato cresciuto libero da ogni precetto morale e cose di questo genere (per questo sono molto grato ai miei) e libero anche nelle mie attività (quando ero adolescente non ho mai avuto orari o divieti particolari ad esempio, come invece facevano i genitori dei miei amici). Questo credo che mi abbia reso responsabile (secondo me) fin da subito delle mie azioni, ad esempio nonostante non avevo orari particolari per rientrare il sabato sera, non mi sono mai sognato di rientrare a casa alle 6 del mattino a 15 anni (ho sempre avuto tanta libertà quindi non mi sono mai approfittato di queste cose), oppure non ho mai subito la tiritera assillante e inutile che tanti genitori fanno ai figli adolescenti "non usare droghe", "non fumare" etc ma non per questo sono diventato uno che di sabato sera beve o fa altre cose così (al contrario di molti altri che sono stati assillati con queste lagne e ora di sabato sera sono perennemente "fuori"), o ancora non mi sono mai dovuto sorbire sul profitto a scuola (se c'era da studiare lo facevo senza che mi "rompessero" i miei e tutt'ora i miei studi all'università procedono spediti senza particolari pressioni.)...posso farne a centinaia di esempi del genere.
Il fatto di non avere regole però (nonostante i vantaggi suddetti), mi ha reso totalmente incapace e restio a rispettare qualsiasi regola che non abbia una ragione giustificatrice oggettiva: ad esempio il classico comando imposto nel modo "fai in questo modo perchè io ti dico di fare così" in me non ha mai avuto successo, e poco mi importa se a darmi questo comando sia un mio "superiore" (anche questo però lo considero come un tratto del mio carattere che non cambierei).
Il mio problema comunque non sta tanto nelle regole di comportamento (in questo campo non credi di avere problemi), quanto nell'esprimere la personalità (lei ha detto bene) e questo include anche una sorta di menomazione nel campo dei sentimenti (nell'esternarli). Più di una volta purtroppo sono stato "accusato" di essere distaccato e freddo quando erano in ballo i sentimenti (questa constatazione da parte mia e quindi la presa di coscienza di questo fatto è in realtà abbastanza recente ed è dovuta ad una confidenza con un'amica su una mia precedente relazione sentimentale).
Comunque la sua citazione "non perda altri giorni di giovinezza" mi fa ulteriormente riflettere sulla gravità di questo problema.
Gent.ma Dr.ssa Antonietta Albano,
purtroppo prendo atto solo ora delle "spinte", dei miei bisogni che spingono per far uscire il mio vero essere, e mi rendo conto che forse avrei dovuto accorgermi di queste necessita ben tanto tempo prima; comunque non credo che il mio atteggiamento sia dovuto alla paura di un giudizio cattivo da parte degli altri, ma allo stesso tempo non saprei individuare la causa di cio.
Ad ogni modo vi ringrazio per le tempestive risposte
cordilità
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 4.5k visite dal 09/11/2014.
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