Lapsus, rapporto padre-figlio
Salve, Vi scrivo perché vorrei un parere circa un lapsus in cui mio padre incappa con discreta frequenza. In breve confonde il mio nome con quello di mio zio. Vorrei puntualizzare che tra i due nomi non c'è alcuna somiglianza fonetica o letterale. Questo ripetuto lapsus, al quale inizialmente non davo molta importanza, mi fa soffrire non poco in quanto mio padre considera questo mio zio uno stupido, per usare un enorme eufemismo e per non ripetere certe volgarità. Ho provato a far presente questo fatto sia agli altri componenti della famiglia, sia a mio padre stesso, ma hanno tutti minimizzato la questione. Ho deciso di scrivervi perché l'ultimo lapsus ha quasi scatenato una reazione violenta e ovviamente sproporzionata da parte mia che ho trattenuto con difficoltà.
Il lapsus va avanti da alcuni anni, meglio, da quando il mio rendimento universitario non si è attestato sui livelli del mio ottimo rendimento scolastico causando una mal celata delusione e preoccupazione nei miei genitori. Penso che il riferimento all'università sia necessario visto che era uno dei miei pochi "punti di forza" che si è sgretolato nel tempo, cosa che ha spiazzato soprattutto mio padre che mi vedeva proiettato verso una brillante carriera (addirittura da magistrato).
Alcune precisazioni: mio padre è un libero professionista, diplomato, dotato di una buona intelligenza, molto preciso, onesto e apprezzato sul lavoro. Spende quasi tutto il suo tempo libero guardando la televisione (ma vede solo calcio, film comici e programmi di cucina) al massimo va in Chiesa, su iniziativa di mia madre. In casa ha un atteggiamento che vorrebbe essere autoritario ma si traduce alla fine in aggressioni verbali che lasciano il tempo che trovano. Con i miei fratelli il rapporto è stato spesso conflittuale, io invece non ho mai avuto problemi, fino all'università per via delle difficoltà di cui sopra.
Vi ringrazio per la vostra gentile disponibilità.
Il lapsus va avanti da alcuni anni, meglio, da quando il mio rendimento universitario non si è attestato sui livelli del mio ottimo rendimento scolastico causando una mal celata delusione e preoccupazione nei miei genitori. Penso che il riferimento all'università sia necessario visto che era uno dei miei pochi "punti di forza" che si è sgretolato nel tempo, cosa che ha spiazzato soprattutto mio padre che mi vedeva proiettato verso una brillante carriera (addirittura da magistrato).
Alcune precisazioni: mio padre è un libero professionista, diplomato, dotato di una buona intelligenza, molto preciso, onesto e apprezzato sul lavoro. Spende quasi tutto il suo tempo libero guardando la televisione (ma vede solo calcio, film comici e programmi di cucina) al massimo va in Chiesa, su iniziativa di mia madre. In casa ha un atteggiamento che vorrebbe essere autoritario ma si traduce alla fine in aggressioni verbali che lasciano il tempo che trovano. Con i miei fratelli il rapporto è stato spesso conflittuale, io invece non ho mai avuto problemi, fino all'università per via delle difficoltà di cui sopra.
Vi ringrazio per la vostra gentile disponibilità.
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Pensa che dietro al lapsus di suo padre ci sia un'inconsapevole associazione tra il suo rendimento universitario e lo zio che non gode di buona reputazione?
Questa sembra in realtà una sua associazione, un po' come se lei avesse il timore di assomigliare allo zio "stupido".
Forse sta dando troppo peso a questi eventi. Credo invece che sia importante fare una riflessione quando dice: "il riferimento all'università sia necessario visto che era uno dei miei pochi "punti di forza" che si è sgretolato nel tempo".
Questo significa che la sua autostima si regge principalmente sulla resa universitaria?
Questa sembra in realtà una sua associazione, un po' come se lei avesse il timore di assomigliare allo zio "stupido".
Forse sta dando troppo peso a questi eventi. Credo invece che sia importante fare una riflessione quando dice: "il riferimento all'università sia necessario visto che era uno dei miei pochi "punti di forza" che si è sgretolato nel tempo".
Questo significa che la sua autostima si regge principalmente sulla resa universitaria?
Dott. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica
www.psicologoaviterbo.it
[#2]
Utente
La ringrazio per la risposta.
No, non collego esclusivamente il lapsus allo scarso rendimento. Cerco di spiegarmi: non sono considerato un tipo "sveglio", posso risultare piuttosto imbranato e incapace e questo succede sia in famiglia che nei rapporti sociali. E non metto in dubbio che per certi aspetti lo sono; tuttavia ho avuto opportunità di esprimere anche il lato migliore di me, insomma non mi ritengo "da buttare" a prescindere dalla resa universitaria. Il punto è che riuscire negli studi era un'ipoteca di rispetto soprattutto in famiglia e ancor di più per mio padre.
Veda, con mio padre ho un non-rapporto, comunichiamo pochissimo, si parla solo di università, di calcio, un po' di politica ed è comunque difficile instaurare un dialogo positivo persino su questi argomenti. Di me non sa quasi nulla al di fuori appunto del mio rendimento universitario, del mio modulo preferito e del partito per cui voto, nonostante i ripetuti sforzi per cercare di instaurare un dialogo un po' più profondo. Non è molto empatico, i problemi di un ragazzo non lo appassionano ma, sono sincero, non gliene faccio una colpa dal momento che ha avuto una vita difficile (ha perso il padre a 15 anni) costruita su poche ma sicure convinzioni che gli hanno permesso di realizzare con le sue sole forze l'obiettivo di avere una famiglia una casa e un lavoro sicuro. Insomma se mio padre aveva un giudizio positivo su di me questo era basato senza dubbio sul mio buon rendimento scolastico, garanzia di un futuro di sicura felicità per me e quindi per lui. Venuta meno questa certezza, ovviamente sorgono tutte le preoccupazioni legate al mio futuro (fondate visto che ho 27 anni, non ho una relazione, pochi amici e non so far nulla oltre che studiare, anzi nemmeno quello visti i risultati). Insomma la mia autostima non passa solo per il libretto universitario ma temo che la stima di mio padre dipenda molto da quello e senza quel rendimento per lui forse sono solo un inetto, come mio zio. Non ne parliamo quando esce fuori che il "figlio di uno si è laureato" o "lavora" o "studia a Cambridge" ecc. Cala il gelo in casa. Sto cercando di impegnarmi al massimo, intervenendo sul metodo di studio e cercando maggiore contatto con i docenti, tuttavia non penso che tornerò mai più ai livelli di un tempo. Chiedo scusa per la lunghezza e vi ringrazio ancora per la vostra cortese disponibilità.
No, non collego esclusivamente il lapsus allo scarso rendimento. Cerco di spiegarmi: non sono considerato un tipo "sveglio", posso risultare piuttosto imbranato e incapace e questo succede sia in famiglia che nei rapporti sociali. E non metto in dubbio che per certi aspetti lo sono; tuttavia ho avuto opportunità di esprimere anche il lato migliore di me, insomma non mi ritengo "da buttare" a prescindere dalla resa universitaria. Il punto è che riuscire negli studi era un'ipoteca di rispetto soprattutto in famiglia e ancor di più per mio padre.
Veda, con mio padre ho un non-rapporto, comunichiamo pochissimo, si parla solo di università, di calcio, un po' di politica ed è comunque difficile instaurare un dialogo positivo persino su questi argomenti. Di me non sa quasi nulla al di fuori appunto del mio rendimento universitario, del mio modulo preferito e del partito per cui voto, nonostante i ripetuti sforzi per cercare di instaurare un dialogo un po' più profondo. Non è molto empatico, i problemi di un ragazzo non lo appassionano ma, sono sincero, non gliene faccio una colpa dal momento che ha avuto una vita difficile (ha perso il padre a 15 anni) costruita su poche ma sicure convinzioni che gli hanno permesso di realizzare con le sue sole forze l'obiettivo di avere una famiglia una casa e un lavoro sicuro. Insomma se mio padre aveva un giudizio positivo su di me questo era basato senza dubbio sul mio buon rendimento scolastico, garanzia di un futuro di sicura felicità per me e quindi per lui. Venuta meno questa certezza, ovviamente sorgono tutte le preoccupazioni legate al mio futuro (fondate visto che ho 27 anni, non ho una relazione, pochi amici e non so far nulla oltre che studiare, anzi nemmeno quello visti i risultati). Insomma la mia autostima non passa solo per il libretto universitario ma temo che la stima di mio padre dipenda molto da quello e senza quel rendimento per lui forse sono solo un inetto, come mio zio. Non ne parliamo quando esce fuori che il "figlio di uno si è laureato" o "lavora" o "studia a Cambridge" ecc. Cala il gelo in casa. Sto cercando di impegnarmi al massimo, intervenendo sul metodo di studio e cercando maggiore contatto con i docenti, tuttavia non penso che tornerò mai più ai livelli di un tempo. Chiedo scusa per la lunghezza e vi ringrazio ancora per la vostra cortese disponibilità.
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 1.9k visite dal 21/10/2014.
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