Borderline e vita normale

Buongiorno, per uno stato depressivo sono stata in terapia psicologica per nove anni, l'ultimo anno ho anche seguito una terapia di gruppo, e la mia dottoressa, su mia richiesta, ha detto che il mio disturbo era "borderline". Non seguo più nessuna terapia da sette anni, che ho interrotto di mia volontà per veri problemi contingenti. Leggendo buona parte dei vostri articoli, mi sono riconosciuta nel tipo "borderline" autistico, cioè che evita, se possibile, di avere contatti e comunque ho difficoltà di vita sociale pur essendo una persona tutto sommato mite. E' che mi sento sempre fuori posto, diversa, che non è adeguata alle dinamiche del gruppo, pur godendo di stima dal punto di vista professionale e personale, cioè mi sento più a mio agio nei rapporti a due che non in gruppo. La mia principale difficoltà, oltre a questa, è l'ipersensibilità. Ogni contrasto, difficoltà, reazione negativa dell'altro mi causa sofferenze che sopporto a fatica, con picchi di ansia che riesco a non sfogare su nessuno, se non su di me: infatti soffro di disturbi nell'alimentazione, ingerendo una gran quantità di cibo, in poco tempo, senza poi ricordare bene cosa io abbia ingurgitato. Sono consapevole che non interpreto bene il segnale dell'altro; sono consapevole di esagerare le reazioni, che sono proporzionate alla mia sofferenza ma non al fatto in sé; sono consapevole di avere difficoltà di mettermi in contatto con i miei reali desideri. Alla luce di questa mia consapevolezza, qual è la strada che posso seguire, il lavoro da fare su me stessa, per riuscire ad interpretare bene i segnali e a mettermi in ascolto dei miei reali bisogni? Ho tre figli: due hanno disturbi di personalità, come anche il loro padre, la terza, di padre diverso e di soli sei anni, sembra ancora "normale". Il disturbo di personalità borderline è ereditario o legato a educazione ricevuta (anche i miei genitori e i miei fratelli sono personalità con sofferenze psicologiche)? Ammettendo che i miei due figli abbiano bisogno di seguire almeno una terapia psicologica, la terza figlia ha possibilità di crescere senza questi disturbi?
Ringrazio chi vorrà rispondere alle mie domande.
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Dr. Massimiliano Iacucci Psicologo, Psicoterapeuta 146 4
Secondo la Linehan i pazienti borderline sono individui emotivamente vulnerabili e incapaci di controllo sulla propria sfera emotiva. Secondo l'autrice, una delle massime esponenti in materia, questi due disturbi derivano da una predisposizione biologica esacerbata da specifiche circostanze ambientali ed esperienze di vita sfavorevoli. Quindi una predisposizione di base, biologica, sembra esserci, e viene "attivata" da un ambiente sfavorevole.
Non so come mai ha interrotto il suo percorso terapeutico, ma quella è la strada che può seguire.
Per quanto riguarda sua figlia che sembra non avere nessun disturbo di personalità, è possibile che non manifesti queste problematiche se però l'ambiente di vita che frequenta non è per lei invalidante. E molto importante quindi signora che lei impari a riconoscere e a validare le espressioni emotive della bambina, in modo che la stessa impari a riconoscere i propri stati interni, comprese le proprie emozioni e a verbalizzarli secondo le modalità stabilite e riconosciute nel suo ambiente sociale ed impari a modulare le sue risposte emotive.
Lei è un modello importante per sua figlia.
Un caro saluto

Dr. Massimiliano Iacucci - Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
https://www.ordinepsicologilazio.it/albo/massimilianoiacucci/

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Utente
Utente

La ringrazio della risposta.
Per quanto riguarda la piccola, cerco di essere attenta e soprattutto ad aiutarla ad esprimere verbalmente i suoi stati d'animo; il mio rapporto con lei è sicuramente meno sofferente e più sereno rispetto ai suoi fratelli più grandi, ed è stato raro che io abbia espresso nel mio rapporto con lei il mio stato di sofferenza, non ascoltando o reagendo spropositatamente ai normali piccoli conflitti, credo solo una volta. Invece con i fratelli purtroppo, questi episodi sono stati frequenti e sicuramente io non sono stata in grado di ascoltare i loro reali bisogni. Ora che sono grandi (23 e 16 anni) ho cambiato atteggiamento ma i danni sono stati fatti. La sedicenne, in uno stato di sofferenza così simile ai miei, mi ha chiesto di andare in terapia e quindi credo che intraprenderemo questa strada. Il grande non ne vuole sapere, ma so che la presa di coscienza è l'unico modo per arrivare ad una convivenza vivibile con questo problema.
Per quanto riguarda la mia terapia, al momento sono nell'impossibilità di riprenderla. L'ho dovuta interrompere per la nascita della bambina, il nuovo compagno che è contrario e che tra l'altro non sa quanto mi appartenga la parola "borderline" e non so come reagirebbe, anche se conosce perfettamente le mie alterazioni delle realtà riguardo alle relazioni sociali e al mio mondo interno, e anche comprende l'entità delle mie sofferenze psicologiche, seppure spropositate agli eventi. Insomma, mi è vicino e d'aiuto, parliamo molto dei miei problemi anche se non sa che questo si chiama malattia mentale. Siccome mi è stata riconosciuta, dai professionisti di allora e da altri che mio malgrado ho dovuto frequentare per varie vicissitudini, una valida capacità di autoanalisi e una disponibilità a mettermi in discussione e a cercare di modificare i miei comportamenti; siccome tutto sommato riesco ad avere una vita sufficientemente soddisfacente che non invalida le mie scelte; siccome - come lei ha chiarito nella sua risposta - non si tratta prevalentemente di un problema fisico (vera e propria malattia mentale) quanto più un problema manifestato da situazioni ambientali avverse, è possibile per me, con il tempo e determinazione, lavorare su me stessa per modificare le mie dinamiche interne?
La ringrazio se vorrà rispondere ancora.
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Dr. Massimiliano Iacucci Psicologo, Psicoterapeuta 146 4
Onestamente non posso dare una risposta affermativa alla sua domanda. Sicuramente, da quello che racconta, lei ha fatto dei miglioramenti e ha capito molte cose del suo disturbo. Però per esperienza personale, per quanto si possa determinati, vogliosi e motivati, è molto difficile lavorare su se stessi per modificare il proprio funzionamento (il proprio modo di sentire, pensare ed agire).
Sicuramente lei è già avviata e si nota che ha lavorato molto su se stessa, ma le consiglio vivamente di rivolgersi ad un professionista specialista nel suo disturbo e di valutare con lui questa possibilità.
Sarebbe, inoltre, molto utile una psicoeducazione del suo disturbo al suo compagno in modo che possa comprenderla meglio e in modo che lei non si ritrovi di nuovo a vivere in un ambiente familiare di nuovo "invalidante".
Cordiali saluti
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Utente
Utente
Capisco. Dovrò trovare coraggio, non è una decisione semplice da prendere perché non riguarda solo me. Comincerò con mia figlia 16enne, ho già un professionista a cui rivolgermi, e poi dovrò decidermi anche per me.
Effettivamente, l'ambiente familiare "invalidante" sussiste, se non altro perché io non sono all'altezza di saper gestire una normale dinamica conflittuale anche se, mi creda, faccio ogni sforzo possibile per ridimensionarmi. Però succede che, a volte, io non sia consapevole al momento di quel che sta accadendo e soprattutto di cosa è meglio fare in quel momento, ecco, spesso sono "mancante". Speravo che questo mio rielaborare dopo, e quindi il riprendere il filo e mettere toppa, fosse sufficiente.
La ringrazio delle risposte, sono state chiare ed esaustive.
Cordiali saluti.
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