Crisi di pianto
Gentili dottori, ho 21 anni e da quando ne avevo 15 ho iniziato di mia sponte un percorso di psicoterapia individuale ad indirizzo sistemico-relazionale presso una struttura pubblica.
Mia madre è figlia di alcolizzato e passiva per antonomasia e non ha mai saputo tutelarmi da mio padre, che nel tentativo di aiutami, mi ha attaccato (e continua a farlo) per tutta la vita, dalle piccole cose nell'infanzia (fai pipì in piedi) fino alle grandi cose nell'età adulta (sei frocio, non hai un avvenire blablabla). Insomma la mia situazione famigliare è sempre stata molto complessa, da piccolo, da parte di mio padre ho ricevuto frequenti minacce di abbandono perché i miei non sono mai andati d'accordo e ci sono state enormi liti. (mio padre ha anche tradito mia madre perché "non scopava"). Padre che per giunta quando era giovane (classe 1945) si faceva fare pompini a pagamento.
Comunque sia adesso mi ritrovo iscritto a medicina in procinto di iniziare il terzo anno, ma con un esame del primo e praticamente quasi tutti quelli del secondo da fare. Sono rimasto indietro, bloccato sul primo esame che per ha rappresentato una difficoltà (anatomia, non so studiare a memoria). Ho la media del 28 e posso recuperare. Ho fatto un programma per gli esami fino a Febbraio 2016 e se lo rispetto mi posso anche laureare in corso. Ho una sessione di recupero a Dicembre. Insomma le possibilità di recuperare e mettersi in pari ci sono ed è normale avere delle defaillance ogni tanto e al confronto di persone che magari non sono entrati a medicina "alla prima botta" la defaillance si ridimensiona ancora. Sono del 93 e in regola e certo non dovrei né prestare attenzione al giudizio degli altri né tanto meno stimare me stesso in base al numero di esami che do. Almeno questo è quello che razionalmente so di dover fare. In pratica a settembre devo dare due esami (di cui uno già preparato a 3/4) e un esonero e devo ancora iniziare a studiare. Per studiare non sono andato in vacanza. Oltretutto sto vivendo il mio primo rapporto sentimentale con un ragazzo con tutte le ansie che ne derivano (non so affidarmi alle persone perché l'affetto e l'amore in casa li ho vissuti male, figuratevi che a volte non riesco nemmeno ad avere l'orgasmo). Il mio ragazzo per giunta è di un anno più piccolo di me, studia matematica, venendo da un linguistico, e affronta serenamente lo studio e le difficoltà, è in regola con gli esami e ha una media accettabile. Ha un buon rapporto con la famiglia ed è molto bello e io mi sento a volte inferiore a lui. Stiamo insieme da un paio di mesi, ma lui ha fatto molti viaggi all'estero con la famiglia e praticamente in 20 giorni siamo riusciti a vederci tre. E' distante e io gli voglio bene. Ovviamente con la psicoterapia siamo in pausa estiva e io ho sempre gestito bene le pause estive, senza crisi, problemi. Mi so reggere sulla mie gambe. Ma questa volta no. Ho costanti crisi di pianto più volte al giorno per l'uni, per lui e sono nervoso e agitato e sinceramente non me la sento di chiamare la mia psicologa (non la chiamo mai) per dirle non so nemmeno io cosa. E' normale stare tanto male? E' segno che le cose stanno cambiando in meglio? Io non lo so.
Penso al mio ragazzo e mi viene da piangere perché mi sento meno di lui, perché penso che mi lascerà essendo io un insieme di rimasugli laceri tenuti insieme con lo sputo e cinque anni di terapia, penso allo studio e mi viene l'ansia. Ieri sera gli ho parlato dei miei problemi con lo studio e gli ho detto che stavo malissimo per il fatto che ero rimasto indietro e lui mi ha detto che ormai è successo, non ci posso fare niente, mi metto a recuperare e studio. Che poi è quello che io dico sempre a me stesso, ma sentirlo da lui non so perché mi ha scosso, mi ha fatto sentire malissimo, sentito da lui che è così sano ed equilibrato ed in grado di gestire la sua vita.
La mia psicoterapeuta dice sempre che io ho enormi potenzialità, ma che le modalità genitoriali con el quali sono stato cresciuto mi impediscono l'accesso a queste potenzialità e che col tempo e la terapia devo distaccarmi emotivamente dei miei genitori che vogliono, inconsciamente, fa sì che io rimanga un fallito in modo da non emanciparmi nè economicamente né emotivamente e da rimanere ad aeternum a fare da cuscinetto all'interno della loro relazione fallimentare.
Io ho una paura fottuta, paura di non riuscire a laurearmi e l'università oltretutto assume un valore molto forte per me in quanto essa è il solo modo che ho per andarmene di casa (con lo stipendio da specializzando posso permettermi di vivere da solo) e sempre la mia psicologa sostiene che per questo motivo entro in conflitto, avendo paura di fallire nello studio così da dare ragione a mio padre.
Insomma perdonate la mia logorrea, ma sto vivendo un momento davvero drammatico e non capisco se il mio stare male, le mie crisi di pianto sono dovuti ad un cambiamento in atto o ad un peggiormente o a quell'orribile tendenza che ho di piangermi addosso e crogiolarmi in una polla di lacrime salse fatta di autocommiserazione e selfpunishment.
Perché in tutto questo io non credo di vivere come un 20enne dovrebbe vivere. Spesso non esco con gli amici per studiare e puntualmente non studio e ultimamente mi sono un po' isolato dagli altri perché vedere loro, che vanno avanti, mi fa sentire solo un idiota per il fatto che sto fermo sempre sullo stesso loop disfunzionale.
Che succede?
Mia madre è figlia di alcolizzato e passiva per antonomasia e non ha mai saputo tutelarmi da mio padre, che nel tentativo di aiutami, mi ha attaccato (e continua a farlo) per tutta la vita, dalle piccole cose nell'infanzia (fai pipì in piedi) fino alle grandi cose nell'età adulta (sei frocio, non hai un avvenire blablabla). Insomma la mia situazione famigliare è sempre stata molto complessa, da piccolo, da parte di mio padre ho ricevuto frequenti minacce di abbandono perché i miei non sono mai andati d'accordo e ci sono state enormi liti. (mio padre ha anche tradito mia madre perché "non scopava"). Padre che per giunta quando era giovane (classe 1945) si faceva fare pompini a pagamento.
Comunque sia adesso mi ritrovo iscritto a medicina in procinto di iniziare il terzo anno, ma con un esame del primo e praticamente quasi tutti quelli del secondo da fare. Sono rimasto indietro, bloccato sul primo esame che per ha rappresentato una difficoltà (anatomia, non so studiare a memoria). Ho la media del 28 e posso recuperare. Ho fatto un programma per gli esami fino a Febbraio 2016 e se lo rispetto mi posso anche laureare in corso. Ho una sessione di recupero a Dicembre. Insomma le possibilità di recuperare e mettersi in pari ci sono ed è normale avere delle defaillance ogni tanto e al confronto di persone che magari non sono entrati a medicina "alla prima botta" la defaillance si ridimensiona ancora. Sono del 93 e in regola e certo non dovrei né prestare attenzione al giudizio degli altri né tanto meno stimare me stesso in base al numero di esami che do. Almeno questo è quello che razionalmente so di dover fare. In pratica a settembre devo dare due esami (di cui uno già preparato a 3/4) e un esonero e devo ancora iniziare a studiare. Per studiare non sono andato in vacanza. Oltretutto sto vivendo il mio primo rapporto sentimentale con un ragazzo con tutte le ansie che ne derivano (non so affidarmi alle persone perché l'affetto e l'amore in casa li ho vissuti male, figuratevi che a volte non riesco nemmeno ad avere l'orgasmo). Il mio ragazzo per giunta è di un anno più piccolo di me, studia matematica, venendo da un linguistico, e affronta serenamente lo studio e le difficoltà, è in regola con gli esami e ha una media accettabile. Ha un buon rapporto con la famiglia ed è molto bello e io mi sento a volte inferiore a lui. Stiamo insieme da un paio di mesi, ma lui ha fatto molti viaggi all'estero con la famiglia e praticamente in 20 giorni siamo riusciti a vederci tre. E' distante e io gli voglio bene. Ovviamente con la psicoterapia siamo in pausa estiva e io ho sempre gestito bene le pause estive, senza crisi, problemi. Mi so reggere sulla mie gambe. Ma questa volta no. Ho costanti crisi di pianto più volte al giorno per l'uni, per lui e sono nervoso e agitato e sinceramente non me la sento di chiamare la mia psicologa (non la chiamo mai) per dirle non so nemmeno io cosa. E' normale stare tanto male? E' segno che le cose stanno cambiando in meglio? Io non lo so.
Penso al mio ragazzo e mi viene da piangere perché mi sento meno di lui, perché penso che mi lascerà essendo io un insieme di rimasugli laceri tenuti insieme con lo sputo e cinque anni di terapia, penso allo studio e mi viene l'ansia. Ieri sera gli ho parlato dei miei problemi con lo studio e gli ho detto che stavo malissimo per il fatto che ero rimasto indietro e lui mi ha detto che ormai è successo, non ci posso fare niente, mi metto a recuperare e studio. Che poi è quello che io dico sempre a me stesso, ma sentirlo da lui non so perché mi ha scosso, mi ha fatto sentire malissimo, sentito da lui che è così sano ed equilibrato ed in grado di gestire la sua vita.
La mia psicoterapeuta dice sempre che io ho enormi potenzialità, ma che le modalità genitoriali con el quali sono stato cresciuto mi impediscono l'accesso a queste potenzialità e che col tempo e la terapia devo distaccarmi emotivamente dei miei genitori che vogliono, inconsciamente, fa sì che io rimanga un fallito in modo da non emanciparmi nè economicamente né emotivamente e da rimanere ad aeternum a fare da cuscinetto all'interno della loro relazione fallimentare.
Io ho una paura fottuta, paura di non riuscire a laurearmi e l'università oltretutto assume un valore molto forte per me in quanto essa è il solo modo che ho per andarmene di casa (con lo stipendio da specializzando posso permettermi di vivere da solo) e sempre la mia psicologa sostiene che per questo motivo entro in conflitto, avendo paura di fallire nello studio così da dare ragione a mio padre.
Insomma perdonate la mia logorrea, ma sto vivendo un momento davvero drammatico e non capisco se il mio stare male, le mie crisi di pianto sono dovuti ad un cambiamento in atto o ad un peggiormente o a quell'orribile tendenza che ho di piangermi addosso e crogiolarmi in una polla di lacrime salse fatta di autocommiserazione e selfpunishment.
Perché in tutto questo io non credo di vivere come un 20enne dovrebbe vivere. Spesso non esco con gli amici per studiare e puntualmente non studio e ultimamente mi sono un po' isolato dagli altri perché vedere loro, che vanno avanti, mi fa sentire solo un idiota per il fatto che sto fermo sempre sullo stesso loop disfunzionale.
Che succede?
[#1]
Caro Utente,
ho letto anche il suo consulto precedente, di poche settimane fa, e penso che, considerando la situazione complessiva che descrive, sia comprensibile che in questo momento sia colpito da crisi di pianto.
In famiglia non c'è dialogo e si sente svalutato, le stanno mancando punti di riferimenti come la sua psicologa, che è in ferie, si è chiuso in casa a studiare mentre gli altri sono fuori a divertirsi o in vacanza e sta constatando che la relazione con il suo primo ragazzo sta prendendo una piega che non si aspettava, con il risultato che le dà dei pensieri che non si aspettava di dover affrontare.
Di conseguenza non mi meraviglia il fatto che si stia sentendo stressato e sconfortato.
I conflitti relativi alla possibilità di laurearsi, che sta affrontando in terapia, sono poi una costante e influenzano sicuramente la sua capacità di applicarsi serenamente allo studio.
Forse in questo momento le sarebbe più utile non programmare intere giornate di studio che non riesce a rendere produttive, ma suddividere il suo tempo fra studio e svago in modo tale da non rischiare di passare da solo gran parte della giornata, trascorrendola in fin dei conti fra pensieri che non le consentono di studiare.
Cosa ne dice?
ho letto anche il suo consulto precedente, di poche settimane fa, e penso che, considerando la situazione complessiva che descrive, sia comprensibile che in questo momento sia colpito da crisi di pianto.
In famiglia non c'è dialogo e si sente svalutato, le stanno mancando punti di riferimenti come la sua psicologa, che è in ferie, si è chiuso in casa a studiare mentre gli altri sono fuori a divertirsi o in vacanza e sta constatando che la relazione con il suo primo ragazzo sta prendendo una piega che non si aspettava, con il risultato che le dà dei pensieri che non si aspettava di dover affrontare.
Di conseguenza non mi meraviglia il fatto che si stia sentendo stressato e sconfortato.
I conflitti relativi alla possibilità di laurearsi, che sta affrontando in terapia, sono poi una costante e influenzano sicuramente la sua capacità di applicarsi serenamente allo studio.
Forse in questo momento le sarebbe più utile non programmare intere giornate di studio che non riesce a rendere produttive, ma suddividere il suo tempo fra studio e svago in modo tale da non rischiare di passare da solo gran parte della giornata, trascorrendola in fin dei conti fra pensieri che non le consentono di studiare.
Cosa ne dice?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#2]
Utente
Badi bene, io sono felice della mia relazione. Non è che la mia relazione sta prendendo una piega che non mi aspettavo, sono io che non riesco a vivere serenamente qualcosa di bello e che mi fa star bene come il mio ragazzo. Sono io che mi riempio di complessi e che ho una distorta percezione del sè e di conseguenza vivo in modo distorto tutto quello che mi riguarda.
La mia parte razionale sa che questa relazione sta andando bene, che è sana e che sta diventando solida ogni giorno che passa. Alla fine se c'è la voglia di stare insieme e di costruire le difficoltà idiote come -oddio non sono venuto- si superano, e infatti le stiamo superando. Quelle meno idiote come l'ansia da abbandono passano e alla fine anche abituarsi all'affetto (convincersi di meritarlo). Io credo che G. stia bene con me. Se non stesse bene, perché stare con me?
E lo studio non riesco a gestirlo, se esco mi sento in colpa, se sto a casa vengo sopraffatto da mille pensieri. Ho pensato ad una terapia farmacologica, ma per ottenere cosa? Posso togliermi il sintomo -ansia-, stabilizzare il mio umore e poi? I miei pensieri rimangono lì e con loro le problematiche scatenanti.
La mia psicoterapeuta sostiene che vista la mia età e le mie capacità di introspezione una terapia farmacologica non è al momento necessaria.
Solo che sto passando dei giorni terribili.
La mia parte razionale sa che questa relazione sta andando bene, che è sana e che sta diventando solida ogni giorno che passa. Alla fine se c'è la voglia di stare insieme e di costruire le difficoltà idiote come -oddio non sono venuto- si superano, e infatti le stiamo superando. Quelle meno idiote come l'ansia da abbandono passano e alla fine anche abituarsi all'affetto (convincersi di meritarlo). Io credo che G. stia bene con me. Se non stesse bene, perché stare con me?
E lo studio non riesco a gestirlo, se esco mi sento in colpa, se sto a casa vengo sopraffatto da mille pensieri. Ho pensato ad una terapia farmacologica, ma per ottenere cosa? Posso togliermi il sintomo -ansia-, stabilizzare il mio umore e poi? I miei pensieri rimangono lì e con loro le problematiche scatenanti.
La mia psicoterapeuta sostiene che vista la mia età e le mie capacità di introspezione una terapia farmacologica non è al momento necessaria.
Solo che sto passando dei giorni terribili.
[#3]
Utente
Quello che mi chiedo è perché ingigantisco in maniera spropositata un problema che non è così grande come quello dello studio. Okay, sto indietro. Si recupera e se non recupero ci metto sette anni invece di sei. Dove sta il problema? Andare fuori corso non mi preclude la possibilità di accesso in una scuola di specializzazione, soprattutto alla luce delle nuove modalità di accesso.
[#4]
Penso che, al di là di quale sia il motivo, la relazione con G. qualche problema glielo dia, se aveva scritto questo:
"ll problema è che la relazione tra me e lui è stata impostata in un modo molto dolce e carino e delicato e sta prendendo una piega che odio da morire".
Mi fa in ogni caso piacere sapere che stiate risolvendo i problemi che si erano creati.
Non pensa che, considerando quanti aspetti problematici si trova ad affrontare nella sua vita attuale, sia normale un momento di - anche profondo - sconforto?
"ll problema è che la relazione tra me e lui è stata impostata in un modo molto dolce e carino e delicato e sta prendendo una piega che odio da morire".
Mi fa in ogni caso piacere sapere che stiate risolvendo i problemi che si erano creati.
Non pensa che, considerando quanti aspetti problematici si trova ad affrontare nella sua vita attuale, sia normale un momento di - anche profondo - sconforto?
[#5]
Utente
Il dramma è che la relazione con G. mi dà problemi non perché sia problematica, ma perché il mio approccio ad essa è problematico.
Stiamo insieme, okay. Io ho delle necessità, lui ha le sue. Basta parlarne e si risolve tutto e infatti le cose stanno andando meglio. La colpa è mia se questa relazione mi dà dei problemi perché razionalmente non dovrebbe darmene.
La colpa, la responsabilità, del mio essere "fallito" è solo mia che per una serie di motivi ho imparato ad approcciarmi alla vita (e alle relazioni) nel modo sbagliato.
Io mi rendo conto adesso di quanto sia assurdo il mio modo di vivere, i miei pensieri e le risposte che mi vengono spontanee davanti alle difficoltà eppure, eppure non riesco a cambiare e la cosa mi fa rabbia, da morire.
Non riesco a smuovermi e a smettere con l'abitudine al fallimento e all'infelicità.
Stiamo insieme, okay. Io ho delle necessità, lui ha le sue. Basta parlarne e si risolve tutto e infatti le cose stanno andando meglio. La colpa è mia se questa relazione mi dà dei problemi perché razionalmente non dovrebbe darmene.
La colpa, la responsabilità, del mio essere "fallito" è solo mia che per una serie di motivi ho imparato ad approcciarmi alla vita (e alle relazioni) nel modo sbagliato.
Io mi rendo conto adesso di quanto sia assurdo il mio modo di vivere, i miei pensieri e le risposte che mi vengono spontanee davanti alle difficoltà eppure, eppure non riesco a cambiare e la cosa mi fa rabbia, da morire.
Non riesco a smuovermi e a smettere con l'abitudine al fallimento e all'infelicità.
[#7]
Utente
La consapevolezza è il primo passo per il cambiamento, almeno da quello che si dice.
Ho fatto grandi progressi da quando sono entrato in terapia, il fatto che io riesca ad avere una relazione (anche con tutte le difficoltà del caso) penso sia l'indice migliore del percorso fatto.
Il problema è che tra la consapevolezza e il cambiare un'abitudine passa lo sforzo.
Allora io i dubbi sulla mia capacità di riuscire a studiare, di laurearmi, li ho espressi in terapia e la mia psicologa ha risposto con un -Piantala!-
Non c'è molto da dire riguardo ai miei complessi alla fine. Sono in quel momento in cui so che il mio modo di pensare e agire è sbagliato, ma non riesco a cambiarlo perché, sempre a sua detta, sono stato abituato per 21 anni all'infelicità e al fallimento. Il problema è che io non credo di essere in grado di cambiare o per lo meno ho forti dubbi. Lei a questo punto ha detto che sarebbe da irresponsabili mettere un paziente in una situazione fallimentare e se mi ha detto che posso cambiare e studiare serenamente e avere una relazione felice lo ha detto perché pensa che io abbia gli strumenti.
E io in tutto questo sto male come poche volte in passato mi era capitato. Non piangevo mai. Quando mi sono ritrovato due settimane da a piangere nemmeno mi ricordavo che suono avesse il mio pianto. Lei dice che questo positivo, che significa che sono coinvolto. In generale sostiene che sono sulla buona strada, che mi sfaldo meno di quanto facessi prima e mi rialzo meglio di come facevo prima. E ha ragione.
Credo che il cambiamento richieda tempo, forse non so aspettare, forse non so sforzarmi, forse mi piango troppo addosso o mi addosso troppe colpe per il fatto che mi piango addosso.
Quello che so è che sto davvero male, sono davvero sconfortato ...
Ho fatto grandi progressi da quando sono entrato in terapia, il fatto che io riesca ad avere una relazione (anche con tutte le difficoltà del caso) penso sia l'indice migliore del percorso fatto.
Il problema è che tra la consapevolezza e il cambiare un'abitudine passa lo sforzo.
Allora io i dubbi sulla mia capacità di riuscire a studiare, di laurearmi, li ho espressi in terapia e la mia psicologa ha risposto con un -Piantala!-
Non c'è molto da dire riguardo ai miei complessi alla fine. Sono in quel momento in cui so che il mio modo di pensare e agire è sbagliato, ma non riesco a cambiarlo perché, sempre a sua detta, sono stato abituato per 21 anni all'infelicità e al fallimento. Il problema è che io non credo di essere in grado di cambiare o per lo meno ho forti dubbi. Lei a questo punto ha detto che sarebbe da irresponsabili mettere un paziente in una situazione fallimentare e se mi ha detto che posso cambiare e studiare serenamente e avere una relazione felice lo ha detto perché pensa che io abbia gli strumenti.
E io in tutto questo sto male come poche volte in passato mi era capitato. Non piangevo mai. Quando mi sono ritrovato due settimane da a piangere nemmeno mi ricordavo che suono avesse il mio pianto. Lei dice che questo positivo, che significa che sono coinvolto. In generale sostiene che sono sulla buona strada, che mi sfaldo meno di quanto facessi prima e mi rialzo meglio di come facevo prima. E ha ragione.
Credo che il cambiamento richieda tempo, forse non so aspettare, forse non so sforzarmi, forse mi piango troppo addosso o mi addosso troppe colpe per il fatto che mi piango addosso.
Quello che so è che sto davvero male, sono davvero sconfortato ...
[#8]
La psicoterapia serve ad aiutarla a cambiare, ma lo sforzo e l'impegno da parte sua sono necessari: il cambiamento non è facile per nessuno, anche quando si tratta di un cambiamento positivo, perchè richiede dispendio di energie psichiche e un adattamento a nuovi equilibri.
Sono d'accordo con la Collega sul fatto che sia positivo che riesca di nuovo a piangere perchè il pianto è un mezzo per sfogarsi e lasciar uscire il dolore: il fatto che lei abbia riacquisito la capacità di piangere significa quindi che non reprime più le sue emozioni, come probabilmente faceva in precedenza.
Sono d'accordo con la Collega sul fatto che sia positivo che riesca di nuovo a piangere perchè il pianto è un mezzo per sfogarsi e lasciar uscire il dolore: il fatto che lei abbia riacquisito la capacità di piangere significa quindi che non reprime più le sue emozioni, come probabilmente faceva in precedenza.
[#9]
Utente
Gentile dott.ssa Massaro, avevo dimenticato di ringraziarla per la gentile risposta, per la pazienza e per il sostegno.
Le cose sono andate meglio, anche dal punto di vista sessuale.
Ho capito perché avevo tanti problemi con G.
Avevo paura e avendo paura guardavo sempre al futuro perché mi aspettavo da un momento all'altro una pugnalata alle spalle. Facendo questo, essendo io nello spazio del futuro, non ero nel presente e non me lo godevo, molto semplicemente.
Non mi godevo il presente, non mi lasciavo andare e tutto perché non riuscivo a fidarmi, cosa che è sempre stato il mio grande problema.
Ho passato un mese orribile, ci son stati momenti bui che quasi ho pensato di rivolgermi ad uno psichiatra perché non riuscito più a controllare i miei pensieri, andavo in paranoia e non riuscivo a dormire. Poi si è risolto tutto, non so bene come. Forse è stata la stanchezza dello stare male e non quella legata al singolo momento, ma legata ai miei passati 21 anni.
Insomma stare con G. mi ha costretto a mettere in discussione tutto quello che ho sempre pensato di me, di non essere degno dell'amore di nessuno, di non essere in grado di vivere serenamente e in definitiva, per quanto mi suoni strano dirlo e forse ammetterlo, di meritare la felicità.
Forse è stato questo il motivo del mio crollo. Crollo che mi ha spaventato da morire perché io non sono mai crollato in questo modo. Per quanto fossi triste e infelice avevo sempre un controllo della mia tristezza e infelicità.
In tutto questo ho anche chiamato un paio di volte la mia terapeuta. Lei mi ha dato il suo numero di cellulare privato e io in questi anni mi sono azzardato a chiamarla solo una volta. Lei ha sempre sostenuto che io non la chiamassi per paura del rifiuto, io semplicemente le dicevo che non la chiamavo perché non sapevo come avrebbe potuto aiutarmi in cinque minuti al telefono e la verità era un parte questa e in parte che non volevo disturbarla. Eppure l'ho chiamata e anche se non ne capisco bene il motivo, credo sia stato un passo avanti.
Io non so bene cosa sia successo negli ultimi mesi, non lo so proprio, so solo che ho cominciato ad avvertire chiaramente nella mia testa questi due pensieri "Sono stufo di stare male" "E' colpa mia se sto male".
Adesso diciamo che sono tornato in me e sto cercando di riprendere lo studio. Avevo in programma di dare due esami per settembre e due per dicembre e spero davvero di riuscire nel mio obiettivo anche se credo che a settembre riuscirò a darne solo uno, il secondo è in forse.
La verità è che con l'università ancora non sono riuscito ad essere sereno. Non mi va di studiare, non riesco a concentrarmi e il fatto di aver perso, non dico un anno, ma sicuramente un semestre, mi terrorizza. E non riesco a capirne il motivo razionale perché okay che poteva andare meglio, ma alla fine capita di rimanere indietro e ho 4 anni per recuperare e poi sono in una facoltà in cui molti degli iscritti, causa test di ammissione, hanno perso uno o più anni. Quello che mi snerva è quest'ansia paralizzante, questa mia incapacità di dire "Okay, sei rimasto indietro e non puoi farci nulla ormai. Studia e recupera". Cosa che per inciso mi ha detto G. riguardo allo studio quando gli ho parlato dei miei problemi.
Perché non è così semplice per me?
La mia terapeuta sostiene che devo continuare a sforzarmi che prima o poi riesco. Vorrei solo riuscire a trovare il modo giusto di sforzarmi ed essere più sereno visto che ad un tratto mi sono reso conto che la felicità può essere conquistata e la serenità può esistere sempre, indipendentemente da quello che ci succede intorno.
Le cose sono andate meglio, anche dal punto di vista sessuale.
Ho capito perché avevo tanti problemi con G.
Avevo paura e avendo paura guardavo sempre al futuro perché mi aspettavo da un momento all'altro una pugnalata alle spalle. Facendo questo, essendo io nello spazio del futuro, non ero nel presente e non me lo godevo, molto semplicemente.
Non mi godevo il presente, non mi lasciavo andare e tutto perché non riuscivo a fidarmi, cosa che è sempre stato il mio grande problema.
Ho passato un mese orribile, ci son stati momenti bui che quasi ho pensato di rivolgermi ad uno psichiatra perché non riuscito più a controllare i miei pensieri, andavo in paranoia e non riuscivo a dormire. Poi si è risolto tutto, non so bene come. Forse è stata la stanchezza dello stare male e non quella legata al singolo momento, ma legata ai miei passati 21 anni.
Insomma stare con G. mi ha costretto a mettere in discussione tutto quello che ho sempre pensato di me, di non essere degno dell'amore di nessuno, di non essere in grado di vivere serenamente e in definitiva, per quanto mi suoni strano dirlo e forse ammetterlo, di meritare la felicità.
Forse è stato questo il motivo del mio crollo. Crollo che mi ha spaventato da morire perché io non sono mai crollato in questo modo. Per quanto fossi triste e infelice avevo sempre un controllo della mia tristezza e infelicità.
In tutto questo ho anche chiamato un paio di volte la mia terapeuta. Lei mi ha dato il suo numero di cellulare privato e io in questi anni mi sono azzardato a chiamarla solo una volta. Lei ha sempre sostenuto che io non la chiamassi per paura del rifiuto, io semplicemente le dicevo che non la chiamavo perché non sapevo come avrebbe potuto aiutarmi in cinque minuti al telefono e la verità era un parte questa e in parte che non volevo disturbarla. Eppure l'ho chiamata e anche se non ne capisco bene il motivo, credo sia stato un passo avanti.
Io non so bene cosa sia successo negli ultimi mesi, non lo so proprio, so solo che ho cominciato ad avvertire chiaramente nella mia testa questi due pensieri "Sono stufo di stare male" "E' colpa mia se sto male".
Adesso diciamo che sono tornato in me e sto cercando di riprendere lo studio. Avevo in programma di dare due esami per settembre e due per dicembre e spero davvero di riuscire nel mio obiettivo anche se credo che a settembre riuscirò a darne solo uno, il secondo è in forse.
La verità è che con l'università ancora non sono riuscito ad essere sereno. Non mi va di studiare, non riesco a concentrarmi e il fatto di aver perso, non dico un anno, ma sicuramente un semestre, mi terrorizza. E non riesco a capirne il motivo razionale perché okay che poteva andare meglio, ma alla fine capita di rimanere indietro e ho 4 anni per recuperare e poi sono in una facoltà in cui molti degli iscritti, causa test di ammissione, hanno perso uno o più anni. Quello che mi snerva è quest'ansia paralizzante, questa mia incapacità di dire "Okay, sei rimasto indietro e non puoi farci nulla ormai. Studia e recupera". Cosa che per inciso mi ha detto G. riguardo allo studio quando gli ho parlato dei miei problemi.
Perché non è così semplice per me?
La mia terapeuta sostiene che devo continuare a sforzarmi che prima o poi riesco. Vorrei solo riuscire a trovare il modo giusto di sforzarmi ed essere più sereno visto che ad un tratto mi sono reso conto che la felicità può essere conquistata e la serenità può esistere sempre, indipendentemente da quello che ci succede intorno.
Questo consulto ha ricevuto 9 risposte e 2.6k visite dal 09/08/2014.
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