Divisione tra ambito lavorativo e personale
Non riesco a dimenticare le cose che mi sono accadute e a voltare pagina. Mi trovo continuamente a rimuginare e a logorami ripensando a quello che sarebbe o non sarebbe stato, a quello che è stato detto o fatto. Non riesco a fidarmi e a perdonare... In passato ho fatto scelte difficili spesso con la costate paura di sbagliare e deludere le aspettative di tutti. Ad ogni modo ho ottenuto buoni risultati con sofferenza e grande sacrificio (prima il diploma, poi la laurea....) Ingenuamente pensavo che, con il duro lavoro, avrei migliorato la mia condizione. In ogni caso, per anni questo è bastato per non farmi accorgere della mia condizione. Il disagio è però diventato evidente e ora insostenibile quando sono passato dal mondo scolastico a quello lavorativo.
Al mio primo impiego sono stato selezionato da una grande multinazionale. Inizialmente è stata una vittoria personale se non che l'ambiente totalmente diverso da quello in cui ero cresciuto mi ha portato a non riuscire a gestire quello che mi stava accadendo. In breve si è creato un rapporto conflittuale con i colleghi e dopo poco mi sono licenziato senza avere una vera alternativa. Mi sentivo schiacciato da regole che non conoscevo e dalle “dinamiche lavorative malate” che non appartenevano al modo semplice di pensare di una famiglia come la mia. Inutile descrivere la grande delusione che ne è seguita e che, solo mesi più tardi ho superato, trovando una nuova occupazione. Questo nuovo ambiente lavorativo, con alti e bassi, mi ha cresciuto per alcuni anni dandomi indipendenza economica e sociale. Pensando di poter finalmente crescere, per un periodo, mi sono sentito realizzato. Mi sono impegnato per superare i limiti del mio carattere introverso; ho fatto volontariato, ho frequentato nuove persone, ho fatto nuove amicizie... Una serie di cambiamenti e l'arrivo di nuove persone hanno poi creato di nuovo una situazione conflittuale e, nonostante abbia tentato per quasi due anni di andare avanti, anche questa volta ho finito con il licenziarmi senza avere una valida alternativa o una prospettiva migliore. Non riuscivo a superare la convinzione che fosse stato un tradimento da parte delle persone con cui condividevo la mia giornata e che nel tempo avevo considerato amiche. Ho lasciato la casa in cui vivevo e sono tornato a vivere con mia madre. Ora ho un impiego precario e non riesco a voltare pagina. Nel mio quotidiano continuo a rivivere situazioni e momenti passati, a isolarmi e a tenere a distanza tutto e tutti non fidandomi di nessuno. La mie mente è spesso occupata da questi pensieri e questo mi crea problemi di concentrazione che stanno pregiudicando anche quest'ultimo rapporto lavorativo. Non riesco a fare una distinzione tra ambito lavorativo e personale e ho cominciato a ritenere i fallimenti professionali come dei fallimenti personali. Ho molta paura/ansia per il futuro. C'è qualcosa che possa fare per “voltare pagina” ? Ringrazio per ogni possibile indicazione.
Al mio primo impiego sono stato selezionato da una grande multinazionale. Inizialmente è stata una vittoria personale se non che l'ambiente totalmente diverso da quello in cui ero cresciuto mi ha portato a non riuscire a gestire quello che mi stava accadendo. In breve si è creato un rapporto conflittuale con i colleghi e dopo poco mi sono licenziato senza avere una vera alternativa. Mi sentivo schiacciato da regole che non conoscevo e dalle “dinamiche lavorative malate” che non appartenevano al modo semplice di pensare di una famiglia come la mia. Inutile descrivere la grande delusione che ne è seguita e che, solo mesi più tardi ho superato, trovando una nuova occupazione. Questo nuovo ambiente lavorativo, con alti e bassi, mi ha cresciuto per alcuni anni dandomi indipendenza economica e sociale. Pensando di poter finalmente crescere, per un periodo, mi sono sentito realizzato. Mi sono impegnato per superare i limiti del mio carattere introverso; ho fatto volontariato, ho frequentato nuove persone, ho fatto nuove amicizie... Una serie di cambiamenti e l'arrivo di nuove persone hanno poi creato di nuovo una situazione conflittuale e, nonostante abbia tentato per quasi due anni di andare avanti, anche questa volta ho finito con il licenziarmi senza avere una valida alternativa o una prospettiva migliore. Non riuscivo a superare la convinzione che fosse stato un tradimento da parte delle persone con cui condividevo la mia giornata e che nel tempo avevo considerato amiche. Ho lasciato la casa in cui vivevo e sono tornato a vivere con mia madre. Ora ho un impiego precario e non riesco a voltare pagina. Nel mio quotidiano continuo a rivivere situazioni e momenti passati, a isolarmi e a tenere a distanza tutto e tutti non fidandomi di nessuno. La mie mente è spesso occupata da questi pensieri e questo mi crea problemi di concentrazione che stanno pregiudicando anche quest'ultimo rapporto lavorativo. Non riesco a fare una distinzione tra ambito lavorativo e personale e ho cominciato a ritenere i fallimenti professionali come dei fallimenti personali. Ho molta paura/ansia per il futuro. C'è qualcosa che possa fare per “voltare pagina” ? Ringrazio per ogni possibile indicazione.
[#1]
Gentile Utente,
secondo quanto riferisce le sue difficoltà sembrano riferirsi all'ambito delle relazioni, ad un suo timore di non essere forse all'altezza delle situazioni (insicurezza ?), timore del giudizio, ripercuotendosi sul versante lavorativo e quello sociale, tra alti e bassi. In ogni caso problematiche che sembrano trascinarsi da un certo tempo.
La sua vita appare bloccata, tra il continuo rimuginare, le convinzioni che non la aiutano a vivere i rapporti con gli altri in modo sereno e l'ansia che di conseguenza l'accompagna.
Credo che sia opportuno consultasse un nostro collega di persona per essere accompagnato a gestire in modo efficace e risolvere le sue difficoltà, a raggiungere un miglior benessere personale e una qualità di vita più appagante.
Restiamo in ascolto
secondo quanto riferisce le sue difficoltà sembrano riferirsi all'ambito delle relazioni, ad un suo timore di non essere forse all'altezza delle situazioni (insicurezza ?), timore del giudizio, ripercuotendosi sul versante lavorativo e quello sociale, tra alti e bassi. In ogni caso problematiche che sembrano trascinarsi da un certo tempo.
La sua vita appare bloccata, tra il continuo rimuginare, le convinzioni che non la aiutano a vivere i rapporti con gli altri in modo sereno e l'ansia che di conseguenza l'accompagna.
Credo che sia opportuno consultasse un nostro collega di persona per essere accompagnato a gestire in modo efficace e risolvere le sue difficoltà, a raggiungere un miglior benessere personale e una qualità di vita più appagante.
Restiamo in ascolto
Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it
[#2]
Gentile
La sensazione di vivere certe volte una vita non propria o di essere guidati da una qualche forza che ci induce a compiere determinate azioni prima che la mente abbia avuto il tempo di sceglierle, fa parte di un vissuto tutto umano e condivisibile con la maggior parte delle persone.
Il problema non è questo, ma la sofferenza che lei prova in questa situazione, fatta di paure, angosce, disperazioni, ma sono proprio questi vissuti che l'hanno spinta a scriverci, che le fanno sentire l'esigenza di comprendere quanto le è accaduto e sta accadendo, che la spingono a cercare una soluzione.
Non lasci cadere la richiesta che le giunge dai suoi bisogni e, come già le ha suggerito la collega, cerchi uno/a psicologo/a e si apra insieme a lui/lei per comprendere la sua interiorità, a volte complice di meravigliosi momenti (che ha avuto anche lei), altri di sofferenze ineguagliabili.
Vedrà che questa esplorazione le porterà frutti inaspettati e la meraviglia della scoperta di parti di sé che non conosce unita alla possibilità e capacità di cambiare le cose.
Non aspetti oltre.
Mille auguri
La sensazione di vivere certe volte una vita non propria o di essere guidati da una qualche forza che ci induce a compiere determinate azioni prima che la mente abbia avuto il tempo di sceglierle, fa parte di un vissuto tutto umano e condivisibile con la maggior parte delle persone.
Il problema non è questo, ma la sofferenza che lei prova in questa situazione, fatta di paure, angosce, disperazioni, ma sono proprio questi vissuti che l'hanno spinta a scriverci, che le fanno sentire l'esigenza di comprendere quanto le è accaduto e sta accadendo, che la spingono a cercare una soluzione.
Non lasci cadere la richiesta che le giunge dai suoi bisogni e, come già le ha suggerito la collega, cerchi uno/a psicologo/a e si apra insieme a lui/lei per comprendere la sua interiorità, a volte complice di meravigliosi momenti (che ha avuto anche lei), altri di sofferenze ineguagliabili.
Vedrà che questa esplorazione le porterà frutti inaspettati e la meraviglia della scoperta di parti di sé che non conosce unita alla possibilità e capacità di cambiare le cose.
Non aspetti oltre.
Mille auguri
Paola Dei: Psicologo Psicoterapeuta
Didatta Associato FISIG Perfezionata in criminologia
Docente in Psicologia dell’Arte (IGKGH-DGKGTH-CH)
[#3]
Utente
Le vostre risposte mi rassicurano nell'apprendere che, in modi diversi, le stesse sensazioni e gli stessi stati d'animo in cui spesso mi trovo fanno parte del cammino di molti altri. In passato sono già stato "accompagnato per un breve tratto" dalla terapia ma ne ho ricavato in fondo solo la convinzione che non esiste una "ricetta" univoca per la serenità. Si possono solo attuare scelte e comportamenti per tentare di vivere le esperienze in modo accettabile, ognuno secondo il proprio "metro". Evidentemente però questo non è bastato a correggere alcuni schemi difensivi che, ora in modo conscio, mi accorgo di continuare a ripetere ma di non riuscire a controllare. La cosa che mi preoccupa di più, arrivato a questo punto, è che quello che prima sembrava riguardare solo il mio privato ora intacca anche il mio mondo professionale con ripercussioni preoccupanti sulla sfera personale. Ringrazio ad ogni modo per le risposte fornite ai miei quesiti.
[#4]
Gentile
Quello che sta dicendo è già la risposta che cerca.
Lei stesso sostiene che:
"Si possono solo attuare scelte e comportamenti per tentare di vivere le esperienze in modo accettabile, ognuno secondo il proprio "metro"."
Questo lascia intuire che lei abbia effettuato un percorso di terapia comportamentale che le è servita e le ha permesso di fare una parte del cammino, ma nel suo caso forse occorre un lavoro un pò più profondo (per esplorare le istanze più arcaiche del suo essere) nel quale ogni sforzo è indirizzato verso la comprensione del suo mondo interno.
La sua modalità espressiva e la sua richiesta presentano tutte le caratteristiche di un bisogno profondo di lenire il dolore ed in questo caso il suo lavoro dovrà essere innanzi tutto rivolto verso una strada che la ricongiunge a se stesso.
Provi a leggere qualcosa sui vari tipi di psicoterapia, provi a cercare psicoterapeuti di derivazione analitica o psicoanalisti e faccia dei colloqui, si dia tutto il tempo e, perché no, provi anche a parlare con un buon teologo, (anche se non è credente).
Le allego il link del blog dove trova alcuni articoli dai quali può trarre qualche spunto:
https://www.medicitalia.it/paoladei/
Cordialità e mille auguri. Non demorda
Quello che sta dicendo è già la risposta che cerca.
Lei stesso sostiene che:
"Si possono solo attuare scelte e comportamenti per tentare di vivere le esperienze in modo accettabile, ognuno secondo il proprio "metro"."
Questo lascia intuire che lei abbia effettuato un percorso di terapia comportamentale che le è servita e le ha permesso di fare una parte del cammino, ma nel suo caso forse occorre un lavoro un pò più profondo (per esplorare le istanze più arcaiche del suo essere) nel quale ogni sforzo è indirizzato verso la comprensione del suo mondo interno.
La sua modalità espressiva e la sua richiesta presentano tutte le caratteristiche di un bisogno profondo di lenire il dolore ed in questo caso il suo lavoro dovrà essere innanzi tutto rivolto verso una strada che la ricongiunge a se stesso.
Provi a leggere qualcosa sui vari tipi di psicoterapia, provi a cercare psicoterapeuti di derivazione analitica o psicoanalisti e faccia dei colloqui, si dia tutto il tempo e, perché no, provi anche a parlare con un buon teologo, (anche se non è credente).
Le allego il link del blog dove trova alcuni articoli dai quali può trarre qualche spunto:
https://www.medicitalia.it/paoladei/
Cordialità e mille auguri. Non demorda
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 1.6k visite dal 27/04/2014.
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