Relazione terapeuta-paziente
salve, sono Sergio, ho 24 anni e da ormai un anno circa ho intrapreso una terapia per attacchi di panico tre volte a settimana di durata variabile. Il mio rapporto col terapeuta è sempre stato ottimo devo dire, stima, gli volevo bene, era per me come un amico con cui confidarsi tuttavia un giorno, camminando in centro lo incontro e lui, non mi saluta , anzi fa finta di niente. Io di questo ho sofferto dolorosamente perchè per me valeva come persona.In ogni modo ho continuato ad andare e a ingoiare questo suo comportamento. Lo rivedo in centro un mese dopo. Alzo la mano per salutarlo ma non mi saluta e non mi considera. Ci rimango doppiamente male. In studio cala un po' di imbarazzo e piu' tempo passa piu' capisco che non è un amico ma un professionista. Capisco che è la sua etica ma vado avanti lo stesso, anzi mi motivo di piu'. La settimana scorsa tuttavia camminando sotto i portici ed essendoci la pioggia verso sera ,abitando lui in una zona vicino il mio quartiere lo trovo sotto i portici caduto dalla bicicletta e a quanto pare si era rotto la gamba e aveva bisogno di aiuto urgente, io sentendomi in difficoltà non sapevo se andare ad aiutarlo, inoltre soffriva di asma perchè vedevo sulla sua scrivania un ventolin e proprio in quel frangente non stava molto bene anzi lo vedevo davvero soffrire col respiro ma da paziente non sapevo se intervenire o no visto che non c'era nessuno. Sfortunatamente , per salvaguardare la terapia ho tirato avanti, pur essendo l'unica persona in quel luogo a poterlo soccorrere, cammino sotto il porticato 30 cm da lui e mentre lui mi guarda come per avere un aiuto disperato io faccio finta di niente lo ignoro completamente. Saranno state le 23 di sera e da quel giorno (da una settimana) non sono piu' andato in terapia da lui per l'imbarazzo e la tensione pur avendo ricevuto delle chiamate sul telefono. A questo punto dottori ho fatto bene o ho fatto male? Mettetevi nei miei panni lui è un professionista e io un paziente come mi ha fatto capire in centro , io non posso interferire in alcun modo con la sua vita. La mia domanda quindi riguarda la dinamica del rapporto fuori studio. Se lo incontro posso salutarlo o fare finta di niente? Io penso di essermi comportato nel miglior modo possibile e piu' professionale possibile. Infatti lui mi ha chiamato al cellulare ma essendo in ospedale mica possiamo continuare la terapia. Poi un'altra domanda circa il comportamento di relazione. Finita la terapia , se lo incontrassi a una festa come è successo a mia cugina, ci posso parlare e fare amicizia o no ? cordiali saluti attendo dei consigli.
[#1]
Gentile Utente,
forse è il caso di rispondere alle chiamate e affrontare la questione in seduta, dovrebbe in questo senso palesare i suoi dubbi con il Collega.
Certo non può "fare amicizia" dorante la terapia, un saluto è semplicemente buon educazione.
forse è il caso di rispondere alle chiamate e affrontare la questione in seduta, dovrebbe in questo senso palesare i suoi dubbi con il Collega.
Certo non può "fare amicizia" dorante la terapia, un saluto è semplicemente buon educazione.
Dott. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica
www.psicologoaviterbo.it
[#2]
Gentile Utente,
Come le dice il mio Collega, e' opportuno che lei chiarisca i suoi dubbi direttamente con il suo terapeuta, così come i suoi sentimenti e i pensieri che ha fatto sul rapporto tra voi. A seconda del tipo di terapia e delle caratteristiche personali del terapeuta, l'approccio può essere più o meno formale, e proprio per questo chiedere direttamente al proprio terapeuta e' importante, altrimenti lei rischia di rinunciare a una relazione efficace solo in base all'idea che se ne è' fatta, senza, cioè, confrontarsi con l'altro. Tutto, insomma, rischia di rimanere dentro la sua testa, mentre entrare in relazione implica lo scambio e il confronto continui.
Ad ogni modo, entrare in 'amicizia' in terapia e' escluso, salutarsi se ci si incontra anche al di fuori e' tutt'altra cosa.
Un cordiale saluto
Come le dice il mio Collega, e' opportuno che lei chiarisca i suoi dubbi direttamente con il suo terapeuta, così come i suoi sentimenti e i pensieri che ha fatto sul rapporto tra voi. A seconda del tipo di terapia e delle caratteristiche personali del terapeuta, l'approccio può essere più o meno formale, e proprio per questo chiedere direttamente al proprio terapeuta e' importante, altrimenti lei rischia di rinunciare a una relazione efficace solo in base all'idea che se ne è' fatta, senza, cioè, confrontarsi con l'altro. Tutto, insomma, rischia di rimanere dentro la sua testa, mentre entrare in relazione implica lo scambio e il confronto continui.
Ad ogni modo, entrare in 'amicizia' in terapia e' escluso, salutarsi se ci si incontra anche al di fuori e' tutt'altra cosa.
Un cordiale saluto
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa. Psicoterapeuta. Analista Transazionale
[#3]
Gentile Utente,
le domande che pone a mio avviso c'entrano poco con la professione, quanto con lo stile personale del terapeuta.
Incontrare un pz. fuori dallo studio è un'esperienza quotidiana: al supermercato, per strada, ecc... e personalmente non trovo nulla di male nel salutare in maniera cordiale un pz. che, nella mia esperienza, saluta sempre in maniera affettuosa e senza imbarazzo.
Francamente non capisco tutto questo imbarazzo fuori dallo studio.
Però sono un po' perplessa dalla Sua descrizione dei fatti, perchè esordisce dicendo che c'era un'ottima relazione e che per Lei il terapeuta era come un amico e solo dopo i primi incontri in citta (durante i quali non vi siete salutati) Lei ha preso coscienza del fatto che il terapeuta è un professionista e non un amico.
Secondo me il problema è nato qui.
La buona relazione terapeutica non è un rapporto di amicizia, ma una questione di cooperazione contro la sofferenza del pz.
Quindi è probabile che ci siano state aspettative, fantasie, credenze, ecc... del tutto spropositate e non adeguate.
Inoltre ritengo che entrambi avreste potuto affrontare la questione in terapia, anche solo per accordarvi su cosa fare in eventuali incontri casuali fuori dallo studio.
Mi pare singolare comunque che, pur davanti ad un episodio infelice come la caduta dalla bici e la frattura di una gamba, nè Lei nè il terapeuta abbiate voluto o saputo cooperare per uno stato di necessità che umanamente ci spingerebbe a chiedere aiuto e a fornire aiuto, soprattutto se si conosce la persona da un anno e se c'è un buon rapporto.
Lei crede sia recuperabile il rapporto?
Si sentirebbe a Suo agio nel continuare la terapia con lo stesso professionista?
Durante il trattamento ha avuto benefici sul problema d'ansia?
le domande che pone a mio avviso c'entrano poco con la professione, quanto con lo stile personale del terapeuta.
Incontrare un pz. fuori dallo studio è un'esperienza quotidiana: al supermercato, per strada, ecc... e personalmente non trovo nulla di male nel salutare in maniera cordiale un pz. che, nella mia esperienza, saluta sempre in maniera affettuosa e senza imbarazzo.
Francamente non capisco tutto questo imbarazzo fuori dallo studio.
Però sono un po' perplessa dalla Sua descrizione dei fatti, perchè esordisce dicendo che c'era un'ottima relazione e che per Lei il terapeuta era come un amico e solo dopo i primi incontri in citta (durante i quali non vi siete salutati) Lei ha preso coscienza del fatto che il terapeuta è un professionista e non un amico.
Secondo me il problema è nato qui.
La buona relazione terapeutica non è un rapporto di amicizia, ma una questione di cooperazione contro la sofferenza del pz.
Quindi è probabile che ci siano state aspettative, fantasie, credenze, ecc... del tutto spropositate e non adeguate.
Inoltre ritengo che entrambi avreste potuto affrontare la questione in terapia, anche solo per accordarvi su cosa fare in eventuali incontri casuali fuori dallo studio.
Mi pare singolare comunque che, pur davanti ad un episodio infelice come la caduta dalla bici e la frattura di una gamba, nè Lei nè il terapeuta abbiate voluto o saputo cooperare per uno stato di necessità che umanamente ci spingerebbe a chiedere aiuto e a fornire aiuto, soprattutto se si conosce la persona da un anno e se c'è un buon rapporto.
Lei crede sia recuperabile il rapporto?
Si sentirebbe a Suo agio nel continuare la terapia con lo stesso professionista?
Durante il trattamento ha avuto benefici sul problema d'ansia?
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#4]
Ex utente
Nono scusate non c'entra il mio vederlo come un professionista, io ho agito di conseguenza al suo comportamento, se non mi saluta per strada cosa devo fare? Mica tirarlo per la giacca e farmi dire ciao. Io ho fatto semplicemente come ha fatto lui con me perchè ritenevo fosse giusto nel caso della terapia. Tutto qui. Ovviamente voi , essendo esseri umani prima di psicologi avete il diritto di essere trattati come qualunque altra persona. Io lo avrei aiutato ma se non mi saluta il messaggio è chiaro : "Non so chi sei". Io allora ho preso alla lettera il suo comportamento. Peccato davvero perchè era una ottima terapia sul serio. Quasi quasi vado in ospedale a salutarlo e a portarli un pensierino. Una ultima domanda: Finita la terapia, se lo vedo al di fuori dal posto lavorativo si puo' parlare con lui considerandolo come una persona visto che non sarà piu' il mio psicologo?
[#5]
" ...se non mi saluta il messaggio è chiaro : "Non so chi sei".
A me non sembra che il messaggio sia chiaro, come Lei lo sta interpretando. Se una persona per strada non mi saluta, potrei fare mille ipotesi sul perchè non mi ha salutato, ma mi semplifico la vita se lo chiedo al diretto interessato, non trova?
" Finita la terapia, se lo vedo al di fuori dal posto lavorativo si puo' parlare con lui considerandolo come una persona visto che non sarà piu' il mio psicologo?"
Questo lo può fare anche se è in terapia, ribadisco che non capisco come mai ci sia questa rigidità...
Cordiali saluti,
A me non sembra che il messaggio sia chiaro, come Lei lo sta interpretando. Se una persona per strada non mi saluta, potrei fare mille ipotesi sul perchè non mi ha salutato, ma mi semplifico la vita se lo chiedo al diretto interessato, non trova?
" Finita la terapia, se lo vedo al di fuori dal posto lavorativo si puo' parlare con lui considerandolo come una persona visto che non sarà piu' il mio psicologo?"
Questo lo può fare anche se è in terapia, ribadisco che non capisco come mai ci sia questa rigidità...
Cordiali saluti,
[#6]
Gentile Utente,
lei sta facendo una "costruzione arbitraria" del comportamento del suo psicoterapeuta. Costruzione che denota una quota di aggressività nei confronti del Collega, probabilmente legata ad una specifica frustrazione, ossia quella di non essere stato "riconosciuto" al di fuori del contesto professionale. Questo ad un livello più profondo significa "continuare ad esistere" nella mente del terapeuta anche al di fuori dell'ambito lavorativo.
Questa situazione la porta chiaramente ad una "disillusione", ossia qualcosa che assomiglia alla consapevolezza di non avere un rapporto "amicale". Un rapporto amicale tra paziente e psicoterapeuta non può esistere ne in seduta ne al di fuori di essa. Il semplice saluto è una cosa ben diversa e non traduce la natura del rapporto.
lei sta facendo una "costruzione arbitraria" del comportamento del suo psicoterapeuta. Costruzione che denota una quota di aggressività nei confronti del Collega, probabilmente legata ad una specifica frustrazione, ossia quella di non essere stato "riconosciuto" al di fuori del contesto professionale. Questo ad un livello più profondo significa "continuare ad esistere" nella mente del terapeuta anche al di fuori dell'ambito lavorativo.
Questa situazione la porta chiaramente ad una "disillusione", ossia qualcosa che assomiglia alla consapevolezza di non avere un rapporto "amicale". Un rapporto amicale tra paziente e psicoterapeuta non può esistere ne in seduta ne al di fuori di essa. Il semplice saluto è una cosa ben diversa e non traduce la natura del rapporto.
Questo consulto ha ricevuto 6 risposte e 8k visite dal 21/03/2014.
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