Codipendenza affettiva, superata?
Buongiorno,
nell'ultimo anno ho interrotto un rapporto con una persona alla quale è stato poi diagnosticata la sindrome Borderline. La storia di 3 anni circa è finita quando la mia partner mi ha lasciato (come spesso accade) per l'ennesima volta; a differenza delle precedenti ho accettato la cosa con gran sollievo, ma poco tempo dopo ho conosciuto un altra persona della quale mi sono innamorato, nonostante la ritrovata libertà e il terrore di rivivere un esperienza nella quale "sbagliavo tutto e creavo solo sofferenze". Questa persona era totalmente diversa dalla precedente, sicura di se, indipendente, con un carattere forte e non mi vincolava con gelosie o osservazioni sul mio modo di essere. Dopo anni passati a cercare di essere un altra persona (perché i border ti manipolano per bene) finalmente ero di nuovo me stesso, libero di esserlo. Per farla breve, un paio di mesi dopo ho iniziato ad avere i classici sintomi da codipendenza: insonnia, depressioni, nessuna voglia di fare, autostima azzerata, etc., nel frattempo avevamo avviato una convivenza, io e la nuova compagna. Inconsapevole di ciò ovviamente non mi spiegavo il mio malessere, la convivenza non era un problema anzi, e sentivo davvero di amare la mia nuova compagna senza nessun tipo di restrizione o condizionamento. Così ho deciso su suo consiglio di andare da un terapeuta. Già dalla prima seduta il terapeuta aveva capito il problema e mi ha consigliato di informarmi sulla sindrome borderline. Saputa la realtà (quindi che ero un codipendente) ho ripreso quasi immediatamente a dormire di nuovo, ma dopo 3 mesi di terapia la mia consapevolezza non sembrava essermi di grande aiuto e durante le festività sono crollato in una depressione forte. Ormai questa situazione mi faceva sentire troppo di peso alla mia compagna e rischiava di rovinare un rapporto in cui credevo molto. Così ho espresso le mie impressioni al terapeuta e ho deciso di interrompere (anche per motivi economici) le sedute. In ultima analisi il terapeuta (che mi ha sempre riconosciuto privo di patologie psichiatriche e disturbi di personalità, nonché ottima capacità di interpretare e gestire la realtà) mi ha consigliato due strade, una (in sintesi) era di "riprendermi la mia identità" provando a vivere da solo per un certo periodo, nel senso di prendermi cura di me e dimostrarmi che io sono importante tanto quanto la mia partner. Quando ho comunicato questa idea alla mia partner lei non l'ha presa bene, l'ha intesa come un desiderio di tornare single e se ne è andata da casa mia molto male. Per quanto decisamente dispiaciuto ho però tentato di restare su di me, e dopo soli 4 giorni sono come "rinato", mi riconoscevo e stavo finalmente bene. Sono passati due mesi e ancora sto benissimo con me stesso. Il problema però è che la mia compagna ritiene che io mi stia "ingannando" e, dopo aver rifiutato di riprendere la convivenza, per questo motivo vuole interrompere il rapporto.
Ma è così "impossibile" che io ne sia uscito?
nell'ultimo anno ho interrotto un rapporto con una persona alla quale è stato poi diagnosticata la sindrome Borderline. La storia di 3 anni circa è finita quando la mia partner mi ha lasciato (come spesso accade) per l'ennesima volta; a differenza delle precedenti ho accettato la cosa con gran sollievo, ma poco tempo dopo ho conosciuto un altra persona della quale mi sono innamorato, nonostante la ritrovata libertà e il terrore di rivivere un esperienza nella quale "sbagliavo tutto e creavo solo sofferenze". Questa persona era totalmente diversa dalla precedente, sicura di se, indipendente, con un carattere forte e non mi vincolava con gelosie o osservazioni sul mio modo di essere. Dopo anni passati a cercare di essere un altra persona (perché i border ti manipolano per bene) finalmente ero di nuovo me stesso, libero di esserlo. Per farla breve, un paio di mesi dopo ho iniziato ad avere i classici sintomi da codipendenza: insonnia, depressioni, nessuna voglia di fare, autostima azzerata, etc., nel frattempo avevamo avviato una convivenza, io e la nuova compagna. Inconsapevole di ciò ovviamente non mi spiegavo il mio malessere, la convivenza non era un problema anzi, e sentivo davvero di amare la mia nuova compagna senza nessun tipo di restrizione o condizionamento. Così ho deciso su suo consiglio di andare da un terapeuta. Già dalla prima seduta il terapeuta aveva capito il problema e mi ha consigliato di informarmi sulla sindrome borderline. Saputa la realtà (quindi che ero un codipendente) ho ripreso quasi immediatamente a dormire di nuovo, ma dopo 3 mesi di terapia la mia consapevolezza non sembrava essermi di grande aiuto e durante le festività sono crollato in una depressione forte. Ormai questa situazione mi faceva sentire troppo di peso alla mia compagna e rischiava di rovinare un rapporto in cui credevo molto. Così ho espresso le mie impressioni al terapeuta e ho deciso di interrompere (anche per motivi economici) le sedute. In ultima analisi il terapeuta (che mi ha sempre riconosciuto privo di patologie psichiatriche e disturbi di personalità, nonché ottima capacità di interpretare e gestire la realtà) mi ha consigliato due strade, una (in sintesi) era di "riprendermi la mia identità" provando a vivere da solo per un certo periodo, nel senso di prendermi cura di me e dimostrarmi che io sono importante tanto quanto la mia partner. Quando ho comunicato questa idea alla mia partner lei non l'ha presa bene, l'ha intesa come un desiderio di tornare single e se ne è andata da casa mia molto male. Per quanto decisamente dispiaciuto ho però tentato di restare su di me, e dopo soli 4 giorni sono come "rinato", mi riconoscevo e stavo finalmente bene. Sono passati due mesi e ancora sto benissimo con me stesso. Il problema però è che la mia compagna ritiene che io mi stia "ingannando" e, dopo aver rifiutato di riprendere la convivenza, per questo motivo vuole interrompere il rapporto.
Ma è così "impossibile" che io ne sia uscito?
[#1]
Gentile Utente,
ha valutato l'ipotesi di tornare dal terapeuta anche solo per aggiornarlo sulla situazione odierna?
Ritengo sia la persona che, meglio di chiunque altro, possa darLe le risposte che cerca. Non trova?
ha valutato l'ipotesi di tornare dal terapeuta anche solo per aggiornarlo sulla situazione odierna?
Ritengo sia la persona che, meglio di chiunque altro, possa darLe le risposte che cerca. Non trova?
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#2]
Gentile utente,
è possibile che la sua relazione possa aver risentito di quello che lei ha deciso di fare. Non è facile che una persona possa comprendere fino in fondo. E' probabile che il suo "tornare sui propri passi", sia stato percepito come una svalutazione del rapporto.
Vorrei fare un'obiezione.
E' possibile occuparsi di se stessi anche all'interno di una convivenza.
Restiamo in ascolto
è possibile che la sua relazione possa aver risentito di quello che lei ha deciso di fare. Non è facile che una persona possa comprendere fino in fondo. E' probabile che il suo "tornare sui propri passi", sia stato percepito come una svalutazione del rapporto.
Vorrei fare un'obiezione.
E' possibile occuparsi di se stessi anche all'interno di una convivenza.
Restiamo in ascolto
Dr. Francesco Mori
Psicologo, Psicodiagnosta, Psicoterapeuta
http://spazioinascolto.altervista.org/
[#3]
Utente
innanzitutto vi ringrazio della veloce risposta,
purtroppo il limite dei caratteri iniziali mi ha costretto a tralasciare alcuni particolari.
Rispondo al dr. Mori: è possibilisimo occuparsi di se stessi anche in una coppia, sono d'accordo con Lei (purchè non si abbia una relazione con un borderline, beninteso) e infatti il secondo suggerimento del suo collega riguardava un percorso da fare insieme alla mia partner. Il problema è che quando ho espresso il risultato della seduta alla mia compagna l'ho fatto in maniera poco chiara, spiegandomi malissimo. Infatti dopo che ho parlato dello "stare un po' con me stesso" lei lo ha inteso, appunto, come un mettere in stand-by la relazione (cosa che assolutamente non volevo, soprattutto per rispetto verso la mia compagna) ed è stata una conferma delle sue paure; quindi si è sentita come "allontanata" e in qualche modo ha avuto conferma di un suo sospetto riguardo un mio ancora presente coinvolgimento verso la mia ex. Purtroppo in quel momento avevo la testa satura di pensieri e confusione tale che non sono riuscito a sostenere decentemente la discussione e ho finito in sostanza per bloccarmi. Per cui la seconda ipotesi non è nemmeno stata presa in considerazione.
Rispondendo alla dr. Pileci, purtroppo ho interrotto la terapia fondamentalmente per un motivo, non ne sentivo i benefici. Benché siano state le prime due sedute ad essere maggiormente "efficaci", perché mi hanno reso consapevole del problema, le successive non hanno funzionato molto, anzi ritengo ci sia stato in qualche modo un approccio poco corretto. Mi spiego (ovviamente è una osservazione da paziente): il terapeuta mi ha fatto fare dei test e ha fatto le sue analisi, il risultato è stato che, codipendenza a parte, non soffro di nessuna patologia o disturbo della personalità anzi, a suo dire, ho le due sfere, quella "mentale" e quella emotiva, ben sviluppate ed equilibrate. Sempre secondo la sua analisi, il mio problema di codipendenza è stato "favorito" da una mia predisposizione, che meritava un indagine perché riguardava un "qualcosa" accaduto nella mia infanzia che ha influenzato le mie relazioni affettive fino ad oggi. In ogni caso, le sedute non facevano altro che continuare a tenermi legato al problema, perché si continuava alla fine a parlare quasi esclusivamente del mio rapporto precedente, e il terapeuta interveniva solamente per "ricordarmi" quanto io sia capace di analizzare e interpretare correttamente la mia realtà, presente e passata e di esporla in modo completo ed accurato. Sinceramente, non sentivo che questo mi aiutasse in nessun modo e alla fine di ogni seduta invece che "scaricato" in qualche modo ne uscivo ancora più confuso.
Ad ogni modo, dopo il "disastro" che ho combinato la sera stessa dell'ultima seduta e la partenza della mia compagna, in qualche modo mi sono scrollato e dopo qualche giorno a tu per tu con me stesso, tutti i problemi, depressione, pensieri negativi etc. sono svaniti. All'inizio pensavo fosse una specie di autosuggestione, ma la cosa dura da due mesi ormai e anche parlarne non mi crea nessun problema.
Fin da subito ho cercato di rassicurare la mia compagna, assumendomi la responsabilità dell'accaduto e cercando di farle capire che lo stato mentale in cui versavo in quel periodo non mi permetteva di ragionare ed esprimermi come avrei voluto, il rapporto, seppur sia proseguito, ne ha subito un duro colpo.
La mia compagna infatti non riesce a superare quel momento in cui si è sentita "cacciata" da me e questo ha creato in lei una grave diffidenza nei miei confronti. Nonostante in questi due mesi io non le abbia dato motivo di sospettarlo, lei teme che io dia "di matto" di nuovo e non crede assolutamente che io possa essere guarito dalla codipendenza "da solo", soprattutto dopo aver abbandonato così presto la terapia.
Da qui la mia domanda, perché io ora mi sento davvero bene ed estraneo ad ogni condizionamento/conseguenza del rapporto precedente e non ho più avuto sintomi da dipendenza (nemmeno verso la mia attuale compagna). E' possibile che sia bastata una decisa presa di coscienza a farmi guarire oppure, come sostiene la mia compagna, semplicemente "me la sto raccontando" e dovrei continuare le sedute per essere sicuro di esserne fuori?
purtroppo il limite dei caratteri iniziali mi ha costretto a tralasciare alcuni particolari.
Rispondo al dr. Mori: è possibilisimo occuparsi di se stessi anche in una coppia, sono d'accordo con Lei (purchè non si abbia una relazione con un borderline, beninteso) e infatti il secondo suggerimento del suo collega riguardava un percorso da fare insieme alla mia partner. Il problema è che quando ho espresso il risultato della seduta alla mia compagna l'ho fatto in maniera poco chiara, spiegandomi malissimo. Infatti dopo che ho parlato dello "stare un po' con me stesso" lei lo ha inteso, appunto, come un mettere in stand-by la relazione (cosa che assolutamente non volevo, soprattutto per rispetto verso la mia compagna) ed è stata una conferma delle sue paure; quindi si è sentita come "allontanata" e in qualche modo ha avuto conferma di un suo sospetto riguardo un mio ancora presente coinvolgimento verso la mia ex. Purtroppo in quel momento avevo la testa satura di pensieri e confusione tale che non sono riuscito a sostenere decentemente la discussione e ho finito in sostanza per bloccarmi. Per cui la seconda ipotesi non è nemmeno stata presa in considerazione.
Rispondendo alla dr. Pileci, purtroppo ho interrotto la terapia fondamentalmente per un motivo, non ne sentivo i benefici. Benché siano state le prime due sedute ad essere maggiormente "efficaci", perché mi hanno reso consapevole del problema, le successive non hanno funzionato molto, anzi ritengo ci sia stato in qualche modo un approccio poco corretto. Mi spiego (ovviamente è una osservazione da paziente): il terapeuta mi ha fatto fare dei test e ha fatto le sue analisi, il risultato è stato che, codipendenza a parte, non soffro di nessuna patologia o disturbo della personalità anzi, a suo dire, ho le due sfere, quella "mentale" e quella emotiva, ben sviluppate ed equilibrate. Sempre secondo la sua analisi, il mio problema di codipendenza è stato "favorito" da una mia predisposizione, che meritava un indagine perché riguardava un "qualcosa" accaduto nella mia infanzia che ha influenzato le mie relazioni affettive fino ad oggi. In ogni caso, le sedute non facevano altro che continuare a tenermi legato al problema, perché si continuava alla fine a parlare quasi esclusivamente del mio rapporto precedente, e il terapeuta interveniva solamente per "ricordarmi" quanto io sia capace di analizzare e interpretare correttamente la mia realtà, presente e passata e di esporla in modo completo ed accurato. Sinceramente, non sentivo che questo mi aiutasse in nessun modo e alla fine di ogni seduta invece che "scaricato" in qualche modo ne uscivo ancora più confuso.
Ad ogni modo, dopo il "disastro" che ho combinato la sera stessa dell'ultima seduta e la partenza della mia compagna, in qualche modo mi sono scrollato e dopo qualche giorno a tu per tu con me stesso, tutti i problemi, depressione, pensieri negativi etc. sono svaniti. All'inizio pensavo fosse una specie di autosuggestione, ma la cosa dura da due mesi ormai e anche parlarne non mi crea nessun problema.
Fin da subito ho cercato di rassicurare la mia compagna, assumendomi la responsabilità dell'accaduto e cercando di farle capire che lo stato mentale in cui versavo in quel periodo non mi permetteva di ragionare ed esprimermi come avrei voluto, il rapporto, seppur sia proseguito, ne ha subito un duro colpo.
La mia compagna infatti non riesce a superare quel momento in cui si è sentita "cacciata" da me e questo ha creato in lei una grave diffidenza nei miei confronti. Nonostante in questi due mesi io non le abbia dato motivo di sospettarlo, lei teme che io dia "di matto" di nuovo e non crede assolutamente che io possa essere guarito dalla codipendenza "da solo", soprattutto dopo aver abbandonato così presto la terapia.
Da qui la mia domanda, perché io ora mi sento davvero bene ed estraneo ad ogni condizionamento/conseguenza del rapporto precedente e non ho più avuto sintomi da dipendenza (nemmeno verso la mia attuale compagna). E' possibile che sia bastata una decisa presa di coscienza a farmi guarire oppure, come sostiene la mia compagna, semplicemente "me la sto raccontando" e dovrei continuare le sedute per essere sicuro di esserne fuori?
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 7.9k visite dal 09/03/2014.
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