Psicoanalisi o cognitivo comportamentale
Buonasera,
ho 31 anni da circa 15 anni soffro, con diverse gradualità, di disturbi psicosomatici (ansia, panico, tachicardia, sensazione di un peso allo stomaco ecc..). Soffro altresì di disturbi ossessivi compulsivi (paura di non aver chiuso il gas o la porta di casa ecc..); inoltre un evento che percepisco come molto negativo, oltre a crearmi uno stato di preoccupazione o di afflizione che susciterebbe in chiunque, diventa per me una sorta di pensiero fisso che mi crea disagio e da cui non riesco a liberarmi.
Premesso in estrema sintesi le mie difficoltà, vorrei sapere quale delle due metodologie indicate sono da preferire per un caso come il mio.
Non sono un esperto della materia, ho provato a documentarmi su questi due approcci.
Il metodo psicanalitico mi sembrerebbe utile essendo i miei disagi molto risalenti nel tempo (almeno 15/20 anni), in quanto è una metodologia focalizzata sull'intero percorso di vita di una persona, sul conscio e l'inconscio, una sorta TAC sull'aspetto interiore di un individuo, anche se sembra essere meno scientifico rispetto al metodo cc e meno veloce circa i risultati.
Il metodo cognitivo comportamentale sembra avere un approccio più mirato alla problematica attuale, più focalizzato sul presente e volto ad una più rapida soluzione, anche se, almeno a me così è sembrato, non consente di scendere in profondità sulle cause dei problemi psicologici di una persona come nel caso della psicoanalisi. Non vorrei che rimuovesse solo i sintomi facendo rimanere sullo sfondo le cause.
Ho pensato altresì di iniziare con il metodo c.c. e dopo un aver ottenuto dei risultati soddisfacenti, nel medio/lungo termine, continuare con una terapia psicoanalitica per conoscere a fondo le radici dei mei problemi.
Vorrei un Vostro parere e consiglio.
Grazie
ho 31 anni da circa 15 anni soffro, con diverse gradualità, di disturbi psicosomatici (ansia, panico, tachicardia, sensazione di un peso allo stomaco ecc..). Soffro altresì di disturbi ossessivi compulsivi (paura di non aver chiuso il gas o la porta di casa ecc..); inoltre un evento che percepisco come molto negativo, oltre a crearmi uno stato di preoccupazione o di afflizione che susciterebbe in chiunque, diventa per me una sorta di pensiero fisso che mi crea disagio e da cui non riesco a liberarmi.
Premesso in estrema sintesi le mie difficoltà, vorrei sapere quale delle due metodologie indicate sono da preferire per un caso come il mio.
Non sono un esperto della materia, ho provato a documentarmi su questi due approcci.
Il metodo psicanalitico mi sembrerebbe utile essendo i miei disagi molto risalenti nel tempo (almeno 15/20 anni), in quanto è una metodologia focalizzata sull'intero percorso di vita di una persona, sul conscio e l'inconscio, una sorta TAC sull'aspetto interiore di un individuo, anche se sembra essere meno scientifico rispetto al metodo cc e meno veloce circa i risultati.
Il metodo cognitivo comportamentale sembra avere un approccio più mirato alla problematica attuale, più focalizzato sul presente e volto ad una più rapida soluzione, anche se, almeno a me così è sembrato, non consente di scendere in profondità sulle cause dei problemi psicologici di una persona come nel caso della psicoanalisi. Non vorrei che rimuovesse solo i sintomi facendo rimanere sullo sfondo le cause.
Ho pensato altresì di iniziare con il metodo c.c. e dopo un aver ottenuto dei risultati soddisfacenti, nel medio/lungo termine, continuare con una terapia psicoanalitica per conoscere a fondo le radici dei mei problemi.
Vorrei un Vostro parere e consiglio.
Grazie
[#1]
Gentile utente,
15anni sono davvero tanti.....
Come mai ha aspettato cpsì tanto tempo e si è deciso solo adesso?
Lei sta paragonando due orientamento totalmente differenti, per metodologia e tempistica....
La psicoanalisi obbliga a tempi molto più lunghi .
A mio avviso, dovrebbe anche valutare la possibilità di una terapia combinata:
Farmacoterapia e psicoterapia
15anni sono davvero tanti.....
Come mai ha aspettato cpsì tanto tempo e si è deciso solo adesso?
Lei sta paragonando due orientamento totalmente differenti, per metodologia e tempistica....
La psicoanalisi obbliga a tempi molto più lunghi .
A mio avviso, dovrebbe anche valutare la possibilità di una terapia combinata:
Farmacoterapia e psicoterapia
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
[#2]
Gentile Utente,
il quadro che lei riferisce include sintomi d'ansia e somatizzazioni e sarebbe stato decisamente meglio che se ne fosse occupato prima di accumulare così tanti anni di sofferenza.
In ogni caso può ovviamente intraprendere una psicoterapia anche adesso, tenendo però conto del fatto che un malessere così "datato" può richiedere un lavoro non breve qualunque approccio lei scelga:
http://www.serviziodipsicologia.it/quanto-dura-una-psicoterapia/
Penso che possa scegliere tranquillamente il tipo di terapia che preferisce: anche se circolano diversi falsi miti sull'argomento, le ricerche comparative fra diverse psicoterapie concludono che tutte le terapie sono valide e gli studi condotti in materia dimostrano la validità delle psicoterapie meno simili ai trattamenti di tipo medico e maggiormente modellate sul caso del singolo paziente, quali sono le terapie del gruppo psicodinamico/psicoanalitico.
Se ha voglia di leggere un articolo sull'argomento (in inglese) le segnalo questo:
https://www.apsa.org/portals/1/docs/news/JonathanShedlerStudy20100202.pdf
Le differenze fra TCC e psicoterapia psicodinamica non sono poche, perciò può scegliere quella che sente più vicina alla sua sensibilità e anche più rispondente al suo desiderio di comprendersi meglio e di capire perchè sta male.
Per quanto riguarda la psicoterapia psicodinamica posso dirle che si concentra sulle cause del malessere, sulla storia dell'individuo e sui contenuti dei quali non è consapevole (inconscio, significato dei sogni), sui meccanismi di difesa dall'angoscia che portano alla formazione del sintomo come malessere con un preciso significato individuale e relazionale.
E' assegnata grande importanza alla relazione fra paziente e psicoterapeuta (transfert) e al rapporto terapeutico come luogo nel quale il paziente rimette in atto conflitti e modalità relazionali disfunzionali e ha l'occasione di elaborarli e modificarli.
Se questo tipo di lavoro le sembra rispondente alle sue esigenze può scegliere la psicoterapia psicodinamica, considerando che è sempre possibile integrare questo approccio con altri interventi volti ad abbattere l'ansia quando questa è troppo acuta e agevolare così il lavoro sul "profondo".
Cordialmente,
il quadro che lei riferisce include sintomi d'ansia e somatizzazioni e sarebbe stato decisamente meglio che se ne fosse occupato prima di accumulare così tanti anni di sofferenza.
In ogni caso può ovviamente intraprendere una psicoterapia anche adesso, tenendo però conto del fatto che un malessere così "datato" può richiedere un lavoro non breve qualunque approccio lei scelga:
http://www.serviziodipsicologia.it/quanto-dura-una-psicoterapia/
Penso che possa scegliere tranquillamente il tipo di terapia che preferisce: anche se circolano diversi falsi miti sull'argomento, le ricerche comparative fra diverse psicoterapie concludono che tutte le terapie sono valide e gli studi condotti in materia dimostrano la validità delle psicoterapie meno simili ai trattamenti di tipo medico e maggiormente modellate sul caso del singolo paziente, quali sono le terapie del gruppo psicodinamico/psicoanalitico.
Se ha voglia di leggere un articolo sull'argomento (in inglese) le segnalo questo:
https://www.apsa.org/portals/1/docs/news/JonathanShedlerStudy20100202.pdf
Le differenze fra TCC e psicoterapia psicodinamica non sono poche, perciò può scegliere quella che sente più vicina alla sua sensibilità e anche più rispondente al suo desiderio di comprendersi meglio e di capire perchè sta male.
Per quanto riguarda la psicoterapia psicodinamica posso dirle che si concentra sulle cause del malessere, sulla storia dell'individuo e sui contenuti dei quali non è consapevole (inconscio, significato dei sogni), sui meccanismi di difesa dall'angoscia che portano alla formazione del sintomo come malessere con un preciso significato individuale e relazionale.
E' assegnata grande importanza alla relazione fra paziente e psicoterapeuta (transfert) e al rapporto terapeutico come luogo nel quale il paziente rimette in atto conflitti e modalità relazionali disfunzionali e ha l'occasione di elaborarli e modificarli.
Se questo tipo di lavoro le sembra rispondente alle sue esigenze può scegliere la psicoterapia psicodinamica, considerando che è sempre possibile integrare questo approccio con altri interventi volti ad abbattere l'ansia quando questa è troppo acuta e agevolare così il lavoro sul "profondo".
Cordialmente,
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#3]
Salve,
non è solo la metodica che deve essere tenuta in considerazione nella scelta di una terapia.
La psicoterapia, al di là dei tempi e delle tecniche, è prima di tutto relazione e la relazione deve nascere e consolidarsi tra due persone.
Alcuni modelli, come quelli psicodinamici, si dichiarano centrati sulla relazione più di altri, come gli strategici brevi o anche le cognitive comportamentali che sembrano meno focalizzate su questo aspetto; ma al di là delle posizioni e delle dichiarazioni teoriche, la relazione c'è sempre.
Se lei non riuscirà ad affidarsi totalmente al terapeuta, se non si sentirà compreso e sostenuto, se "a pelle" il feeling non nasce, se non si creerà quella che noi chiamiamo "alleanza terapeutica" la terapia non potrà mai andare bene, qualunque sia l'indirizzo.
Scelga la persona e lasci al clinico il compito di valutare le tecniche più adatte al suo caso. Ogni persona ed ogni malessere è un universo a parte, non c'è corrispondenza biunivoca tra disturbo e terapia.
non è solo la metodica che deve essere tenuta in considerazione nella scelta di una terapia.
La psicoterapia, al di là dei tempi e delle tecniche, è prima di tutto relazione e la relazione deve nascere e consolidarsi tra due persone.
Alcuni modelli, come quelli psicodinamici, si dichiarano centrati sulla relazione più di altri, come gli strategici brevi o anche le cognitive comportamentali che sembrano meno focalizzate su questo aspetto; ma al di là delle posizioni e delle dichiarazioni teoriche, la relazione c'è sempre.
Se lei non riuscirà ad affidarsi totalmente al terapeuta, se non si sentirà compreso e sostenuto, se "a pelle" il feeling non nasce, se non si creerà quella che noi chiamiamo "alleanza terapeutica" la terapia non potrà mai andare bene, qualunque sia l'indirizzo.
Scelga la persona e lasci al clinico il compito di valutare le tecniche più adatte al suo caso. Ogni persona ed ogni malessere è un universo a parte, non c'è corrispondenza biunivoca tra disturbo e terapia.
Dr.ssa Laura Termini
Psicologa - Psicoterapeuta
[#4]
"Il metodo cognitivo comportamentale....non consente di scendere in profondità sulle cause dei problemi psicologici di una persona... Non vorrei che rimuovesse solo i sintomi facendo rimanere sullo sfondo le cause..."
Gentile Utente,
questa è una credenza errata sulla Terapia cognitivo-comportamentale, in quanto la TCC permette al pz. di diventare consapevole del proprio modo di funzionare, anche se questo modo di funzionare è in prima battuta disfunzionale nel pz, altrimenti il pz. non verrebbe in terapia.
Inoltre permette operativamente di risolvere il problema, imparando nuove e più funzionali strategie sia cognitive, sia comportamentali.
Chiaramente, apprendendo queste strategie e soprattutto allenandosi a metterle in pratica, seguedo le indicazioni del terapeuta, è possibile modificare non solo il livello comportamentale, sia quello relativo alle credenze, all'immagine di sè, all'autoefficacia e alla padronanza sul problema. In altre parole il pz. sperimenta di poter fare ciò che prima non poteva nè riusciva a fare a causa del sintomo e della propria visione del problema.
Infatti il pz. ha tentato, quando arriva in terapia, a risolvere in qualche maniera il problema, ma le strategie che ha messo in atto nel tempo non solo non hanno funzionato perchè sono disfunzionali ma hanno anche in molti casi rafforzato il problema.
Quindi dal punto di vista della TCC ha senso prima spezzare questa sequenza disfunzionale e solo in seconda battuta, e se il pz. lo desidera ancora (cosa che, nella mia esperienza, non avviene quasi mai) occuparsi d'altro.
Nel caso dei disturbi d'ansia e ossessivi, la ragione per la quale in prima battuta NON si va alle cause risiede proprio nel fatto che la ricerca delle cause per l'ansioso fa parte del problema stesso, quindi si amplificherebbe soltanto il disagio.
In altre parole Lei stesso sostiene che "...un evento che percepisco come molto negativo, oltre a crearmi uno stato di preoccupazione o di afflizione che susciterebbe in chiunque, diventa per me una sorta di pensiero fisso che mi crea disagio e da cui non riesco a liberarmi...". Provi dunque ad immaginare come potrebbe essere amplificato tale sintomo se in terapia si cercassero le ragioni del Suo rimuginio!
Ad esempio, se un pz. si dice: "Temo di aver dimenticato la porta aperta. Se l'ho pensato è perchè dev'essere successo. Se è successo è perchè sono inaffidabile, se sono inaffidabile, potrei essere la causa di un furto a casa, e se sono inaffidabile e distratta, oltre a lasciare aperta la porta, potrei dimenticare anche il gas aperto e provocare la morte di diverse persone, ecc..."
Così facendo, il rimuginio si amplifica e non si spezza.
Spero di essere stata chiara.
Cordiali saluti,
Gentile Utente,
questa è una credenza errata sulla Terapia cognitivo-comportamentale, in quanto la TCC permette al pz. di diventare consapevole del proprio modo di funzionare, anche se questo modo di funzionare è in prima battuta disfunzionale nel pz, altrimenti il pz. non verrebbe in terapia.
Inoltre permette operativamente di risolvere il problema, imparando nuove e più funzionali strategie sia cognitive, sia comportamentali.
Chiaramente, apprendendo queste strategie e soprattutto allenandosi a metterle in pratica, seguedo le indicazioni del terapeuta, è possibile modificare non solo il livello comportamentale, sia quello relativo alle credenze, all'immagine di sè, all'autoefficacia e alla padronanza sul problema. In altre parole il pz. sperimenta di poter fare ciò che prima non poteva nè riusciva a fare a causa del sintomo e della propria visione del problema.
Infatti il pz. ha tentato, quando arriva in terapia, a risolvere in qualche maniera il problema, ma le strategie che ha messo in atto nel tempo non solo non hanno funzionato perchè sono disfunzionali ma hanno anche in molti casi rafforzato il problema.
Quindi dal punto di vista della TCC ha senso prima spezzare questa sequenza disfunzionale e solo in seconda battuta, e se il pz. lo desidera ancora (cosa che, nella mia esperienza, non avviene quasi mai) occuparsi d'altro.
Nel caso dei disturbi d'ansia e ossessivi, la ragione per la quale in prima battuta NON si va alle cause risiede proprio nel fatto che la ricerca delle cause per l'ansioso fa parte del problema stesso, quindi si amplificherebbe soltanto il disagio.
In altre parole Lei stesso sostiene che "...un evento che percepisco come molto negativo, oltre a crearmi uno stato di preoccupazione o di afflizione che susciterebbe in chiunque, diventa per me una sorta di pensiero fisso che mi crea disagio e da cui non riesco a liberarmi...". Provi dunque ad immaginare come potrebbe essere amplificato tale sintomo se in terapia si cercassero le ragioni del Suo rimuginio!
Ad esempio, se un pz. si dice: "Temo di aver dimenticato la porta aperta. Se l'ho pensato è perchè dev'essere successo. Se è successo è perchè sono inaffidabile, se sono inaffidabile, potrei essere la causa di un furto a casa, e se sono inaffidabile e distratta, oltre a lasciare aperta la porta, potrei dimenticare anche il gas aperto e provocare la morte di diverse persone, ecc..."
Così facendo, il rimuginio si amplifica e non si spezza.
Spero di essere stata chiara.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#5]
Gentile ragazzo, quindici anni sono davvero tanti e forse è giunto il momento di fare chiarezza con se stesso? Lei ha notato negli anni una comparsa dei sintomi, nel senso che ora appaiono disturbi ipocondriaci ora disturbi ossessivi, ora preoccupazioni eccessive legate a un evento esterno. Forse sono tutti presenti contemporaneamente. Ora vede, per noi terapeuti d’impostazione psicodinamica-psicoanalitica non è tanto il sintomo a essere rilevante, ma la funzione che esso ha nell'economia psichica. Ovvero, come la paura, l'ansia, l’angoscia o la depressione si trasformano, assumendo forme che possono essere nel tempo anche molto diverse. I sintomi possono essere vari e mutevoli negli anni, possono essere fluidi o "incistarsi" (cronicizzarsi) nella psiche. Il discorso che si sviluppa in terapia non è centrato sul sintomo, ma su ciò che lo costruisce. Nelle prime sedute la persona porta il suo carico di sofferenza ma, se la terapia funziona, il discorso passa ben presto su altri argomenti, quelli che il terapeuta osserva essere stati tenuti lontani dalla consapevolezza. A margine. Discorsi solo accennati, che magari si presentano solo nei sogni. Un lavoro meticoloso e "scientifico" perché rispetta ciò che la persona racconta e rende evidente ciò che succede nella relazione analitica: attraverso il transfert e il controtransfert (vedi) si ha modo di osservare, come in un laboratorio, lo stile relazionale della persona, le paure e i propri inganni inconsapevoli. Perciò, se la terapia funziona, il discorso ben presto si sposta: dal sintomo al rapporto prima col terapeuta e poi con il mondo.
Dr.ssa Mirella Caruso www.mirellacaruso.it
Milano: via A. Stradivari, 6.
Bologna: via Malvolta, 3.
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 17.3k visite dal 30/01/2014.
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