Sentirsi irrimediabilmente solo, ma non soffrire di solitudine
Buongiorno a tutti, arrivo al punto. Mia mamma mi raccontava che da piccolo piangevo in continuazione e che non c'era modo tranquillizzarmi, soltanto quando sono andato all'asilo nido questa cosa si è fermata, di botto aggiungerei. Addirittura lei aveva quasi paura a lasciarmi andare al nido per paura che stessi tutto il giorno a piangere(dato che in casa non mi poteva lasciare un attimo solo), invece con sua sorpresa (e di tutti i familiari) io stavo benissimo al nido e non piangevo mai. Poi a quanto pare ho ripianto spesso da bambino(ma diciamo mai "a caso", probabilmente dopo delle infantili delusioni) e ripetevo che "ero solo", mi "sentivo solo" e mia mamma era lì a dirmi che non ero solo ecc ecc, ma io continuavo.
Poi ci sono stati tanti anni in cui non ho più versato una lacrima, penso dalle medie fino ad oggi (terzo anno università, quindi 8-10 anni). Diciamo che in questo periodo sono stato male a volte (come è ovvio) per una cosa o per un'altra ma non ho mai pianto (eccetto che per questioni amorose), insomma non mi è mai riscattata la molla del pianto sfrenato(e senza senso agli occhi degli altri). Sono stato male "per la mia condizione", nel senso che ho riconosciuto il dolore "umano", la mancanza di un senso nella vita, e ho sperimentato la vera e propria distanza che separa anche due corpi uniti, ma ripeto, non ho mai pianto per questo. Poi ieri sera, forse per lo stress, forse per non lo so, sono scoppiato in lacrime e ho patito tanto di quel dolore che non mi ricordo l'ultima volta che avevo sofferto così tanto, ma non per colpa di qualcuno (amici/amori/ecc) o verso qualcuno, solo verso me stesso. Ma non era senso di colpa, non erano lacrime di lutto, era un pianto disperato per come vedo la mia condizione; mi sono sentito SOLO e ho visto che SOLO io sentivo questa cosa e che nessuno ho incontrato che condividesse con me questa visione (salvo qualche scrittore, a meno che io non abbia frainteso le sue parole). Ecco mi sono sentito solo ed incompreso e ho visto che da quando sono nato sono rimasto incompreso da tutti.
Vorrei però aggiungere una cosa, io non soffro la solitudine, io sto bene con me stesso, non cerco disperatamente relazioni o altro, mi piace anche stare da solo, anzi ne ho proprio bisogno a volte! Lo stare fisicamente da solo è una delle cose a cui non rinuncerei, perché mi riposo, mi rilasso, mi serve per fare un po' il punto della situazione della mia vita.
Io vorrei sapere perché ho pianto (e piango) tanto. Come detto questa sensazione ce l'ho da prima che mi ricordo. Vorrei capire, approfondire un po' la cosa, per cercare non tanto una soluzione, quanto della comprensione.
Vi ringrazio.
Poi ci sono stati tanti anni in cui non ho più versato una lacrima, penso dalle medie fino ad oggi (terzo anno università, quindi 8-10 anni). Diciamo che in questo periodo sono stato male a volte (come è ovvio) per una cosa o per un'altra ma non ho mai pianto (eccetto che per questioni amorose), insomma non mi è mai riscattata la molla del pianto sfrenato(e senza senso agli occhi degli altri). Sono stato male "per la mia condizione", nel senso che ho riconosciuto il dolore "umano", la mancanza di un senso nella vita, e ho sperimentato la vera e propria distanza che separa anche due corpi uniti, ma ripeto, non ho mai pianto per questo. Poi ieri sera, forse per lo stress, forse per non lo so, sono scoppiato in lacrime e ho patito tanto di quel dolore che non mi ricordo l'ultima volta che avevo sofferto così tanto, ma non per colpa di qualcuno (amici/amori/ecc) o verso qualcuno, solo verso me stesso. Ma non era senso di colpa, non erano lacrime di lutto, era un pianto disperato per come vedo la mia condizione; mi sono sentito SOLO e ho visto che SOLO io sentivo questa cosa e che nessuno ho incontrato che condividesse con me questa visione (salvo qualche scrittore, a meno che io non abbia frainteso le sue parole). Ecco mi sono sentito solo ed incompreso e ho visto che da quando sono nato sono rimasto incompreso da tutti.
Vorrei però aggiungere una cosa, io non soffro la solitudine, io sto bene con me stesso, non cerco disperatamente relazioni o altro, mi piace anche stare da solo, anzi ne ho proprio bisogno a volte! Lo stare fisicamente da solo è una delle cose a cui non rinuncerei, perché mi riposo, mi rilasso, mi serve per fare un po' il punto della situazione della mia vita.
Io vorrei sapere perché ho pianto (e piango) tanto. Come detto questa sensazione ce l'ho da prima che mi ricordo. Vorrei capire, approfondire un po' la cosa, per cercare non tanto una soluzione, quanto della comprensione.
Vi ringrazio.
[#1]
Il pianto e' una potente attivita' motoria.
Molti lo chiamano "uno sfogo", perché spesso o quasi sempre dopo un pianto disperato ci si sente molto meglio.
La sua esigenza di piangere fa pensare che alla base del suo disagio non ci sia una vera depressione quanto una condizione piu' bipolare.
Se puo' tollerare senza traumi una emotivita' di questo tipo sta a lei valutarlo. Altrimenti potrebbe chiedere un aiuto psicologico per comprendere meglio questa ambivalenza di emozioni in cui si trova talvolta a vivere.
Molti lo chiamano "uno sfogo", perché spesso o quasi sempre dopo un pianto disperato ci si sente molto meglio.
La sua esigenza di piangere fa pensare che alla base del suo disagio non ci sia una vera depressione quanto una condizione piu' bipolare.
Se puo' tollerare senza traumi una emotivita' di questo tipo sta a lei valutarlo. Altrimenti potrebbe chiedere un aiuto psicologico per comprendere meglio questa ambivalenza di emozioni in cui si trova talvolta a vivere.
Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132
[#2]
Gentile Utente,
secondo me bisognerebbe valutare bene quali sono in effetti i Suoi bisogni.
Molto lucidamente Lei dice di aver bisogno di stare da solo a volte, o la maggior parte delle volte. E questo ci sta, nel senso che può essere una Sua preferenza o un'abituadine per fare ciò che ha descritto (rilassarsi, pensare, ecc...).
Ma quando sta con gli altri come sta?
Che cosa Le serve?
Chiede a noi perchè ha pianto... Lei che risposta si dà?
E' Lei il maggior epserto di se stesso ma è importante talvolta fare luce su questi aspetti e capirsi.
Potrebbe anche trattarsi di una problematica legata ad uno stato ansioso.
Se da solo non riesce e questo La fa stare male, potrebbe chiedere una consulenza psicologica: compito dello psicologo è anche quello di aiutare il pz. a capire di più situazioni che sembrano o sono confuse.
Cordiali saluti,
secondo me bisognerebbe valutare bene quali sono in effetti i Suoi bisogni.
Molto lucidamente Lei dice di aver bisogno di stare da solo a volte, o la maggior parte delle volte. E questo ci sta, nel senso che può essere una Sua preferenza o un'abituadine per fare ciò che ha descritto (rilassarsi, pensare, ecc...).
Ma quando sta con gli altri come sta?
Che cosa Le serve?
Chiede a noi perchè ha pianto... Lei che risposta si dà?
E' Lei il maggior epserto di se stesso ma è importante talvolta fare luce su questi aspetti e capirsi.
Potrebbe anche trattarsi di una problematica legata ad uno stato ansioso.
Se da solo non riesce e questo La fa stare male, potrebbe chiedere una consulenza psicologica: compito dello psicologo è anche quello di aiutare il pz. a capire di più situazioni che sembrano o sono confuse.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#3]
Utente
Si buona sera, in realtà la mia domanda era più generica, non solo del motivo per cui piango, questo lo so, ma del perché io piango per quel motivo.
Il disagio che provo è una solitudine emotiva, rimarcata anche dal fatto che mio padre non riconosce la sua parte emotiva, è molto chiuso e non mi soddisfa su questo punto di vista, perché non riconosce nemmeno la mia (ma questo diciamo che me ne sono reso conto da meno di un anno e potrebbe essere solo la goccia che ha (ri)fatto traboccare il vaso non il fattore scatenante), perché fondamentalmente io sto male perché nessuno mi capisce.
Quando sto con gli altri sto bene (non con tutti ovviamente e non sempre), ma riconosco che la socialità ha un ruolo importante nella mia vita e quindi la coltivo più che volentieri. Il problema è che io vedo tutte le altre persone molto superficiali, poco "profonde" quanto lo sono io. E questo mi fa star male...perché?
Il disagio che provo è una solitudine emotiva, rimarcata anche dal fatto che mio padre non riconosce la sua parte emotiva, è molto chiuso e non mi soddisfa su questo punto di vista, perché non riconosce nemmeno la mia (ma questo diciamo che me ne sono reso conto da meno di un anno e potrebbe essere solo la goccia che ha (ri)fatto traboccare il vaso non il fattore scatenante), perché fondamentalmente io sto male perché nessuno mi capisce.
Quando sto con gli altri sto bene (non con tutti ovviamente e non sempre), ma riconosco che la socialità ha un ruolo importante nella mia vita e quindi la coltivo più che volentieri. Il problema è che io vedo tutte le altre persone molto superficiali, poco "profonde" quanto lo sono io. E questo mi fa star male...perché?
[#4]
Gentile Utente,
Nel tempo e negli anni, si impara a discriminare lo stare in compagnia(quando è soprattutto con chi) ed a beneficiare della propria solitudine.
Stare in gruppo o con altro da noi, necessita di grande stabilità psichica, altrimenti si corre il rischio di sentirsi invasi, di non godere appieno del possibile scambio, del piacere della compagnia e dell' arricchimento dato dalle diversità...
Se suo padre non riconosce la sua parte emotiva, la nega e non l' ascolta, è possibile che lei sia ambivalente nei confronti della sua e che preferisca se stesso e la solitudine agli altri....
Credo che uno psicologo potrebbe aiutarla a trasformare il pianto in dialogo....sano e funzionale con sè stesso e con gli altro
Nel tempo e negli anni, si impara a discriminare lo stare in compagnia(quando è soprattutto con chi) ed a beneficiare della propria solitudine.
Stare in gruppo o con altro da noi, necessita di grande stabilità psichica, altrimenti si corre il rischio di sentirsi invasi, di non godere appieno del possibile scambio, del piacere della compagnia e dell' arricchimento dato dalle diversità...
Se suo padre non riconosce la sua parte emotiva, la nega e non l' ascolta, è possibile che lei sia ambivalente nei confronti della sua e che preferisca se stesso e la solitudine agli altri....
Credo che uno psicologo potrebbe aiutarla a trasformare il pianto in dialogo....sano e funzionale con sè stesso e con gli altro
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
[#5]
Come mai pensa che gli altri sono persone "superficiali e poco profonde".. non è detto, forse sono persone riservate che danno una parte di sè.. sembra quasi che il modo chiuso con cui suo padre vive il mondo lei lo abbia assorbito almeno in parte e che questo sguardo chiuso porti con sè ai suoi occhi , un giudizio non molto positivo sull'altro da noi.. è sicuro di entrare davvero in contatto con chi le interessa, si può stare con gli amici e parlar di tutto , ma di niente in realtà..non c'è vero contatto.. Con i colleghi anch'io le consiglio di farsi aiutare, ma intanto, magari, rifletta sulla lettura che le ho dato..
MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 4.1k visite dal 23/01/2014.
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