Crisi esistenziale

Salve a tutti. Volevo esporre il mio problema sperando in qualche consiglio che possa aiutarmi nel cammino che sto cercando di intraprendere. Da circa due anni sono in una fase di crisi esistenziale, ho perso le certezze che avevo riguardo la vita e parallelamente ho perso me stesso. La causa sta nell'aver abbattuto credenze religiose che mi stavano troppo strette e che non mi soddisfacevano, per cui ho cercato le mie risposte riguardo il senso della vita e dell'esistenza. Ancora oggi non ho trovato qualcosa che mi consenta di dire che la vita sia bella, non riesco ad essere felice del fatto di essere vivo. In un mondo in cui le persone muoiono, a volte ingiustamente, in cui si perdono gli affetti piú cari, come posso pensare di essere felice? La mia paura di perdere le persone che amo mi impedisce di amarle e viverle appieno, perché vivendole appieno mi rendo conto ancor di piú di quanto mi mancheranno quando non ci saranno piú. Oltre questo credo di avere una identità debole, nel senso che mi capita di perdere di vista me stesso e di mettere davanti a me persone che amano la vita, che sono come vorrei essere: sicure di se stesse e forti, ma allo stesso tempo emotivamente coinvolti nella loro vita al punto di non aver paura di mostrarsi fragili e condividere le proprie debolezze con le persone piú vicine a loro. Sono per me un modello da seguire, ma allo stesso tempo la loro personalità mi schiaccia, per quanto non lo facciano apposta, anzi un mio amico stretto cerca di tirar fuori la mia forza spronandomi e standomi vicino quando ho bisogno. Ciò accade perché mi lascio troppo in balia degli eventi e delle cose, mi tolgo dal centro della mia vita e metto altro. Arrivo quindi a sentirmi perso, frustrato, mi odio e questo si ripercuote su chi mi sta attorno. Perché non amando me stesso per quello che sono, non voglio farmi amare dagli altri, credo di non meritarlo. Mi guardo dentro e mi faccio schifo, non so chi sono ne perché sono. Sto sprecando la mia vita, vita che non ho scelto ma che comunque ho e cerco di considerare come un dono. Non ho la forza di lottare a volte e cado nell'autocommiserazione, nell'odio verso me stesso e la vita. Non riesco a liberarmi, a vivere emotivamente al 100%, perché non comprendo la vita e ho paura di rendermi fragile e soffrire. Evidentemente sono un codardo e preferisco fuggire piuttosto che prendermi la responsabilità di me stesso. É facile perdersi, cercare rifugio in distrazioni temporanee, uscire di casa e fuggire dagli affetti piú grandi che ho. Certe volte non riesco a guardare in faccia i membri della mia famiglia, mi vergogno per quello che sono e non voglio che mi amino. Mi rendo conto che anche io morirò un giorno e ciò non mi spaventa perché sarà il momento in cui conoscerò la verità (qualora ce ne sia una). Quello che desidero é amare me stesso, la vita e viverla pienamente in tutti i suoi aspetti. Come posso riuscirci? Ringrazio quanti mi vorranno rispondere.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> In un mondo in cui le persone muoiono, a volte ingiustamente, in cui si perdono gli affetti piú cari, come posso pensare di essere felice?
>>>

La sua domanda è più che lecita. È la domanda che filosofi di ogni tempo si sono fatti, da sempre.

Solo che non ha una risposta razionale.

La ragione all'esistenza è qualcosa che ciascuno di noi deve fornire, come può, con i propri mezzi. Se si ha una credenza religiosa la risposta è già pronta. Diversamente, o se si è persa la fede, occorre inventarsi qualche altra cosa. Ognuno di noi lo deve fare, pena la depressione e la perdita del senso della vita, che diventa insensata. Si vedono ingiustizie e incongruenze ovunque.

La seconda parte della sua domanda è connessa alla prima, nel senso che di solito chi si pone tale quesito esistenziale è esattamente il genere di persone che si sente debole e impotente di fronte al mondo.

Risolvendo questa debolezza, si può far cessare anche il dubbio esistenziale che ne consegue.

>>> anche io morirò un giorno e ciò non mi spaventa perché sarà il momento in cui conoscerò la verità
>>>

Se posso permettermi un suggerimento, che sia abbia fede o meno, non vale la pena aspettare di morire per conoscere "la verità". Sempre ammesso che ci sia una verità da conoscere. E sempre ammesso che morire significhi andare verso qualcosa di migliore, di più alto, di più "vero". Cosa tutta da dimostrare, ma ovviamente indimostrabile.

Qualcuno ha detto che si inizia a vivere davvero quando si smette di chiedersi "perché" e si comincia a chiedersi "come".

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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Utente
Utente
La ringrazio per la risposta. Sono d'accordo sul fatto che non vale la pena aspettare di morire per conoscere la verità: che si viva serenamente e pienamente oppure male e nell'angoscia, la morte arriva comunque quindi tanto vale aver vissuto. Sto cercando di cambiare mentalità ed aprirmi a nuovi punti di vista sulla vita. Oggettivamente e razionalmente bene e male, vita e morte, gioia e dolore sono inseparabili perché senza l'uno non esisterebbe l'altro. Quindi pretendere che esista solo l'amore o solo la vita é un desiderio fallace. Cosí come mi rendo conto che non posso trattenere per sempre le persone che amo, poiché la morte é nella nostra natura di esseri viventi. Un piccolo barlume di speranza l'ho trovato nel fatto che la vita é negazione della non-esistenza, mi spiego: l'esistenza poteva benissimo non essersi mai generata o essere creata, invece c'é. É proprio perché esistiamo che soffriamo e gioiamo. E tutto quello che ho lo dovrei considerare come un dono, perché niente mi spetta di diritto e niente mi appartiene. Semplicemente mi sono trovato catapultato in questa vita, che ha le caratteristiche che conosciamo. La logica vorrebbe dunque che vivessi questa possibilità che mi é stata data, per quanto non la comprenda. Ma forse é vivendo la vita che la si può conoscere.
Nonostante queste affermazioni che mi dovrebbero far optare per il "si, voglio vivere" continuo a porre resistenza. Forse perché troppo ancorato a rigidi schemi mentali e visioni distorte, forse perché il cambiamento é doloroso e sono fuggito per troppo tempo. Tirarsi su e ristabilirsi, curarsi ed amarsi, accettarsi e vivere mi riesce difficile. Eppure ho solo questa vita... É davvero cosí importante e predominante la paura di soffrire? Mi chiedo: può far arrivare a tanto?
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
La sensazione di essere stati "gettati nel mondo" è proprio quella descritta da alcuni filosofi. Ma non si tratta tanto di paura di soffrire. È piuttosto una posizione infantile, il desiderio che qualcuno ci accudisca, ci protegga e si prenda cura di noi - dopo averne constatato la mancanza, perché è evidente che i nostri genitori non possono più farlo, da un certo momento in poi - a farci disperare. Unito magari a una certa disposizione temperamentale in senso malinconico.

Occorre allora crescere e imparare a bastare di più a se stessi, perseguendo in proprio ciò di cui abbiamo bisogno.


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Utente
Utente
Effettivamente mi capita di sentirmi un bambino a volte. Sento la mancanza della vita spensierata dell'infanzia, vissuta in una campana di vetro, perché fortunatamente non é mai successo nulla di brutto. Eppure prima o poi avrei avuto questa presa di coscienza e avrei sbattuto la faccia contro la realtà. Mi sembra di essermi svegliato, come se fino ad ora avessi dormito e vissuto inconsapevolmente. E ho compreso che questa realtà non mi piace molto. Spero di riuscire a cambiare idea e di imparare ad amare la vita (e me stesso conseguentemente, in modo tale da non "perdermi" piú). Credo sia il modus vivendi piú adeguato. Ha dei consigli in proposito? Grazie mille
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> Spero di riuscire a cambiare idea e di imparare ad amare la vita (e me stesso conseguentemente
>>>

No, è proprio il contrario. Prima si impara a voler bene a se stessi, poi al resto del mondo. Chi non sa stare bene in mezzo agli altri è perché non sa stare bene prima di tutto con se stesso.

Non ci sono consigli che funzionino per aiutare a crescere, a distanza.

Se sente che la sua situazione è limitante dovrebbe rivolgersi a uno psicologo di persona. Per un intervento non necessariamente lungo e dispendioso, ma perché solo di persona l'aiuto psicologico può esprimersi appieno.
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Utente
Utente
La ringrazio. Parlerò col mio medico di base e vedrò di rivolgermi a qualche psicologo nelle vicinanze, sperando non venga a costare troppo. Cordiali saluti e felice anno nuovo!
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372