Rapportarsi con un depresso
Buongiorno a tutti.
Come da titolo, avrei bisogno di sapere quale approccio utilizzare (in determinate situazioni) con una persona che soffre di depressione. Vi spiego il caso.
La persona di cui sto parlando è un mio parente (mio cugino) di anni 33.
Nel 2008 circa, in occasione delle feste natalizie, io e mio cugino abbiamo avuto modo di scoprire di avere tantissime passioni in comune, e, da quel momento in poi, è come se noi fossimo diventati quasi migliori amici.
Dal 2008 ad oggi il nostro rapporto non è mai cambiato, ci vediamo regolarmente e facciamo sempre attività insieme.
Già dalle prime uscite, mio cugino, con disinvoltura, mi ha parlato del suo problema (probabilmente perchè ha notato sin da subito in me una grande capacità di ascolto):
"Sai, io soffro di depressione da quando ho 26 anni. Vado dal medico una volta ogni 3 settimane, prendo gli antidepressivi, non dormo di notte ecc".
Una volta saputa questa cosa (che non mi ha mai dato problemi), il rapporto con mio cugino è sempre stato, diciamo così, autoreferenziale: da anni, quando lo vedo, parla solo di sè, della sua visione del mondo, della famiglia e del lavoro, lamentandosi SEMPRE (SEMPRE!) su ogni cosa. Odia praticamente tutti ed è arrivato addirittura a dire (questo lo ha detto PER ANNI) che la causa della sua depressione è legata a sua madre che non gli dava da mangiare, e che, nella sua vita, non ha mai (MAI!) letto un singolo fumetto nonostante lui sia, dall’eta di 16 anni, un appassionato ed un collezionista di fumetti (con tanto di libreria, in casa, colma di 4000 fumetti).
Perennemente, lui cerca (ed ha sempre cercato) la causa della sua depressione negli altri, trovando sempre qualcuno da odiare e da criticare aspramente.
Solo io e pochi altri, fortunatamente, non sono stato considerato dal punto di vista della colpa: anzi, so che lui nutre in me una profonda stima, e per lui, anche se mai lo ammetterà, sono un grande punto di riferimento in tante cose (questa cosa mi è stata detta da sua madre: “Matteo, diglielo tu, almeno so che ti ascolta…”).
Quello che però vorrei chiedervi è come gestire alcune situazioni di “litigio” con lui.
In un rapporto di grande confidenza ritengo che sia perfettamente normale avere qualche bisticcio. Fa parte, appunto, di un rapporto aperto e disponibile in cui non vi sono imbarazzi nel dire quello non ci piace. Ci sono stati momenti in cui abbiamo litigato (io, lo ammetto, ho un carattere forte, non sto mai zitto quando qualcosa non va) ma il litigio finiva SEMPRE nel giro di 20 secondi con una sua frase del tipo: “dopo questa siamo congedati dal frequentarci”. Oppure: “se non ti va bene come vivo vai altrove, non frequentarmi”. O ancora: “io vivo così, prendere o lasciare”.
Più volte, “ha deciso di chiudere il rapporto” via SMS.
Dopo queste frasi ripetute ogni volta che si bisticciava io reagivo sempre rispondendogli a tono perché ci rimanevo male.
“Perché devo essere trattato così da te dopo tutto il tempo passato insieme ad ascoltarti e ad aiutarti? Perché mi minacci sempre di chiudere il rapporto quando bisticciamo? Si vede che non ti frega proprio nulla”. Molti di voi, mi diranno sicuramente che sbaglio.
Sul web, in merito alla depressione, leggo questo:
“La prima cosa che parenti e amici devono comprendere è che la depressione è una malattia della volontà, che annulla la volontà. Se si farà proprio questo concetto, si eviteranno anche frustrazioni e scoraggiamenti o, al contrario, di sentirsi irritati per il fatto che ogni sollecitazione, ogni intervento con una persona depressa sembra cadere nel vuoto: tutto resta - o pesantemente ritorna - come prima.
E’ inutile stare a discutere sui singoli punti delle visione pessimistica del depresso,
Non lo si convincerà mai del contrario qualunque argomentazione gli si proponga.”
Queste considerazioni sono sicuramente giuste ed utili da sapere ma quello che mi domando è questo: io dovrei SEMPRE giustificare OGNI suo comportamento considerando sempre la sua malattia? Mi sembra proprio di notare che lui la usi come alibi per giustificare ogni cosa che dice ed ogni cosa che fa, per non parlare del fatto che si è letteralmente costruito una vera e propria identità attraverso la sua depressione.
Quindi che fare? Per come la vedo io, considerare perennemente la sua situazione psicologica (e quindi a giustificarlo in tutto) sarebbe come consideralo un diverso al quale si riserva un trattamento “particolare” solo per lui.
In attesa dei vostri consigli colgo l’occasione, come sempre, per ringraziarvi tanto
Come da titolo, avrei bisogno di sapere quale approccio utilizzare (in determinate situazioni) con una persona che soffre di depressione. Vi spiego il caso.
La persona di cui sto parlando è un mio parente (mio cugino) di anni 33.
Nel 2008 circa, in occasione delle feste natalizie, io e mio cugino abbiamo avuto modo di scoprire di avere tantissime passioni in comune, e, da quel momento in poi, è come se noi fossimo diventati quasi migliori amici.
Dal 2008 ad oggi il nostro rapporto non è mai cambiato, ci vediamo regolarmente e facciamo sempre attività insieme.
Già dalle prime uscite, mio cugino, con disinvoltura, mi ha parlato del suo problema (probabilmente perchè ha notato sin da subito in me una grande capacità di ascolto):
"Sai, io soffro di depressione da quando ho 26 anni. Vado dal medico una volta ogni 3 settimane, prendo gli antidepressivi, non dormo di notte ecc".
Una volta saputa questa cosa (che non mi ha mai dato problemi), il rapporto con mio cugino è sempre stato, diciamo così, autoreferenziale: da anni, quando lo vedo, parla solo di sè, della sua visione del mondo, della famiglia e del lavoro, lamentandosi SEMPRE (SEMPRE!) su ogni cosa. Odia praticamente tutti ed è arrivato addirittura a dire (questo lo ha detto PER ANNI) che la causa della sua depressione è legata a sua madre che non gli dava da mangiare, e che, nella sua vita, non ha mai (MAI!) letto un singolo fumetto nonostante lui sia, dall’eta di 16 anni, un appassionato ed un collezionista di fumetti (con tanto di libreria, in casa, colma di 4000 fumetti).
Perennemente, lui cerca (ed ha sempre cercato) la causa della sua depressione negli altri, trovando sempre qualcuno da odiare e da criticare aspramente.
Solo io e pochi altri, fortunatamente, non sono stato considerato dal punto di vista della colpa: anzi, so che lui nutre in me una profonda stima, e per lui, anche se mai lo ammetterà, sono un grande punto di riferimento in tante cose (questa cosa mi è stata detta da sua madre: “Matteo, diglielo tu, almeno so che ti ascolta…”).
Quello che però vorrei chiedervi è come gestire alcune situazioni di “litigio” con lui.
In un rapporto di grande confidenza ritengo che sia perfettamente normale avere qualche bisticcio. Fa parte, appunto, di un rapporto aperto e disponibile in cui non vi sono imbarazzi nel dire quello non ci piace. Ci sono stati momenti in cui abbiamo litigato (io, lo ammetto, ho un carattere forte, non sto mai zitto quando qualcosa non va) ma il litigio finiva SEMPRE nel giro di 20 secondi con una sua frase del tipo: “dopo questa siamo congedati dal frequentarci”. Oppure: “se non ti va bene come vivo vai altrove, non frequentarmi”. O ancora: “io vivo così, prendere o lasciare”.
Più volte, “ha deciso di chiudere il rapporto” via SMS.
Dopo queste frasi ripetute ogni volta che si bisticciava io reagivo sempre rispondendogli a tono perché ci rimanevo male.
“Perché devo essere trattato così da te dopo tutto il tempo passato insieme ad ascoltarti e ad aiutarti? Perché mi minacci sempre di chiudere il rapporto quando bisticciamo? Si vede che non ti frega proprio nulla”. Molti di voi, mi diranno sicuramente che sbaglio.
Sul web, in merito alla depressione, leggo questo:
“La prima cosa che parenti e amici devono comprendere è che la depressione è una malattia della volontà, che annulla la volontà. Se si farà proprio questo concetto, si eviteranno anche frustrazioni e scoraggiamenti o, al contrario, di sentirsi irritati per il fatto che ogni sollecitazione, ogni intervento con una persona depressa sembra cadere nel vuoto: tutto resta - o pesantemente ritorna - come prima.
E’ inutile stare a discutere sui singoli punti delle visione pessimistica del depresso,
Non lo si convincerà mai del contrario qualunque argomentazione gli si proponga.”
Queste considerazioni sono sicuramente giuste ed utili da sapere ma quello che mi domando è questo: io dovrei SEMPRE giustificare OGNI suo comportamento considerando sempre la sua malattia? Mi sembra proprio di notare che lui la usi come alibi per giustificare ogni cosa che dice ed ogni cosa che fa, per non parlare del fatto che si è letteralmente costruito una vera e propria identità attraverso la sua depressione.
Quindi che fare? Per come la vedo io, considerare perennemente la sua situazione psicologica (e quindi a giustificarlo in tutto) sarebbe come consideralo un diverso al quale si riserva un trattamento “particolare” solo per lui.
In attesa dei vostri consigli colgo l’occasione, come sempre, per ringraziarvi tanto
[#1]
Caro Utente,
sa da chi è seguito suo cugino?
Le ha detto di preciso quale diagnosi ha ricevuto?
Forse il suo problema non è tanto o non è solo un Disturbo dell'Umore, viste le modalità relazionali che ci sta descrivendo e l'utilizzo del suo disagio come strumento di ricatto e di manipolazione di chi gli sta accanto.
Chiaramente se lei sta al gioco non fa che permettergli di perpetuare le dinamiche che ha descritto, senza alcuna utilità per lui nè alcuna soddisfazione per Lei che ci scrive e che sta arrivando a non sopportarlo più.
Se suo cugino si limita ad assumere degli antidepressivi non si sta curando al meglio, e una cosa che può fare per lui è consigliargli la psicoterapia: ha evidentemente molto bisogno di parlare, se monopolizza i discorsi quando siete assieme, e lavorare sul suo problema con uno psicoogo gli sarebbe di sicuro aiuto e potrebbe anzi essere risolutivo.
Se infatti assume antidepressivi da parecchio tempo e la situazione è sempre la stessa si può pensare che li assuma inutilmente (o che assuma un farmaco inadatto a lui, visto che non migliora) e che la soluzione debba essere un'altra.
In ogni caso qui trova qualche dritta generale sulla gestione del rapporto con una persona depressa:
http://www.serviziodipsicologia.it/cosa-non-dire-a-un-depresso/
sa da chi è seguito suo cugino?
Le ha detto di preciso quale diagnosi ha ricevuto?
Forse il suo problema non è tanto o non è solo un Disturbo dell'Umore, viste le modalità relazionali che ci sta descrivendo e l'utilizzo del suo disagio come strumento di ricatto e di manipolazione di chi gli sta accanto.
Chiaramente se lei sta al gioco non fa che permettergli di perpetuare le dinamiche che ha descritto, senza alcuna utilità per lui nè alcuna soddisfazione per Lei che ci scrive e che sta arrivando a non sopportarlo più.
Se suo cugino si limita ad assumere degli antidepressivi non si sta curando al meglio, e una cosa che può fare per lui è consigliargli la psicoterapia: ha evidentemente molto bisogno di parlare, se monopolizza i discorsi quando siete assieme, e lavorare sul suo problema con uno psicoogo gli sarebbe di sicuro aiuto e potrebbe anzi essere risolutivo.
Se infatti assume antidepressivi da parecchio tempo e la situazione è sempre la stessa si può pensare che li assuma inutilmente (o che assuma un farmaco inadatto a lui, visto che non migliora) e che la soluzione debba essere un'altra.
In ogni caso qui trova qualche dritta generale sulla gestione del rapporto con una persona depressa:
http://www.serviziodipsicologia.it/cosa-non-dire-a-un-depresso/
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#2]
Utente
La ringrazio. Per quanto riguarda il suo problema non saprei dirle esattamente la diagnosi che ha ricevuto. So che da sei anni è in cura da uno psichiatra di brescia di cui non so il nome ed è da un pò che non ci va. Lui mi dice che quando va là parla un'oretta, lo psichiatra lo ascolta e gli dà i farmaci. Stop. Da come la vedo, la seduta dal medico è diventata solo un dare i farmaci e via. Tra l'altro so anche che ultimamente prende alla leggera il discorso farmaci, non li assume regolarmente come dovrebbe.
Quando lei scrive: "Chiaramente se lei sta al gioco non fa che permettergli di perpetuare le dinamiche che ha descritto, senza alcuna utilità per lui nè alcuna soddisfazione per Lei" non posso far altro che dirle che sono d'accordo con lei. Solo che poi mi chiedo: servirà? faccio bene? Appena provo a dirgli qualcosa inizia ad agitarsi, a sudare, alza la voce e si mette rapidamente sulla difensiva, e per trovare la calma bisogna sempre che io dica "tranquillo dai basta, lasciamo stare".
Cos'è che subentra quando succedono queste cose? Il suo carattere? La malattia? So che è una domanda difficile...intanto grazie mille
Quando lei scrive: "Chiaramente se lei sta al gioco non fa che permettergli di perpetuare le dinamiche che ha descritto, senza alcuna utilità per lui nè alcuna soddisfazione per Lei" non posso far altro che dirle che sono d'accordo con lei. Solo che poi mi chiedo: servirà? faccio bene? Appena provo a dirgli qualcosa inizia ad agitarsi, a sudare, alza la voce e si mette rapidamente sulla difensiva, e per trovare la calma bisogna sempre che io dica "tranquillo dai basta, lasciamo stare".
Cos'è che subentra quando succedono queste cose? Il suo carattere? La malattia? So che è una domanda difficile...intanto grazie mille
[#3]
Il lavoro dello psichiatra è essenzialmente quello di prescrivere cure farmacologiche, come qualunque altro medico, ma suo cugino ha probabilmente bisogno di un lavoro psicologico che il suo psichiatra ovviamente non effettua.
Come pensa che possa prendere il consiglio di effettuare una psicoterapia, alla luce del fatto che dopo 6 anni di farmaci la situazione è ancora questa?
Riguardo alle reazioni che ha, non so dirle se dipendano dal fatto che la sta manipolando/ricattando o da un disturbo psicologico.
Conoscere la diagnosi è essenziale per determinarlo.
La famiglia come si rapporta con lui?
Sono tutti "compiacenti" e cercano di non turbarlo? Lo aiutano o lo ignorano?
Quale vantaggio sta ottenendo dal fatto di non stare bene? Cosa può evitare con questo "alibi"?
Come pensa che possa prendere il consiglio di effettuare una psicoterapia, alla luce del fatto che dopo 6 anni di farmaci la situazione è ancora questa?
Riguardo alle reazioni che ha, non so dirle se dipendano dal fatto che la sta manipolando/ricattando o da un disturbo psicologico.
Conoscere la diagnosi è essenziale per determinarlo.
La famiglia come si rapporta con lui?
Sono tutti "compiacenti" e cercano di non turbarlo? Lo aiutano o lo ignorano?
Quale vantaggio sta ottenendo dal fatto di non stare bene? Cosa può evitare con questo "alibi"?
[#4]
Utente
Probabilmente potrebbe accettare il fatto di iniziare un percorso con uno psicologo, forse sarebbe una soluazione. Per quanto riguarda ciò che lei scrive ("che la sta manipolando/ricattando o da un disturbo psicologico") ci terrei a sottolineare che il mio atteggiamento quando litighiamo non è proprio legato ad un ricatto o ad una manipolazione, semplicemente io non posso aprire la bocca perchè altrimenti lui va fuori di testa ed io, di conseguenza, mi arrabbio. La famiglia con lui si rapporta in maniera, diciamo così, particolare. Sua madre (mia zia) è parecchio provata per questa situazione e tenta in ogni modo di evitare ogni discussione con lui perchè sa di avere a che fare con una persona estrema in tutto. Lo asseconda un pò in tutto, soprattutto nel cibo che è un fissazione di mio cugino ("mia mamma non mi dava da mangiare..."). Ovviamente, la famiglia cerca sempre di aiutarlo. Il vantaggio che lui ottiene dal fatto di non stare bene credo che sia legato alla possibilità di sviare qualsiasi tipo di discussione e di comportarsi un pò come vuole dando sempre la colpa alla sua malattia. E comunque ha ragione: sei anni dallo psichiatra e di cambiamenti ne ho visti pochi. Cosa dovrei fare secondo lei? Purtroppo non credo di essere in grado di dirle esattamente il nome del problema di mio cugino. Grazie mille
[#5]
"io non posso aprire la bocca perchè altrimenti lui va fuori di testa"
Quindi lui ottiene che lei si trattenga perchè se tocca quell'argomento va fuori di testa.
Questo a me sembra un ricatto: finchè lei è disposto ad ascoltarlo e supportarlo senza "interferire" suo cugino lo accetta, ma non accetta che lei si esprima.
Anche sua zia è nella stessa situazione:
"Sua madre (mia zia) è parecchio provata per questa situazione e tenta in ogni modo di evitare ogni discussione con lui"
e lo è complessivamente tutta la famiglia:
"Il vantaggio che lui ottiene dal fatto di non stare bene credo che sia legato alla possibilità di sviare qualsiasi tipo di discussione e di comportarsi un pò come vuole".
Questo mi fa pensare che non sia propriamente o solo depresso: il depresso si sente in colpa, non vuole disturbare, si chiude in sè stesso e pensa di rovinare la vita a chi gli sta vicino.
La posizione tirannica che suo cugino ha assunto fa pensare che possa soffrire di un disturbo di personalità, con umore depresso in conseguenza a questa patologia e non provocato dalla depressione.
In ogni caso, sia perchè lei non conosce la diagnosi (posto che sia stata correttamente formulata), sia perchè io senza incontrarlo non posso pronunciarmi, ciò che conta è cosa può fare per suo cugino in questo momento.
Secondo me suggerirgli la psicoterapia è la strada migliore per essergli utile: gli faccia presente che lo vede stare male da anni e che il tipo di terapia che sta effettuando non le sembra di grande aiuto, ma che provare un'altra strada potrebbe invece esserlo in maniera decisiva.
Quindi lui ottiene che lei si trattenga perchè se tocca quell'argomento va fuori di testa.
Questo a me sembra un ricatto: finchè lei è disposto ad ascoltarlo e supportarlo senza "interferire" suo cugino lo accetta, ma non accetta che lei si esprima.
Anche sua zia è nella stessa situazione:
"Sua madre (mia zia) è parecchio provata per questa situazione e tenta in ogni modo di evitare ogni discussione con lui"
e lo è complessivamente tutta la famiglia:
"Il vantaggio che lui ottiene dal fatto di non stare bene credo che sia legato alla possibilità di sviare qualsiasi tipo di discussione e di comportarsi un pò come vuole".
Questo mi fa pensare che non sia propriamente o solo depresso: il depresso si sente in colpa, non vuole disturbare, si chiude in sè stesso e pensa di rovinare la vita a chi gli sta vicino.
La posizione tirannica che suo cugino ha assunto fa pensare che possa soffrire di un disturbo di personalità, con umore depresso in conseguenza a questa patologia e non provocato dalla depressione.
In ogni caso, sia perchè lei non conosce la diagnosi (posto che sia stata correttamente formulata), sia perchè io senza incontrarlo non posso pronunciarmi, ciò che conta è cosa può fare per suo cugino in questo momento.
Secondo me suggerirgli la psicoterapia è la strada migliore per essergli utile: gli faccia presente che lo vede stare male da anni e che il tipo di terapia che sta effettuando non le sembra di grande aiuto, ma che provare un'altra strada potrebbe invece esserlo in maniera decisiva.
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 7.1k visite dal 04/12/2013.
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