La mia inevitabile non-felicità.

Sono non-felice. Quasi sempre. “Non felice”, non “infelice”. La causa? La mia intelligenza della realtà. Dico della realtà perché non mi riferisco al QI, ma alla capacità di analizzare situazioni e trarre conclusioni. Difficile spiegare in pochi caratteri cosa vado dicendo ma tenterò.

La mia ragione mi ha privato della mia umanità, quella viscerale associabile alla follia. Le persone sguazzano nell'irrazionalità (come anch'io ho fatto), ma il mio intelletto mi impedisce di farlo. La mia personalità è maturata: le mie esperienze, in particolare l’esperienza suprema della follia umana, cioè l’amore (andato obv male), mi hanno forgiato così.
Ho compreso che sconfinare nella follia è disastroso. Come solo una grande mente sa fare, ho applicato “concretamente” alla mia vita, la soluzione ottimale al problema: restare ancorato alla ragione. La follia ti travolge, ti rende debole e ottuso. Ho preso atto che è inutile tentare di controllare la follia, ergo ho spostato le priorità della mia vita da: amore, amicizia, sogni (in generale tutto ciò sul quale il mio controllo è limitato o nullo) al controllabile, cioè lavoro, musica, hobby ecc.. (soprattutto ciò che riguarda “me stesso”). Virgoletto perché implicitamente affermo di avere su me stesso il pieno controllo; ed è così. Ma è proprio quello il problema. La mia più grande forza e la mia più grande debolezza.

Io SO, che per provare la felicità estrema devo sconfinare nella follia, ma come si può coscientemente essere folli? La conseguenza è che tutti mi sembrano alieni, come nel mito della caverna di Platone, io sono il filosofo che, liberatosi dalle catene, vede la “verità”. Inizialmente euforico per la scoperta, ho dovuto riconoscere, con il tempo, che mi ha estraniato dal mondo; il mondo (e anch'io un tempo) definisce la follia: normalità. Tutti vivono con allegra inconsapevolezza le loro incontrollabili manie. Li comprendo perché ci sono passato, ma ormai provo quasi pietà per loro. Nello stesso tempo invidio la loro inconsapevolezza.

Non credo esistano vie d’uscita. Personalmente vedo solo 2 possibili soluzioni: 1) mentire a me stesso e agli altri per tentare di essere normale. 2) Sopportare il peso della mia intelligenza e continuare per la mia strada.

La seconda è l’unica praticabile, anche se sarà con ogni probabilità una strada solitaria e che mai mi renderà felice e completo al 100%, privato per sempre di quella parte di follia che mi governa (e che sento dentro me, ma che MAI potrà prendere il controllo).
Credo che la maggior parte di chi si trova in situazioni similari, scelga (consciamente o inconsciamente) di percorrere la prima strada. Si riaddormentano; offuscano la loro ragione e si fanno governare dalla follia. Perché è più facile; perché è più bello; perché li fa vivere meglio. Magari qualcuno all'inizio prova la seconda via ma poi molla perché non ha abbastanza carattere. Io non sono così debole, ma vivere così non è facile, per stress, solitudine, angoscia dell’inevitabile.
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Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Gentile Utente,
La sua richiesta non è molto chiara, da un lato sembra quasi compiaciuto della sua intelligenza superiore alla media, ma dall' altro questo suo tratto, che lei chiama addirittura follia, sembra causarle solitudine ed angoscia.
Il termine follia è sempre molto abusato nel lessico comune e deve essere analizzato da un clinico formato per farlo.
Le suggerisco di rivolgersi ad un nostro Collega per la disamina della sua condizione e soprattutto per la comprensione dei possibili " vantaggi secondari" della sua condizione di presunta follia.

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

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Dr. Francesco Mori Psicoterapeuta, Psicologo 1.2k 33
Gentile utente,
concordo con quanto scrive la mia collega, dr.ssa Randone.
Sembra molto compiaciuto della sua posizione di filosofo che ha compreso il mondo.
Rispetto ad una visione della vita come lei ha si potrebbe aprire il dibattito.
Allo stesso tempo mi viene da pensare che la sua sia la strada più "facile".
Talvolta ci confondiamo e chiamiamo coraggio ciò che invece è paura.
Forse teme il confronto con gli altri?
A me non viene in mente il mito di Platone ma la favola di Esopo "La volpe e l'uva"...
Infatti ciò che tradisce la sua filosofia è proprio la domanda che pone, in psicologia, e la sofferenza che prova.

Restiamo in ascolto

Dr. Francesco Mori
Psicologo, Psicodiagnosta, Psicoterapeuta
http://spazioinascolto.altervista.org/

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Utente
Utente
Dr.ssa Randone cerco di spiegarmi meglio. Per me non esiste l'assolutamente giusto o sbagliato, morale o immorale, folle o normale. Sono parole che cambiano significato a seconda del contesto o senso comune. Solitudine e angoscia (ma forse è un termine improprio, è più una sensazione di frustrazione) li ritengo parte di quel "peso" da sopportare per il fatto di avere elevate capacità di ragionamento. Come posso non essere compiaciuto da ciò?

Ma Dr. Mori vivere così, restare coerenti con la ragione, è dura per un uomo. Facile è lasciarsi travolgere. Questa difficoltà la avverto e talvolta mi opprime. Pur vivendo bene da solo e distaccato da persone o situazioni, come essere umano, quindi abitato dalla follia (per follia intendo ciò che non è razionale: passioni, desideri, sogni, illusioni), una parte di me si sente alienata, perché si rende conto, appunto, della difficoltà di comunicare/empatizzare con persone (quasi tutte) che vivono governate dalla follia.

Siccome il mondo non si cambia, posso solo operare su me stesso per migliorare. Più lo faccio, più mi rendo conto che non posso senza sconfinare nell'irrazionale. Cosa accade? Che a un certo momento "desidero"; nel preciso istante in cui accade, prendo coscienza che si tratta di un sentimento irrazionale da sopprimere.