Rapporti sociali
Ho cercato di capire il perchè di questa mia difficoltà, che inizialmente pensavo fosse una naturale forma di timidezza o di riservatezza sopraggiunta con il passare degli anni. In realtà riflettendo meglio ho capito che il mio disagio nasce dalla paure di essere sottovalutato, rifiutato, ferito, emarginato o anche maltrattato da chi ho di fronte.
Ho cercato allora di scavare nel mio passato per capire se qualche situazione traumatica mi potesse avere portato ad indossare i panni del timido, dato che per lungo tempo sono stato (o forse sono ancora) estroverso, dinamico, autonomo e per nulla gregario.
Mi sono ritornati alla mente alcuni episodi (due o tre) di bullismo (verbale e fisico) che ho subito durante l'adolescenza, probabilmente causati del mio volere essere al centro dell'attenzione, senza adeguarmi a modelli di gruppo condivisi. Ricordo ancora con sofferenza la vergogna provata di fronte agli altri nell'essere oggetto di atti che mi avevano fatto sentire profondamente inferiore o incapace di reagire (e quindi sottomesso). Mi sono poi anche ricordato di alcuni episodi di emarginazione vissuti sempre da adolescente, come per esempio l'esclusione da un gioco di gruppo o l'invito mancato ad una festa.
Ammetto che non ho la fisionomia del tipo "figo" o "leader" (cosa che non mi ha mai molto intessato avere), ma so di non avere caratteristiche oggettive che potrebbere di per sé essere prese di mira da altri. Penso per di avere in qualche modo pagato il mio voler essere controcorrente, il mio disinteresse verso una presunta logica del gruppo.
Così, crescendo, mi sono via via chiuso in me stesso, cercando altre forme per esprimere la mia indipendenza e originalità, senza dovermi necessariamente esporre o imporre al mondo. Ora però quando mi rapporto agli altri avverto sempre il timore di non poter ottenere l'approvazione di chi ho di fronte e quindi assumo spesso un atteggiamento molto chiuso, nascosto e sfuggente. Solo con pochissime persone mi sono trovato veramente a mio agio, sentendomi libero di comportarmi come credevo, senza avere paura di essere giudicato male o peggio emarginato.
Vorrei potermi sentire più sicuro e disinibito nei rapporti sociali, smettere il mio abito da timido (che non mi appartiene) e poter essere me stesso senza la paura che questo potrebbe comportare per me conseguenze dolorose sul piano sociale.
potremmo prendere in considerazione le esperienze del passato, dalle quali tutti noi impariamo e cresciamo, ma l'aspetto cruciale della Sua richiesta mi pare sia ben espresso qui: "il mio disagio nasce dalla paure di essere sottovalutato, rifiutato, ferito, emarginato o anche maltrattato da chi ho di fronte..."
Oggi Lei va in giro nei rapporti sociali con questa credenza su se stesso, sugli altri, ecc... ed è questa convinzione che potrebbe modificare, magari con l'aiuto di uno psicologo psicoterapeuta.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
mi sembra che lei abbia fatto una buona analisi della sua situazione e che sia consapevole dei vari aspetti che la compongono.
E' possibile che il suo disagio attuale derivi da quegli episodi che, anche se sono trascorsi diversi anni, l'hanno evidentemente segnata profondamente perché si sono conclusi tutti con la sua esclusione e la trasmissione di un messaggio di diversità e inadeguatezza rivoltole da parte dei suoi coetanei.
Per quanto lei affermi di esser orgoglioso della sua originalità, infatti, questa è molto più agevolmente coltivabile quando si è usciti dall'adolescenza: in quel periodo il gruppo e l'approvazione dei pari contano moltissimo anche per chi apparentemente li sminuisce o afferma di non curarsene, e l'esclusione è fonte di grande sofferenza che può portare gradualmente a chiudersi, ritenendo che possano arrivare altri rifiuti e che sia quindi necessario difendersi da questa eventualità.
La spinta alla ricerca di approvazione che lei ancora sente dentro di sé deriva forse dal non averla ricevuta anni fa dai suoi coetanei, ma anche anni prima dalla sua famiglia: in tal caso la sua autostima ne avrebbe sofferto, portandola a cercare nell'ambito sociale (esterno alla famiglia) quell'ammirazione e quel riconoscimento che non ha conseguito durante la crescita.
Cosa ci può dire del rapporto con i suoi genitori?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
poichè dice che esistono al mondo con le quali si sente a Suo agio, forse dovrebbe partire proprio dalle caratteristiche di queste persone rispetto a quelle che la fanno sentire a disagio.
Dovrebbe anche portare la Sua attenzione a quello che dicono le persone quando parla con loro, senza concentrarsi sulle Sue idee, o per lo meno verificare se queste hanno un qualche fondamento.
Ma soprattutto mettersi l'anima in pace: alcune persone ci svaluteranno, altre avranno bisogno di sentirsi superiori... insomma, è impossibile ottenere l'approvazione di tutti.
Ma Lei perchè necessita dell'approvazione di quelle persone con le quali si sente a disagio?
Dr. Fernando Bellizzi
Albo Psicologi Lazio matr. 10492
le allego un articolo che potrà esserLe utile:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1087-le-abilita-sociali.html
Ancora cordiali saluti,
Lo scavo che ha autonomamente fatto del suo passato relativamente ad alcuni episodi e' un punto importante da cui partire per dare significato alla sua difficoltà attuale. Il senso di vergogna e di umiliazione da lei provato, la difficoltà a condividere con gli altri, la mancata accettazione da parte del gruppo e la sua tendenza a chiudersi, tutto questo ha quasi certamente contribuito a rafforzare in lei il timore in situazioni gruppali. Oltre a questo, comunque, sarebbe importante capire come mai lei abbia reagito isolandosi invece di sfidare, oppure migliorare le abilità comunicative ecc. Voglio dire, cioè, che gli eventi sono importanti ma ancora più importante e' come questi eventi vengono letti ed interpretati. Nel suo caso, credo rilevante approfondire questo suo problema nel confronto con uno psicologo, a maggior ragione tenendo conto delle sue difficoltà relazionali con persone poco familiari.
Cordialmente
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa. Psicoterapeuta. Analista Transazionale
Vorrei poter aggiungere ancora qualcosa, soprattutto alla luce dell'intervento della dr.ssa Massaro, che ha tracciato una traiettoria che va dal mio presente a questi episodi di isolamento/umiliazione della mia adolescenza fino ai rapporti con la mia famiglia.
Innanzittutto preciso che ho avuto ottimi genitori che però, ripensando con sguardo da adulto, non solo non hanno contribuito a far sì che io potessi crearmi un senso di autostima, ma hanno minato le basi della mia sicurezza, mettendo continuamente in discussione i risultati che nel mio piccolo raggiungevo e che erano sempre lontani da un modello di perfezione che sentivo e sento difficile da raggiungere.
Cito per esempio un episodio che ho ancora molto ben chiaro nella mia mente. Alle scuole elementari, terminato l'anno scolastico, porto la mia ottima pagella a mio padre, aspettandomi la sua approvazione e la manifestazione della sua stima. Mio padre però, frustrando le mie aspettative, risponde "si può fare di più".
Crescendo, i rapporti con gli altri (docenti, compagni di scuola, amici) sono sempre stati improntati alla ricerca di approvazione e stima. Anche nei rapporti amorosi, riusciva a conquistare il mio cuore chi mi manifestava grande approvazione e stima. Era, e forse ancora è, come se io cercassi di fondare la mia autostima su qualcosa al di fuori di me.
Ora che sono un po' più cresciuto, sento di avere maturato una maggiore stima di me stesso, grazie soprattutto a conferme esterne, a importanti riconoscimenti sociali. Ma tutto questo non basta. Mi porto dietro sempre quel "si può fare di più" che a volte diventa "gli altri fanno di più" o anche "tu sei sempre meno".
Nei rapporti sociali ho imparato a destreggiarmi, ma porto sempre dentro quella paura di essere sottovalutato o poco considerato perchè forse dentro di me sento che quello che ho è sempre poco o non è ancora abbastanza. Mi capita quindi, quando sono a contatto con gli altri, di sentirmi male a volte, sudare, essere evasivo nelle conversazioni.
L'analisi dei miei vissuti che io ho appena fatto come può aiutarmi a dare forza alla mia stima e a superare questi disagi fisici che purtroppo spesso limitano la mia vita sociale e professionale?
Non esistono solo compiti e doveri ma anche vissuti emotivi che semplicemente possono essere condivisi, forse i disagi fisici che ora ha, le stanno comunicando proprio questo: fermati !
Cordialmente Dr.ssa Silvia Rotondi
www.silviarotondi.it
338-26 72 692
Forse se mettesse un po' in crisi l'idea che i suoi genitori siano stati addirittura "ottimi", quando hanno mancato in uno dei loro compiti fondamentali (dare fiducia e sostenere il figlio riconoscendone sforzi e meriti), inizierebbe anche a pensare che la sfiducia e la svalutazione che le hanno trasmesso sono inondate e ingiuste.
Come si dice: non l'avranno fatto apposta, ma l'hanno fatto sul serio.
Lei quindi ora è libero di prendere le distanze e di criticarli perché le hanno causato un problema non da poco.
Da quella originaria mancanza di stima si è poi generato questo meccanismo:
"Crescendo, i rapporti con gli altri (docenti, compagni di scuola, amici) sono sempre stati improntati alla ricerca di approvazione e stima. Anche nei rapporti amorosi, riusciva a conquistare il mio cuore chi mi manifestava grande approvazione e stima."
che è in atto ancora oggi.
Quest'analisi è importante, ma non sufficiente, a consentirle di risolvere il problema: per questo è necessario un lavoro psicologico da effettuare con un professionista che la aiuti a (ri)costruire una buona autostima e un rapporto più paritario con gli altri.
Viste le tematiche delle quali abbiamo parlato, che investono la sua storia personale e i rapporti familiari, le consiglio una psicoterapia di orientamento psicodinamico, che assegna grande importanza alla relazione terapeutica come strumento di cambiamento.
Questo tipo di psicoterapia si configura come "esperienza emozionale correttiva" che consente di sperimentare e correggere nella relazione terapeutica i fallimenti delle reazioni primarie e le difficoltà di rapporto con gli altri.
Per alcune problematiche la risposta è NO.
Essere consapevoli di avere un problema e di funzionare in una determinata maniera è solo il primo step e comunque non è sufficiente; bisogna sperimentarsi in un certo modo, modificando operativamente e in maniera graduale, guidati dallo psicoterapeuta, tutto ciò che oggi impedisce di vivere una vita senza le problematiche descritte.
Per questa ragione Le avevo già suggerito la lettura dell'articolo https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1087-le-abilita-sociali.html
Certamente Lei avrà imparato da qualche parte e in qualche maniera ad essere così e a comportarsi come si comporta, ma la priorità -in problematiche del genere e secondo il modello cognitivo-comportamentale- è quella di CAMBIARE ciò che deve essere cambiato, fissando obiettivi da raggiungere sotto il profilo strettamente operativo.
Cordiali saluti,
<<Può davvero la sola parola mia e dello specialista "salvarmi" e "cambiarmi"?>>
per alcuni orientamenti la risposta è SI.
La domanda, tuttavia, è mal posta; infatti il luogo comune secondo cui si vada dallo psicoterapeuta per fare "quattro chiacchiere" è una falsa credenza.
Lo psicoterapeuta, in modo differente a seconda della sua formazione, utilizza la parola come strumento per "proporre" il cambiamento.
Condivido quanto suggerito dalla collega, dr.ssa Massaro, secondo cui la psicoterapia si configura come esperienza emozionale correttiva.
In questo senso, è fondamentale che si instauri con il terapeuta un feeling empatico che consenta di consolidare un'alleanza terapeutica efficace.
Tutte le psicoterapie sono efficaci; la scelta del modello è assolutamente individuale perchè non tutti i pazienti sono adatti a tutte le psicoterapie così come non tutti i terapeuti sono adatti a tutti i pazienti.
Il mio consiglio è quello di provare a bussare a più porte. Potrebbe apparire una perdita di tempo; tuttavia è una scelta importante che deve tener conto della sua individualità e della sua unicità.
Un caro saluto
Dr. Roberto Callina - Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Specialista in psicoterapia dinamica - Milano
www.robertocallina.com
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Approfondimento su Bullismo
Il bullismo comprende una serie di comportamenti violenti intenzionali di tipo fisico o verbale ripetuti nel tempo nei confronti di una determinata persona. Si può manifestare anche in modo virtuale online e sui social network (cyberbullismo).