Disturbi dell'alimentazione perenni
Salve, sono una ragazza di 18. Spiego subito il titolo del mio messaggio: con l'aggettivo "perenni" voglio intendere che, nonostante la mia giovane età, ho affrontato diverse fasi di questo mio disturbo, in svariate situazioni e con altrettanto numerosi controlli medici di vario tipo.(psicologo, omeopata, gastroenterologo..)
Sono più di due anni che l' argomento "alimentazione" mi perseguita, nel bene e nel male (più nel male, oserei dire). Cercherò di fare un quadro generale della mia vita negli ultimi anni.
Con il termine della pubertà (16 anni), nella quale ho vissuto la separazione dei miei (10 anni), sono iniziati i miei disagi alimentari, passando inizialmente per una fase di ortoressia di qualche mese (in cui sono diventata vegetariana. sì, probabilmente per qualche perversione psicologica), per poi sfociare in anoressia e infine in alimentazione incontrollata e abbuffate conseguenti ad un approccio estremamente rigido verso il cibo.
Con l'aiuto dello psicologo (terapia di due anni da poco terminata per mia volontà) e di mia madre alla quale ho chiesto aiuto quando ho perso definitivamente il controllo, sono riuscita a comprendere che fino a quando non avrei smesso di torturarmi con pensieri ossessivi e diete masochiste, non avrei mai risolto il problema.
Bene, dopo un viaggio quest'estate nel quale ho riacquistato molta fiducia in me stessa e accantonato molte di quelle abitudini, ora sembrerebbe tutto normale: mangio tutto senza privarmi di nulla, esco con gli amici a pranzo, mangio di nuovo con la famiglia a tavola seguendo gli orari dei pasti, ho ripreso a fare regolarmente attività fisica, la scuola non mi sta sottoponendo ancora a nessun grande stress e, soprattutto, mi è tornata la voglia di prendermi cura di me stessa e del mio corpo (fino a qualche mese fa mi mascheravo con vestiti larghi o mi chiudevo in casa dalla vergogna).
Eppure il cibo rappresenta tutt'ora un amico-nemico del quale non posso fare a meno. Visto che, come ho detto, ho imparato a non privarmi di nulla, in parecchi momenti della giornata mi capita di bramare il cibo in maniera incontrollata, anche se non avverto il bisogno fisiologico di mangiare. Prima era un nemico, ma ora è un amico subdolo, un'amicizia ossessiva e della quale mi sento schiava. Continuo a parlarne con mia madre ma lei giustamente inizia a innervosirsi non capendo più se davvero c'è un problema alla base o se è solo un mezzo per giustificare il mio non fare nulla, il mio umore irritabile o depresso, la mia irrequietezza e voglia di evadere, le mie insicurezze.
La mia domanda è: visto che quasi sicuramente il bisogno di cibo è legato a un bisogno d'affetto mancato nell'infanzia, è possibile che io superi il disagio senza dover fare affidamento sui miei genitori che ormai quei vuoti non possono più colmarli? Oppure mi porterò sempre dietro la sensazione di "rifiuto" e quindi il bisogno di ricercare "affetto" masticando e mandando giù? Vorrei poter vivere la mia adolescenza come tutti.
Grazie
Lei ha già passato e superato un periodo molto problematico e a un'età delicata per cui ipotizzo che sia in grado di utilizzare quegli strumenti terapeutici acquisiti per fronteggiare ulteriori momenti critici. Volevo chiederle, tuttavia, come mai ha interrotto il suo percorso terapeutico. E' evidente che questo le e' stato di molto aiuto, se ora lei, oggi, sta vivendo un periodo positivo nel complesso, pur con qualche 'rigurgito', per parlare metaforicamente, non del tutto digerito, e forse non ancora elaborato. La problematica del comportamento alimentare e' seria e spesso accompagna la persona che ne soffre per molto tempo, incidendo soprattutto, a lungo termine, sulle relazioni affettive. Lei ha amici, una relazione con un ragazzo?
Un cordiale saluto
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa. Psicoterapeuta. Analista Transazionale
concordo con le preziose indicazioni della dott.ssa Scolamacchia.
I problemi alimentari possono essere particolarmente resistenti. La sua sembra una modalità che adotta per richiedere l'attenzione dei genitori in particolare di sua madre. Adesso che si sta incamminando verso la strada dell'adultità è fondamentale che trovi in altri luoghi relazionali quelle attenzioni di cui tutti noi necessitiamo.
Il mondo dei giovani adulti è complesso e talvolta può apparire minaccioso, tuttavia credo che lei sia riuscita ad affrontare con forza battaglie importanti, riequilibrando una situazione che poteva essere "pericolosa".
Bene! Non le resta che continuare con lo stesso coraggio.
Restiamo in ascolto
Dr. Francesco Mori
Psicologo, Psicodiagnosta, Psicoterapeuta
http://spazioinascolto.altervista.org/
le consiglio questa lettura
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/1121-cibo-e-ossessione-quando-la-malattia-sta-nella-dieta.html
saluti
Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks
innanzitutto vi ringrazio per la vostra disponibilità e professionalità.
Dtt.ssa Scolamacchia, ho deciso di interrompere il percorso, temporaneamente, a seguito di un evento piuttosto duro: una mia cara amica (l'unica con cui ho sempre condiviso il mio disturbo) è stata ricoverata per infezioni dovute all'anoressia. Lei mi ha raccontato che la psicologa da cui andava aveva dato una vera e propria forma alla sua cosiddetta malattia, etichettandola come "ragazza bulimica". La bulimia è presto diventata il suo scudo di battaglia, fino a quando non è stata sconfitta e si è ritrovata in ospedale. Ho riflettuto molto e ho pensato che lo stesso procedimento avveniva su di me: il giorno dell'incontro con lo psicologo facevo riafforare, rafforzandoli, tutti quei problemi o non-problemi nascosti e, parlandone con lui, prendevano una forma sempre più marcata, senza che poi sparissero ovviamente. So bene che bisogna affrontarli in questo modo, ma credo che questo non sia il momento giusto per scontrarmi di nuovo così prepotentemente con tutti quei fantasmi. Per tutto l'anno scorso l'ho fatto, vivevo sempre una condizione di confusione, non sapevo più di chi fidarmi, a chi appoggiarmi, ero quasi sempre "depressa", andavo malissimo a scuola. Le abbuffate avvenivano quasi tutti i giorni. Le relazioni affettive, prima dell'estate, erano poco più che pari a zero.Ora sono più aperta in generale ma il ragazzo è da anni che non ce l'ho, allontano tutti in modo ossessivo dopo 2 o 3 incontri e mi punto solo su quelli irraggiungibili(molto grandi, sempre in viaggio,..) A questo punto si potrebbe dire che mi manca la figura maschile del padre, oppure quella di mia madre che ha sempre indossato le vesti di mio padre. Ma ultimamente mi sono riavvicinata molto ad entrambi, li guardo con occhi diversi e più maturi, non soffro più se mi allontanano. o almeno, è una rabbia diversa che viene subito compensata dalla voglia di autonomia. Sono una ragazza molto indipendente.
Eppure cos'è questa "richiesta di attenzioni dei miei genitori" di cui parla lei, Dr. Mori? Come si supera? Perchè il cibo deve avere la priorità su tutto, perfino sugli affetti? (ad esempio, molte volte "preferisco" stare a casa a mangiare piuttosto che uscire con un ragazzo o un amica).
Ho pensato anch'io che ho bisogno di stabilire nuovi rapporti in cui ci sia scambio di attenzioni e affetto. Ma mi è impossibile. Non perchè abbia difficoltà a relazionarmi, ma perchè, in seguito,ho serie difficoltà ad amare e farmi amare.
è possibile che allontanandomi da casa per un lungo periodo, io riesca finalmente a risolvere i miei problemi? non sarà che la troppa vicinanza con la mia famiglia continui a crearmi grandi confusioni?
e da cosa dipende questo attaccamento per il cibo? perchè alcune ragazze con problemi familiari non hanno disturbi alimentari? è colpa dell'educazione dei miei genitori e delle loro abitudini durante la mia infanzia?
Spero che siate disponibili a rispondere anche a queste domande, intanto vi ringrazio molto.
Rispetto alle colpe che lei attribuisce alla famiglia, io parlerei di co-responsabilità nell'avere creato un ambiente non favorevole alla crescita psicologica e, ad ogni modo, adesso lei è' grande per decidere di cambiare la sua situazione, indipendentemente dagli altri.
Che ne pensa?
Mi sapete dire qualcosa a riguardo? Non saprei a chi altro rivolgermi. grazie
Mi dispiace moltissimo che lei si trovi in un periodo così negativo ma spero che lo psicologo le sia di aiuto e se non lo fosse, si rivolga a qualcun altro. Come si svolgono le sedute? Che rapporto ha lei con il suo psicologo? Come vorrebbe essere aiutata? Le consiglio di esplicitare chiaramente a lui quello che si aspetta dalla terapia e di manifestare il suo grande malessere compresi i suoi pensieri di morte, non per allarmare, come dice lei, ma per far comprendere quanto profondo e' il suo male interiore. Gli dica anche della sua intenzione di assumere psicofarmaci. Quello che le posso dire e' che non deve temere di deludere nessuno, capisco il disagio di sua madre ma quello che sta provando lei in questo momento e' molto più grande. Accetti di se stessa che, adesso, lei sta seriamente male per dei motivi che certamente hanno un significato e anche un senso e continui a lasciare aperta la porta alla speranza. Questi momenti terribili non sono eterni, passano, li veda in questa prospettiva, ma nel frattempo se con lo psicologo non ha potuto stabilire un rapporto sufficientemente empatico, cerchi un'altra persona. Nella sua zona, anche su questo sito, può trovare persone preparate ma soprattutto in grado di relazionarsi con lei empaticamente e con vera partecipazione affettiva. Se le fa bene restare in contatto con noi, siamo disponibili all'ascolto anche se la comunicazione on line ha dei limiti piuttosto ovvi.
Un saluto affettuoso
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