Abbuffate compulsive
Gentili dottori,
La mia storia è come tante. All'età di 12 anni mi ammalo di anoressia nervosa, due anni dopo vengo ricoverata in un reparto NPI e dimessa poco tempo dopo quando grazie all'alimentazione forzata avevo ripreso qualche chilo, sarebbe bello che il peso - un dato così oggettivo e facilmente manipolabile - fosse un reale indicatore di salute/malattia. Invece non lo è. E si vive fuori, ma si muore dentro, anche con 50 kg addosso.
Ricominciai a mangiare fuori da un ospedale, uno dei tanti, in macchina con mia madre, alla quale si illuminarono gli occhi quando mi vide addentare un pezzo di pane. Non ricordo il mio stato d'animo di quel momento, come d'altronde non ricordo anni della mia vita, sommersi nel buio, dal pensiero del cibo, che è pian piano diventato tutto. E non smisi più di mangiare con quella voracità e maledirmi poco dopo averlo fatto.
E' come se alzassi il piede dal pedale del freno quando la macchina è sul ciglio di una discesa senza fine. Vacilla qualche secondo e poi precipita. E così faccio io: inizio ad ingurgitare cibo senza misura, senza sentire alcun gusto, senza accorgermi di cosa mischio, senza mai sentirmi piena. Smetto quando non ci sta più niente, e, come se fossi anestetizzata, non posso far altro che chiudere gli occhi e dormire. Il cibo cancella i dolori, le sensazioni, la solitudine, i vuoti, la rabbia, la noia, i ricordi, i doveri. Non senti più nè freddo nè caldo, le voci diventano rumori lontani, gli occhi vedono sagome e ombre, la mente finalmente si spegne.
Non so quanto duri, dipende. Ma quando l'effetto gradualmente svanisce, vorrei morire. Mi odio. Sto male. Sono grassa. Ho le dita gonfie, gli occhi pure. Come le mattine dopo le ubriacature, quando vorresti buttar fuori tutto lo schifo che ti senti dentro. Ma non vomito. I medici sembrano soddisfatti nel dirmi che non si tratta di "bulimia nervosa", senza pratiche compensatorie. L'inutilità delle etichette.
E non sono pratiche compensatorie i giorni interi in cui introduco nel mio corpo due bicchieri d'acqua, o in cui muoio al 20esimo km di corsa sotto il sole di mezzogiorno. No!
Non ce la faccio più. Non ho bisogno di qualcuno che mi dica che posso guarire. Ho bisogno di sapere come.
La mia storia è come tante. All'età di 12 anni mi ammalo di anoressia nervosa, due anni dopo vengo ricoverata in un reparto NPI e dimessa poco tempo dopo quando grazie all'alimentazione forzata avevo ripreso qualche chilo, sarebbe bello che il peso - un dato così oggettivo e facilmente manipolabile - fosse un reale indicatore di salute/malattia. Invece non lo è. E si vive fuori, ma si muore dentro, anche con 50 kg addosso.
Ricominciai a mangiare fuori da un ospedale, uno dei tanti, in macchina con mia madre, alla quale si illuminarono gli occhi quando mi vide addentare un pezzo di pane. Non ricordo il mio stato d'animo di quel momento, come d'altronde non ricordo anni della mia vita, sommersi nel buio, dal pensiero del cibo, che è pian piano diventato tutto. E non smisi più di mangiare con quella voracità e maledirmi poco dopo averlo fatto.
E' come se alzassi il piede dal pedale del freno quando la macchina è sul ciglio di una discesa senza fine. Vacilla qualche secondo e poi precipita. E così faccio io: inizio ad ingurgitare cibo senza misura, senza sentire alcun gusto, senza accorgermi di cosa mischio, senza mai sentirmi piena. Smetto quando non ci sta più niente, e, come se fossi anestetizzata, non posso far altro che chiudere gli occhi e dormire. Il cibo cancella i dolori, le sensazioni, la solitudine, i vuoti, la rabbia, la noia, i ricordi, i doveri. Non senti più nè freddo nè caldo, le voci diventano rumori lontani, gli occhi vedono sagome e ombre, la mente finalmente si spegne.
Non so quanto duri, dipende. Ma quando l'effetto gradualmente svanisce, vorrei morire. Mi odio. Sto male. Sono grassa. Ho le dita gonfie, gli occhi pure. Come le mattine dopo le ubriacature, quando vorresti buttar fuori tutto lo schifo che ti senti dentro. Ma non vomito. I medici sembrano soddisfatti nel dirmi che non si tratta di "bulimia nervosa", senza pratiche compensatorie. L'inutilità delle etichette.
E non sono pratiche compensatorie i giorni interi in cui introduco nel mio corpo due bicchieri d'acqua, o in cui muoio al 20esimo km di corsa sotto il sole di mezzogiorno. No!
Non ce la faccio più. Non ho bisogno di qualcuno che mi dica che posso guarire. Ho bisogno di sapere come.
[#1]
Psicologo
Gentile Utente,
innanzitutto è necessario individuare le cause che La spingono ad adottare i comportamenti che descrive.
Queste cause vanno comprese nel loro significato per poter essere ridimensionate e poi superate.
Credo sia opportuno consultare uno/a psicologo/a che tratta i disturbi alimentari.
Guarire è possibilissimo; sarà determinante un certo impegno da parte Sua.
innanzitutto è necessario individuare le cause che La spingono ad adottare i comportamenti che descrive.
Queste cause vanno comprese nel loro significato per poter essere ridimensionate e poi superate.
Credo sia opportuno consultare uno/a psicologo/a che tratta i disturbi alimentari.
Guarire è possibilissimo; sarà determinante un certo impegno da parte Sua.
[#2]
Cara Utente,
alla sua domanda non è possibile dare una risposta perché un problema psicologico, di qualunque tipo, necessita di un lavoro protratto nel tempo per trovare soluzione.
E' attualmente in cura per il disturbo alimentare di cui soffre?
Se sì, di che tipo di cura si tratta? Assume farmaci e/o sta effettuando una psicoterapia?
Comprendo il suo stato d'animo disperato, se è alle prese con questo problema da più di metà della sua esistenza, e il motivo per il quale si riempie di cibo è moto simile a quello che spinge a consumare droghe:
" Il cibo cancella i dolori, le sensazioni, la solitudine, i vuoti, la rabbia, la noia, i ricordi, i doveri"
Il suo obiettivo è "spegnere la mente", ma ci sono altre strade, più sane, per riuscirci.
Si è chiesta per quale motivo desidera annullare la realtà?
Cosa ci può dire della sua vita?
Come passa le giornate?
Ha amici e interessi o si è isolata e tutto ruota attorno al cibo?
alla sua domanda non è possibile dare una risposta perché un problema psicologico, di qualunque tipo, necessita di un lavoro protratto nel tempo per trovare soluzione.
E' attualmente in cura per il disturbo alimentare di cui soffre?
Se sì, di che tipo di cura si tratta? Assume farmaci e/o sta effettuando una psicoterapia?
Comprendo il suo stato d'animo disperato, se è alle prese con questo problema da più di metà della sua esistenza, e il motivo per il quale si riempie di cibo è moto simile a quello che spinge a consumare droghe:
" Il cibo cancella i dolori, le sensazioni, la solitudine, i vuoti, la rabbia, la noia, i ricordi, i doveri"
Il suo obiettivo è "spegnere la mente", ma ci sono altre strade, più sane, per riuscirci.
Si è chiesta per quale motivo desidera annullare la realtà?
Cosa ci può dire della sua vita?
Come passa le giornate?
Ha amici e interessi o si è isolata e tutto ruota attorno al cibo?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#3]
<I medici sembrano soddisfatti nel dirmi che non si tratta di "bulimia nervosa">
Gentile Ragazza,
da chi è seguita ora?
Come è stata seguita precisamente ad oggi oltre a quanto ha esposto?
Da quali specialisti esattamente?
<Il cibo cancella i dolori, le sensazioni, la solitudine, i vuoti, la rabbia, la noia, i ricordi, i doveri.> Il cibo però non cancella i dolori, se non momentaneamente coprirli, ma restano lì con il bisogno di chi li ha dentro di sé di essere ascoltato, compreso, aiutato ad affrontarli e ad elaborarli e curato.
Provi a leggere questo articolo
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1211-i-disturbi-del-comportamento-alimentare-che-cosa-sono-e-come-si-curano.html
Attendiamo una sua risposta per darle maggiori indicazioni
Cari saluti
Gentile Ragazza,
da chi è seguita ora?
Come è stata seguita precisamente ad oggi oltre a quanto ha esposto?
Da quali specialisti esattamente?
<Il cibo cancella i dolori, le sensazioni, la solitudine, i vuoti, la rabbia, la noia, i ricordi, i doveri.> Il cibo però non cancella i dolori, se non momentaneamente coprirli, ma restano lì con il bisogno di chi li ha dentro di sé di essere ascoltato, compreso, aiutato ad affrontarli e ad elaborarli e curato.
Provi a leggere questo articolo
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1211-i-disturbi-del-comportamento-alimentare-che-cosa-sono-e-come-si-curano.html
Attendiamo una sua risposta per darle maggiori indicazioni
Cari saluti
Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it
[#4]
Ex utente
Innanzitutto grazie dell'attenzione e del tempo dedicatomi.
Come ho raccontato ho iniziato a soffrire di anoressia nervosa a circa 12 anni. Più volte a freddo ho provato a ripensare cosa possa aver fatto scattare un simile meccanismo nella mente di una poco più che bambina, ma ho in mente solo episodi, che in nessun modo riesco a ritenere cause.
Ero una bambina molto brava a scuola, da sempre "grande", curiosa ma molto pensierosa. Avevo, ed ho tuttora, una famiglia bella come poche. Con i problemi quotidiani, ma anche con la capacità di fare sacrifici e scendere a compromessi per affrontarli tutti insieme. Ho dei genitori attenti, che all'epoca, preoccupati per la mia situazione, ma anche colti impreparati da una malattia simile, si rivolsero all'ospedale infantile della mia città, dove mi ricoverarono nel reparto NPI per qualche mese, come avevo scritto.
Una volta dimessa, mi prese in carico un equipe composta da pediatra, dietista e neuropsichiatra infantile della ASL a cui facevo capo. Il percorso consistette di incontri mensili con le prime due, e di colloqui settimanali di un'ora per la psicoterapia.
Quattro anni dopo fui considerata guarita. Ma evidentemente non lo ero. Il peso è sempre stato sotto controllo perchè tra abbuffate e digiuni riuscivo a mantenerlo stabile, e la psicoterapia non "scavava" molto a fondo. Non mi hanno mai prescritto alcuna terapia farmacologica perchè mi sembrava di aver notato che l'orientamento fosse quello di non prescrivere farmaci facilmente soprattutto in giovane età.
Dal 2006 non sono più stata seguita, ho sempre pensato di potercela fare da sola. Ma ora, che mi accorgo di aver passato più di metà della mia vita così, mi rendo conto di non potercela fare.
Ad oggi studio, ed ho una vita apparentemente normale, ma non posso programmare ed organizzare niente, perchè quando mi abbuffo, e capita ogni due giorni circa, rimango chiusa in casa, al buio, e rimando tutto.
Vorrei poter prendere dei farmaci che mi aiutino a gestire la situazione ma non so a chi rivolgermi.
Spero che le informazioni datevi siano più utili per inquadrare la mia situazione clinica e darmi delle indicazioni su cosa dovrei fare.
Grazie davvero
Come ho raccontato ho iniziato a soffrire di anoressia nervosa a circa 12 anni. Più volte a freddo ho provato a ripensare cosa possa aver fatto scattare un simile meccanismo nella mente di una poco più che bambina, ma ho in mente solo episodi, che in nessun modo riesco a ritenere cause.
Ero una bambina molto brava a scuola, da sempre "grande", curiosa ma molto pensierosa. Avevo, ed ho tuttora, una famiglia bella come poche. Con i problemi quotidiani, ma anche con la capacità di fare sacrifici e scendere a compromessi per affrontarli tutti insieme. Ho dei genitori attenti, che all'epoca, preoccupati per la mia situazione, ma anche colti impreparati da una malattia simile, si rivolsero all'ospedale infantile della mia città, dove mi ricoverarono nel reparto NPI per qualche mese, come avevo scritto.
Una volta dimessa, mi prese in carico un equipe composta da pediatra, dietista e neuropsichiatra infantile della ASL a cui facevo capo. Il percorso consistette di incontri mensili con le prime due, e di colloqui settimanali di un'ora per la psicoterapia.
Quattro anni dopo fui considerata guarita. Ma evidentemente non lo ero. Il peso è sempre stato sotto controllo perchè tra abbuffate e digiuni riuscivo a mantenerlo stabile, e la psicoterapia non "scavava" molto a fondo. Non mi hanno mai prescritto alcuna terapia farmacologica perchè mi sembrava di aver notato che l'orientamento fosse quello di non prescrivere farmaci facilmente soprattutto in giovane età.
Dal 2006 non sono più stata seguita, ho sempre pensato di potercela fare da sola. Ma ora, che mi accorgo di aver passato più di metà della mia vita così, mi rendo conto di non potercela fare.
Ad oggi studio, ed ho una vita apparentemente normale, ma non posso programmare ed organizzare niente, perchè quando mi abbuffo, e capita ogni due giorni circa, rimango chiusa in casa, al buio, e rimando tutto.
Vorrei poter prendere dei farmaci che mi aiutino a gestire la situazione ma non so a chi rivolgermi.
Spero che le informazioni datevi siano più utili per inquadrare la mia situazione clinica e darmi delle indicazioni su cosa dovrei fare.
Grazie davvero
[#5]
Gentile Ragazza,
se la sua condizione è quella descritta sarebbe utile una nuova valutazione specialistica.
Come ha potuto constatare in passato i DCA beneficiano di un approccio multidisciplinare. L'indicazione della cura più indicata può avvenire solo attraverso consulto specialistico diretto usufruendo ad esempio delle strutture pubbliche della sua città
Le segnalo un link con i riferimenti dei centri deputati
http://www.disturbialimentarionline.it/
Un caro saluto
se la sua condizione è quella descritta sarebbe utile una nuova valutazione specialistica.
Come ha potuto constatare in passato i DCA beneficiano di un approccio multidisciplinare. L'indicazione della cura più indicata può avvenire solo attraverso consulto specialistico diretto usufruendo ad esempio delle strutture pubbliche della sua città
Le segnalo un link con i riferimenti dei centri deputati
http://www.disturbialimentarionline.it/
Un caro saluto
[#6]
Cara Ragazza,
il prendere peso, dopo l'anoressia, non equivale ad essere guariti...
I disturbi del comportamento oro-alimentare, hanno svariate cause e tutte devono essere affrontate e risolte.
Il cibo assume svariati significati, diventa una madre accogliente, un'amica, un amante, un utero caldo nel quale rintanarsi, un antidepressivo, un ansiolitico, ecc...
Uno psicologo potrà aiutarla a ripristinare il significato iniziale del cibo, farlo diventare cioè nutrimento per il corpo, non per l'anima....
il prendere peso, dopo l'anoressia, non equivale ad essere guariti...
I disturbi del comportamento oro-alimentare, hanno svariate cause e tutte devono essere affrontate e risolte.
Il cibo assume svariati significati, diventa una madre accogliente, un'amica, un amante, un utero caldo nel quale rintanarsi, un antidepressivo, un ansiolitico, ecc...
Uno psicologo potrà aiutarla a ripristinare il significato iniziale del cibo, farlo diventare cioè nutrimento per il corpo, non per l'anima....
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
[#7]
Se non è più seguita da 7 anni - anni fra l'altro molto importanti per lo sviluppo della personalità e dell'identità adulta - è preferibile che si rivolga ad uno psicologo psicoterapeuta per riprendere il discorso e magari scavare un po' più a fondo, se ha la sensazione che il percorso precedente non le sia servito perchè il lavoro è rimasto troppo in superficie e/o ha il desiderio di comprendere meglio i motivi del suo disturbo.
Il fatto che gli anni di terapia multidisciplinare dell'epoca non le abbiano consentito di risolvere il problema non significa che non sia risolvibile adesso: probabilmente in quel momento sarebbe servito un approccio diverso, che coinvolgesse non solo lei, poco più che bambina, ma anche suoi genitori, perché i DCA sono solitamente disturbi che coinvolgono l'intero sistema familiare e le relazioni fra i suoi membri, nonostante solo uno di loro sia il portatore attivo di sintomi.
In ogni caso adesso lei è adulta e un approccio individuale assumerebbe un diverso significato rispetto a quando era una ragazzina.
Il fatto che gli anni di terapia multidisciplinare dell'epoca non le abbiano consentito di risolvere il problema non significa che non sia risolvibile adesso: probabilmente in quel momento sarebbe servito un approccio diverso, che coinvolgesse non solo lei, poco più che bambina, ma anche suoi genitori, perché i DCA sono solitamente disturbi che coinvolgono l'intero sistema familiare e le relazioni fra i suoi membri, nonostante solo uno di loro sia il portatore attivo di sintomi.
In ogni caso adesso lei è adulta e un approccio individuale assumerebbe un diverso significato rispetto a quando era una ragazzina.
[#8]
<<sarebbe bello che il peso - un dato così oggettivo e facilmente manipolabile - fosse un reale indicatore di salute/malattia. Invece non lo è. E si vive fuori, ma si muore dentro, anche con 50 kg addosso. >>
Queste sue parole sono illuminanti per comprendere quanto molti approcci, basati sul ripristino funzionale dell'alimentazione, o su consigli dietologici e nutrizionistici, siano del tutto inappropriati per un disagio come quello che lei sta vivendo. Si tratta infatti di un disagio psicologico e non di un disturbo dell'alimentazione.
L'aspetto sintomatico di chi presenta un DCA è solo la punta dell'iceberg e non rende la complessità di un disagio che può interessare l'intera personalità e strutturarsi in personalità molto diverse tra loro, motivo per il quale l'approccio può essere molto differente da un caso all'altro.
La multidisciplinarietà, oggi riconosciuta come una delle forme di intervento più efficaci per i DCA non deve però essere confusa con l'idea del "più siamo meglio è". Il lavoro deve basarsi su un Equipe ben integrata che si muove in maniera coordinata, coinvolgendo se possibile i familiari, con una visione condivisa almeno delle logiche di fondo che riguardano i DCA, dalla loro causa al loro trattamento. E non su più professionisti che si muovono in parallelo senza un filo conduttore condiviso.
Può affidarsi alle strutture pubbliche, nella sua regione abbastanza ben organizzate per affrontare questo problema, Si può rivolgere anche all'Associazione ABA che si occupa da 30 anni di questi disagi. www.bulimianoressia.it
Cordiali saluti
Queste sue parole sono illuminanti per comprendere quanto molti approcci, basati sul ripristino funzionale dell'alimentazione, o su consigli dietologici e nutrizionistici, siano del tutto inappropriati per un disagio come quello che lei sta vivendo. Si tratta infatti di un disagio psicologico e non di un disturbo dell'alimentazione.
L'aspetto sintomatico di chi presenta un DCA è solo la punta dell'iceberg e non rende la complessità di un disagio che può interessare l'intera personalità e strutturarsi in personalità molto diverse tra loro, motivo per il quale l'approccio può essere molto differente da un caso all'altro.
La multidisciplinarietà, oggi riconosciuta come una delle forme di intervento più efficaci per i DCA non deve però essere confusa con l'idea del "più siamo meglio è". Il lavoro deve basarsi su un Equipe ben integrata che si muove in maniera coordinata, coinvolgendo se possibile i familiari, con una visione condivisa almeno delle logiche di fondo che riguardano i DCA, dalla loro causa al loro trattamento. E non su più professionisti che si muovono in parallelo senza un filo conduttore condiviso.
Può affidarsi alle strutture pubbliche, nella sua regione abbastanza ben organizzate per affrontare questo problema, Si può rivolgere anche all'Associazione ABA che si occupa da 30 anni di questi disagi. www.bulimianoressia.it
Cordiali saluti
Dr. Alessandro Raggi
psicoterapeuta psicoanalista
www.psicheanima.it
Questo consulto ha ricevuto 10 risposte e 3.9k visite dal 17/07/2013.
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Approfondimento su DCA: Disturbi del Comportamento Alimentare
I disturbi alimentari (DCA), come anoressia, bulimia e binge eating, sono patologie legate a un comportamento disfunzionale verso il cibo. Sintomi, cause, cura.