Abbandono e disagio profondo

Salve a tutti.
Sono una ragazza di 29 anni, in terapia di gruppo da quasi 3, e mi trovo ad affrontare un brutto momento da sola (il gruppo ha appena interrotto le attività nel periodo estivo). So che è molto sbagliato rivolgersi a qualcun'altro ma non so proprio come fare.
Dopo una lunga relazione con un ragazzo nel quale vedevo più un padre che un fidanzato (era coetaneo, ma molto protettivo) ho chiuso la storia e sono stata sola per qualche mese, anzi più di un anno. Un'estate (non a caso, nuovamente nel periodo di stop della mia terapia) mi sono follemente innamorata di un ragazzo col quale circa un anno fa sono andata a convivere. Ebbene, questo ragazzo col passare dei mesi si è rivelato purtroppo incompatibile per molti versi con me e col mio carattere, e ora ci troviamo ad un punto di svolta (dopo aver visto una nuova casa per necessità, abbiamo litigato e deciso di lasciarci) che non riesco a vivere come vorrei.
Infatti, lui attiva in me da sempre i nuclei dell'abbandono facendoci leva ad ogni discussione ("non voglio vivere così", "me ne vado", l'ultima volta ha detto anche che non mi amava) e non sono abbastanza lucida da accettare la decisione di chiuderla qui e guardare avanti. Se penso di perderlo sto male, vomito, mi sento completamente sola e abbandonata nonché totalmente inutile come persona.
Non nascondo che in questi 3 anni ho maturato molta autocoscienza, e che il mio stesso dottore all'ultima richiesta diretta di aiuto (credo l'unica, in 3 anni) mi ha confermato che i mezzi per andare avanti ce li ho tutti, rifiutando un colloquio individuale, però davvero non so come fare.
Ho perso mio padre a 17 anni e prima, mia madre ha sofferto svariato tempo di attacchi di panico. Il mio ex (quello paterno) non mi ha mai dimenticato e io non ho mai voluto farlo uscire del tutto dalla mia vita (anche se naturalmente non ci sono più stati episodi "romantici" fra noi). Vorrei poterlo vedere oggi con occhi diversi, magari più "paritari", e chissà forse tornare insieme... ma so che mi nascondo dietro un dito e che è tutta paura di rimanere sola con me stessa. Ho bisogno di un consiglio. Grazie a tutti
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Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
Gentile Utente,

che tipo di psicoterapia sta facendo?
Sicuramente lei ha maturato molta consapevolezza rispetto alle motivazioni profonde che la spingono ad instaurare questo tipo di relazioni affettive, ma la consapevolezza di ciò non indica necessariamente il superamento dello stato di malessere. Per fare ciò deve "sperimentarsi" nel mettere in pratica ciò che in realtà conosce e ha imparato di se stessa; è fondamentale stare nelle relazioni (sentimentali, amicali ecc.) e cercare di affrontarle in maniera autonoma.

Probabilmente l'interruzione per il periodo estivo evoca in lei antiche angosce abbandoniche e il timore di non poter gestire se stessa in maniera indipendente senza il gruppo come contenitore "emozionale".




Dott. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica
www.psicologoaviterbo.it

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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Le terapie di gruppo, purtroppo, hanno spesso l'effetto di alimentare la tendenza alla dipendenza dei partecipanti. Il gruppo - non necessariamente di terapia - può essere un ottimo strumento di crescita individuale, ma se si ha la propensione a dipendere dagli altri, può produrre effetti come quello che sta producendo a lei: il gruppo va in ferie e lei si sente persa.

Il suo medico avrebbe forse dovuto indirizzarla, piuttosto, verso una terapia individuale che le permettesse di sviluppare per davvero i mezzi per andare avanti da sola.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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Utente
Utente
Grazie intanto per le risposte,
al dott.Del Signore: non so di preciso cosa mi chiede rispetto al tipo di terapia, si tratta di una gruppanalisi con circa 9-10 partecipanti di media che frequento una volta a settimana da circa 3 anni. Pensare di "sperimentare" la solitudine o comunque l'autonomia è una cosa a cui in effetti ho pensato, ma mi blocco temendo di fare le scelte sbagliate e di rimpiangerle nel futuro, quindi non so se vorrei restare col mio attuale fidanzato ad ogni costo perchè lo amo o perchè ho paura di rimanere sola. Non riesco proprio a capirlo.

al dott. Santocito: sono pienamente consapevole, come ho potuto verificare su altri compagni d'analisi negli anni, di quello che Lei giustamente sottolinea. Però io vengo da più o meno brevi periodi di terapia individuale in precedenza, che hanno sì posto le basi per il futuro ma si sono tutti arenati una volta arrivati ad un certo livello. Così su consiglio della mia precedente psicologa (troppo coinvolta inoltre per poter essere obiettiva nella terapia) sono stata indirizzata verso la terapia di gruppo. Forse è importante dire che stavo maturando "a voce alta" nelle ultime sedute di andarmene, visto che ho fatto molti progressi, dopo aver "concluso" le ultime cose che sapevo di dover ancora risolvere. Ecco infatti che questa è la prima interruzione che mi crea problemi, forse dovuti anche al "tempismo" del mio fidanzato che vuole farmi ammettere di non essere fatti l'uno per l'altra.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> io vengo da più o meno brevi periodi di terapia individuale in precedenza, che hanno sì posto le basi per il futuro ma si sono tutti arenati una volta arrivati ad un certo livello. Così su consiglio della mia precedente psicologa (troppo coinvolta inoltre per poter essere obiettiva nella terapia) sono stata indirizzata verso la terapia di gruppo
>>>

Bene, ma i terapeuti che l'hanno seguita - e mi riferisco soprattutto a quelli del gruppo - avrebbero dovuto rendersi conto che non stava facendo passi avanti e proporle qualcos'altro di ancora diverso.

Se uno crede di aver fatto progressi, ma appena arrivano le ferie il terapeuta (in questo caso terapeuta + gruppo) non è più disponibile e ci si sente persi, vuol dire che probabilmente si è creata una collusione tale per cui diventa difficile parlare di progressi.

Il gruppo analista potrebbe rispondere: "Certo, ma la dipendenza dal gruppo fa parte del metodo, inizialmente. Poi quando la persona cambia davvero si risolve anche questo".

E la mia risposta sarebbe: bene, ma quanto tempo ci vorrà? Intanto tre anni di vita sono passati... ed è già un bel pezzo.

Un altro fenomeno che accade nei gruppi di terapia è il paradosso per cui ciò che ti tiene legato al gruppo è la tua malattia. Se guarisci, il gruppo non serve più e quindi può esserci un incentivo a girare intorno al problema senza risolverlo, per non perdere il gruppo.

Se la sua ex terapeuta era troppo coinvolta per poter continuare la terapia, avrebbe forse dovuto suggerirle non una terapia di gruppo, per far coinvolgere lei ancora di più, ma qualcos'altro. A mio parere, è chiaro.
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Utente
Utente
Grazie dott. Santocito,
ebbene io so di aver fatto progressi (partivo da un livello dove non riuscivo nemmeno a staccarmi dalla mia mamma per andare a lavorare), ho chiuso una relazione malsana, ho trovato un nuovo lavoro, mi sono trasferita in una città vicina e se devo viaggiare sola lo faccio senza problemi. Senza contare che non mento più a me stessa e sono molto consapevole dei miei limiti e problemi psicologici.
Solitamente ho gestito benissimo l'assenza del gruppo nei periodi estivo e natalizio, ma questo particolare momento penso, e temo, che sia un punto di svolta: sulla carta sarò anche consapevole di me stessa, ma all'atto pratico ancora non riesco a decidermi a sperimentare la solitudine. Temo di ricadere in vecchi errori. Il Suo consiglio è quindi di lasciare il gruppo e procedere in via individuale?
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> sulla carta sarò anche consapevole di me stessa, ma all'atto pratico ancora non riesco a decidermi a sperimentare la solitudine
>>>

Bravissima. Ha capito una cosa importante: che capire di cosa si soffre spesso non serve per smettere di soffrirne. Occorre sperimentare.

Però è chiaro che finché si "sperimenta" solo il proprio problema, nel suo caso la dipendenza - che sia dalla mamma, dal luogo di abitazione, da una relazione o dal gruppo è la stessa cosa - non si sta andando in direzione del cambiamento, ma in quella del mantenimento del vecchio equilibrio.

>>> Suo consiglio è quindi di lasciare il gruppo e procedere in via individuale?
>>>

Potrebbe essere opportuno, però da qui sarebbe difficile e inopportuno consigliarglielo. Dovrebbe, piuttosto, rivolgersi di persona a un terapeuta ad approccio diverso e farsi dare un parere.
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Dr. Antonio Vita Psicologo, Psicoterapeuta 708 23
Gentile Utente,

Un psicoanalista era solito dire e scrivere che l'analisi di gruppo è un po' come prendere il tè assieme. Io non credo che sia così. Credo, anzi, temo, addirittura, che il gruppo favorisca l’aggregazione perdendo contatti e riferimenti con la propria individualità. L’individualità, nel gruppo, viene vissuta come il gruppo favorisce, incoraggia, asseconda, e rinforza positivamente. L’analista che aveva prima, per metterla in un gruppo analisi, aveva forse delle sue giustificazioni che non riesco a capire. Di solito gli analisti sono accusati di grande individualismo, personalismo.
Non riusciva, la sua ex analista a gestire la situazione? Uscire da un’analisi personale per scegliere una di gruppo è come abbandonare un mirabile “prosecco” per passare ad una gazzosa. Capisce quello che voglio dirle?
Il gruppo le è entrato dentro perché nel gruppo lei si mimetizza con i mali degli altri. E tutto ciò le fa comodo. Adesso che deve passare un’estate da sola, non ce la fa. Dopo tre anni? Un po’ tanti, non le pare? Cosa ha trovato di positivo nel gruppo?

Provi da sola. Forse è l’occasione buona per constatare che è possibile affrontare i propri mali o malesseri senza l’aiuto di tanti. Basta l’aiuto di se stessa. (O di un analista, o altro terapeuta, che sia all’altezza della situazione).

Tanti Auguri e cordiali saluti
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Utente
Utente
Grazie anche a Lei dott. Vita,
la mia analista precedente era l'analista di mia madre (ecco perchè troppo coinvolta per essere obiettiva), era l'unica persona che conoscevo a cui potevo rivolgermi nel momento del bisogno. Ha "tamponato" il problema immediato, consigliandomi il gruppo per il lungo termine perchè a suo dire era più adatto a me. Avevo difese molto alte e venivo da 2 o 3 periodi di terapia individuale (uno appena morì mio padre) che però non erano andati più di tanto in profondità, li ho chiusi tutti prima. Reali cambiamenti li ho visti solo con la terapia di gruppo; l'estate da sola ce la passerò bene, non è l'assenza del gruppo a spaventarmi, è che sto per rimanere sola nella vita affettiva e questo si mi fa paura. Concomitante per una sorta di ironia al periodo di pausa della terapia...
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Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
Gentile Utente,

>>Reali cambiamenti li ho visti solo con la terapia di gruppo; l'estate da sola ce la passerò bene, non è l'assenza del gruppo a spaventarmi, è che sto per rimanere sola nella vita affettiva e questo si mi fa paura. Concomitante per una sorta di ironia al periodo di pausa della terapia...<<

invece credo sia proprio l'assenza del gruppo a spaventarla e rimanere sola nella vita affettiva proprio in questo momento è solo un rinforzo del suo conflitto fondamentale "dipendenza/autonomia". Serve in altre parole a ricordare a se stessa quanto il gruppo sia importante per sé quindi a consolidarne la dipendenza.

>>la mia analista precedente era l'analista di mia madre<<

oltre ad essere un'errore di metodo non è altro che il riflesso del conflitto sopra citato. Conferma che la separazione per lei è difficile e forse anche per certi analisti.