Ansia ed evitamento

Salve! Sono un trentaduenne la cui vita è praticamente cessata all'alba dei suoi ventidue anni, da quando cioè sono insorti i miei problemi d'ansia. Il mio problema si è presentato praticamente da un giorno all'altro: nell'agosto del 2003 dovevo partire per gli Stati Uniti, direzione California, un viaggio lungo, che prenotai con grande tranquillità e con il desiderio di rivedere quella terra nella quale ero già stato due anni prima. Un paio di settimane prima della partenza, però, avvertii che qualcosa in me stava cambiando: forse influenzato dalle notizie che davano i telegiornali, cominciai a temere la possibilità di un attentato, un esplosione a bordo dell'aereo o di problemi al decollo e all'atterraggio che avrebbero comportato lo schianto del mezzo. Affrontai ugualmente il volo pregando che non accadesse nulla: e così fu. Ebbi comunque la brutta sorpresa, durante il volo di andata, di incappare in un pesante vuoto d'aria che colse l'aereo su cui volavo, durante l'atterraggio. Purtroppo qualcuno urlò in cabina, ed il ricordo di quegli eventi mi ha purtroppo drammaticamente segnato segnato. Da allora, la mia vita è cambiata radicalmente: volare è divenuto estremamente difficile, e da allora non mi sono più concesso che pochi giorni di vacanza. Inizialmente, pensai che potesse trattarsi di un problema di aviofobia, e lo affrontai come tale: dopo anni di rifiuto ad ammettere che avessi un problema del genere, io che adoravo volare, presi coscienza del problema e frequentai i corsi Alitalia. Non ebbi alcun problema durante il volo da Roma a Milano, e fui assolutamente sereno. Dopo un paio di mesi, decisi di affrontare un altro volo, stavolta da Napoli a Londra, e sebbene alla fine riuscissi a metter piede sull'aereo, l'ansia anticipatoria raggiunse livelli esasperati. Chiesi a mio padre di prenotare per me in agenzia, e mentre lui lo faceva, fui costretto ad inseguirlo per fermarlo. A questo si aggiunsero eventi di tachicardia, potente sudorazione, compressione al petto e sensazione di impazzire. Riuscii miracolosamente a prenotare, e l'ansia mi durò fino a quando misi piede fuori di casa. Quindi, tornai normale. Non avendo risolto la questione con i corsi appositi, realizzai di rivolgermi ad uno psicologo, il quale mi diagnosticò, dopo una lunga serie di sedute, una fobia sociale. Essa era determinata anche da fatto di avere una limitatissima cerchia di amici e di non aver mai avuto una ragazza. I consigli dello psicoterapeuta sono stati utili, ma sono stati prevalentemente indirizzati a farmi cambiare stile di vita: la mia psiche, però, è talmente forte da impedirmi di cambiare, e così, sono sempre al punto di partenza. Come sempre, il desiderio di viaggiare è fortissimo, ma al momento di prenotare sono costretto a rinunciare. Ora mi chiedo se un trattamento psichiatrico possa servire, ma sinceramente sono sfiduciato. A causa dell'ansia, non riesco neanche più a cercare lavoro: l'idea di allontanarmi da casa mi fa stare letteralmente male.
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Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Gentile Utente,
l'ansia è un sintomo e come tale necessita di dovuti ascolti e cure mirate.
Non ho ben capito che tipo di lavoro ha effettuato con il suo terapeuta, quanto è durata la sua psicoterapia, ecc....
A volte, in alcuni casi, i consigli non servono a molto, ma come giustamente dice lei, la sua psiche rimane immobile e difende la sintomatologia.

Secondo lei tre vantaggi secondari, da questo immobilismo?
Il non cercare lavoro altrove, la obbliga a rimanere in casa ?
Vive con i genitori?
Se si, come sono le dinamiche?
Ha una fidanzata...?

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

[#2]
Attivo dal 2013 al 2017
Ex utente
Grazie per l'intervento.
Ho svolto due fasi differenti di sedute con il mio terapeuta: la prima è stata finalizzata a capire se la mia ansia derivasse da una sindrome aviofobica. È durata circa sei mesi, e si è conclusa con un volo breve che ho effettuato col terapeuta stesso. Non ho avuto alterazioni particolari dell'umore, nè un particolare stato ansioso. Ho volato normalmente e tranquillamente, stando anche a ciò che poi ha dichiarato il mio psicologo, che mi ha monitorato durante le fasi del viaggio.
Accertato che non si trattasse di aviofobia, e che il problema, più che altro, fosse sociale, abbiamo tentato una seconda fase di terapia comportamentale, indirizzata ad una maggiore socializzazione ed apertura agli altri. In parte aveva funzionato, avevo trovato un gruppo di amici, ma il mio carattere schivo e riservato ha rotto qualcosa, ed è già da tempo che non li frequento più.
Direi che la mia ansia ha la forma di un'ansia da separazione: allontanandomi dalle mie zone per più di pochi giorni mi provoca uno stato ansioso che è tanto più forte se la meta è lontana, se mi è impossibile tornare quando voglio e se perdo una somma di denaro rinunciando al volo. Tutto questo mi tiene lontano dal viaggio e mi spinge ad evitarlo.
In generale, comunque, è il continuo evitamento a bloccarmi: ho avuto una sintomatologia simile in occasione di un recente concorso che ho sostenuto. Ho rimuginato a lungo sul "chi me l'avesse fatto fare".
Non sono fidanzato e sì, vivo in famiglia.
Quanto al lavoro, sto cercando opportunità per avviare un e-commerce e lavoro in una compagnia della mia città che paga a provvigioni, ma il mio desiderio, paradossalmente, è sempre stato quello di lasciare l'Italia. Tra i 14 e i 23 anni ho visitato numerosi paesi.
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119
<In generale, comunque, è il continuo evitamento a bloccarmi: ho avuto una sintomatologia simile in occasione di un recente concorso che ho sostenuto>

Gentile Utente,
in effetti l'evitamento in quanto risposta disfunzionale ai suoi disagi, non fa altro che confermare le sue paure alimentando l'ansia e rinforzando le sue difficoltà.

Dovrebbe nuovamente riferirsi al suo curante, se è rimasto soddisfatto del percorso, o a un altro specialista per una rivalutazione del suo caso e un'eventuale prosecuzione del trattamento, forse interrotto troppo precocemente.

Chi ha deciso l'interruzione del percorso?

<Direi che la mia ansia ha la forma di un'ansia da separazione: allontanandomi dalle mie zone per più di pochi giorni mi provoca uno stato ansioso> O forse è l'allontanarsi dai suoi genitori?
Che rapporto ha con loro?

Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it

[#4]
Attivo dal 2013 al 2017
Ex utente
Salve di nuovo.
In realtà una vera e propria interruzione del trattamento non c'è stata. Sono rimasto d'accordo col mio terapeuta di limitare le sedute a quando incorrono novità. Oggi, ad esempio, lo incontrerò per parlare del risultato del concorso e dello stato ansioso che mi ha accompagnato prima della partecipazione.
Quanto alla famiglia, il mio rapporto con loro è, come prevedibile, molto stretto.
[#5]
Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119
E' stato affrontato il tema della relazione con i suoi genitori in terapia?

Se non ancora, dovrebbe sottoporlo al suo terapeuta. Sembrerebbe, così occhio e croce, un aspetto da non sottovalutare perlomeno nel concorrere a sostenere la sua sintomatologia.

Naturalmente bisognerebbe sapere di più in merito, ma questo spetta al suo terapeuta che la conosce personalmente e sa come procedere nel percorso.

Cordialmente
[#6]
Attivo dal 2013 al 2017
Ex utente
Ringrazio per l'intervento.
Quanto al tema della relazione con i genitori, sì, la cosa è stata affrontata.
Ne è risultato che la mia sfiducia e paura dell'altro, mi ha portato a diventare una sorta di "corpo unico" con la mia famiglia. Di conseguenza percepisco la necessità di un legame con chi mi fido.
Tuttavia, anche se è risultata disponibile una compagnia familiare durante il viaggio, se non altro per riprendere contatto con una esperienza che ho lungamente affrontato in passato e che oggi pare impossibile ripetere, il livello di ansia anticipatoria cresce lo stesso, e la rinuncia è dietro l'angolo.
Per questo mi chiedevo se una terapia psicologica possa ancora essere efficace o se è il caso di passare ad un trattamento psichiatrico. In merito a quest'ultima, tuttavia, il mio terapeuta non ne è assolutamente convinto.
[#7]
Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119
La questione del rapporto con i suoi genitori dal mio punto di vista, meriterebbe di essere maggiormente approfondita e affrontata.

Ne parli con il suo terapeuta, approfondisca ciò che è rimasto in sospeso, da quanto dice le sue problematiche non appaiono risolte.
Una prosecuzione del percorso sembrerebbe opportuna.

L'orientamento/approccio preciso del suo curante?

Ci faccia sapere se crede cosa ne è emerso.

Cordialmente
[#8]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

mi permetto di aggiungere alcune considerazioni con l'intenzione di aiutarLa a riflettere su alcuni aspetti.

Quello che Lei ha fatto in terapia va bene, in quanto l'evitamento (che è un comportamento messo in atto con l'illusione di abbassare l'ansia, ma che in realtà alla lunga crea maggiori danni perchè l'amplifica) si spezza con l'esposizione verso ciò che si teme.

Mi pare, e mi corregga se ho frainteso, che Lei sia molto (forse troppo) aderente alle prescrizioni del curante e che non ci sia una parte di intraprendenza che Le permetta di generalizzare i risultati ottenuti.

Per esempio, che cosa è successo col Suo gruppo di amici? Come mai non li vede più? Incontrava difficoltà nelle relazioni con loro? Se sì, quali?

Anche il rapporto con la Sua famiglia è interessante e chissà che non si riesca a trovare con l'aiuto del terapeuta un apprendimento avvenuto in famiglia che magari Le ha fatto pensare che fuori il mondo sia in qualche maniera minaccioso, nonostante i Suoi numerosi viaggi.

Infine sarebbe importante fare il punto della situazione con il terapeuta: come mai vi vedete solo al bisogno?

Un cordiale saluto,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#9]
Attivo dal 2013 al 2017
Ex utente
Grazie per gli ultimi interventi.
In effetti io provengo da una famiglia ansiosa: mia madre è stata sempre protettiva; mio padre ha sempre sofferto d'ansia, pur riuscendo a metabolizzarla, e tra noi figli è stato lo stesso.
Inizialmente io ero il meno ansioso: più mi allontanavo da casa e più stavo bene. Poi, è come se avessi percepito che in me c'era qualcosa di sbagliato nel non essere ansioso, e, per reazione, ho cominciato ad utilizzare il loro stesso atteggiamento verso il nuovo, l'ignoto. Ho cominciato a vedere pericoli ovunque ed ho iniziato a sentire la necessità di avere sotto controllo ogni mia azione in caso di una qualunque negatività che possa verificarsi. Poichè non posso sapere se in aereo verró coinvolto in una catastrofe, o in un paese straniero venire coinvolto in un attentato terroristico o incidente, le mie riflessioni e rimuginamenti non giungono a conclusione, e pertanto rimando ab aeterno.
Sul rapporto con gli altri, sono sempre stato restio e timoroso, forse perchè da bambino, quando uscivo per le prime volte da solo, subii una aggressione da parte di un ragazzo più grande che mi rubó le figurine. Il mancato aiuto dei passanti o di qualche esponente delle forze dell'ordine mi ha traumatizzato: quindi stare fuori di casa lo intendo tuttora come stare in un luogo privo di leggi e pericoloso. Con gli amici ho rotto perché sono permaloso, e non ho gradito alcuni loro atteggiamenti che erano finalizzati a fare differenze tra più simpatico e meno simpatico. Questo mi ha ulteriormente chiuso in me stesso.
Infine, per ció che concerne il mio terapista, lui ha liquidato la questione cone non volontà ad agire: non volo perchè non voglio volare. Inoltre, il suo consiglio è stato quello di trovare una fidanzata per migliorare il mio rapporto con l'altro. Purtroppo, temendo il giudizio altrui, mi innamoro ma non faccio il passo successivo. Chiaramente, con i costi della terapia che crescevano e i risultati che non arrivavano, ho ridotto le sedute. Non so se sia positivo il fatto che conoscevo il terapista e lui conosceva me...
Mi scuso per lo sfogo.
[#10]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

già dal primissimo post Lei segnala situazioni che lasciano il segno, per così dire, in seguito alle quali si chiude a riccio ed evita di affrontarle.
Però bisognerebbe normalizzare tutte queste situazioni come facenti parte della vita e lavorare semmai in terapia sulle credenze disfunzionali (ad esempio "se subisco un furto/aggressione nessuno mi aiuterà").

Faccia attenzione alle difficoltà che incontra (es essere permaloso) perchè se non riesce a gestirle, finirà per aggiungere altri problemi.

Legga qui:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1087-le-abilita-sociali.html

Un training per imparare a stare con gli altri potrebbe risultare molto utile.

Sono perplessa invece sulla relazione col terapeuta: in che senso conosceva già il professionista e come mai ha scelto un professionista che già conosceva?

Infine, per quanto riguarda i risultati della terapia: è chiaro che non è il terapeuta che ha il potere di cambiare Lei e la Sua vita, ma è solo Lei che può farlo. Il terapeuta può mostrare, suggerire, prescrivere, ... ma non ha il potere di incidere sulla Sua vita. Mi pare di intuire però che ci sia un atteggiamento un po' stanco e rinunciatario anche verso la terapia. Ho capito bene?
[#11]
Attivo dal 2013 al 2017
Ex utente
Gentile dottoressa,
Ho letto con attenzione il documento che mi ha gentilmente inviato, e l'ho trovato interessante. In effetti si era parlato, col mio terapista, circa la possibilità di provare un diverso approccio psicologico, magari con una terapia basata su una serie di sedute non singole, ma collegiali, sullo stile di quelle che si vedono in molti film americani.
Il mio psicoterapeuta non fa, però, questo tipo di terapia, e così lui mi ha suggerito di rifletterci ed eventualmente trovare un professionista diverso.
Il fatto è che io, con la terapia, non ho trovato benefici: di fronte al diverso ho sempre lo stesso atteggiamento di fuga. Non riesco ad invertire la tendenza, e se qualcosa non subentra a ridurre l'ansia che si alza ogni volta che devo approcciare l'ignoto, io sto male.
Mi è successo in occasione di un viaggio che avrei dovuto fare: il giorno della partenza sono rimasto paralizzato a letto incapace di alzarmi per andare in aeroporto e sono stato meglio solo quando ho avuto la certezza che non sarei partito. Lo stesso mi è successo dopo un colloquio di lavoro: avevo buone possibilità di essere scelto, ma fin quando non ho rinunciato al posto ero nel panico, sudavo, avevo una compressione al petto e mi girava la testa. Se effettivamente dipende da me, e la teraia psicologica non puó aiutarmi, perchè il mio inconscio (irrazionale) non vuole cambiare, a cosa serve continuare? Inoltre non lavoreró mai se non dopo aver serimentato ina situazione peggiore che è quella del soffrire letteralmente la fame, perchè ora ho una famiglia che mi aiuta, ma domani?
Ecco perchè mi chiedevo se da una terapia psicologica fosse il caso di passare a quella psichiatrica...magari seguendo una cura l'ansia cala e io mi muovo.
Quanto alla conoscenza che ho col terapista, non era di totale estraneità: ha conosciuto in gioventù la mia famiglia (parliamo di più di 40 anni fa), ed ha insegnato presso la locale scuola superiore dove ho studiato a suo tempo.
Inoltre, è ministro presso la chiesa locale.
Grazie come sempre per la chiarezza e la gentilezza.
[#12]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
"Il fatto è che io, con la terapia, non ho trovato benefici: di fronte al diverso ho sempre lo stesso atteggiamento di fuga. Non riesco ad invertire la tendenza, e se qualcosa non subentra a ridurre l'ansia che si alza ogni volta che devo approcciare l'ignoto, io sto male."

Precisamente in che modo sta ricevendo l'aiuto del terapeuta per superare queste difficoltà?

Si tratta di una situazione decisamente invalidante perchè se Lei non riesce a viaggiare, ma neppure ad accettare un lavoro e deve rinunciare a tutte queste opportunità, la vita diventa difficile.

Ma è per questa ragione che le paure devono essere affrontate sistematicamente e in modo graduale.

Se questo terapeuta non La sta aiutando, allora è il caso di provare a cambiare. In ogni caso Le suggerisco di scegliere tra gli approcci terapeutici quelli attivi e focalizzati e di verificare sempre che il professionista sia iscritto al relativo albo professionale.

Se lo desidera può vedere qui il nome di un professionista nella Sua zona:

www.aiamc.it

Un cordiale saluto,
[#13]
Attivo dal 2013 al 2017
Ex utente
In questo momento, il terapeuta mi ha fornito solo delle indicazioni generali per affrontare il problema: socializzare, prendere un mezzo pubblico da solo, frequentare una associazione o un club.
Per quanto concerne l'aereo, invece, abbiamo volato insieme ed ha potuto escludere l'aviofobia (il volo è stato sereno ed ho anche socializzato con qualche passeggero).
Il fatto è che fin quando il distacco dalle mie cose e dal mio ambiente è temporaneo, ho solo qualche defaillance.
Recentemente, ad esempio, raggiungendo Roma per un concorso, pochi minuti orima della partenza mi son detto "Ma chi me lo fa fare?", e per un attimo sono stato tentato di rinunciare alla partenza.
Poi, qualcosa che non c'è quando il viaggio è più lungo e dura di più, si è attivato, e sono riuscito ad effettuare viaggio e permanenza in quasi totale serenità, salvo avere un attacco ansioso (non di panico) quando ho sbagliato strada per due volte.
Se il viaggio, invece, è più lungo, il blocco mi paralizza.
[#14]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

se proprio non si trova bene e non vede risultati potrebbe valutare di cambiare terapeuta.
E' chiaro che all'inizio, mentre comincia ad esporsi e ad eseguire le prescrizioni del terapeuta, proverà un po' d'ansia, ma si tratta di un training che Le permette a poco a poco di superare le difficoltà.

Se non ho capito male mi pare che Lei abbia la tendenza a scoraggiarsi facilmente invece. E' così?
[#15]
Attivo dal 2013 al 2017
Ex utente
Si, in effetti, dottoressa, sono un tipo che si scoraggia abbastanza facilmente.
Purtroppo, il problema si è cronicizzato, perchè a furia di evitare, è dal 2003 che non effettuo più un volo intercontinentale.
Dopo di allora ho volato nel 2009 seguendo il corso contro l'aviofobia di Alitalia e poi, sulla scia di quel successo, andai a Londra.
Purtroppo non riuscii a ripetermi e smisi di nuovo, per rivolare poi nel 2011 con il mio terapeuta.
Il fatto è che sono due anni che sono in trattamento, speravo che la cosa fosse più rapida, anche in considerazione dell'età avanzata che ho.
Grazie per il tempo che mi sta dedicando e per la sua gentilezza.
[#16]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Il tempo in questo tipo di disturbi gioca contro in quanto più passa il tempo e più si rafforzano le paure.
Mi pare però che sia il caso di insistere per desensibilizzare tali paure e ricominciare ad esporsi gradualmente, costruendo un nuovo equilibrio, nel quale vengano sciolte le paure che ha.

Faccia il punto della situazione col terapeuta.
Quando ha la prossima seduta?
Deve condividere la Sua sensazione di non aver ricevuto aiuto.

Un cordiale saluto,
[#17]
Attivo dal 2013 al 2017
Ex utente
Buongiorno a tutti.
A quasi tre anni dall'ultimo consulto ricevuto, mi trovo, mio malgrado, a dover chiedere nuovamente l'aiuto di voi professionisti.
Vengo da tre anni di psicoterapia sistemico-relazionale a carattere familiare...alcuni problemi nella nostra vita come "nucleo di persone" sono stati affrontati e risolti, altri si somo manifestati e li stiamo risolvendo, ma non é stato risolto quello dell'ansia, che permane gravissimo ed ormai credo sia del tutto irrisolvibile.
Negli ultimi tre anni non ho più viaggiato, ho smesso definitivamente di cercare lavoro perché ormai non riesco più ad allontanarmi da casa e la mia vita é fortemente limitata a pochissimi spazi vivibili, al di fuori dei quali sto male.
L'ansia raggiunge sempre livelli estremi e con essa si manifestano quelle reazioni di difesa che mi impediscono di espormi a qualsiasi situazioni temuta per provare a ricostruirmi una vita.
Sono costretto a rinunciare sempre ad ogni attività per poter riacquisire la serenità necessaria ad affrontare le giornate, che comunque sono vuote e noiose.
Ogni tanto riesco ad andare in un paio di localini per una pizza e una birra in compagnia, ma al di fuori di questo temo di impazzire e stare molto male. Mi é ormai rimasto un solo amico ed inoltre avverto come impossibile ogni tentativo di costruire una vita sentimentale con una figura femminile.
Nonostante la terapia, l'ansia non mi é mai stata curata, i terapeuti hanno sempre ritienuto che il ricorso a cure antiansia sia solo un palliativo e che i problemi, se non affrontati, resteranno. Nessuno di loro ha inoltre ritenuto necessario affidarmi ad uno psichiatra.
Purtroppo mi trovo in quella situazione tipica dei cani che si mordono la coda: credo di aver detto tutto di me al mio medico, e di averlo fatto con fiducia. Eppure tuttora non so se l'approccio che stiamo usando é giusto, non so quanto ancora durerà la terapia, temo di dover cambiare per la terza terapeuta, e nel frattempo il tempo continua a passare. Lo temo fortemente, e in tutto questo, poiché non trovo nè cerco più lavoro ho il timore di rimanere disoccupato a vita. 35 anni sono tanti, e le aziende non assumono più alla mia età una persona priva di esperienza. Ho sviluppato un fortissimo pessimismo, sono divenuto antinatalista e ce l'ho in parte con i miei genitori che mi hanno messo al mondo.
Spero in un vostro consiglio su come muovermi: devo effettivamente cambiare terapista? Ho bisogno, secondo voi, di un medico più che di uno psicologo? Cosa posso fare per riprendere in mano la mia vita?
Grazie a chi mi darà una risposta.
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