Disturbo d'ansia con somatizzazione

Salve sono un ragazzo di 25 anni, sono studente al termine del suo percorso di studio.

Agli inizi del mese di maggio ho avuto una crisi d'ansia con attachi di panico che mi ha reso estremamente difficile condurre, per un mese, la mia vita normalmente. Nonostante già da quest'inverno mi sentissi un po' ansioso e avessi notato nel periodo precedente una generale carenza di attenzione nello studio e nelle attività quotidiane, non ho avuto consapevolezza del mio stato sino a quando non si è verificato il crollo.
Inizialmente attribuivo la causa di questo stato allo stress da studio, mentre in realtà c'era altro.
Pochi mesi fa si è laureato un mio coinquilino che ha fatto il mio stesso percorso di studi. Questo ragazzo che conoscevo dalle superiori e che era mio amico all'inizio del percorso universitario, è sempre stato ritenuto da me inferiore dal punto di vista intellettuale. Dal punto di vista didattico era in grado di imparare a memoria le cose con grande abilità, tuttavia aveva serie difficoltà nel capire. In questo modo, è riuscito ad ottenere comunque grandi risultati in campo universitario, tanto che si è laureato con largo anticipo rispetto a me.
Io invece, ho le abilità opposte ma tuttavia sono ancora studente e sento una grande stanchezza, scoramento e mancanza di motivazione
Nel corso degli anni e con il susseguirsi dei successi da parte sua, è cresciuto in me un sentimento di intolleranza, antipatia, invidia, ostilità, fino a sfociare in odio. Nonostante questo, ho sempre mantenuto rapporti cordiali che col tempo sono diventati più formali, le conversazioni più rare sino a brevi dialoghi di circostanza.
Questa dimensione di non accettazione è diventata per me così dannosa da farmi passare diversi malesseri fisici legati ad uno stato di ansia generalizzato che mi ha portato a grandi sofferenze fisiche legate alla somatizzazione. Inoltre ho notato che il mio punto di vista sia spostato dal concentrarsi su di me, al concentrarsi sugli altri. Quindi, mentre sono in aula prima che la lezione inizi, osservo le persone parlare e confrontarsi su argomenti d'esame e sento crescere in me l'ansia.
Vi è da parte mia una grandissima consapevolezza della situazione, dell'eccesso di severità del mio giudizio, dell'errore di considerarsi migliore degli altri e quindi di non accettare la realtà quando questa non è conforme alle proiezioni. Nonostante cerchi di rilassarmi, di lasciar correre, di non pensare, di dare dei giudizi appropriati, ad oggi, per quanto la mia vita sia tornata nella piena normalità soffro ancora di pesanti mal di testa, ho un sonno non pienamente riposante e non di rado mi sento ansioso e ho tachicardia anche se non vi è un motivo particolare.

Intraprendere un percorso personale cercando di cambiare il proprio punto di vista, come sto facendo, può essere utile e sufficiente ai fini di una completa guarigione oppure è inevitabile una psicoterapia? Credete sia corretta l'interpretazione che ho dato di quanto è successo?

Saluti
[#1]
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 740 20
Gentile utente,
La sua lucidità nel descrivere il problema e' certamente favorevole a una maggiore introspezione che, tuttavia, condotta in solitudine, non si arricchisce del confronto che puo esserci con una figura professionale ad hoc. E' il confronto, infatti, in un setting terapeutico "protetto" che può essere davvero risolutivo per lei, già potenzialmente predisposto a un lavoro interiore su se stesso.
Cordialmente
Dott.ssa E.Scolamacchia

Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia
Psicologa. Psicoterapeuta. Analista Transazionale

[#2]
Attivo dal 2013 al 2014
Ex utente
Gentile Dottoressa Scolamacchia,

non mi sono più fatto vivo, neanche per ringraziarla. Me ne scuso.

Tuttavia la mia situazione negli ultimi giorni è tornata a peggiorare.
Proprio oggi avrei dovuto sostenere un esame importante all'università ma per forze di cose non ho raggiunto una preparazione tale per farlo... il problema è che oltre a quello che le ho illustrato nel messaggio precedente sento un grandissimo peso legato agli esami che mi restano da fare e questo è accompagnato da un profondo scoramento e senso di inettitudine. La aggiungo inoltre che la media dei voti degli esami fatti fin'ora è molto alta.

Oggi sono veramente atterrito. Il pensiero che alcuni amici e conoscenti siano andati a farlo e che quasi certamente passeranno mi distrugge. Il fatto che sia un esame molto molto impegnativo complica le cose.
E' come se nel giro di qualche tempo avessi smesso di credere in me stesso e mi fossi trasformato in un altro. Lo vedo. Ho subito una specie di regressione, è come se fossi tornato un bambino di 8 anni.

Mi fa sentire in colpa con me stesso e con chi crede in me e mi sostiene.
Questa notte non ho praticamente dormito, per quanto fossi andato a letto sereno. All'una sono dovuto alzarmi in lacrime dilaniato da rimorsi e sono andato a svegliare mia madre per un conforto.

Devo dirle che i miei genitori non hanno pretese da me e non mi mettono pressione in alcun modo. Ho un bellissimo rapporto con loro.
Mia mamma in particolare mi sta molto vicino, mi incoraggia e mi consola. Non mi incoraggia nel modo sbagliato però come fanno altri parenti, spronandomi ad andare a provare l'esame lo stesso, contro la mia volontà... io non me la sento. Mio padre mi dice di essere più menefreghista, di andare e provare se mi sento, altrimenti no. Altri familiari che frequente spesso per forza di cose invece mi incitano con più veemenza e io mi sento quasi in obbligo di ascoltarli per non tradire le loro aspettative... pensavo addirittura di andare in università, non fare l'esame e tornare dicendo di essere stato bocciato.
So che tengono molto a me e mi sento in obbligodi assecondarli. So che non dovrei.

Queste cose mi stanno dilaniando. L'ossessione poi degli altri mi abbatte in una maniera incredibile. Non mi fa concentrare e piango spesso.
Le confesso che negli ultimi mesi ho iniziato a guardare con simpatia al suicidio. Probabilmente non avrei il coraggio di metterlo in atto effettivamente ma l'idea di avere una "exit strategy" sinceramente l'ho trovato confortante e mi tranquillizzava. Questa notte però ci ho pensato con forte intensità.

Probabilmente sono depresso, ormai non ho perso tutte le certezze della mia vita. Non so più chi sono e come farò a fare quello che devo.

Io non so allora perchè le sto scrivendo tutto questo, non ho una domanda da farle.
Se volesse comunque rispondere ad una domanda non posta gliene sarei grato.
[#3]
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 740 20
Caro ragazzo,
Ha detto bene: lei è' depresso e i pensieri relativi al suicidio non vanno sottovalutati. Penso che abbia bisogno di consultare uno psicologo per una valutazione. E' in un punto di stallo e difficilmente può venirne fuori da solo in tempi brevi. I suoi familiari fanno per lei quello che possono e come possono con gli strumenti che hanno a disposizione, ma ne' la rassicurazione ne' l'incitamento sono nel suo caso adeguati, poiché entrambi svalutano l'importanza del problema. Non è' tanto questione di fare, non fare un esame, di prendere voti altissimi, medi, o essere bocciato. O, per lo meno, lo e' ma non solo. Il problema centrale e' il suo atteggiamento nei confronti del problema università e, se posso azzardarmi, nei confronti di avvenimenti che implicano aspettative su di se', sugli altri, sulla valutazione , sul senso di autostima ecc. Oltre ai suoi genitori e familiari, come sta con le amicizie, i rapporti sentimentali, hobby, interessi? Oltre lo studio, come passa le giornate? Che cosa le piacerebbe fare? Cosa desidera? Se immaginasse di poter cambiare qualcosa di se' e della sua vita attuale, come cambierebbe? E che cosa? La invito a considerare il problema da un altro punto di vista ma, al contempo, mi sento convinta nel raccomandarle la consultazione diretta con uno specialista.
Un caro saluto
Dott.ssa E.Scolamacchia
[#4]
Attivo dal 2013 al 2014
Ex utente
Grazie Dottoressa della risposta.

Vorrei aggiungere però che tutto questo non è un fenomeno costante.
In merito alla tendenza depressiva ne avevo parlato anche al mio medico di base. Il fatto è che i momenti di profondo scoramento (come quello durante il quale le ho scritto il messaggio precedente), non sono costanti e coinvolgono periodi di tempo relativamente brevi. Capita che nella stessa giornata possano esserci uno o più momenti del genere intervallati da momenti di piena lucidità e serenità. Per questo l'ipotesi depressiva non convinceva al 100%.

Quanto ai pensieri autodistruttivi, sono sicuramente un segnale di quanto sia pesante la negatività percepita in quei momenti, tuttavia posso azzardare che forse nel mio caso (come in altre persone sicuramente) questi pensieri non siano da sovravvalutare. In genere non ho mai considerato alcun tipo di pensiero un tabù, o un punto di non ritorno, o un segnale di quali mostri possano germinare nella mente. Sono dell'idea che ci sono pensieri che per quanto reputabili "mostruosi" e come tali condannati, in certi momenti possono affiorare, come ne possono affiorare altri. Il vero problema, secondo me, nasce quando la ragione non è più in grado di identificare questo pensiero come pensiero a se stante ma lo interpreta come azione.

In merito alle sue domande, Ho vissuto ormai 7 anni facendo l'università lontano da casa e rincasando peri i week end, mi sono relazionato quindi con tante persone, ho tanti conoscenti ma non ho amici veri e propri. Le dico che non amo uscire, anche quando lo facevo non impazzivo di gioia e se vi era la possibilità che un sabato sera saltasse, ne ero più che felice. Da circa 5 anni ho smesso di uscire del tutto con le compagnie, delle quali non condividevo più gli interessi. Non ho mai sofferto il fatto di non uscire molto.
Non ho una ragazza e la cosa non mi pesa più di tanto. Non l'ho mai avuta. Non che non vi sia mai stata occasione (anche se non innumerevoli), tuttavia non vi è mai stato un impegno vero e proprio da parte mia a causa del timore di un rifiuto nè, viceversa, un'accondiscendenza verso qualche ammiratrice in quanto giudicata troppo severamente.

Le mie giornate sono abbastanza monotone, come qualcuno le definirebbe. Durante i corsi, bhe si frequentava l'università ed ora che ho terminato a giugno, sono a casa coi miei, un po' studio e un po' faccio commissioni per dare una mano in casa.
Mi piacciono gli animali e seguo un paio di uccellini ammaestrati e un vecchio cane. Nulla che mi porti a relazionarmi con altre persone comunque.
Qualche volta vado al cinema in compagnia di mio fratello più giovane di 9 anni e a cui sono molto legato e col quale mi trovo molto bene.

Purtroppo non ho mai avuto passioni nella mia vita che si possano definire passioni. Non ho mai provato la sensazione di libidine guardando una partita di calcio nè niente di simile. Ascolto un po' di musica ma anche lì, non andrei a concerti nè saprei indicarle il gruppo al cui concerto andrei.

Quindi come vede tutto molto lineare, costante e un po' apatico.Tuttavia non me ne sono mai lamentato, anzi ho sempre cercato la routine.

La stessa materia di studi mia non è una cosa che susciti una passione smodata. E' stata una scelta come poteva esserne un'altra. Eppure l'ho scelta io, ma a quell'età non si hanno sufficienti conoscenze per poter fare una scelta calibrata al 100%.
Quindi ho fatto il mio percorso perchè alla fine avrebbe dovuto garantire più sbocchi lavorativi e più redditizi, il che di questi tempi è tutto dire.

Al momento non ho ambizioni, progetti grandiosi o desideri viscerali. L'unica cosa che gradirei molto stà nel fatto di terminare l'università e trovarmi un lavoro decoroso, anche se con l'aria che tira la cosa non è scontata.

Ad ogni modo la cosa che più mi preoccupa sta nella visione lucida che mi pare avere della situazione. Luci e ombre li abbiamo un po' tutti e la normalità non esiste.

Per questo l'unica cosa che mi frena è lo scetticismo in merito ad una piscoterapia. Ho paura che tutto sommato non possa avere un effetto significativo. La piscoterapia che immagino dovrebbe essere un percorso guidato volto a cambiare alcuno aspetti del modo di pensare ad una mente che si crede già in grado di viaggiare da sola potrebbe sembrare un tentativo di plagio che rifiuterebbe o che rimarrebbe a guardare con scetticismo. Allo stesso modo le terapie farmacologiche agendo sulla chimica neurologica che risultati possono ottenere se il problema di fondo è figlio di una psiche che sta ben attenta dal farsi manipolare? Indubbiamente gli aspetti somatici verrebbero alleviati ma il modo di pensare come può essere cambiato? Eppure i disagi ci sono, eppure se fosse così semplice uno guarirebbe da solo dall'oggi al domani. Eppure non ci si riesce.

Infine il mio ultimo dubbio. I disagi della mente tanto volte sono così difficili da spiegare. Il solo fatto di esprimere qualcosa in forma scritta e in forma orale da luogo sempre a due entità mai identiche fra loro per sfumature. Cercare di tradurre poi testi scritti nel linguaggio dell'anima in discorsi orali e comunicandoli ad una persona, per di più sconosciuta e che non sa nulla di noi, come possono portare ad una diagnosi corretta al 100%?

Gentile Dottoressa, io torno a ringraziarla.
Cercherò di contattare uno specialista.
[#5]
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 740 20
Grazie per la sua lunga e particolareggiata risposta.
Cercherò di riprendere alcuni punti che mi sono sembrati molti stimolanti per invitarla a un'ulteriore riflessione.
Non posso fare una diagnosi, ovviamente, non on line, tuttavia a livello teorico e manualistico, la depressione può manifestarsi in molti modi e con infinite sfumature. Non esiste un solo comportamento da depresso. Non vi è' solo un aspetto presenza/ assenza di sintomi, ma anche l'intensita' con la quale tutti o alcuni di loro si manifestano. Il pensiero negativista, pur se lucido e, se vuole, ancorché ancorato a dati di realtà, può essere l'aspetto prodromico o l'anticamera di una depressione. Se vuole, il mio articolo sul blog si occupa proprio di alcune modalità di pensiero che possono contribuire a slatentizzare ed alimentare uno stato depressivo di fondo. Un elemento la cui presenza costituisce un importantissimo indicatore diagnostico e' la mancanza di piacere o interessi specifici come fonte altamente gratificante di rifornimento emotivo. La mancanza di confronto e di relazione con gli altri esseri umani non aiuta a costruire un senso di se' più integrato e meno autoreferenziale. Intravedo il timore, in lei, di non essere accettato. Il suo stare a distanza, quindi, la protegge da una parte, ma dall'altra, le toglie la possibilità di provare emozioni e sentimenti. I suoi momenti di sconforto sembrano manifestare un desiderio di condivisione che non trova appagamento.
Mi colpisce, invece, come elemento importante, il suo rapporto con gli animali, che e' davvero molto bello e indice di una profonda sensibilità'. I nostri animali ci rimandano, anche a livello simbolico, alle nostre parti istintive e al nostro bisogno di rimanere in contatto con una natura mai del tutto addestrabile..per fortuna! Le rinnovo il suggerimento di un percorso a livello psicologico, proprio ai fini di un confronto empatico e assolutamente non giudicante, oltre che competente, con uno specialista.
Un caro saluto
[#6]
Attivo dal 2013 al 2014
Ex utente
Grazie per la celere risposta.
Cercherò l'articolo a cui ha accennato.

Si, sono una persona molto sensibile e se da un lato questo aspetto mi gratifica sotto certi punti di vista perchè mi fa vedere dimensioni che non a tutti sono visibili, dall'altro mi rende svantaggianto di fronte ad alcune situazioni in cui l'emotività dovrebbe essere controllata.
Tempo fa riuscivo a controllarla senza problemi, tuttavia di recente ho iniziato a fare sempre più fatica sino a non riuscirci del tutto in alcune situazioni.
Sono troppo responsabile e severo nei giudizi, sia degli altri che nei confronti di me stesso.
Talvolta mi sento responsabile di cose che non mi dovrebbero toccare, o comunque provo una forte empatia.
Risento molto anche del giudizio delle altre persone, o del giudizio che immagino gli altri abbiano di me.
E' vero che dovrei relazionarmi di più, che la crescita nasce dal confronto, eppure dentro di me vi è sempre stato un senso di ricerca di isolamento. Volontario.

Vede, questo mix di aspetti mi ha fatto ritrovare nel bel mezzo di un fuoco incrociato.
Mi piacerebbe essere meno fragile. Non che agli altri appaia fragile, chi mi conosce in università mi vede in genere come uno "bravo e tosto" e a questa immagine cerco di ancorarmi, eppure è come se fosse stata una maschera e ora mi vedo vulnerabile poichè sento che è caduta. Il problema è che ho sempre visto con chiarezza la differenza fra l'essere e l'apparire eppure queste due dimensioni adesso non riescono più a convivere perchè probabilmente devono omogeneizzarsi, fondersi e quindi rivelare la mia immagine per quella che è in realtà.

Forse viaggio troppo velocemente con la mente, forse in realtà non ho proprio niente e cerco solo di fuggire dalle mie responsabilità di studente che deve perseguire degli obbiettivi.

Il fatto è che in ogni caso è necessaria un'interpretazione... In ogni caso ho contattato il mio medico e vedrò uno psichiatra psicoterapeuta per un consulto.

La ringrazio della cortesia dimostrata.
[#7]
Dr.ssa Elisabetta Scolamacchia Psicologo, Psicoterapeuta 740 20
Grazie a lei per la disponibilità ed apertura dimostrate. Le auguro di trovare le risposte alla sua ricerca interiore e, se vuole, può farci sapere come e' andato l'incontro che ha programmato.
Davvero un caro saluto.
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