Fobia sociale vera o semplice timidezza e disabitudine?
salve, ho 24 anni, da quando ho finito la scuola a 19 anni in pratica non ho avuto alcun contatto sociale significativo, un "amico" o anche solo un conoscente con cui uscire qualche volta. IN pratica mi sono isolato, non che abbia dovuto impegnarmi molto per farlo perchè sfortunatamente ho un'indole introversa e poco socievole che non mi aiuta, e la gente, per quel poco che ho notato, pare assecondare questa mia indole lasciandomi opportunamente nell'angolo. Tuttavia come si può immaginare non essendo una situazione scelta ma "subita" (sembra strano ma la vivo così, anche se dipende da me, vedo che la capacità di socializzare -ed integrarmi realmente- esula dalle mie abilità) soffro molto di questa situazione che mi fa sentire diverso, anzi decisamente inferiore agli altri, in pratica un reietto. Ma la cosa deve notarsi all'esterno anche se cerco di assumere l'atteggiamento più disinvolto di cui sono capace, perchè le pochissime persone che ho incontrato, hanno molto presto iniziato a punzecchiarmi su questo mio problema o comunque a mettere le distanze tra me e loro, quasi a ricordarmi che io occupavo un certo posto e non potevo aspirare ad una vita diversa, normale diciamo. Io almeno l'ho vissuta così, poi magari è tutta una mia suggestione. Certo è che quando con grande sforzo cerco di relazionarmi con le persone, per quanto non faccia e dica niente di sgradevole (lo so per certo), noto fin da subito vari segnali di mal sopportazione e diffidenza nei miei confronti ed un atteggiamento tendenzialmente critico. Questo dalle persone che socialmente sono più rispettate, quindi mi viene da chiedermi se il fatto di avere pochi amici, come mi hanno sempre detto in famiglia, dipenda davvero da un mio dire cose "sgradevoli", quando vedo persone molto sgradevoli con me anche apertamente, che paiono invece ottenere il consenso degli altri elementi del gruppo. Insomma, spesso ho la sensazione di essere un essere umano di serie b, a cui non è concesso dire o fare le cose che fanno gli altri, e verso il quale atteggiamenti altrove offensivi sono più che accettati. Mi chiedo se questa sia solo una mia sensazione o un dato di realtà. Io mi sento molto obiettivo, sinceramente, e quando ho una sensazione il più delle volte si rivela avere almeno un fondamento. L'unica cosa che forse può essere vista come una colpa per cui mi merito la mia situazione è che non mi sforzo di omologarmi a tutti i costi, di cambiare atteggiamento secondo il contesto, anzi spesso, per quanto me lo conceda il mio essere timido, tendo a dire la mia in ogni caso. Purtroppo la mia volontà di uscire da questa situazione si scontra con la realtà che ormai da anni sono diventato sempre più depresso (sia per la situazione, sia per un temperamento che mi porto dietro) e temo che non riuscirei a non mostrare questo mio lato, ed anche se riuscissi a non mostrarlo sforzandomi per un breve periodo, non potrei fingere di avere avuto esperienze che non ho avuto. Come se ne esce? ho fissato da u
[#1]
Psicologo
Gentile Utente,
il fatto che
<<per quanto non faccia e dica niente di sgradevole (lo so per certo), noto fin da subito vari segnali di mal sopportazione e diffidenza nei miei confronti ed un atteggiamento tendenzialmente critico.>>
potrebbe dipendere non tanto da ciò che Lei dice, quanto dal Suo modo di comportarsi.
Un modo di comportarsi che probabilmente è molto personalizzato e perciò poco affine a quello del "gruppo", come dimostra il fatto che
<<non mi sforzo di omologarmi a tutti i costi, di cambiare atteggiamento secondo il contesto, anzi spesso, per quanto me lo conceda il mio essere timido, tendo a dire la mia in ogni caso.>>
Tenga presente che stare con gli altri significa non tanto dire o non dire certe cose e in quale modo, quanto "sentirsi parte" del gruppo e agire di conseguenza.
In altre parole, si tratta di "fare parte del coro", mentre invece sembra che Lei si comporti da "solista".
Il che non è necessariamente uno svantaggio, ma implica il "dovere" di essere "più bravi" per ottenere l'apprezzamento altrui.
Comunque, un eventuale cambiamento è possibile ma richiede un'accurata pianificazione con l'aiuto di uno specialista.
il fatto che
<<per quanto non faccia e dica niente di sgradevole (lo so per certo), noto fin da subito vari segnali di mal sopportazione e diffidenza nei miei confronti ed un atteggiamento tendenzialmente critico.>>
potrebbe dipendere non tanto da ciò che Lei dice, quanto dal Suo modo di comportarsi.
Un modo di comportarsi che probabilmente è molto personalizzato e perciò poco affine a quello del "gruppo", come dimostra il fatto che
<<non mi sforzo di omologarmi a tutti i costi, di cambiare atteggiamento secondo il contesto, anzi spesso, per quanto me lo conceda il mio essere timido, tendo a dire la mia in ogni caso.>>
Tenga presente che stare con gli altri significa non tanto dire o non dire certe cose e in quale modo, quanto "sentirsi parte" del gruppo e agire di conseguenza.
In altre parole, si tratta di "fare parte del coro", mentre invece sembra che Lei si comporti da "solista".
Il che non è necessariamente uno svantaggio, ma implica il "dovere" di essere "più bravi" per ottenere l'apprezzamento altrui.
Comunque, un eventuale cambiamento è possibile ma richiede un'accurata pianificazione con l'aiuto di uno specialista.
[#2]
Gentile Utente,
ci scrive da tempo, palesando disagio, scarsa accettazione della sua fisicità e disagio psicologico.
Ha effettuato qualche cura fino ad adesso?
Si è rivolto ad uno psicologo?
L'omologazione non è una strategia, ma un tentativo di appartenere ad un gruppo, senza elaborare e risolvere i suoi disagi
La strada da poter percorrere è la conoscenza di sé, la riappacificazione con se stesso e la scoperta dei suoi valori e cose belle che sicuramente ha, ma che forse non sa di avere
ci scrive da tempo, palesando disagio, scarsa accettazione della sua fisicità e disagio psicologico.
Ha effettuato qualche cura fino ad adesso?
Si è rivolto ad uno psicologo?
L'omologazione non è una strategia, ma un tentativo di appartenere ad un gruppo, senza elaborare e risolvere i suoi disagi
La strada da poter percorrere è la conoscenza di sé, la riappacificazione con se stesso e la scoperta dei suoi valori e cose belle che sicuramente ha, ma che forse non sa di avere
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
[#3]
Utente
ho fissato con uno psicologo che tra l'altro ho conosciuto qui su medicitalia, ma essendo lui molto occupato ha rimandato il primo appuntamento tra un po' di tempo. Come ho scritto in altre domande, sì ho fatto delle terapie per periodi di tempo anche lunghi, poi ultimamente ho iniziato a farle ad intermittenza, fino a concluderle definitivamente perchè non vedevo alcun risultato ed il costo non era indifferente (non ho problemi economici ma non mi piacciono gli sprechi). Sinceramente, ormai non ci credo più molto nella psicoterapia, almeno non nella sua capacità di cambiare radicalmente una persona e di fare più di quanto potrebbe fare questa da sola, ma visto che a quanto pare per quelli come me non ci sono altre strade, mi adeguerò. Lei dice che la strada è la conoscenza di sè etc...ma il problema è che io mi conosco fin troppo bene e non mi piace ciò che sono e sono diventato, anche perchè non piaccio alle persone. Tutte queste parole, che mi son sentito dire una marea di volte, e che sono giustissime, le percepisco come retorica fine a se stessa. Ho provato ad impegnarmi su più fronti, a tenermi occupato anche in cose che non mi piacevano, ma a quanto pare le cose non sono cambiate per come avrei voluto. Non sono il tipo che pensa al suicidio, per fortuna, ma a volte penso che molte persone che si ammazzano, sostanzialmente, avevano meno motivi di me per farlo (o motivi in più nella vita per vivere). Non mi resta che inchiodarmi alla poltrona del terapeuta per qualche decennio come fanno in tanti oggigiorno? (e tra le persone che vedo, come mai quelle più felici e soddisfatte non sono mai andate da alcun terapeuta, mentre quelle che ci vanno anche da anni o forse decenni, paiono sempre, tutto sommato, insoddisfatte e tristi?). Diciamo che non era la mia aspirazione nella vita.
Ad ogni modo ho fatto questa domanda per capire se la mia situazione fosse di vera fobia sociale o cosa, visto che a seconda di dove vado mi vengono date diagnosi diverse: c'è chi dice che sono perfettamente normale, chi dice che sono narcisista edipico etc, chi non mi spiega niente ma lascia un alone di mistero sulla diagnosi e la terapia. Quindi rinnovo la domanda.
Ad ogni modo ho fatto questa domanda per capire se la mia situazione fosse di vera fobia sociale o cosa, visto che a seconda di dove vado mi vengono date diagnosi diverse: c'è chi dice che sono perfettamente normale, chi dice che sono narcisista edipico etc, chi non mi spiega niente ma lascia un alone di mistero sulla diagnosi e la terapia. Quindi rinnovo la domanda.
[#4]
Psicologo
Gentile Utente,
personalmente non ho notizia di persone <<inchiodate alla poltrona del terapeuta per qualche decennio>>, addirittura.
Fermo restando che vi sono diversi modi di intendere e di svolgere la psicoterapia, e quindi si tratta di trovare il/la terapeuta con cui i progressi si riescono a fare, la psicoterapia in sé non è altro che uno strumento che Lei deve imparare a usare a proprio vantaggio.
Secondo Lei quanto tempo Le ci vorrebbe per cambiare radicalmente la sua mentalità, sia con l'aiuto di uno/a psicoterapeuta sia in modo autonomo?
personalmente non ho notizia di persone <<inchiodate alla poltrona del terapeuta per qualche decennio>>, addirittura.
Fermo restando che vi sono diversi modi di intendere e di svolgere la psicoterapia, e quindi si tratta di trovare il/la terapeuta con cui i progressi si riescono a fare, la psicoterapia in sé non è altro che uno strumento che Lei deve imparare a usare a proprio vantaggio.
Secondo Lei quanto tempo Le ci vorrebbe per cambiare radicalmente la sua mentalità, sia con l'aiuto di uno/a psicoterapeuta sia in modo autonomo?
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 2.3k visite dal 01/06/2013.
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