Odiare sé stessi

Gentili dottori,
scrivo perché odio me stesso in maniera viscerale e non riesco a trovare requie.
Sono nato in una famiglia disastrata, generato da due individui inqualificabili che mi hanno messo al mondo per sbaglio e tirato su a insulti e legnate. Il solo pensiero di essere stato a sguazzare per nove mesi tra le trippe di mia madre mi dà il voltastomaco.
Ho accumulato, fin dall’ infanzia, una serie ininterrotta di fallimenti in qualsiasi campo mi sia cimentato. Ero un ottimo studente, l’unica opportunità che abbia mai avuto di riscattarmi dallo squallore e dalla mediocrità in cui ho sempre vissuto, ma non ho concluso niente con gli studi. Ho macinato esami con il massimo dei voti per 2 anni, in una facoltà che ho odiato fin dal primo giorno, poi sono crollato. Ansia, vertigini, conati di vomito, alle volte non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto o a stare in piedi. Alla fine ho mollato. Era stato un ripiego, ero quasi riuscito ad entrare all’ Accademia Navale, il sogno di una vita. Supero gli scritti e le prove fisiche senza problemi, mi buttano fuori per uno stramaledetto difetto congenito, altro regalino di quel coacervo di geni scadenti da cui provengo. Me li ricordo come i pochi, unici giorni felici della mia vita.
Vivo divorato dai rimpianti, dalla rabbia, e dall’ invidia. Invidia per chi è riuscito, per chi ha una vita vera. Spesso sono persone che conosco da sempre, di cui non ho mai avuto niente da invidiare prima di rovinarmi con le mie mani, e che adesso mi sembrano più lontani di un miraggio.
Tutto di me mi disgusta: il passato, il presente, gli atteggiamenti da castrato che sono costretto ad assumere davanti all’ ennesimo capetto mentecatto per tenermi stretto l’ ennesimo impieguccio di quart’ ordine, come l’ ultimo, che perderò tra un mese. Il mio curriculum è una barzelletta, le mie condizioni economiche disastrose.
Ho provato a sopprimermi, ma non sono stato capace neanche di crepare.
I conti in questa vita non torneranno mai. Ho sempre mangiato sabbia, mangio sabbia, mangerò sabbia. Per cosa ho vissuto? Per cosa vivo? Non ho più sogni, non ho più ambizioni e vorrei non averne mai avute. Sarebbe stato meglio nascere inetto invece che esserci diventato, almeno la mia situazione sarebbe giustificabile.
Sono un miserabile fallito. Ne prendo atto. La mia vita non vale niente. Ne prendo atto. Ma prenderne atto non mi aiuta in nessun modo. Perché continuo ad infuriarmi, ad arrabattarmi, a non dormire la notte per una cosa che non ha valore? Perché non posso semplicemente stare fermo in un punto e aspettare che tutto finisca?
Mi chiedo e Vi chiedo, è possibile, con la prova provata in mano della propria inadeguatezza all’ esistenza, arrivare quantomeno a sopportarsi? Perché non credo di poter fare di più, a parte turarmi il naso e fare finta di non sentire il puzzo di questo mucchio putrefatto di giorni senza significato.
Perché io non sono niente, non voglio più niente, e di niente più mi importa. Chiedo aiuto.
Un saluto.
[#1]
Dr.ssa Sabrina Camplone Psicoterapeuta, Psicologo 4.9k 87
"Perché non posso semplicemente stare fermo in un punto e aspettare che tutto finisca?"

Perché è un essere umano che ha dentro di Sé delle risorse che in questo momento sono schiacciate dal peso di uno spietato atteggiamento giudicante, che alimenta la rabbia e la disperazione. Allora forse bisognerebbe partire proprio da lì, da quel "giudice interiore" che emette continuamente condanne senza appello, privandola anche del diritto di darsi un'altra opportunità, mi riferisco alla possibilità di tornare a considerare sé stessi una PERSONA e in quanto tale degna di considerazione e in diritto di avere un progetto di vita.Non mi dica che ha già sofferto troppo, che le delusioni hanno avuto la meglio, perché non sarà mai troppo tardi a meno che non sia Lei a deciderlo.

Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it

[#2]
Dr.ssa Franca Esposito Psicologo, Psicoterapeuta 7k 154
Gentile ragazzo,
C'e' una difformita' fra quello che lei scrive (il contenuto manifesto) e quello che invece trasmette forse inconsciamente.
La sento pieno di vita. Arrabbiato verso la vita ma non vinto.
Indubbiamente ha avuto delle delusioni, negli studi, nell'ammissione all'Accademia Navale ma non m sembra che lei sia il tipo da abbattersi.
Non sara' per caso che lei sia alla ricerca (almeno per ora non fortunata) di riscatti rispetto al suo contesto familiare?

Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132

[#3]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> Perché non posso semplicemente stare fermo in un punto e aspettare che tutto finisca?
>>>

Perché, non è ciò che sta già facendo?

Forse può avere l'impressione di muoversi, di fare delle cose, ma leggendo il suo racconto dall'esterno sembra che il suo sviluppo sia rimasto completamente bloccato.

Internamente lei è fermo al punto in cui si odiano i genitori e quindi se stessi, incapace di rendersi conto che le persone che chiamiamo genitori ci vengono date, purtroppo non possiamo scegliercele. Le cose al mondo succedono e purtroppo non sempre nel modo che preferiremmo.

La posizione di chi non riesce a smettere di accusare i genitori di tutto ciò che di male gli succede, è quella di condannare se stessi ogni giorno. All'inizio il peccato può essere stato loro, ma di fatto adesso è lei che sta alimentando il suo stesso disagio, decidendo di non mollare il senso di odio e rivalsa. Ovviamente in modo involontario, è chiaro, a nessuno piace soffrire. Però anche alla sofferenza ci si abitua.

Ritengo che dovrebbe parlarne con uno psicologo psicoterapeuta, però di persona.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#4]
Utente
Utente
Al dr. Camplone:

<...forse bisognerebbe partire proprio da lì, da quel "giudice interiore" che emette continuamente condanne senza appello...>

È possibile cucire la bocca di quel giudice una volta per tutte? Perchè lo sento sempre, e non in senso figurato. È una voce con un timbro, un' inflessione, e un accento propri, che mi trapana il cervello dal momento in cui mi sveglio e apro gli occhi. La sentivo ieri quando ho chiesto questo consulto, l' ho sentita per tutta la mattina al lavoro, la sento adesso mentre scrivo. Mi costa una fatica enorme farla tacere anche solo per un po', mentre basta un niente (una foto, un ricordo, una scritta, una parola, la vista di una persona) per riaccenderla e pompare il volume.

<...un essere umano che ha dentro di Sé delle risorse...>

Razionalizzando la questione a posteriori mi rendo conto che l' unica scelta sensata sarebbe convincermi dell' esistenza delle risorse di cui Lei parla, anche senza avere la benchè minima prova della loro reale esistenza.Ma è, appunto, un costrutto mentale artificioso. Non ci credo, non lo sento, mi sembra solo di mentire a me stesso.

Al Dr. Esposito:

<Non sara' per caso che lei sia alla ricerca (almeno per ora non fortunata) di riscatti rispetto al suo contesto familiare? >

Questo è poco ma sicuro. E più che "non vinto" mi sento esausto. E le forze che mi restano se ne vanno tutte in mera sopravvivenza. È come camminare con dei ceppi alle caviglie: si può, ma non si arriva molto lontano. Ho trent' anni e comincio a sentirmi vecchio. Ho visto e vedo il tempo che scivola via, e la cosa mi spaventa a morte.

Al Dr. Santonocito:

<sembra che il suo sviluppo sia rimasto completamente bloccato>

Che cosa vuol dire? Sono infantile? Immaturo? Minorato? Mezzo matto?

<ma di fatto adesso è lei che sta alimentando il suo stesso disagio, decidendo di non mollare il senso di odio e rivalsa>

L' odio e il senso di rivalsa sono così abominevoli? Quel poco di degno e di meritorio che ho fatto è stato carburato da entrambi. Il problema è che l' odio e la rivalsa si sono mescolati con la consapevolezza di un passato fallimentare (che prima non c' era), e del cui peso non riesco a sgravarmi in nessun modo. Una montagna di macerie che copre l' orizzonte. Ho provato a scalarla prima, poi a sfasciarla a picconate, non è servito a niente. Forse la soluzione è semplicemente quella di girarci intorno e andare avanti. Forse il problema è di geometria spicciola prima che di cervello scombinato.

<Ritengo che dovrebbe parlarne con uno psicologo psicoterapeuta, però di persona.>

A questo punto non vedo alternative. Ma sono paralizzato dalla vergogna. So che è un' idiozia, ho una lista di numeri davanti, ma non riesco a prendere il telefono.

Scusate la pedanteria, sto cercando di capire.

Grazie per le risposte.
[#5]
Dr.ssa Sabrina Camplone Psicoterapeuta, Psicologo 4.9k 87
"Mi costa una fatica enorme farla tacere anche solo per un po'"

Gent.le ragazzo,
non si tratta di censurarsi al contrario, di condividere così come sta facendo con noi il suo vissuto all'interno di uno "spazio protetto": la relazione con lo Psicologo,sarà questa l'esperienza che le consentirà di imparare a non giudicarsi perché Lei per primo non si sentirà giudicato.


"l' unica scelta sensata sarebbe convincermi dell' esistenza delle risorse di cui Lei parla, anche senza avere la benchè minima prova della loro reale esistenza."

Infatti non si deve convincere di nulla ma solo concedersi il permesso di affrontare un percorso di crescita personale, durante il quale tali risorse potranno affiorare e finalmente potrà attingere ad esse.

Oggi la rabbia sembra essere l'unica fonte di energia ma presto scoprirà che la consapevolezza può essere un motore molto più potente ed efficace.
Capisco che sia difficile alzare il telefono ma non consenta alla vergogna di monopolizzare la sua capacità di prendere un'iniziativa, lo deve a sé stesso e ha tutto il diritto di provare a riconquistare una condizione di vita gratificante.
Se ha difficoltà economiche può rivolgersi al Consultorio familiare della sua ASL non è necessario passare dal medico curante, può telefonare direttamente per prendere un appuntamento con lo Psicologo.
[#6]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Per capire, bisogna prima che faccia uno sforzo e metta da parte i giudizi morali su se stesso e sui suoi. Quindi abbandonare parole come abominevole, degno, meritorio ecc. Lei non è un minorato o un poveraccio con il cervello scombinato, ma una persona che sta soffrendo. Ha ragione a dire che il suo passato non le sta alle spalle ma davanti, ingombrandole la strada per proseguire. Ma esso è là per un motivo molto semplice: perché probabilmente non lo ha ancora accettato. È lei stesso che lo mantiene in vita, tentando di abbatterlo a picconate. Più ci pensa, più lo alimenta. C'è un detto molto vero in psicologia: ciò che resisti, persiste. Ciò che accetti scompare.

Anche scavalcarlo o girarci intorno non sarebbe la soluzione ottimale; nel suo intimo saprebbe che è sempre là, anche se in quel momento gli sta voltando le spalle.

Neanche capendo e basta potrebbe arrivare mai a soluzione. Potrebbe invece riuscirci mediante una forma di psicoterapia attiva e focalizzata, anche breve, ma che le dia strumenti pratici per fare piazza pulita.

A distanza comunque non funzionerebbe, le cose fanno molto più effetto ascoltate di persona che lette per email.

Legga qui e s'informi:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
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https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/233-la-psicoterapia-che-cos-e-e-come-funziona.html

Ma se proprio è paralizzato dalla paura, allora legga prima questi:

http://www.giuseppesantonocito.it/news.htm?m=383
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https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/2109-ansia-depressione-problemi-sessuali-relazionali-c-posso-farcela-da-solo.html
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