Quanto conta la diagnosi?

Gentili Dottori,
vi ho chiesto scritto mesi fa e mi siete stati d’aiuto,pertanto mi permetto di chiedervi un nuovo parere nella speranza che possa chiarirmi una volta di più le idee.
Sto attraversando un periodo molto particolare della mia vita.A Dicembre sono caduta nell’ennesima delle mie crisi che si è rivelata la più dolorosa e forte tra le centinaia avute fino ad ora. In preda al dolore e alla disperazione e all’acutizzarsi dei disturbi alimentari (oltretutto preesistenti)sono riuscita in un momento di consapevolezza (devo ancora capire come sia successo..) a sforzarmi per trovare qualcuno che mi potesse aiutare (avevo precedentemente tentato vari percorsi,tra cui quello“pubblico” anche su richieste del mio medico di base ma ho avuto addirittura molte difficoltà ad ottenere dei colloqui…). Da quasi tre mesi ormai vedo una psicologa presso un centro privato della mia città. Non ho nulla da obiettare circa la professionalità,è disponibile,ascolta,mi sprona a ragionare e non dare nulla per scontato ma in me sono sorti comunque alcuni dubbi. Il primo dubbio riguarda un’eventuale diagnosi. Ad oggi non mi è stato detto che cosa mi sia successo e che cosa io abbia. Ho provato a parlarne con la Dott. ma mi ha risposto che forse dovrei concentrarmi sul fatto che ci sia effettivamente qualcosa che non va piuttosto che sul cosa sia. Ho pensato che magari ci voglia del tempo per inquadrarmi.Ma non so se il lasso di tempo intercorso sia ragionevole o meno..Perché vi sto chiedendo se una diagnosi sia importante e necessaria? Perché vengo da una vita di problemi a livello psicologico. I primi sono sorti nell’infanzia e le condizioni sono andate peggiorando di anno in anno. Inizialmente non ne ero consapevole e la mia testa tendeva a catalogare certi comportamenti ed emozioni come fisiologici e passeggeri. Quando ho iniziato a soffrire e ad avvertire l’impotenza e la confusione verso alcuni aspetti ho tentato di chiedere diversi aiuti. In tutti questi anni pur implorando famigliari,amici e specialisti di darmi una mano me lo sono visto sempre rifiutare con la spiegazione che “non sei pazza,sembri normale,non sei grave,non compi gesti pericolosi”.Così ho tralasciato anche io dubitando che potesse essere tutto vero.Eppure la mia vita è un inferno,ogni giorno lo è,le crisi lo sono,tutto lo è,io non ho una vita normale e questo è sotto gli occhi di chiunque,tant’è che qualcuno me l’ha fatto anche notare..Non ho mai trovato il modo di descrivere ciò che mi capita perché non trovo io stessa le parole per farlo,perché non capisco. Nei scorsi mesi credevo di impazzire,di non farcela a sopravvivere,quando la crisi ha allentato la presa e sono tornata nella modalità “cosciente” per la prima volta in 26 anni qualcosa in me ha chiesto la possibilità di essere davvero salvato.E’ come se fossi divisa in due parti:la parte“normale”che cerca di vivere come la gente comune e la parte oscura che fa scempio di ogni cosa e mi tormenta.Il fatto che io soffra ma ne sia cosciente e preghi per essere aiutata credo mi faccia perdere credibilità. Eppure vi giuro su quel che ho di più caro che il mio cuore,la mia testa,i miei occhi,la mia anima e il mio corpo sono stanchi,esausti e non ce la fanno più.Ciò che non capisco è dove siano i limiti? Non comprendo se sarei in grado di controllare questi problemi e se sono scatenati da qualcosa(di cui io non sono consapevole)o se fanno parte di me,io me ne sento posseduta,non mi capisco.Ha un senso?Questa settimana ho preso appuntamento presso il centro disturbi alimentari della mia città sperando intanto di riuscire a interrompere e gestire almeno questo problema. So che verrò ascoltata da un’altra psicologa ma non so se nutrire speranze. Per il momento l’unica cosa che riesco a fare è appuntarmi ogni cosa che capita,che penso,che faccio e tutto ciò che riesco a fatica ricordarmi delle crisi del passato,di questi momenti bui e incontrollabili. Le variazioni d’umore,le angosce,l’ansia,la rabbia,le stranezze ormai variano di ora in ora e ci sono giornate in cui ciò mi spossa così tanto che fatico a muovermi,dormire,parlare,pensare.E’ come se qualcuno mi buttasse in un vortice per un’ora e poi mi ritirasse fuori,e dopo un’ora mi ributtasse dentro e poi mi ritirasse fuori.Alle persone dico che è stanchezza,i problemi a lavoro,in realtà non ha forma,è puro tormento.Ho rimandato tanto il momento d’ascolto di me stessa,pur perdendo il controllo durante questi ultimi mesi,nei momenti in cui mi sento morire e la realtà si deforma inizio a parlare a voce alta e a ripetermi di resistere e di non mollare la presa,cerco di autoconvincermi che sono momenti che poi avranno un termine cosi come hanno un inizio,in questo modo sono riuscita a fatica a non perdere il contatto con la parte cosciente,quella che mi sta facendo disperatamente chiedere aiuto. E’ l’ultima possibilità che mi do perché rinnego la probabilità che mi debba rassegnare a quest’inferno che dura da un’intera vita. Che cosa ne pensate? E’ davvero importante sapere che cos’ho? Come dovrei muovermi? Ogni vostro suggerimento sarà da me ben accetto. Scusate la lunghezza del messaggio e un grazie anticipato a quanti di voi avranno tempo e voglia di leggermi e rispondermi.
Saluti.
[#1]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Cara Utente,

ha fatto bene a chiedere aiuto: probabilmente la parte di lei che desidera che si salvi e guarisca è più forte di quella, oscura, che fa scempio di tutto.

Quanto è importante per lei ricevere un'etichetta che attesti che "ha qualcosa"?
Non tutti gli approcci psicologici/psicoterapeutici contemplano la necessità di stabilire una diagnosi precisa perchè questo a volte serve solo a catalogare il paziente e a portare egli stesso ad etichettarsi in un certo modo.

Che tipo di psicoterapia ha iniziato?
Quante sedute ha già avuto?
E' stata esaminata mediante test psicologici?

Consideri anche che non è detto che a maggiore sofferenza corrisponda maggiore serietà del problema: ci sono persone affette da disturbi davvero seri (come i disturbi di personalità) che non hanno nemmeno la percezione di soffrirne e si considerano "normali", mentre altre persone presentano disturbi minori - o una situazione che non soddisfa nemmeno i criteri minimi per porre una diagnosi - e si sentono molto male.

Alla luce di tutto questo pensa che ricevere una diagnosi servirebbe a lei per capirsi meglio o a chi le sta attorno per capire che le sue non sono tutte storie?

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

[#2]
Dr.ssa Valentina Sciubba Psicoterapeuta, Psicologo 1.7k 38
Gentile utente,
se per diagnosi intende una diagnosi psicopatologica, cioè un disturbo mentale, anche il medico di base può farla, cioè può dirle ad es. se ha un determinato disturbo d'ansia o un determinato disturbo alimentare ecc.

Se invece intende una chiarificazione del o dei principali meccanismi psicologici che sono alla base del malessere, allora dovrebbe essere lo psicologo ad individuarli e a formulare l'eventuale ipotesi psicopatogenetica.

La prima diagnosi può anche essere un'etichetta, la seconda ovviamente è più individuale.

Anche la diagnosi è un atto psicologico che può avere importanti effetti e pertanto potrebbero essere opportune delle cautele, potrebbe essere opportuno un differimento.

Personalmente ritengo che una richiesta esplicita in merito da parte dell'interessato vada generalmente accolta.

Valentina Sciubba Psicologa
www.valentinasciubba.it Terapia on line
Terapia Breve Strategica e della Gestalt
Disturbi psicologici e mente-corpo

[#3]
Attivo dal 2011 al 2017
Ex utente
Gentile Dottoressa,
grazie per la risposta. Mi sono posta anche io la domanda che lei mi fa alla fine,mi sono chiesta perchè vorrei sapere che cos'ho? E ci ho ragionato per tre settimane.
La risposta è la seguente:perchè vorrei capire cosa mi succede,null'altro.Vorrei capire perchè continuo a sabotarmi e a sabotare la mia vita da 26 anni,perchè ogni e dico ogni cosa,fatto,persona,rapporto è per me un problema,perchè mi torturo con pensieri,ossessioni,perchè non riesco ad avere amicizie,rapporti sentimentali,lavorativi senza che per me non siano un tormento,perchè passo da anoressia ad abbuffate di continuo,perchè aggredisco gli altri e perchè adotto certi comportamenti anormali che pur rendendomi conto a posteriori essere dannosi non riesco comunque a prevenire,perchè provo depressione e dolore,e potrei continuare all'infinito..Io ho rinunciato alla vita perchè non controllo me stessa. Per anni ho rifiutato di ammettere che ero problematica,anche davanti ai ripetuti insulti e ammonizioni da parte della mia famiglia.Ora che sono sola,nei momenti di distacco dalla realtà arrivo a pensare di voler finire tutto perchè temo di aver superato la soglia del tollerabile e capibile e ho paura che anche i prossimi 26 anni saranno così.
A cosa mi servirebbe sentirmi dire dagli altri che non sono storie se il problema riguarda me? Io mi rendo conto di distorcere gli altri e le loro azioni così come mi comporto male per farli soffrire eppure non riesco a trovare un modo per smettere. Tante volte mi sento dire: non ti capisco perchè non lo vivo.Dovrei costringerli a farlo? Non accadrà. Se anche mi capisse l'intero universo io mi sveglierei comunque ogni mattina in preda alle mie angosce. L'anno scorso un collega mi consigliò in amicizia di chiedere aiuto e io lo aggredii,mi sentii offesa e nulla cambiò..
Maggiore sofferenza=maggiore serietà di problema,disturbi minori/assenti=soffrire molto. Mettiamo che il mio sia quest'ultimo caso solo perchè mi rendo conto di avere dei problemi(a proposito,davvero tutti i disturbi di personalità o simili presentano "non coscienza"?)vorrei saperlo e sentirlo spiegato da un professionista perchè la prossima volta che mi ricapita l'ennesima crisi così forte io possa essere cosciente di quel che succede e venga aiutata per imparare a gestirlo e non avere costanti pensieri su come farla finita perchè non reggo una vita e un dolore che non comprendo e non controllo.
Per quanto riguarda le tre domande centrali,ho effettuato 15 sedute.Non sono stata esaminata da test psicologici(in passato ne avevo fatti in altri centri ma ammetto di non avere avuto mai il coraggio di rispondere sinceramente,ne ho fatto uno questa settimana al centro Dca di cui vi ho accennato e questa volta ho risposto in modo più pertinente).Non so quale sia il tipo di psicoterapia,mi è stato solo detto che i problemi ci sono,che non è nell'etica di questa persona fare percorsi brevi o insegnare tecniche e che ci vorrà tempo e che allo stesso tempo non garantisce una guarigione. Si,ma da cosa? Se non so e non ho mai saputo quel che capita come faccio a cercare di migliorare. Io obiettivamente non so farlo.Non capisco perchè per 2 settimane mi sento benino(seppur insicura,paranoica ecc)e poi mi sevglio una mattina in preda a crisi indescrivibili che ne durano altre due e così via in continuazione.Mi dovessero anche dire che è perchè bevo caffè,ebbene imparerei col tempo a gestirmi a diminuirne la frequenza di assunzione.
Un caro saluto.
[#4]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
E' possibile che il suo sia un disturbo del comportamento alimentare che provoca anche gli altri sintomi perchè nasce da serie difficoltà di relazione e comporta ansia, depressione, instabilità, rabbia, vuoto.

Questi alti e bassi che riferisce non sono sempre legati a fatti esterni, ma possono alternarsi (in ottica psicodinamica) in base a quelli che sono per così dire i movimenti del suo inconscio, perciò può non essere possibile individuare dei fattori di innesco precisi e ricorrenti.

Chieda con più decisione e più chiarezza una conferma di tutto questo alla dottoressa che la sta seguendo e anche al centro per i DCA, e chieda anche se non sia il caso di assumere una terapia frmacologica che le serva da supporto mentre effettua la psicoterapia, almeno per contenere i sintomi.
[#5]
Attivo dal 2011 al 2017
Ex utente
Grazie anche alla Dr. Sciubba per la risposta.
Vi chiedo un'altra cosa,c'è qualcosa di davvero sbagliato o negativo nel dare"un'etichetta"? Nel senso,se io dovessi sapere che ho(faccio un esempio inventato)l'allarmite e riuscissi ad essere presa in cura e pian piano aiutata a capire quel che succede sarei ben felice di prenderne coscienza,conoscerne le caratteristiche,capire le origini e imparare a convivere con la questione.
Forse finalmente potrei finalmente dialogare con me stessa senza esserne succube e non capire il perchè.
Se invece dovessi continuare a pensare non ho niente ma sto male finirei per disprezzarmi ed eliminarmi. Pertanto "altre persone presentano una situazione che non soddisfa nemmeno i criteri minimi per porre una diagnosi - e si sentono molto male.",insomma,hanno comunque qualcosa,meglio farli smettere,penso.
[#6]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Il problema dell'etichettamento è complesso per vari motivi, non ultimo perchè le categorie diagnostiche utilizzate per intendersi su quale sia il problema del paziente difficilmente rispecchiano in tutto e per tutto la sua situazione clinica e non dicono molto sulla causa del disturbo.

Mentre in Medicina chi ha una certa diagnosi in linea di massima sa qual è la causa del problema, quali sono i sintomi e quale il decorso che può attendersi, in Psicologia Clinica, a causa della complessità della mente e della sostanziale multifattorialità di qualunque disturbo o malessere, la diagnosi può inquadrare solo una parte del problema.
A parità di disturbo, infatti, ciò che lo ha provocato può essere enormemente diverso da un soggetto all'altro.
La diagnosi può essere solo descrittiva e non rende quindi ragione della complessità di un problema nè della sua origine.

Oltre a questo, poi, bisogna considerare che un conto è la diagnosi psicopatologica stilata per comprendersi fra professionisti diversi (quella che si rifà al DSM o ad altri manuali) e un conto sono la diagnosi funzionale (come "funziona" un soggetto in varie aree) e la diagnosi legata all'orientamento teorico di riferimento.ù

In questo caso, per farle un esempio di stampo psicoanalitico, se la dottoressa (di cui non ci ha riferito l'approccio teorico) le dicesse che la sua diagnosi è che ha un Super-Io rigido e sta utilizzando la razionalizzazione come meccanismo di difesa contro l'angoscia di castrazione cosa ne capirebbe?

[#7]
Attivo dal 2011 al 2017
Ex utente
Capisco bene quel che intende.
Se la dottoressa dovesse dirmi una cosa simile risponderei dicendo che arrivo a capire cosa sia il Super-Io ma che mi auguro che possa essere in grado di spiegarmi che cosa significa il resto e quali sono i meccanismi.
Per riprendere anche la sua risposta più sopra. Ecco,quando mi hanno fatto prendere coscienza dei miei disturbi alimentari io mi sono chiesta, questi sono la causa del resto o il resto è causa del disturbo alimentare? E' certo poi che il resto o il d.a. hanno ulteriori cause probabilmente. Però,come dire,per 16 anni ho pensato che digiunare e abbuffarsi fosse normale,l'ossessione del cibo era una normalità,quando mi hanno fatto notare che non era così,che il mio è un disturbo e come tale va capito,accettato,affrontato,ecc io sono riuscita dare un senso all'angoscia inspiegabile che provo nei confronti del cibo,del grasso e del magro ecc e sono stata in grado di mettere un punto di partenza pur sapendo che non è tutto nella parola binge e che sarà un percorso complesso e doloroso. Se la dottoressa mi spiegasse che le crisi di cui soffro sono crisi depressive(io non mi sento di dire che lo siano o meno perchè non so effettivamente cosa siano..)darei un punto di partenza anche a ciò che veramente non comprendo,lo giuro. Tuttavia, proverò a parlar con la dott. sia dell'approccio sia di quanto lei ha scritto nel suo intervento(il penultimo) e vi saprò dire. Vorrei sapere se la strada che seguo sia quella giusta o meno.
Sul discorso farmaceutico,ci avevo pensato nei momenti postumi in cui ho provato maggiore dolore ma ammetto che provo un misto tra paura e rifiuto al pensiero di assumerli,so che è stupido ma non so il perchè la pensi così.
[#8]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Se lo farebbe spiegare in termini comprensibili e descrittivi della situazione che non possono essere rispecchiati da una mera diagnosi da manuale, che risulta appunto inutile quando non dannosa.

Le consiglio di porre nuovamente la domanda alla sua psicologa spiegandole perchè per lei è così importante capire da dove nascono i suoi problemi tenendo però conto del fatto che, come dicevo, è possibile che sia tutto legato al dca.

Per quanto riguarda i farmaci penso che nessuno li assuma volentieri, ma a volte sono indispensabili.
Non posso dirle se questo sia il suo caso o meno, ma può parlarne a chi la segue (soprattutto al centro per i dca, dove troverà sicuramente anche dei medici psichiatri).

Riguardo alla sua domanda:

"mi sono chiesta, questi sono la causa del resto o il resto è causa del disturbo alimentare?"

in linea di massima i dca nascono da rapporti perturbati con la propria madre, poichè tutto ciò che riguarda il cibo e il rapporto con esso dipende da come è stato il rapporto madre-neonato e da quegli atteggiamenti che una madre non perde nel tempo nel rapportarsi con il figlio, come la tendenza a svalutarlo o a invadere costantemente la sua vita.

E' perciò più probabile che la perturbazione del suo rapporto con la madre e con il cibo sia la causa degli altri sintomi, per quanto i comportamenti di restrizione/abbuffata/eliminazione possano nel tempo acquisire anche altri significati.
[#9]
Attivo dal 2011 al 2017
Ex utente
Gentili Dottori,
torno a scrivervi per dare risposta ad alcuni dei quesiti che mi erano stati rivolti la prima volta che postai il consulto qui sopra..
Mi sono informata circa il tipo di psicoterapia che sto seguendo. Mi è stato spiegato che è una psicoterapia Lacaniana. La trovo abbastanza "particolare" come metodo anche se mi permette effettivamente di riflettere in maniera più approfondita su certi aspetti in certe occasioni. Tuttavia mi sento ancora in un immenso alto mare. Per quanto riguarda il centro Dsa invece ho già avuto due colloqui e il prossimo sarà proprio quello con la psicologa. In questo caso mi hanno fatto fare test psicologici. Casualmente sono riuscita a "sbirciare" quello che era il responso chiamiamolo così ed ho captato solo una piccola parte di frase dove si specifica che vi è un qualcosa di estremamente marcato e che vi è anche uno stato sempre marcato di ansia. Dal momento che la Dottoressa dell'ultima volta ha fatto alcune interessanti osservazioni mi auguro che al prossimo colloquio vedrò chiarite ancora maggiormente il tutto. Nel frattempo il mio stato psicofisico è peggiorato e temo di entrare in una nuova ennesima crisi. Ne sono talmente terrorizzata che vorrei estrapolarmi l'anima dal petto e lasciarla sbollire al sole prima di rimettermela dentro.
Un cordiale saluto e buona settimana.
[#10]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> E’ davvero importante sapere che cos’ho?
>>>

Per lei, può non esserlo.

Per lo specialista è importante soprattutto l'ipotesi diagnostica, che può essere rivista e corretta in corso d'opera e la cura adeguata in accordo.

Comunicare la diagnosi o l'ipotesi diagnostica al paziente può anche avere effetti favorevoli o sfavorevoli per la terapia.

>>> mi sono chiesta perchè vorrei sapere che cos'ho? E ci ho ragionato per tre settimane
>>>

Questa è un'espressione di ossessività, ossia di bisogno di controllo, di credere di poter controllare la propria patologia ragionandoci. L'ossessività è spesso presente nei disturbi alimentari e apparentemente nel modo di ragionare di molte delle persone che ci scrivono.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#11]
Attivo dal 2011 al 2017
Ex utente
Buongiorno e grazie del suo intervento.

"Questa è un'espressione di ossessività, ossia di bisogno di controllo, di credere di poter controllare la propria patologia ragionandoci. L'ossessività è spesso presente nei disturbi alimentari e apparentemente nel modo di ragionare di molte delle persone che ci scrivono."

Lei sembra certo di questo. Io ho la certezza che i disturbi alimentari siano caratterizzati dall'ossessività,ne soffro,quindi lo so.Cosi come ho la certezza che fanno soffrire molto e che qualcuno se ne voglia liberare senza sapere esattamente come farlo,per questo chiede aiuto. Il bisogno di controllo e di credere di poter controllare la propria patologia ragionandoci,probabile. A questo punto prenderò atto del fatto che ogni mio ragionamento o quesito sia dovuto ai miei problemi e mi metterò l'anima in pace senza farmi sfiorare dai dubbi o dalla volontà di poter fare qualcosa? Ho sempre pensato che fosse importante sapere fino a che punto si possa intervenire in un campo e fino a che punto invece si debba accettare e mediare. Io con la mia frase ho proprio voluto dire quello che c'è scritto ovvero: per qual motivo è così importante per me sapere che cos'ho? Conta veramente? (Da qui il "titolo" della mia richiesta) Potrebbe poi darsi che questo faccia parte dell'ossessività,patologia ecc ma io mi sono posta una domanda ed ho chiesto pareri utilizzando questo strumento che mi sembra una piattaforma molto utile. Premetto che non sono uno specialista e che quindi probabilmente non so di cosa parlo e sbaglio dei passaggi.

Vorrei cortesemente che mi spiegasse l'ultima parte del suo discorso,l'ossessività è un modo di ragionare o una patologia?


Cordiali saluti.
[#12]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Mi sembra, mi corregga se sbaglio, che sia rimasta un po' contrariata da ciò che le ho detto, forse perché le viene spontaneo farsi domande e supporre che, se solo riuscisse a trovarne la risposta, i suoi problemi sarebbero avviati a soluzione.

Ebbene, purtroppo non è così. Almeno da un punto di vista breve strategico, le psicopatologie non risolvono ragionandoci, si risolvono il più delle volte cambiando i comportamenti in modo mirato, per percepire il problema in modo diverso, e aspettando il tempo necessario affinché mente ed emozioni seguano i nuovi comportamenti. Non il contrario.

Riprendendo la sua domanda: "Quanto conta la diagnosi?" come può leggere sopra le ho già risposto: conta soprattutto per il curante. Molte volte lo psicologo psicoterapeuta non ha bisogno di comunicare l'ipotesi diagnostica, eppure può svolgere lo stesso il proprio lavoro.

Ragionando in senso inverso, si chieda questo: se lei potesse guarire dal suo problema senza saperne mai la diagnosi, le andrebbe bene lo stesso?

La domanda successiva: "Per qual motivo è così importante per me sapere che cos'ho?" deriva probabilmente solo dall'ossessività e quindi dal credere come detto sopra che, se avesse una risposta CERTA, starebbe già meglio. Ossessività significa intolleranza al dubbio e all'incertezza.

Il farsi domande che impegnano ogni risorsa psichica disponibile per giorni e giorni, portando allo sfinimento, non è un modo di ragionare, è una patologia. Ma è ovvio che da qui non possiamo dirle con un buon grado di certezza di cosa lei soffra, perché siamo a distanza. Quello che mi sembra però di poter ipotizzare è che traspaia una forte tendenza alla rimuginazione e al controllo. Perciò parte della soluzione, nel suo caso, dovrà derivare non dal trovare risposte, ma nel trovare il modo di smettere di ossessionarsi da sola con le domande.

Nei disturbi alimentari l'ossessività si esprime come tentativo di controllo del cibo, ad esempio come tentativo riuscito (ma estremo) nell'anoressia, come digiuno alternato alle abbuffate nel binge eating o nei cicli abbuffata-vomito nel vomiting. Ma il bisogno di controllo parte dai pensieri, cioè dalla convinzione che attraverso il pensiero e il ragionamento si possano fare progressi. Invece, purtroppo, il problema sta proprio in tale convinzione.

[#13]
Dr.ssa Patrizia Politano Psicologo, Psicoterapeuta 10
Salve, ho letto un pò le perplessità dell'utente e le risposte degli altri colleghi.
Condivido l'idea che la disagnosi può aiutare, ma non basta. Perchè etichettare senza una spiegazione di sintomi peronali e di vissuti emotivi, quel quadro rimane troppo lontano dalla realtà peronale.
Sono una psicologa cognitivo comportamentale e penso che sia importante dividere l'esperienza in pensieri, sentimenti e comportamenti.
Se c'è una preoccupazione per quello che ci succede, un bisogno di capire cosa ci sta succedendo, ovviamente andiamo in tensione, i nostri sentimenti saranno di disagio, angoscia, terrore, panico . E le azioni saranno comportamenti disordinati.
Quindi sarebbe utile partire dai pensieri quelli più ossessivi e cercare di capire se esistono delle alternative, in modo da riuscire a sentire e agire con più libertà, senza troppi vincoli.
La diagnosi allora può servire per elencare sintomi, e quello che viene prima del malessere così da interrompere le catene di sofferenza...

Dr.ssa Patrizia Politano
Psicologa-Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
www.diventiamogenitori.it - www.comestarbene.it

[#14]
Attivo dal 2011 al 2017
Ex utente
Gentile Dott. Santonocito,
più che contrariata ero perplessa ma il suo intervento seguente mi è piaciuto molto e mi ha dato un buon spunto. Mi viene spontaneo farmi domande e credo che il mio sia una sorta di circolo vizioso,tuttavia,quello che la mia testa mi dice è proprio quello che lei menziona successivamente:inizio a stare male,ci sono comportamenti/pensieri che mi fanno soffrire e questo si ripete all'infinito,sento il bisogno di fermare tutto e di smettere ma non ho idea di come fare,ci aggiungo decine di persone diverse che dicono la loro,danno consigli e si alternano tra "hai bisogno di aiuto-sei normale-è periodo-non ti capisco-qualcosa non va-non è normale-fai questo-quello-sei matta-non sei matta-prendi farmaci-no non prenderli..ecc",io inizio a ossessionarmi col pensiero che non so più fino a che punto è tutto normale o meno e fino a che punto devo validare le mie emozioni e fino a che punto no,è li che decido di chiedere una mano,perchè la mia confusione mi porta allo sfinimento.(sopra menziono il ripresentarsi di alcune sensazioni negative e la mia ansia che deriva proprio dal volerle impedire in qualche modo).La differenza forse sta proprio nel fatto che io desidero fortemente liberarmi da certi pensieri e certi circoli viziosi così come desidero fortemente cambiare i comportamenti,queste sono le parole magiche che lei ha detto.Mi ricollego poi alla Dr. Politano che parla di preoccupazione e conseguenti comportamenti disordinati,è proprio ciò che a me succede.Io però mi sono posta il problema del capire se esistano alternative a ciò che mi fa soffrire.Da qui è partito il dubbio della diagnosi:se mi dicessero che sono ansiosa e depressa conterebbe? Starei meglio? Il Dott. Santonocito ha ragione quando dice che non sarebbe la soluzione.Difatti vacillo tra il "che cos'ho" e il"cosa posso fare io perchè cambi" senza aver ben chiaro a quale delle due dare il giusto peso. Deduco dopo avervi letto che non essermi concessa il diritto di ascoltare me stessa mi porti poi a volere risposte da altri dato che io ancora non sono in grado di fornirmele.Deduco anche che ho passato molto del mio tempo ad asoltare gli altri ignorando me stessa. Ipotizzo quindi che dare un minimo di priorità alla seconda domanda possa essere d'aiuto? Anche nell'affrontare i pensieri più ossessivi,che ultimamente riesco ad individuare con più lucidità. Mi sento di dire che concedersi il tempo per cambiare e stare meglio non è per nulla facile,interrompere certe catene di sofferenza può essere quasi più doloroso che accettarle o subirle,paradossalmente mi sono sentita peggio negli ultimi mesi quando ho raggiunto la consapevolezza della sofferenza che provocano(avevo raggiunto il picco massimo)e del lavoro che devo fare per indebolirle che in questi 17 anni in cui mi hanno fatto compagnia quotidianamente.Sarà probabilmente una banalità ma è ciò che ho provato.
Ringrazio ancora tanto.
Saluti.
[#15]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> non so più fino a che punto è tutto normale o meno e fino a che punto devo validare le mie emozioni
>>>

Infatti, questa è una trappola in cui molti esseri umani cadono: quella di credere che i propri pensieri e le proprie emozioni abbiano SEMPRE valore, a prescindere. Invece non è vero.

Così come il corpo produce una certa quantità di sostanze di scarto, oltre a quelle utili, allo stesso modo la mente produce anche spazzatura. Ma questo è vero per tutti. Ciò che è DIVERSO nel caso dell'ossessivo è che non riesce a fare a meno di considerare tale spazzatura come importante. Se la tiene ben stretta, raccontando a se stesso: "È mio, viene da me, quindi deve valere qualche cosa". E invece dovrebbe fare la stessa cosa di quando si siede sul wc: lasciarla andare e dimenticarla. Ma ovviamente non ci riesce.

>>> Deduco dopo avervi letto che non essermi concessa il diritto di ascoltare me stessa mi porti poi a volere risposte da altri dato che io ancora non sono in grado di fornirmele.Deduco anche che ho passato molto del mio tempo ad asoltare gli altri ignorando me stessa.
>>>

Forse il diritto di ascoltare se stessa se l'è concesso per certi versi troppo, per altri troppo poco.

Troppo, perché non riesce a staccarsi dai suoi pensieri e dalle sue emozioni; troppo poco, perché ha bisogno di fare continuamente riferimento agli altri, in cerca di riassicurazioni, che invece sono proprio quella che l'ansia la fanno aumentare.

Il mio consiglio è di rivolgersi a uno psicologo psicoterapeuta che usi un approccio adatto ai disturbi d'ansia, come il breve strategico o il comportamentale.

[#16]
Dr.ssa Patrizia Politano Psicologo, Psicoterapeuta 10
Il problema di ansia e di pensieri ossessivi c'è, infatti c'è la ricerca di trovare una soluzione anche in modo affannoso. E questo è giusto, voler imparare a star bene. Ma meglio non estremizzare nè avere fretta di risposte subito.

Credo che sia bene per l'utente imparare ad esaminare cosa viene prima del pensiero ansioso e del malessere in modo da ampliare le interpretazioni del fenomeno. Pensare di avere l'ansia per qualcosa non basta si deve agire in modo da bloccare i circoli viziosi e si può fare con comportamenti alternativi.
Se ad esempio mi fisso che mi guardano male, allora mi sentirò ferita angosciata e eviterò di incontrare le persone. Cambiare atteggiamento, per affrontare la cosa meglio significa capire che nessuno ci giudica a priori, che i pensieri degli altri sono opinioni non verità e che possiamo comunque stare in mezzo agli altri e confrontarci senza bisogo di dimostrare nulla.

Con un pò di pazienza e un lavoro rigoroso l'ansia si può affrontare e tutto sembrerà meno complicato; così la sofferenza subita serverà a qulcosa e non logorerà....
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