Trauma per trasferimento in adolescente

Un saluto a tutti i medici dello Staff.
Siamo i genitori di una ragazzina di 13 anni e mezzo, figlia unica. Nella città in cui viviamo - da quando lei aveva tre anni - non abbiamo nessun parente.
Nonostante nostra figlia abbia un’indole molto indipendente e autonoma, ha sempre avuto un gran bisogno di socializzare e fin da piccola ha sofferto moltissimo nelle occasioni e nei momenti in cui si ritrovava da sola, per cui l’abbiamo sempre incoraggiata ad uscire, a fare sport, a frequentare luoghi di ritrovo (come la parrocchia) e a cogliere tutte le occasioni per farsi degli amici.
Da circa un anno è inserita con pieno successo in un grande gruppo di coetanei (la classica “compagnia”, tutti bravissimi ragazzini simpatici ed educati) che lei adora e che le sono sinceramente affezionati: con loro esce quotidianamente dopo la scuola, va a mangiare la pizza il sabato sera e si ritrova in ogni occasione possibile. Da un anno a questa parte, com’è naturale a questa età, nostra figlia vive letteralmente con loro e per loro e anche se a noi questo attaccamento sembra a volte francamente eccessivo, quando è con i suoi amici la vediamo talmente felice e appagata che la lasciamo fare.
Il problema è che fra tre mesi ci trasferiremo: andremo a vivere nella mia città di origine, a 80 km di distanza, dove nostra figlia - tolti i nonni e gli zii - non conosce nessuno.
Lei sa da tempo di questo trasferimento, ma mentre inizialmente sembrava averlo accettato, ora si stanno moltiplicando delle autentiche crisi di disperazione: sono sempre più frequenti gli episodi di ansia, con mancanza di respiro, tachicardia e nausea, oltre a pianti disperati quasi ogni sera.
Noi cerchiamo di rassicurarla, dicendole che anche nella nuova città si farà presto degli amici, e che comunque faremo di tutto per permetterle di vedere gli attuali ogni volta che sarà possibile, ma questo non basta a calmarla.
E’ arrivata a minacciare di smettere di mangiare e addirittura di buttarsi dalla finestra. Sappiamo che sono le tipiche esagerazioni adolescenziali, ma io personalmente (sono la mamma) sono molto preoccupata e non so come reagire, anche perchè lei mi respinge con violenza, dicendo che mi odia, che sono egoista e insensibile e che non le voglio bene. Sono molto addolorata per questa situazione e mi sento profondamente in colpa. Mi rendo anche conto che mi sto identificando troppo con lei, al punto da temere io per prima che nella nuova città possa trovarsi male e soffrire, e figurandomi foschi scenari in cui la vedo, sola e triste, rimpiangere i suoi amici e i momenti felici trascorsi con loro.
Il nostro medico di famiglia (specializzato in Psichiatria) ci ha consigliato di darle qualche goccia di ansiolitico nei momenti di crisi, ma ci ha anche detto di non dare troppa importanza alla cosa, lasciando perdere supporti psicologici che potrebbero farla sentire “malata” e mostrando piuttosto serenità e fermezza.
Sinceramente, non so quale atteggiamento tenere e come aiutare concretamente mia figlia, dato che obiettivamente il trasferimento non è evitabile.
Scusate per questo che è soprattutto uno sfogo, e grazie per l’attenzione.


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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Gentile Signora
Mi permetta di domandarle questo: nel prendere questa decisione del trasferimento, sia lei che suo marito siete sempre stati perfettamente d'accordo, oppure secondo lei la ragazza si è resa conto che uno di voi due è stato più titubante o addirittura riluttante nell'accettarla, questa decisione?

Cordiali saluti

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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Dr. Mariano Indelicato Psicologo, Psicoterapeuta 124 4
Gentile utente,
credo che il suo medico di base conosca meglio di tutti la situazione e, quindi, se le ha consigliato di comportarsi in questo modo avrà avuto delle buone ragioni. Il fatto, però, che, come Lei accenna, le reazioni di sua figlia non si placano e non la fanno stare serena credo che abbisogni di maggiori approfondimenti. Io credo che sul piano teorico e generale il suo medico di base non faccia male a consigliarle di non intraprendere un percorso terapeutico che possa far sentire sua figlia come malata. Per superare questo tipo di problema e per non farla sentire strana, credo che dovreste intrapendere un perrso che veda coinvolta tutta la famiglia per cui il problema, come effettivamente è, diventi di tipo familiare e non individuale.

Indelicato Dott. Mariano
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Attivo dal 2008 al 2022
Ex utente
Ringrazio i Dottori Santonocito e Indelicato per le cortesi risposte.

Come ha giustamente intuito il Dottor Santonocito, non c'è sempre stato pieno accordo tra me e mio marito circa l'opportunità di trasferirci.
Sono stata io a spingere in questo senso, dato che ho sempre sofferto per la lontananza dalle mie radici, dalla mia famiglia e dagli amici di una vita.
Ho inoltre il timore che nostra figlia, che non ha fratelli, possa un giorno ritrovarsi o sentirsi sola e mi è sembrato giusto avvicinarla alle figure parentali più importanti (i nonni, gli zii, i cugini) prima che queste, a causa della scarsa frequentazione, le diventino del tutte estranee.
Mio marito all'inizio era titubante, ma soprattutto perchè il trasferimento comporterà, per lui, un'ora e mezzo di viaggio per raggiungere quotidianamente il luogo di lavoro (e un'ora e mezzo per tornare a casa).
Successivamente ha compreso e appoggiato la mia iniziativa, ma è vero che nostra figlia si è resa conto che in un certo senso il padre "subisce" la cosa e in effetti basa anche su questo l'accusa che mi fa di essere egoista e di pensare solo a me stessa.
Devo precisare che mio marito ha un lavoro molto impegnativo, rimane fuori casa dodici ore al giorno e l'onere dell'educazione di nostra figlia è stato sempre praticamente tutto sulle mie spalle.
Lavoro part-time per essere a casa quando rientra da scuola e seguirla nei compiti.
Non ho mai avuto nessuno che mi aiutasse nelle incombenze domestiche e familiari, a cui appoggiarmi nei momenti di difficoltà, di incertezza e di ansia.
Negli ultimi anni - anche a causa di un problema di salute che mi ha colpito e che fortunatamente si è risolto bene - ho cominciato a pensare "e se mi succede qualcosa? e se succede qualcosa a mio marito? chi si occuperà di lei? a chi potrà affidarsi?".
La mia famiglia di origine è ovviamente entusiasta del mio ritorno e mi hanno garantito il massimo aiuto nel sostenere la ragazza nei primi tempi di "adattamento", però ugualmente mi sento davvero in crisi, sommersa dai sensi di colpa, dalla paura di non saper affrontare la sua sofferenza e aiutarla.


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Dr. Daniel Bulla Psicologo, Psicoterapeuta 3.6k 187
Gentile Utente,
ho letto con attenzione i suoi racconti e le risposte dei Colleghi che mi hanno precedeuto.

La prima cosa che mi ha colpito, Signora, è il suo senso di colpa. E' un'emozione che, nella sua situazione, forse proverei anche io. Dalla mail infatti si evince che uno dei motivi fondamentali del trasferimento è il colmare una Sua esigenza emotiva, che in realtà sembra andare contro alle esigenze della figlia

Inoltre non mi è chiaro se a suo marito l'unica cosa che dà fastidio è il fatto di fare troppi km in macchina. Lei potrebbe ad esempio iniziare chiarendo con lui quali sono i vantaggi/svantaggi emotivi (e non pratici) di questo trasferimento

Secondo me il nodo è proprio qui, ovvero nel chiarimento tra lei e suo marito: una volta capito INSIEME cosa fare sarà anche più semplice (eventualmente) far "digerire" la cosa alla figlia attraverso la vostra coerenza

Le darei infine due consigli:

1) si stampi la Sua prima mail e la faccia leggere a sua figlia

2) dia a se stessa un mese di tempo e riflessione, e nel caso questa piccola confusione e questo vago senso di colpa non se ne andassero, prima di affrontare il trasferimento faccia lei un colloquio con uno/a psicologo/a, giusto per chiarirsi un po' le idee

Ma partirei dal marito, per ora
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Gentile Signora
La posizione di sua figlia ora è più comprensibile. Se non ho capito male, sua figlia la sta accusando per aver imposto questa necessità del trasferimento. In sostanza il messaggio che la ragazza sta ricevendo è che le origini di sua madre, le sue radici, le sue amicizie di una vita sono più importanti di quelle sue (della ragazza). E sente tutto ciò come un sopruso, come una profonda ingiustizia. Inoltre, nel fatto che inizialmente suo marito non era convinto, sua figlia ha probabilmente creduto di trovare un possibile alleato, un appiglio che poi è crollato rovinosamente quando alla fine è riuscita a convincere anche lui.

Mi perdonerà se userò un'immagine un po' forte ma, ragionando come ragiona un adolescente, ossia in modo categorico, l'immagine che sua figlia probabilmente ha di lei in questo momento è quella di un despota che non ha esitato a passare sopra gli interessi e i sentimenti dei familiari pur di raggiungere i propri obiettivi. Poi, la preoccupazione che sua figlia possa un giorno sentirsi sola perché distante dai parenti mi sembra, mi perdoni nuovamente, la sua scusa per giustificare la *sua* voglia di ricongiungimento. Crede seriamente che per un adolescente i parenti siano più importanti degli amici, del gruppo dei pari?

Probabilmente lei non pensava che questo suo desiderio di ricongiungimento avrebbe scatenato le ire di sua figlia. Ciò è normale, poiché a volte come genitori tendiamo a sottovalutare l'importanza dei sentimenti dei nostri figli. Forse avrebbe fatto meglio, fin dall'inizio, a essere più persuasiva anche nei confronti della ragazza. Ad esempio sottolineando le sue doti di socializzazione, che le avrebbero permesso di ricrearsi una compagnia e una nuova cerchia d'amicizie in breve tempo. E magari offrendosi di fare in modo da portarla periodicamente a visitare gli amici di un tempo, visto che la distanza non è poi così tanta.

Ora non saprei dirle, da qua, se queste aperture e queste concessioni potrebbero ancora rivelarsi utili. Per sapere se c'è ancora "margine di trattativa", potrebbe essere utile chiedere una consulenza psicologica, anche presso la sua ASL, spiegando il problema. Magari, per evitare il problema di etichettare sua figlia come "malata", potrebbe usare lo stratagemma di dire a sua figlia che ha chiesto il consulto per se stessa, perché si sente tanto in colpa nei suoi confronti, e poi, d'accordo con lo psicologo, convocare la ragazza "incidentalmente", quasi per caso, e così sentire anche il suo parere.

Cordiali saluti
[#6]
Attivo dal 2008 al 2022
Ex utente
Ringrazio sentitamente i Dottori Bulla e Santonocito per la loro comprensione e gentilezza.

E' vero che per gli adolescenti il mondo sono gli amici, i coetanei, i compagni di scuola e di svago, e che la famiglia riveste un'importanza relativa.
Però non è sempre così, non restiamo adolescenti a vita... ed è pensando a questo che ritengo importante anche per mia figlia un avvicinamento alle figure parentali.
La ragazza è già stata ampiamente rassicurata sul fatto che verrà fatto il possibile e l'impossibile per permetterle di rivedere i suoi amici ogni volta che vorrà, e abbiamo sempre valorizzato la sua ottima capacità di socializzare, che le consentirà di farsi facilmente nuovi amici.
Cosa posso dire... spero davvero che le cose andranno meglio di quanto temo.
Sono d'accordo, però: forse in questo momento sono più IO ad aver bisogno di un supporto psicologico!

Grazie ancora, ho davvero molto apprezzato le vostre risposte.

[#7]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Gentile Signora
Mi permetta, ma sua figlia si sta avviando a diventare una donna e da ora in poi sarà sempre più in grado di decidere cos'è meglio per lei. Per certi versi lo è già adesso. E poi, se ci pensiamo un attimo, si resta adolescenti a vita non riuscendo a staccarci dalle nostre origini, oppure facendo di tutto per ricongiungerci? Ci rifletta.

Il supporto psicologico potrà senz'altro essere utile e come ultima raccomandazione vorrei dirle, ma questo potrà sentirlo anche dal collega o dalla collega dai quali andrete a consultarvi che, visto tutto quanto, la scelta migliore a questo punto è mostrarvi assolutamente concordi fra lei e suo marito nei confronti di vostra figlia, non solo su questa scelta, ma per qualunque altra regola o decisione importante che dovrete prendere in futuro. Per un adolescente è fondamentale vedere che i propri genitori la pensano allo stesso modo sulle cose importanti. Perché se ognuno fa come crede, anche il ragazzo può sentirsi in diritto di fare la stessa cosa.

Di nuovo cordiali saluti e auguri
[#8]
Attivo dal 2008 al 2022
Ex utente
Aggiorno la situazione, sperando che il Dottor Bulla, il Dottor Santonocito o qualche altro psicologo possano rispondermi.

Il trasferimento è andato a buon fine, e viviamo nella nuova città ormai da quasi due mesi.
Nostra figlia sembra essersi inserita abbastanza bene: grazie alla sua indole socievole e aperta si è fatta subito degli amici. Anche la nuova scuola le piace.
Cosa stranissima e inaspettata, è diventata docile e dolce, affettuosa addirittura; sono cessate le crisi di rabbia e i pianti disperati e sono spariti anche i disturbi psicosomatici.
Continua però (comprensibilmente) a rimpiangere la "sua" città, le sue abitudini, i suoi punti di riferimento e la vecchia compagnia: dice che le mancano soprattutto l'amica del cuore e il "fidanzatino", con i quali si tiene comunque in contatto tramite telefono e computer.
Come promessole, almeno una volta la settimana la accompagniamo ad incontrarli.
Le chiedo spesso come si sente e lei dice che "si sforza" di star bene, ma che questa città non le piace, fa fatica a entrare in sintonia con una mentalità più ristretta e provinciale di quella a cui era abituata e tornare indietro sarebbe il regalo più bello che potremmo farle.
Ne sono convinta, ma vedo anche che mangia, dorme, va a danza, canta e sorride, ci sono ragazzine che vengono a trovarla, ragazzini che la accompagnano a casa... e concludo che tutto sommato le cose non le vanno male.

Ancora una volta, infatti, sono IO ad avere i problemi più seri.
L'identificazione con mia figlia si è fatta ancora più spiccata, al punto che a volte mi sembra addirittura di essere schizofrenica: in certi momenti mi sento come sdoppiata, da una parte la donna di 42 anni madre, dall'altra la ragazzina 14enne figlia.
Mi capita di sentirmi davvero felice di essere tornata "a casa" e piena di entusiasmo e di ottimismo verso la nuova vita, ma subito dopo "mi ricordo" di mia figlia, "divento" lei e mi sento immediatamente triste al pensiero di quello che ho lasciato, amica del cuore e fidanzatino in primis.
Arrivo ad estremi allarmanti: siccome mia figlia mi ha detto che qui i ragazzi sono meno belli che nell'altra città, mi sorprendo a guardare gli adolescenti che incrocio per strada con lo stesso occhio critico che sicuramente ha lei.

Ho parlato di tutto questo con il medico di famiglia, chiedendogli un consiglio: mi ha dato un leggero ansiolitico da prendere due volte al giorno, suggerendomi di stare tranquilla che tutto passerà presto.
Ho provato a contattare il Consultorio familiare per avere un incontro con la psicologa, ma se ne parla tra non meno di quattro mesi!
D'altra parte non posso permettermi la spesa di uno psicologo privato.

C'è qualcosa che posso fare???


[#9]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Gentile utente
Sono contento che siate riusciti a trovare un punto d'accordo con vostra figlia. Tutto sommato, come vi sarete resi conto, non sono cose così impossibili. Anche il compromesso di riaccompagnarla ogni tanto a vedere la vecchia compagnia mi sembra utile ed equilibrato.

Per quanto riguarda invece il rapporto con sua figlia, lei usa la parola "identificazione". Ma secondo lei, sarebbe forse più corretto dire "identificazione" oppure qualcos'altro, come per esempio "competizione"?

In fondo, se non rammento male, si trattava del suo (di lei che ci scrive) desiderio di ricongiungimento con la famiglia d'origine. E adesso che lo ha ottenuto, si sente "ritornata a casa" e tuttavia ciò non è bastato a far cessare il disagio.

Mentre, se non ho capito male, sua figlia le sta dimostrando di poter comportarsi in modo molto maturo e adattabile, riuscendo addirittura a lasciarsi alle spalle le sue "radici", e andare a vivere da un'altra parte.

Cosa che invece lei, evidentemente, non è ancora riuscita a fare.

Apprezzo molto la sua onestà e la sua apertura nel descrivere come si sente. In fondo, il primo indispensabile passo per risolvere un problema è riconoscerne l'esistenza.

Temo che se i tempi che le hanno prospettato per un consulto sono quelli, non ci sia molto da fare se non aspettare, o al limite interpellare delle ASL confinanti alla vostra per sapere se ci sono altre possibilità.

Vorrei però darle, nel frattempo, un piccolo suggerimento da mettere in atto con sua figlia, mentre aspetta il suo consulto. Dovrebbe evitare di chiedere troppo spesso a sua figlia come si sente. Perché altrimenti, sentendosi dire troppo spesso "come stai?" potrebbe ricevere l'impressione che lei la veda messa male, e ciò potrebbe metterla in ansia e preoccuparla inutilmente.

Adesso che siete riusciti a farle "digerire" il trasferimento, il problema dell'adattamento è unicamente suo e deve gestirselo da sola. Rammenti sempre che sua figlia sta diventando sempre più adulta e in questi casi per noi genitori diventa sempre più indispensabile, nel loro migliore interesse, farsi sempre un po' più indietro.

Quindi riassumendo: da una parte osservare senza intervenire, se non ce n'è bisogno. E dall'altra attivarsi per risolvere le proprie questioni, come correttamente già sta facendo.

Cordiali saluti
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Dr. Daniel Bulla Psicologo, Psicoterapeuta 3.6k 187
Gentile Signora,
anche io sono felice di risentirla, e onestamente non credo ci sia altro da fare per il momento

Mi sembra che di cose negli ultimi mesi lei ne abbia fatte già molte, non crede?

provi a sentire anche il CPS della zona, magari i tempi d'attesa sono inferiori