difficoltà a parlare

ho fatto tre anni di t.psicodinamica (preferisco non dire le problematiche) e ora sono punto e a capo,ma più rassegnata di prima. ho grande consapevolezza dei miei problemi (conflitti,angosce,desideri,bisogni,paure,difficoltà), dato che sono da sempre riflessiva e inoltre studiando testi di psicoanalisi credo di aver maggiormente organizzato le idee e compreso il funzionamento della mia nevrosi.
però nella terapia ho avuto enorme difficoltà ad aprirmi e parlare, infatti tante cose importanti in tre anni non le ho tirate fuori e più che i miei desideri ho espresso i sentimenti negativi come rassegnazione,pessimismo,difficoltà.. il terapeuta è ignaro della matassa di pensieri e faccende che ho in mente, sia da inizio terapia sia sviluppati nel corso di questi anni.
alcune cose non le dicevo per imbarazzo, ma un pò aspettando e desiderando che fosse lui a tirarle fuori (lo so che è sbagliato e distruttivo questo modo di fare ma così è andata), che usasse il suo intuito e la sua umanità, come se solo così avrebbero avuto un significato.
anche questioni psicoanalitiche in cui mi sono riconosciuta avrei vergogna a raccontarle al terapeuta. non esprimo tante cose in modo da non fare avvenire uno scambio comunicativo, bloccata da sensazioni come: il presentimento che si potesse sentire come se io stessi cercando di metterlo alla prova o farlo sentire coinvolto, o metterlo in difficoltà, o volessi attirare l'attenzione, cose come queste mi infastidiscono, non permetto il dialogo forse anche perché non sono disposta a ricevere le risposte. da qualche mese ho smesso di andare per frustrazione e disperazione, quindi se c'era un transfert di certo non è stato minimamente elaborato in terapia.
insomma mi sono riempita di consapevolezza e pensieri, solo che senza riuscire a filtrare le cose in un rapporto, senza "dialettica", non ci faccio niente e le cose non cambiano.
ora sento poi di non avere più motivazione personale e volontà di riprendermi, e che solo un apporto esterno potrebbe farmela ritrovare, ma è una cattiva premessa perché nessun terapeuta potrebbe assumere questo ruolo, o meglio nessuna persona?

vorrei chiedere: dato che nei colloqui non riesco ad aprirmi e il perdere tempo mi dà molta angoscia, avrebbe un senso "presentarmi" a un altro terapeuta con un malloppo di scritti dove già metto in chiaro tutte le questioni che mi tengono "fossilizzata", comprese tutte le questioni psicoanalitiche?
o non ha senso perché quello che conta di più è sempre il rapporto che si viene a creare gradualmente col terapeuta,nel quale le cose vengono filtrate ed elaborate man mano?
ma io per quanto sono chiusa non lascio sviluppare questo rapporto comunicativo, sebbene vorrei vivere un rapporto super intenso e coinvolgente. il mio pensiero ricade in questioni più vaste ed esistenziali, che però non esprimo per timore/imbarazzo di fare sentire l'altra persona presa in causa,mettendola subito ko, e non si farebbe che rivelare l'insolubilità di ciò che mi affligge
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Psicologo attivo dal 2012 al 2016
Psicologo
Gentile Utente,

senza conoscere i dettagli della terapia che ha seguito è difficile risponderLe, tuttavia vorrei farLe presente che il terapeuta potrebbe senz'altro intuire qualcosa di ciò che Lei non esterna, ma non può certo leggere nel pensiero.

Se certe faccende o certi loro aspetti non emergono, non potranno mai venire approfondite, chiarite e ridimensionate nella loro essenza.

Comunque, credo che sarebbe opportuno che Lei riferisca al Suo terapeuta di questa Sua difficoltà a schiudersi su certe cose, dopodiché potrete valutare insieme se proseguire in altro modo oppure concludere la vostra collaborazione.

Per quanto riguarda il consultare un/a altro/a professionista, la cosa dipende dalla Sua volontà di sbloccare la situazione oppure di lasciarla invariata.
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Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Gentile Utente,
Le terapie, tutte in generale, attraversano momenti di stallo, di difficolta' , di regressione, di arresto....
Sarebbe utile affrontarli cn chi ha il piacere di seguirla, atrimenti corre il rischio di fare confusione

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

[#3]
Dr.ssa Laura Mirona Psicologo, Psicoterapeuta 627 6
Gentile ragazza,

tutte le psicoterapia aprono dei varchi, delle ferite che poi saranno rimarginate insieme con il terapeuta.
Se lei non si è aperta al 100% con il suo psicoterapeuta la terapia potrebbe non stare funzionando come dovrebbe.

Cosa la blocca nel raccontare tutto di sè a chi la sta seguendo?

Dr.ssa Laura Mirona

dottoressa@lauramirona.it
www.lauramirona.it

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Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
Gentile Utente,

le posso suggerire di mettere da parte le sue letture sulle "questioni psicoanalitiche" in quanto molto spesso diventano solo un modo di razionalizzare la sua esperienza o il suo rapporto con il terapeuta, quindi in definitiva una difesa al trattamento stesso.

Un passo importante è quello di cercare di aprirsi di più e non essere "ermetica", il suo terapeuta può intuire il suo stato mentale, ma di sicuro non può leggere nella sua mente e se lei non è disposta a parlare di certi argomenti non vedo per quale motivo lo dovrebbe fare il terapeuta.

Forse lei ancora non si trova pronta ad affrontare certe problematiche o questione della sua vita, ci vuole semplicemente tempo.

Dott. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica
www.psicologoaviterbo.it

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Attivo dal 2012 al 2022
Ex utente
Grazie per le risposte
c'è troppa distanza tra il mio mondo interiore e quello che ho espresso in terapia. sono tante le ragioni della difficoltà a parlare di sentimenti o desideri, dalla timidezza, ansia, inibizione, al pensiero che non potrebbe farci nulla...poi le "questioni psicoanalitiche" ormai mi sono entrate molto in mente, ma l'idea di tirar fuori questi discorsi mi fa avere il presentimento che il terapeuta ne sarebbe infastidito.
Quindi in pratica sento che non mi conosce granché e percepisco questa terapia inconsistente, mentre io so tante cose di me che non tiro fuori.
Non lo so se ci tornerò, il pensiero di ben tre anni passati così mi angoscia e demoralizza e mi fa venire una certa ostilità, perché mi chiedo se qualcun altro sarebbe riuscito a entrare di più in contatto con me.
Probabilmente mi avrebbe fatto bene se il terapeuta mi fosse venuto incontro con la sua umanità per ravvivarmi un pò...la terapia della Gestalt è migliore sotto questo aspetto?

Comunque, avrebbe senso fargli conoscere tutte le cose fondamentali di cui non ho parlato attraverso un malloppo di fogli, dato che scrivere mi viene più facile? dico "malloppo" solo per rendere l'idea della quantità e del peso delle cose non dette...
Oppure non va bene perché l'efficacia della terapia consiste proprio nel rapporto che si viene a creare un pò per volta, con la comunicazione faccia a faccia? Se gli consegnassi sto materiale da leggere, comunque la volta dopo sarei tesa ed ermetica come al solito o forse ancora di più, quindi non è che così si svilupperebbe il rapporto
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Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
Gentile Utente,

alcuni psicoanalisti così come alcuni psicoterapeuti accettano anche del materiale scritto, che di solito è "pregno" di materia sulla quale poter lavorare.

Tenga presente che tutte le psicoterapie si basano sulla "parola" e sulla possibilità di cerare un "pensiero incarnato" nella comunicazione verbale.

Può anche tirare fuori le sue "questioni psicoanalitiche", saranno sicuramente accolte anche perché non si tratta di psicoanalisi ma di lei e di come sta reagendo in questo momento.

Questo potrebbe essere utile: Cerchi di evitare di pensare a come potrà reagire il terapeuta, l'unica reazione che conta è la sua.

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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

sono sinceramente perplessa.
In ben tre anni di terapia, il Suo terapeuta non ha mai provato a portare a galla tutto ciò che Lei temeva di dire?
Non mi riferisco ai contenuti ovviamente, che chiaramente il collega non poteva conoscere, non avendo la sfera di cristallo, ma non ha mai problematicizzato la scarsa apertura da parte Sua?
Non ha mai percepito che Lei non la stava raccontando proprio tutta?
Se una persona che vediamo ogni settimana per tre anni non si apre con noi, ce ne accorgiamo...
Se la terapia non sta generando il cambiamento e la guarigione non avviene, come terapeuta mi pongo delle domande.
Se siamo terapeuti FACCIAMO anche qualcosa per cambiare il tipo di relazione terapeutica.
La relazione non è terapeutica se c'è feeling e basta o se il terapeuta è simpatico. La relazione è terapeutica quando il terapeuta riesce a intercettare gli schemi relazionali del pz (qui evitamento) e a spostare il tiro per poterli correggere. Se il terapeuta FA la stessa cosa cui il pz è abituato da una vita, chiaramente non si genera alcun cambiamento. Soprattutto si rafforza il modo di funzionare del pz.

Sono perplessa perchè tre anni di terapia sono tanti.
E, se è molto probabile che il terapeuta qui abbia commesso degli errori, è anche molto probabile che Lei sia stata presa dai Suoi timori (di non essere capita? di essere giudicata? di essere respinta? ecc..) qualora si fosse svelata per come è davvero.

Oltre che col terapeuta ha questa difficoltà anche nella vita sociale e relazionale?

Ha avuto problemi alimentari?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

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Attivo dal 2012 al 2022
Ex utente
sì si è accorto delle difficoltà...quando mi diceva che ci sarebbe voluto del tempo e costanza ma non dovevo mollare tutto o mi faceva venire qualche idea di cosa avrei potuto fare, io ho sempre risposto in modo pessimista a causa delle difficoltà che mi bloccano su ogni fronte, ponendomi con rassegnazione perché è così che mi sento, infatti non mi interessa un futuro con tutto ciò che ho perso e non potrei recuperare. ho quel miraggio che se potessi entrare in contatto con una cosa coinvolgente, intensa e reale, le cose potrebbero cambiare bruscamente e potrei recuperare "improvvisamente" la capacità di vivere.
forse per quello che è il suo ruolo non poteva fare tanto più di così perché io non ho sufficiente motivazione e energia per fare le cose per me stessa (per questo ora penso sia inutile anche provare da un altro)...forse stava ad aspettare che dessi segni di transfert sui cui lavorare e non è che potesse spronarmi come se ci tenesse. forse l'orientamento terapeutico era il meno adatto a me perché invece di aiutare a mettere in contatto con la realtà e le possibilità concrete mi sembra che mi abbia fatto rimanere ancora di più nella mia alienazione.
certo lo schema di evitamento è generalizzato e ai massimi livelli. problemi alimentari no
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Da qui francamente non ci sono elementi per fare una valutazione di ciò che è stata quella terapia, nè si può fare senza conoscerLa.

Però un collega di persona potrebbe fare con Lei il punto della situazione e riprendere il lavoro interrotto, lavorando sugli aspetti critici emersi.

Un cordiale saluto,
[#10]
Attivo dal 2012 al 2022
Ex utente
sì ma se sono venuti a mancare gli ultimi sgoccioli di motivazione personale e volontà di metterci impegno, ha poco senso, giusto? uno non è che possa andare rassegnato con la sola speranza che il terapeuta gli infonda motivazione e lo sproni, o dipende dall'orientamento?
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Francamente creare la motivazione e lavorare sulla domanda del pz. (e su tutto ciò che è critico e problematico) è compito del terapeuta.
Mi spiego meglio. Un pz può stare male da una vita e non essere motivato a cambiare per un sacco di ragioni (banalmente il cambiamento può spaventare, oppure non riesce a capire come, oppure non riesce a vedere soluzioni, ecc...).

E' anche vero che se un pz. arriva molto motivato al cambiamento, spesso è perchè ci ha pensato tantissimo (a volte anche più di un anno...), ha valutato già prima di rivolgersi allo psicoterapeuta molti aspetti.

Ad esempio potrebbe aver valutato i pro e i contro dell'attuale situazione.

Io lavoro con i miei pz. su questi aspetti che sono fondamentali.

Le faccio un esempio di come si lavora in una psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale. Una condizione INDISPENSABILE per realizzare un cambiamento è quella di valutare non più soddisfacente il comportamento attuale che si vorrebbe fortemente cambiare e più VANTAGGIOSO quello che si vorrebbe assumere.
Quindi posso ragionare sul fatto che il comportamento disfunzionale che sto mettendo in atto sia -per qualunque motivo- soddisfacente e quindi non sarò interessata al cambiamento.

Ma se al contrario col pz si ragiona sul fatto che:

- se non fosse evitante, allora...
- alla sua età ha un problema di ...., quando sarà più anziano che problemi avrà?
- come mai non riesce a fare determinate cose, se non mette in atto ...
- ecc...

vuol dire che quel comportamento sta cominciando a diventare un problema e i dubbi prevalgono sugli aspetti positivi che fino ad ora hanno mantentenuto in vita il problema rinforzandolo.

Se sta cominciando ad avvertire problemi e le ricadute sulla sua vita...
Se comincia a preoccuparsi per come vanno le cose....

Poi posso lavorare sui vantaggi (che vantaggio ho a rimanere così?) e sugli svantaggi (che svantaggi ho a rimanere così?)

E se cambio? che vantaggi ho? e che svantaggi ho?

Da qui prendo la decisione e l'impegno.

Con i pz più gravi faccio proprio un patto per l'impegno.

Come si fa tutto questo?
E' lo psicoterapeuta che fornisce gli strumenti per farlo.

Purtroppo la Sua esperienza di psicoterapia non è stata delle migliori probabilmente per diverse ragioni, ma il terapeuta non "infonda" motivazione nè sprona nessuno... lavora in maniera diversa con i propri pazienti.

Un cordiale saluto,