Attacchi di ansia dopo un trasferimento

Gentili dottori,
come per tutte le persone che vivono l'esperienza di un'ansia patologica, anche la mia situazione è particolare. Ho sempre voluto studiare fuori dalla mia città, ma non sono riuscita ad andare via di casa il primo anno di università. Desideravo studiare in una sede prestigiosa e vivere un'esperienza da fuori sede (premettendo che amo casa mia ma avevo anche voglia di conoscere nuove realtà) ma la paura ha vinto sulle ambizioni. Questa cosa è andata avanti tanto che, negli ultimi periodi, non sono più uscita di casa perché provavo un forte senso di inferiorità nei confronti degli altri ragazzi che studiavano tranquillamente fuori di casa e che magari tornavano per le feste ed evitavo i luoghi di ritrovo per non dover parlare con loro. Premetto che nella mia città ho sempre ottenuto risultati ottimi in quanto a esami sostenuti, ma odiavo la mia università nonostante tutto perché la interpretavo come un contentino, un fallimento personale. Dopo vari anni combattuti tra desiderio di superare la paura e paura di lasciare la mia famiglia,riesco a trasferirmi in una città di un certo prestigio, speranzosa di risolvere i miei conflitti emotivi.
Invece no... Non mi trovo bene lassù, sento forte mancanza della mia famiglia, le mie ambizioni di fare carriera anche all'estero si stanno sgretolando e i momenti di "speranza" diventano sempre più radi perché, nonostante gli sforzi razionali che faccio per dirmi di stare tranquilla, ho preso in odio anche questa città che, fino a pochi mesi fa, per me sarebbe stato un traguardo felice. Ora ho una forte ansia da esami, ogni giorno, non riesco ad addormentarmi e la mattina mi sveglio presto perché il pensiero è costante anche di notte e si manifesta con incubi, risvegli improvvisi e palpitazioni. La confusione e il pentimento per quello che ho combinato stanno prendendo il sopravvento sulla passione che avevo per ciò che studio.
Passo più tempo a casa che non lì, nella nuova città, ma so che questo non può andare avanti per molto. I miei genitori mi sono vicini e io li amo profondamente. Non riesco a gestire tutto questo lontano da loro e ho paura di tornare in quel posto. Tutto questo dolore interiore (che ovviamente descritto così non è assolutamente evocativo di come ansia e paura e mancanza di casa mi divorino dentro) mi impediscono di fare amicizia o di accettare le diversità della nuova università in un circolo vizioso che con tutta la buona volontà non riesco a interrompere e che mi conduce a pensieri sempre più morbosi e pericolosi...io, che ero una ragazza piena di vita e voglia di studiare. Come se non bastasse a mio padre è stato diagnosticato un tumore e quel po' di contegno che riuscivo ad avere si è sbrindellato a questa notizia. Come faccio ora a tornare lì per seguire le lezioni quando ricominceranno? Come si può uscire da questo labirinto bruttissimo?
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Dr.ssa Magda Muscarà Fregonese Psicoterapeuta, Psicologo 3.8k 149
Gentile utente,un certo disorientamento nel cambiare città, pur desiderandolo penso sia nella norma, dipende anche molto da quanto diversa è la nuova sede, diversa da casa sua, dove conosce tutti e tutto, ma di cui non apprezza fino in fondo le qualità .
Certo che la città natale è più "facile a' vivre" come dicono i francesi. "l'altrove" è affascinante, ma a volte scomodo e ci costringe a mettere in moto strategie e risorse che certamente lei ha, ma forse meno allenate.
Penso che il segreto stia nel "personalizzare i rapporti" , creare cioè una rete di rapporti diversi, ma amichevoli, con le persone che si incontrano, anche il lattaio e il benzinaio per dire, oltre che i compagni di università. Si compri una guida della città in cui ha deciso di andare, per saperne di più , per conoscere le chiese e le trattorie.E chieda .. all' amico il nome della pizzeria, alla barista il nome del parrucchiere giusto e così via in modo da crearsi dei " REPERES" cioè dei punti di riferimento.
E si senta in gita, che a casa può tornare quanto vuole, questa è un'opportunità che la farà diventare più forte .
E il suo papà, ora , ha bisogno che lei lo sia.
Cari auguri

MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it

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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Cara ragazza,

immagino che con la scoperta del tumore di tuo papà tutto il resto stia passando in secondo piano, per quanto le scadenze relative a lezioni ed esami ti costringano a fare delle scelte in tempi rapidi.
E' una notizia destabilizzante per chiunque e tanto più per chi, come te, già vive un momento di spaesamento e incertezza.

Ti stai rendendo conto che il trasferimento tanto agognato in una città "prestigiosa" non ti fa sentire al settimo cielo come avresti giurato che sarebbe stato, ma sola e lontana dai tuoi punti di riferimento.
Questa reazione è normale per chiunque in una certa misura, perchè qualunque cambiamento di vita - anche di segno positivo - conduce alla necessità di un riadattamento che può essere più difficile del previsto:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1261-reagire-male-ai-cambiamenti-i-disturbi-dell-adattamento.html

Ti suggerisco di riflettere sul reale motivo che ti ha spinta a cercare questa nuova esperienza, perchè se il motivo è "sbagliato" è comprensibile che l'esito sia quello che ci riferisci (parlo ovviamente di quando ancora non sapevi della malattia di tuo padre).
Ci racconti di un signifcativo senso di vergogna e inferiorità rispetto agli altri ragazzi, che ti ha portata addirittura a non uscire di casa per quanto ti sentivi "diversa":

"negli ultimi periodi, non sono più uscita di casa perché provavo un forte senso di inferiorità nei confronti degli altri ragazzi che studiavano tranquillamente fuori di casa e che magari tornavano per le feste ed evitavo i luoghi di ritrovo".

Ti faccio notare che anche nella nuova città hai il problema della "diversità":

"Tutto questo dolore interiore (...) mi impedisce di fare amicizia o di accettare le diversità della nuova università",

come se in entrambi i luoghi tu ti sentissi appunto fuori luogo.
Ne conseguono pensieri (immagino di contenuto autolesionistico) che segnalano la rabbia che provi verso te stessa e la reazione che mai avresti aspettato di avere, che probabilmente ti fa sentre stupida e inadeguata.
Tutto considerato penso che dovresti riflettere su quanto studiare nella nuova città risponda ai tuoi desideri piuttosto che alla necessità di non sentirti da meno degli altri.

Se stabilirai che è proprio quello che vuoi per te stessa ti suggerisco di parlare con uno psicologo di come ti senti per imparare a gestire meglio il distacco dai tuoi e soprattutto l'ansia per la salute di tuo papà, al quale faccio davvero tanti auguri perchè tutto si risolva per il meglio.

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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Dr. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta 4.6k 51
Gentile Utente,

lei sta vivendo un conflitto tra due aspetti fondamentali della sua vita. Mi riferisco alle due polarità Dipendenza e Autonomia, che vengono ri-attivate proprio in questo momento in cui lei si sente per così dire "tirare" in direzioni apposte.

La possibilità di uscire di casa per costruire "una nuova realtà" al di fuori della sua famiglia (e quindi del suo paese di origine), è strettamente legata al suo livello di affrancamento/indipendenza rispetto a quelle persone che lei reputa significative.

Per quanto riguarda la situazione di suo padre, le posso dire che sarebbe difficile per chiunque, ma non la faccia diventare una "giustificazione" che confermerebbe questa sua difficoltà ad allontanarsi di casa.

Sarà sicuramente capace e competente nell'aiutare suo padre, cerchi soltanto di mettere una distanza tra ciò che succede a casa e quello che vorrebbe fare nella sua vita.

Attacchi d'ansia, e talvolta dei veri e propri attacchi di panico, possono essere il segnale di una difficoltà di separazione.

Dott. Giuseppe Del Signore Psicologo, Psicoterapeuta
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica
www.psicologoaviterbo.it

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Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Cara Ragazza,
l'ambivalenza tra due forze dirompenti come la dipendenza affettiva e l'autonomia, accompagnano spesso tante tappe della vita.

Vivere "altrove" da dove si è nati, cresciuti, necessita la capacità di tirare fuori energie interiori, che magari lei ha già, ma in preda alla confusione ed al disagio, non sa come trovarle e soprattutto come attivarle.

Ascolti la dott.Muscarà, non è male la strategia di percepirsi in vacanza, così dirà a se stessa di poter rientrare quando e se lo desidera, altrimenti sarebbe un esilio, più che una vacanza\studio.

La rete amicale e di conoscenze poi fa il resto, ma si ricordi che la migliore compagnia di se stessa, è sempre lei.
Cari auguri

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

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Utente
Utente
Vi ringrazio tutti per le risposte, in cui mi rispecchio completamente, e seguirò i consigli. Grazie
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