Dipendenza affettiva da amici

Gentili dottori,
ho 31 anni,e sono purtroppo ancora alle prese con un problema di dipendenza affettiva. Mi capita nei confronti dei miei amici.
Ho un gruppetto di 6/7 persone a cui sono parecchio legata, che frequento con assiduità e con cui mi trovo benissimo.
Spesso, però, mi sento soffocare, e avrei bisogno di spezzare la ritualità del vedersi tutti i w.end,di sentirsi così spesso o di " timbrare il cartellino per stare insieme". Sono molto legata a loro, forse perché il filo rosso che ci unisce è quello di essere tutti ragazzi/e omosessuali in un paesino di 8.ooo anime.Insieme abbiamo creato una sorta di microcosmo che si sposta, fa cose,si supporta (non la famosa lobby gay, ma ci siamo quasi ! ). Nel mio caso, mi sento molto protetta dal giudizio altrui se sto con loro. Se ci giudicano ci giudicano in branco.Mi sento più forte con loro, addirittura spavalda o orgogliosa.
Detto questo, il problema è che mi rendo conto di dipendere da loro un po' troppo, o, perlomeno, molto di più di quanto essi dipendano da me.Non sono invadente con loro, piuttosto diciamo che le mie giornate spesso passano controllando il cellulare per vedere se ho una chiamata, un invito, se devo rispondere ad un mex.
Il sabato, magari, vorrei prendere e spegnere il cellulare, andare via, anche sola ( ho fatto una settimana sola, e mi è piaciuto..mi son spaventata), stare con i miei pensieri. A volte, spengo e mi assento,devo decomprimere. Mi sembra di aver dato ed essermi prodigata per essere: sensibile/disponibile/compiacente così tanto, da aver esaurito le energie. Certo, il problema è interno, ma, talmente ci sarebbe voglia di provare a fregarmene e vedere quanto mi conserverei questa famiglia non naturale se fossi totalmente libera e meno attenta a coltivarla (insomma, se pensassi un po' di più a me), che, a volte, presa dalla voglia di non stare sempre così attenta a tutto, faccio "il botto" e esplodo. Nello specifico, ho distrutto 5 cellulari.
Li butto a terra, e li distruggo. Gli unici miei scatti di nervoso sono verso il cellulare.
Come se volessi passare dall'essere sempre premurosa e comprensiva, ad essere un eremita, o una menefreghista totale. Dalla attenzione che spossa, al respiro totale.
Non so cosa fare. Premetto che sono stata per anni (7 anni per l'esattezza) da uno psicologo, e questi problemi sono venuti fuori e li abbiamo affrontati, ma non ricercando le cause, semplicemente,cercando di imparare a gestire le emozioni e tentando di non chiudere i rapporti solo perché non soddisfavano le mie elevate aspettative, oppure, di non tendere ad esaltarli.Insomma,mi insegnò l'equilibrio che per Natura mi manca. Ho smesso da due anni di andarci, e ora, però, queste problematiche si sono riaffacciate con intensità.Passo dal rancore all'amore( quasi platonico) per queste persone. Ma dentro c'è la voglia di cambiare, di andare, unita alla paura che un gruppo così, non lo troverò più.
Ho proprio il senso di soffocamento.



[#1]
Dr.ssa Magda Muscarà Fregonese Psicoterapeuta, Psicologo 3.8k 149
Gentile utente,mi pare di capire che in questo suo "gruppo dei pari", classico dell'adolescenza, che aiuta appunto i giovani a prendere la distanza dalla famiglia e dalle sue regole, lei abbia trovato e trovi un porto, comprensione, affetto, compagni, allegria.
Mi domando però se col suo psicologo abbia indagato e chiarito il rapporto con la sua famiglia e il suo gruppo sociale esteso e con il loro sguardo.
Perchè ora, secondo me è giusto e sano che, pur continuando a mantenere i rapporti che ci sono, lei abbia rispetto per i suoi tempi , andare in vacanza da sola , al cinema da sola, a farsi un giro e pensare.. Niente di drastico, intendiamoci, un rapporto più elastico insomma, che tenga la porta aperta al vasto mondo con possibili incontri, e possibili amicizie. E poi, siamo sicuri che altri del gruppo non pensino di allentare un pò ?
Non abbia "paura di volare".. molti auguri

P.S. forse le può essere utile dare un'occhiata nel mio psico blog all'articolo sul " gruppo dei pari"

MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it

[#2]
Attivo dal 2012 al 2012
Ex utente
L'ho letto l'articolo.
Ovviamente mi sono ritrovata nella descrizione di " adolescenza prolungata", non senza una certa vergogna e un certo giudizio. Soprattutto per quel: "permangono a lungo nella fase delle non scelte, in una sterminata giovinezza che li protegge dall’impatto con la realtà, hanno progetti grandiosi, spesso sono stati sopravvalutati dai genitori, hanno scarso senso della realtà, di cui hanno anche in parte paura e quindi .. aspettano."
La mia fatica è appunto quella del non saper gestire le emozioni, ma di lasciarsi sopraffare. Quello staccarsi in modo " non drastico" a cui lei accenna, mi risulta un lavorìo difficile. Ho paura che se dovessi staccarmi, mi staccherei del tutto.
Ovviamente, poi, razionalmente so che non è così, ma è come se temessi che il fatto di staccarsi sicuramente mi porterà a fare cose non armoniche e imperfette.
A sentirmi in colpa (già mi capita) e a chiedermi se magari io in realtà non sia davvero una potenziale menefreghista, solo frenata dalla paura di stare sola.
Questo è un pensiero a cui ho sempre cercato di non dar corda.Quello di avere un potenziale di "menefreghismo" forse più alto della media, che ho plasmato (fin da piccola)per sviluppare il mio carattere sulla sola affabilità ( qualità che senz'altro è comunque una parte di me altrettanto presente e spontanea).Vorrei avere la libertà di essere tutte e due le cose, e farmi amare, proprio perché sono quel che sono.
Diciamo che non ho indagato particolarmente il rapporto con la mia famiglia, semplicemente è uscito come dato di fatto dai miei racconti che ho delegato molto ai miei genitori: decisioni,scelte.Mi hanno sempre tirato fuori dal pantano per il coppino, come si suo dire. Certo, gli piaceva assai farlo.E tutt'ora, questa spirale continua.
Non ho battuto molto il ferro su questo argomento con il mio psicologo perché ci vedevamo ogni due settimane, e trattavamo più altre cose come i miei attacchi di panico sul lavoro.
Ma è un problema che permane, però,di certo non ho voglia di tornare a fare i colloqui, non perché non sia servito, ma perché credo che dopo 7 anni, si sia conclusa l'era dello psicologo.Mi sentirei sconfitta a ritornarci.
So cosa dovrei fare per spiccare il volo, ma nel pratico, sembra che le gambe non stiano dietro alla testa.
E' come se sperassi di essere presa per mano dagli altri per risolvere le mie cose.
Mi trovo proprio in una fase odio/amore verso la gente, ma è ovvio che il conflitto è interno, ed è odio/amore verso me stessa, per questa incapacità di sperimentare e imparare a diventare indipendente.
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