Come aiutare una persona con attacchi di panico?
Salve sono anna, sto cercando di capire come aiutare il mio ragazzo ad affrontare il suo problema di attacchi di panico. Lui ha 25 anni, è uno studente prossimo alla laurea, conosciuto da tutti come un ragazzo socievole, allegro ed esuberante.
Gli attacchi secondo quanto lui mi racconta sono iniziati l'autunno scorso, in seguito ad un episodio di sesso non protetto avuto con una ragazza “di facili costumi”. Per tutto l'inverno fu terrorizzato dall'aver contratto l'hiv, io e lui avevamo appena cominciato a frequentarci e mi riferì di questo suo terrore solo alcuni mesi dopo, ad aprile, quando fece il test e risultò negativo. Proprio a questa paura di essersi infettato lui riconduce i suoi attacchi, a cui io non ho mai assistito. Li descrive sempre come: debolezza improvvisa, tachicardia, palpitazioni, necessità di scappare di nascondersi, paura di morire.
Conoscendoci meglio ho avuto modo di cogliere altre sfaccettature del suo problema:
- anche a 19 20 anni, nei primi anni di università, a causa dello studio ha sofferto di forte ansia;
- suo padre soffre di disturbo bipolare. Quando lui mi parla di suo padre mi racconta solo gli sbagli e gli episodi negativi che lo riguardano ed in generale è critico nei suoi confronti. Spesso mi dice di essere cresciuto con molte ansie e paure.
-parlando a sua madre del problema, ha scoperto che anche lei tende a soffrire degli stessi disturbi di panico, motivo per cui ora lui sente di essere predisposto (pericolosa fonte secondo me di scoraggiamento e rassegnazione);
-due anni fa, giocando a calcetto in agosto, un suo compagno di squadra muore di infarto sul campo lì, davanti a lui. Lui ne parla semplicemente come un episodio spiacevole della sua vita, ma di fatto penso sia ben di più: io studio medicina e se mi capita di dover ripetere argomenti riguardanti l'infarto mi è praticamente impossibile farlo in sua presenza. Si ribella, non vuole sentirne proprio parlare. Spesso, parlando dei suoi attacchi, mi racconta della sua paura di avere un infarto proprio durante un'attacco.
-attualmente gli attacchi sono scomparsi a detta sua. Nonostante ciò non è rilassato, teme che si ripresentino e ciò condiziona alcune sue scelte (per paura ha rinunciato ad una vacanza con un amico all'estero già prenotata, giusto per fare l'esempio più eclatante). L'impressione che mi dà è che ha paura di sforzare il suo fisico, di scatenare un attacco di panico. Altro esempio: piuttosto che fare la tesi all'estero (suo progetto da tempo), preferisce ora stare a casa e occuparsi del suo problema a poco a poco.
Io non accenno mai all'argomento e mi limito ad ascoltarlo e a rassicurarlo quando me ne parla (ne parla solo con me e con sua madre). Che atteggiamento posso assumere per aiutarlo? Come mi devo comportare? Che consigli posso dargli? Nel mio piccolo, cosa posso fare?
Ringrazio per la cortese attenzione. Saluti
anna
Gli attacchi secondo quanto lui mi racconta sono iniziati l'autunno scorso, in seguito ad un episodio di sesso non protetto avuto con una ragazza “di facili costumi”. Per tutto l'inverno fu terrorizzato dall'aver contratto l'hiv, io e lui avevamo appena cominciato a frequentarci e mi riferì di questo suo terrore solo alcuni mesi dopo, ad aprile, quando fece il test e risultò negativo. Proprio a questa paura di essersi infettato lui riconduce i suoi attacchi, a cui io non ho mai assistito. Li descrive sempre come: debolezza improvvisa, tachicardia, palpitazioni, necessità di scappare di nascondersi, paura di morire.
Conoscendoci meglio ho avuto modo di cogliere altre sfaccettature del suo problema:
- anche a 19 20 anni, nei primi anni di università, a causa dello studio ha sofferto di forte ansia;
- suo padre soffre di disturbo bipolare. Quando lui mi parla di suo padre mi racconta solo gli sbagli e gli episodi negativi che lo riguardano ed in generale è critico nei suoi confronti. Spesso mi dice di essere cresciuto con molte ansie e paure.
-parlando a sua madre del problema, ha scoperto che anche lei tende a soffrire degli stessi disturbi di panico, motivo per cui ora lui sente di essere predisposto (pericolosa fonte secondo me di scoraggiamento e rassegnazione);
-due anni fa, giocando a calcetto in agosto, un suo compagno di squadra muore di infarto sul campo lì, davanti a lui. Lui ne parla semplicemente come un episodio spiacevole della sua vita, ma di fatto penso sia ben di più: io studio medicina e se mi capita di dover ripetere argomenti riguardanti l'infarto mi è praticamente impossibile farlo in sua presenza. Si ribella, non vuole sentirne proprio parlare. Spesso, parlando dei suoi attacchi, mi racconta della sua paura di avere un infarto proprio durante un'attacco.
-attualmente gli attacchi sono scomparsi a detta sua. Nonostante ciò non è rilassato, teme che si ripresentino e ciò condiziona alcune sue scelte (per paura ha rinunciato ad una vacanza con un amico all'estero già prenotata, giusto per fare l'esempio più eclatante). L'impressione che mi dà è che ha paura di sforzare il suo fisico, di scatenare un attacco di panico. Altro esempio: piuttosto che fare la tesi all'estero (suo progetto da tempo), preferisce ora stare a casa e occuparsi del suo problema a poco a poco.
Io non accenno mai all'argomento e mi limito ad ascoltarlo e a rassicurarlo quando me ne parla (ne parla solo con me e con sua madre). Che atteggiamento posso assumere per aiutarlo? Come mi devo comportare? Che consigli posso dargli? Nel mio piccolo, cosa posso fare?
Ringrazio per la cortese attenzione. Saluti
anna
[#1]
Gentile Anna,
lei ha fatto una analisi molto precisa della situazione, ha notato corsi e ricorsi del problema di ansia, ha correlato i sintomi con la sua storia familiare e personale, ma se questo lavoro non lo fa lui, serve a poco.
Fa bene a non parlare troppo dell'argomento, ad ascoltarlo e, giustamente dal suo punto di vista, lo rassicura quando non sta bene. Però deve sapere che rassicurare troppo una persona con ansia è controproducente perché crea una sorta di dipendenza dalle rassicurazioni.
A quanto ci dice, sembra che il problema di ansia lo stia facendo chiudere progressivamente, il suo ragazzo sta modificando i suoi progetti di vita. Lui deve rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Quello che lei potrebbe fare, è porlo di fronte al fatto che l'ansia e gli attacchi di panico stanno limitando la sua vita e che deve fare qualcosa al più presto, prima che il problema si ingrandisca. Con affetto e con fermezza.
Cosa ne pensa?
lei ha fatto una analisi molto precisa della situazione, ha notato corsi e ricorsi del problema di ansia, ha correlato i sintomi con la sua storia familiare e personale, ma se questo lavoro non lo fa lui, serve a poco.
Fa bene a non parlare troppo dell'argomento, ad ascoltarlo e, giustamente dal suo punto di vista, lo rassicura quando non sta bene. Però deve sapere che rassicurare troppo una persona con ansia è controproducente perché crea una sorta di dipendenza dalle rassicurazioni.
A quanto ci dice, sembra che il problema di ansia lo stia facendo chiudere progressivamente, il suo ragazzo sta modificando i suoi progetti di vita. Lui deve rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Quello che lei potrebbe fare, è porlo di fronte al fatto che l'ansia e gli attacchi di panico stanno limitando la sua vita e che deve fare qualcosa al più presto, prima che il problema si ingrandisca. Con affetto e con fermezza.
Cosa ne pensa?
Dott.ssa Giselle Ferretti Psicologa Psicoterapeuta
www.giselleferretti.it
https://www.facebook.com/giselleferrettipsicologa?ref=hl
[#2]
Utente
Gentile dottoressa, la ringrazio per la risposta così celere! Purtroppo non ho internet sempre disponibile in questo momento quindi non riesco ad essere rapida quanto lei :)
Rispondendo al suo messaggio, in realtà il mio ragazzo ha già contattato una psicoterapeuta quest'estate. Ha avuto per ora 5-6 incontri e le volte in cui me ne ha parlato si è sempre detto positivo e fiducioso, anche se per ora non ha notato miglioramenti particolari (come credo sia normale dopo così poco tempo). A tal proposito, in genere quali sono le tempistiche medie dopo cui si osservano dei cambiamenti? -mi rendo conto sia generalissima come domanda, era solo per avere un'idea.
Volevo infine chiederle un consiglio pratico: è capitato un paio di volte uscendo con gli amici di lui che, in un luogo aperto e affollato come quello di un concerto, improvvisamente lui mi chieda di separarsi dagli altri e sedersi in un posto più tranquillo io e lui, spaventato credo da un possibile attacco. In questi casi è giusto assecondarne "le paure" e allontanarsi con lui o tentare di forzarlo a rimanere, per non renderlo vittima delle sue paure? Fino a che punto è giusto tentare di opporsi?
La ringrazio per l'attenzione che mi ha rivolto
Anna
Rispondendo al suo messaggio, in realtà il mio ragazzo ha già contattato una psicoterapeuta quest'estate. Ha avuto per ora 5-6 incontri e le volte in cui me ne ha parlato si è sempre detto positivo e fiducioso, anche se per ora non ha notato miglioramenti particolari (come credo sia normale dopo così poco tempo). A tal proposito, in genere quali sono le tempistiche medie dopo cui si osservano dei cambiamenti? -mi rendo conto sia generalissima come domanda, era solo per avere un'idea.
Volevo infine chiederle un consiglio pratico: è capitato un paio di volte uscendo con gli amici di lui che, in un luogo aperto e affollato come quello di un concerto, improvvisamente lui mi chieda di separarsi dagli altri e sedersi in un posto più tranquillo io e lui, spaventato credo da un possibile attacco. In questi casi è giusto assecondarne "le paure" e allontanarsi con lui o tentare di forzarlo a rimanere, per non renderlo vittima delle sue paure? Fino a che punto è giusto tentare di opporsi?
La ringrazio per l'attenzione che mi ha rivolto
Anna
[#3]
Gentile Anna,
le sue domande sono più che comprensibili! Come immagina non è possibile definire la tempistica di miglioramento o di guarigione, alcune persone rispondono subito, altre hanno bisogno di più tempo.
Quello che potete tenere d'occhio è se il suo ragazzo sente che il percorso che sta seguendo lo fa stare meglio, volta per volta. Se sente che il percorso gli è utile, deve avere fiducia nel percorso. Se ci sono degli intoppi, lui dovrebbe parlarne con la psicoterapeuta e valutare se fanno parte del problema oppure se quel percorso non è adatto a lui.
Anche per quanto riguarda l'atteggiamento da tenere quando lui presenta la "paura della paura" non c'è un consiglio standard da darle, bisognerebbe valutare caso per caso. Forse sarebbe opportuno che lei non si mostri troppo preoccupata, con lui. Consideri che i suoi interventi sono secondari rispetto al lavoro che lui decide di fare su di sé.
Un caro saluto,
le sue domande sono più che comprensibili! Come immagina non è possibile definire la tempistica di miglioramento o di guarigione, alcune persone rispondono subito, altre hanno bisogno di più tempo.
Quello che potete tenere d'occhio è se il suo ragazzo sente che il percorso che sta seguendo lo fa stare meglio, volta per volta. Se sente che il percorso gli è utile, deve avere fiducia nel percorso. Se ci sono degli intoppi, lui dovrebbe parlarne con la psicoterapeuta e valutare se fanno parte del problema oppure se quel percorso non è adatto a lui.
Anche per quanto riguarda l'atteggiamento da tenere quando lui presenta la "paura della paura" non c'è un consiglio standard da darle, bisognerebbe valutare caso per caso. Forse sarebbe opportuno che lei non si mostri troppo preoccupata, con lui. Consideri che i suoi interventi sono secondari rispetto al lavoro che lui decide di fare su di sé.
Un caro saluto,
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 8.9k visite dal 24/08/2012.
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