Solitudine e anaffettività

Salve,
ultimamente soffro di pensieri ossessivi e di attacchi di ansia piuttosto frequenti e mi stanno rendendo impossibile qualsiasi attività. I pensieri mi provocano forte sofferenza psicologica, senso di colpa, disgusto e non riesco più a tollerarli. Io sono una persona molto solitaria, estremamente chiusa in me stessa e assolutamente poco propensa a stare in mezzo agli altri, anzi la cosa mi crea disagio. Esco con chiunque e mi estraneo, passo intere giornate davanti al pc a farmi gli affari miei e i miei problemi sono miei e non chiedo aiuto. Di conseguenza non sono vicina alla sofferenza degli altri e ogni preoccupazione e attenzione nei confronti di chiunque, amici e parenti, è razionalizzata e mai spontanea. Detesto il contatto fisico e non riesco in alcun modo a far trasparire le emozioni, mi infastidisce. Gli altri sono un lavoro, un impegno e cerco di evitarli. Mi trovo bene solo con gli animali, con i quali sono pienamente me stessa e ogni forma di attenzione è spontanea e veramente voluta. Agli occhi degli altri appaio come ipersensibile, dolce, rispettosa ma quella è una maschera (una maschera che non creo volutamente, è quello che viene fuori in automatico) e chiunque, soprattutto i parenti più stretti sono affettuosi e protettivi nei miei confronti, mi ammirano e mi stimano. Ma io potrei vivere con una persona per tutta la vita e dimenticarla in un’ora. Ora questa analisi di me credo mi abbia causato una sorta di trauma per cui ansia e ossessioni ne sono il frutto. Mio padre è estremamente simile a me e mi sono accorta di come sono io dalle critiche che mia madre e mia sorella (che sono l’esatto opposto di mio padre) gli hanno rivolto in questi ultimi anni, del resto anche quando ero piccola mi sentivo spesso paragonare a lui. Mio padre è anaffettivo, non si cura di niente e di nessuno e tutto ruota attorno a lui. Io ho l’unico pregio di non sfruttare gli altri per i miei interessi. Ora l’idea di essere fredda e anaffettiva mi crea un sacco di problemi e non so come fare. Sto continuamente a pensare a come devo essere con gli altri, a quali attenzioni dedicare, a come adempiere a certi obblighi sociali e la cosa mi angoscia tantissimo. Penso continuamente di andare a vivere da sola, tagliando chiunque dalla mia vita, a parte il mio cane, un po’ come fanno gli eremiti. Volevo sapere cosa è più giusto per me, se è corretto che io decida di chiudere i rapporti con tutti anche con i familiari, rischiando di farli soffrire o se devo tentare di fare uno sforzo per migliorarmi un po’. Più ci provo, più aumenta l'ansia e più è facile che finisca per trovare conforto nella solitudine della mia stanza o nella prospettiva di una vita solitaria. E’ un disturbo? E’ possibile evitare di essere come mio padre ma senza sforzi, in modo naturale e non razionale? Non so a cosa pensare.
Grazie.
Cordiali saluti.
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Psicologo attivo dal 2012 al 2016
Psicologo
Gentile Utente,

sembrerebbe che abbia adottato un po' lo "stile" di Suo padre, ma che in una simile modalità di comportarsi non si trovi perfettamente a suo agio.

Infatti, si chiede quale sia la cosa giusta da fare, e in un certo senso questa domanda è già una risposta: deve fare qualcosa per cambiare e raggiungere una condizione di maggiore serenità.

Anche se non ha detto molto sull'atmosfera familiare, potrebbe darsi che a suo tempo sia mancata una certa modalità di comunicare e di essere "emotivamente vicini", specialmente col padre, e che ciò abbia gettato le basi per lo sviluppo di una condizione di ritiro sociale, con qualche risvolto di tipo depressivo.

Non è importante il fatto che si tratti o meno di un disturbo; ciò che importa è che una simile condizione Le impedisce di essere serena e veramente se stessa, e quindi è necessario intervenire, almeno per ridimensionare un po' la situazione.

Invertire la tendenza, magari con l'aiuto di uno psicologo della Sua zona, richiederà certamente un certo impegno soprattutto in termini di volontà di reagire, ma è caldamente raccomandabile.
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Utente
Utente
La ringrazio. Mi è difficile immaginare come la psicoterapia possa creare l'ISTINTO di legarsi a qualcuno, di preoccuparsene, ecc. Mi sembra un po' come chiedermi di fare qualcosa per cui non ho le facoltà. Non vorrei fare anni e anni di sforzi per capire alla fine che si è come un elastico che torna sempre alla forma originaria. Avevo iniziato psicoterapia ma l'ho abbandonata per questa ragione. Sono molto demoralizzata.
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Psicologo attivo dal 2012 al 2016
Psicologo
Gentile Utente,

certamente la psicoterapia in sé potrebbe non essere sufficiente.

Infatti, prima di iniziare un percorso psicoterapico bisogna chiarirne le ragioni e gli scopi, e avere ben chiaro soprattutto il _perché_ si intraprende tale percorso.

Vi sono poi vari tipi di psicoterapie, basate su scuole di pensiero differenti; se non lo ha già fatto, potrebbe iniziare a informazioni sui loro diversi modi di affrontare i problemi; ne ricaverebbe così un'idea più precisa.

Comunque, la cosa fondamentale è credere, non tanto nella psicoterapia quanto _in se stessi e nella propria voglia di cambiare_; quindi, per ottenere il successo della psicoterapia è indispensabile la partecipazione attiva di chi vi si sottopone.

A quel punto, la psicoterapia non assolve la funzione di bacchetta magica ma di _strumento_ che permette all'utente di raggiungere il cambiamento desiderato.