Ansia e panico in un bimbo di 10 anni
Buongiorno.
Mio figlio ha 10 anni e ha cominciato a soffrire di attacchi di vera e propria ansia.
Brevemente la sua storia: vive solo con me essendo io una madre single.
Quando era più piccolino aveva normali paure infantili: quella del buio, quella di dormire da solo, ma era comunque proiettato verso il mondo. Curioso di uscire, di fare le sue esperienze.
Nell'ultimo anno (l'anno scorso ha perso il nonno che, seppure viveva distante, era per lui un punto di riferimento) ha subito una sorta di regressione.
Ora ha difficoltà ad uscire da solo per un giro in bici nel cortile. Vuole avere il controllo della mia vita. Assicurarsi che io stia bene quindi mi chiama innumerevoli volte in ufficio. Anche in situazioni già collaudate e abituali per lui, cerca di avermi sempre nel suo campo visivo. Ha avuto attacchi di ansia in luoghi per lui già abbondantemente vissuti: tipo al cinema e in piscina.
Ho consultato una psicologa che lo ha visto per qualche seduta ma poi abbiamo smesso perchè cominciava ad affrontarle in maniera negativa e poco collaborativa.
La mia preoccupazione però cresce. Come cresce il dispiacere nel vedere un bambino limitare la sua vita per colpa dell'ansia.
Era lanciato verso la sua indipendenza e la sua vita, ma ora lo vedo rannicchiato nelle sue preoccupazioni e nelle sue paure.
Ho deciso di consultare un altro specialista, di sesso maschile.
Essendo circondato da donne credo che subisca ormai una sorta di fastidio anche di "genere".
Ho provato ad inserirlo nel gruppo del calcio, dei suoi amichetti, ma rinuncia allo sport se io non posso essere presente durante lo svolgimento.
Così continua le lezioni di nuoto ma solo a patto io resti visibile.
Sono costernata e preoccupata da questa situazione.
E mi trovo davvero nella difficoltà di aiutarlo: ammetto che spesso mi sento soffocare da questa vita simbiotica che lui ha deciso di impormi ma non riesco a tranquillizzarlo se non con la mia presenza.
Tutto ciò scatena ovviamente anche dei profondi sensi di colpa in me che, ovviamente, non sono dei buoni consiglieri.
Mi piacerebbe dunque avere un Vostro parere con la speranza che qualcuno mi dica che da tutto questo marasma di ansia e paure e insicurezze si possa uscire
per vivere una vita più serena e libera.
Vi ringrazio di cuore.
Carla
Mio figlio ha 10 anni e ha cominciato a soffrire di attacchi di vera e propria ansia.
Brevemente la sua storia: vive solo con me essendo io una madre single.
Quando era più piccolino aveva normali paure infantili: quella del buio, quella di dormire da solo, ma era comunque proiettato verso il mondo. Curioso di uscire, di fare le sue esperienze.
Nell'ultimo anno (l'anno scorso ha perso il nonno che, seppure viveva distante, era per lui un punto di riferimento) ha subito una sorta di regressione.
Ora ha difficoltà ad uscire da solo per un giro in bici nel cortile. Vuole avere il controllo della mia vita. Assicurarsi che io stia bene quindi mi chiama innumerevoli volte in ufficio. Anche in situazioni già collaudate e abituali per lui, cerca di avermi sempre nel suo campo visivo. Ha avuto attacchi di ansia in luoghi per lui già abbondantemente vissuti: tipo al cinema e in piscina.
Ho consultato una psicologa che lo ha visto per qualche seduta ma poi abbiamo smesso perchè cominciava ad affrontarle in maniera negativa e poco collaborativa.
La mia preoccupazione però cresce. Come cresce il dispiacere nel vedere un bambino limitare la sua vita per colpa dell'ansia.
Era lanciato verso la sua indipendenza e la sua vita, ma ora lo vedo rannicchiato nelle sue preoccupazioni e nelle sue paure.
Ho deciso di consultare un altro specialista, di sesso maschile.
Essendo circondato da donne credo che subisca ormai una sorta di fastidio anche di "genere".
Ho provato ad inserirlo nel gruppo del calcio, dei suoi amichetti, ma rinuncia allo sport se io non posso essere presente durante lo svolgimento.
Così continua le lezioni di nuoto ma solo a patto io resti visibile.
Sono costernata e preoccupata da questa situazione.
E mi trovo davvero nella difficoltà di aiutarlo: ammetto che spesso mi sento soffocare da questa vita simbiotica che lui ha deciso di impormi ma non riesco a tranquillizzarlo se non con la mia presenza.
Tutto ciò scatena ovviamente anche dei profondi sensi di colpa in me che, ovviamente, non sono dei buoni consiglieri.
Mi piacerebbe dunque avere un Vostro parere con la speranza che qualcuno mi dica che da tutto questo marasma di ansia e paure e insicurezze si possa uscire
per vivere una vita più serena e libera.
Vi ringrazio di cuore.
Carla
[#1]
Cara Carla,
la perdita del nonno ha posto il bambino di fronte all'evidenza della possibilità di perdere le persone che ama, spingendolo in seguito ad attuare una sorta di controllo continuo sulla sua esistenza per assicurarsi del fatto che lei ci sia ancora e che stia bene.
Gi attacchi di ansia sono probabilmente espressioni acute dell'ansia di separazione che può essere sorta in lui a causa della perdita subita e quindi dell'idea che quanto accaduto possa avvenire di nuovo.
Immagino quanto affrontare questa situazione sia per lei straziante, sia perchè suo figlio soffre sia perchè si rende conto di essere il suo unico genitore presente e dunque tutta la sua famiglia e il suo mondo.
Durante la giornata da chi è seguito il bambino?
Ci sono altre figure di riferimento nella sua vita?
Ha contattato lo psicologo di sesso maschile cui dice di aver pensato di rivolgersi?
la perdita del nonno ha posto il bambino di fronte all'evidenza della possibilità di perdere le persone che ama, spingendolo in seguito ad attuare una sorta di controllo continuo sulla sua esistenza per assicurarsi del fatto che lei ci sia ancora e che stia bene.
Gi attacchi di ansia sono probabilmente espressioni acute dell'ansia di separazione che può essere sorta in lui a causa della perdita subita e quindi dell'idea che quanto accaduto possa avvenire di nuovo.
Immagino quanto affrontare questa situazione sia per lei straziante, sia perchè suo figlio soffre sia perchè si rende conto di essere il suo unico genitore presente e dunque tutta la sua famiglia e il suo mondo.
Durante la giornata da chi è seguito il bambino?
Ci sono altre figure di riferimento nella sua vita?
Ha contattato lo psicologo di sesso maschile cui dice di aver pensato di rivolgersi?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#2]
Utente
Grazie mille per la celere risposta.
Avrò un primo colloquio (da sola naturalmente) con lo specialista contattato venerdì.
Per il resto:
viviamo in un piccolo paese di provincia e mio figlio è bene inserito nella comunità.
Non avendo qui i miei genitori ma solo una sorella (con famiglia, ambiente sereno e allegro che frequentiamo quotidianamente) ho l'aiuto di una coppia di coniugi (di circa 60 anni) che sin da quando era piccolo hanno contribuito alla sua crescita, con l'affetto e la cura di due veri e propri nonni.
Così durante il giorno, ad esempio ora nel periodo di vacanza, frequenta il centro estivo e poi pranza con questi. E attende il mio ritorno dall'ufficio.
A giorni inizierà anche l'impegno quotidiano con il Grest organizzato dall'oratorio
dove troverà un po' tutti i ragazzi del posto: dai più piccoli ai più grandi
e dove va molto volentieri.
Tutto il tempo rimanente cerca di trascorrerlo con me, seguendomi anche in quelle cose che giudica noiose e che infatti un tempo rifuggiva (tipo andare al supermercato! o da un medico).
E faccio molta fatica a lasciarlo anche per una mezz'oretta in più in luoghi dove un tempo invece stava molto volentieri (appunto dalla zia o dai baby sitter).
Se anche cede mi telefona più volte per assicurarsi che tutto vada per il meglio.
E non c'è modo di convincerlo che nulla accadrà: è diventato negativo, pessimista.
Ha preoccupazioni esagerate per la fine del mondo, la deriva dei continenti, eventuali assalti terroristici (meno per cose concrete tipo il terremoto che ci ha scossi in questi giorni) e non c'è discorso o spiegazione razionale che possa tranquillizzarlo.
I percorsi in auto con me (ovviamente) alla guida sono diventati angoscianti:
la sua fissazione è che possiamo perderci per le strade del mondo.
(aggiungo che abbiamo sempre fatto lunghi viaggi in auto per tutta l'italia per cui sa bene che di me alla guida può fidarsi)
Ecco un altro pezzetto del quadro.
Grazie ancora.
Avrò un primo colloquio (da sola naturalmente) con lo specialista contattato venerdì.
Per il resto:
viviamo in un piccolo paese di provincia e mio figlio è bene inserito nella comunità.
Non avendo qui i miei genitori ma solo una sorella (con famiglia, ambiente sereno e allegro che frequentiamo quotidianamente) ho l'aiuto di una coppia di coniugi (di circa 60 anni) che sin da quando era piccolo hanno contribuito alla sua crescita, con l'affetto e la cura di due veri e propri nonni.
Così durante il giorno, ad esempio ora nel periodo di vacanza, frequenta il centro estivo e poi pranza con questi. E attende il mio ritorno dall'ufficio.
A giorni inizierà anche l'impegno quotidiano con il Grest organizzato dall'oratorio
dove troverà un po' tutti i ragazzi del posto: dai più piccoli ai più grandi
e dove va molto volentieri.
Tutto il tempo rimanente cerca di trascorrerlo con me, seguendomi anche in quelle cose che giudica noiose e che infatti un tempo rifuggiva (tipo andare al supermercato! o da un medico).
E faccio molta fatica a lasciarlo anche per una mezz'oretta in più in luoghi dove un tempo invece stava molto volentieri (appunto dalla zia o dai baby sitter).
Se anche cede mi telefona più volte per assicurarsi che tutto vada per il meglio.
E non c'è modo di convincerlo che nulla accadrà: è diventato negativo, pessimista.
Ha preoccupazioni esagerate per la fine del mondo, la deriva dei continenti, eventuali assalti terroristici (meno per cose concrete tipo il terremoto che ci ha scossi in questi giorni) e non c'è discorso o spiegazione razionale che possa tranquillizzarlo.
I percorsi in auto con me (ovviamente) alla guida sono diventati angoscianti:
la sua fissazione è che possiamo perderci per le strade del mondo.
(aggiungo che abbiamo sempre fatto lunghi viaggi in auto per tutta l'italia per cui sa bene che di me alla guida può fidarsi)
Ecco un altro pezzetto del quadro.
Grazie ancora.
[#3]
Gentile signora,
come ha affrontato con il bimbo la perdita del nonno?
Ne avete parlato?
Se si come?
Lei come ha reagito a questa perdita?
Il suo bambino conosce il proprio padre, ha rapporti con lui?
Ha fatto comunque benissimo a rivolgersi a uno specialista, attenda di avere un riscontro personale venerdì e se crede ci può aggiornare.
come ha affrontato con il bimbo la perdita del nonno?
Ne avete parlato?
Se si come?
Lei come ha reagito a questa perdita?
Il suo bambino conosce il proprio padre, ha rapporti con lui?
Ha fatto comunque benissimo a rivolgersi a uno specialista, attenda di avere un riscontro personale venerdì e se crede ci può aggiornare.
Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it
[#4]
Utente
Purtroppo la perdita del nonno ha dovuto viverla:
lo ha visto durante la chemio ed era con me e la mia famiglia quando mio padre ci ha lasciati. Gli avevo spiegato della malattia. E ho cercato di rendere serena la sua necessaria "partecipazione" agli ultimi giorni di mio padre.
La perdita per me è stata molto dolorosa ma ho reagito, credo, in maniera positiva.
Mio figlio ha visto il padre solo due volte.
L'unica volta di cui dovrebbe aver memoria è la seconda:
aveva 6 anni.
Non ha alcun contatto con lui perchè il padre non vuole.
Il bimbo ha deciso di reputarlo morto.
E anche di eliminare il secondo cognome (paterno) dai suoi dati anagrafici
appena potrà richiederlo.
Proprio giorni fa ha dichiarato di "volergli bene", visto che ha contribuito alla sua
"creazione",
ma di considerare la sua esistenza totalmente inutile.
Sicuramente conto di aggiornarVi vista la gentilezza con cui avete risposto alla mia richiesta di aiuto.
(Cosa ne pensate dell'utilizzo di prodotti naturali per combattere l'ansia dei bambini?)
lo ha visto durante la chemio ed era con me e la mia famiglia quando mio padre ci ha lasciati. Gli avevo spiegato della malattia. E ho cercato di rendere serena la sua necessaria "partecipazione" agli ultimi giorni di mio padre.
La perdita per me è stata molto dolorosa ma ho reagito, credo, in maniera positiva.
Mio figlio ha visto il padre solo due volte.
L'unica volta di cui dovrebbe aver memoria è la seconda:
aveva 6 anni.
Non ha alcun contatto con lui perchè il padre non vuole.
Il bimbo ha deciso di reputarlo morto.
E anche di eliminare il secondo cognome (paterno) dai suoi dati anagrafici
appena potrà richiederlo.
Proprio giorni fa ha dichiarato di "volergli bene", visto che ha contribuito alla sua
"creazione",
ma di considerare la sua esistenza totalmente inutile.
Sicuramente conto di aggiornarVi vista la gentilezza con cui avete risposto alla mia richiesta di aiuto.
(Cosa ne pensate dell'utilizzo di prodotti naturali per combattere l'ansia dei bambini?)
[#5]
>>> Ho deciso di consultare un altro specialista, di sesso maschile.
Essendo circondato da donne credo che subisca ormai una sorta di fastidio anche di "genere".
>>>
La sua potrebbe essere una felice intuizione. Non tanto perché suo figlio possa aver sviluppato avversione per il genere femminile, ma piuttosto perché potrebbe soffrire la mancanza di una figura di riferimento maschile. L'aver perso il nonno e il non abitare con il padre potrebbero avere un ruolo importante.
Un suggerimento alternativo, data l'età del bambino, è di contattare uno specialista che adotti un approccio indiretto, ossia che non debba necessariamente vedere il piccolo, ma lei. Fino a una certa età infatti il legame privilegiato è con il genitore, e quindi può essere più proficuo utilizzarlo indirettamente per intervenire sul bambino, invece di spendere tempo e risorse per ricrearne uno analogo fra terapeuta e bambino.
In altre parole lo psicologo diventa un consulente dei/del genitore per metterlo in condizione di aiutare al meglio suo figlio. Esempi di approcci di questo tipo sono il breve strategico e (in parte) il sistemico-relazionale.
Nella sua regione non avrà difficoltà a trovare un professionista in grado di seguirla.
Essendo circondato da donne credo che subisca ormai una sorta di fastidio anche di "genere".
>>>
La sua potrebbe essere una felice intuizione. Non tanto perché suo figlio possa aver sviluppato avversione per il genere femminile, ma piuttosto perché potrebbe soffrire la mancanza di una figura di riferimento maschile. L'aver perso il nonno e il non abitare con il padre potrebbero avere un ruolo importante.
Un suggerimento alternativo, data l'età del bambino, è di contattare uno specialista che adotti un approccio indiretto, ossia che non debba necessariamente vedere il piccolo, ma lei. Fino a una certa età infatti il legame privilegiato è con il genitore, e quindi può essere più proficuo utilizzarlo indirettamente per intervenire sul bambino, invece di spendere tempo e risorse per ricrearne uno analogo fra terapeuta e bambino.
In altre parole lo psicologo diventa un consulente dei/del genitore per metterlo in condizione di aiutare al meglio suo figlio. Esempi di approcci di questo tipo sono il breve strategico e (in parte) il sistemico-relazionale.
Nella sua regione non avrà difficoltà a trovare un professionista in grado di seguirla.
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#6]
>>> Ho deciso di consultare un altro specialista, di sesso maschile.
Essendo circondato da donne credo che subisca ormai una sorta di fastidio anche di "genere".
>>>
La sua potrebbe essere una felice intuizione. Non tanto perché suo figlio possa aver sviluppato avversione per il genere femminile, ma piuttosto perché potrebbe soffrire la mancanza di una figura di riferimento maschile. L'aver perso il nonno e il non abitare con il padre potrebbero avere un ruolo importante.
Un suggerimento alternativo, data l'età del bambino, è di contattare uno specialista che adotti un approccio indiretto, ossia che non debba necessariamente vedere il piccolo, ma lei. Fino a una certa età infatti il legame privilegiato è con il genitore, e quindi può essere più proficuo utilizzarlo indirettamente per intervenire sul bambino, invece di spendere tempo e risorse per ricrearne uno analogo fra terapeuta e bambino.
In altre parole lo psicologo diventa un consulente dei/del genitore per metterlo in condizione di aiutare al meglio suo figlio. Esempi di approcci di questo tipo sono il breve strategico e (in parte) il sistemico-relazionale.
Nella sua regione non avrà difficoltà a trovare un professionista in grado di seguirla.
Essendo circondato da donne credo che subisca ormai una sorta di fastidio anche di "genere".
>>>
La sua potrebbe essere una felice intuizione. Non tanto perché suo figlio possa aver sviluppato avversione per il genere femminile, ma piuttosto perché potrebbe soffrire la mancanza di una figura di riferimento maschile. L'aver perso il nonno e il non abitare con il padre potrebbero avere un ruolo importante.
Un suggerimento alternativo, data l'età del bambino, è di contattare uno specialista che adotti un approccio indiretto, ossia che non debba necessariamente vedere il piccolo, ma lei. Fino a una certa età infatti il legame privilegiato è con il genitore, e quindi può essere più proficuo utilizzarlo indirettamente per intervenire sul bambino, invece di spendere tempo e risorse per ricrearne uno analogo fra terapeuta e bambino.
In altre parole lo psicologo diventa un consulente dei/del genitore per metterlo in condizione di aiutare al meglio suo figlio. Esempi di approcci di questo tipo sono il breve strategico e (in parte) il sistemico-relazionale.
Nella sua regione non avrà difficoltà a trovare un professionista in grado di seguirla.
[#7]
"Mio figlio ha visto il padre solo due volte. (...) Il bimbo ha deciso di reputarlo morto."
Il bambino quindi sente di avere davvero solo lei, anche se sicuramente prova affetto anche per la zia (ed eventuali cugini) e per la coppia che si occupa di lui.
Queste figure però non possono avere la sua stessa importanza agli occhi di suo figlio, ovviamente, ed è per questo che l'ansia di separazione sta investendo solo il rapporto con lei.
In futuro, quando sarà il momento, se non ci sarà stato alcun modo di creare un rapporto fra il ragazzo e suo padre sarà necessario aiutarlo ad elaborare il rifiuto che percepisce (anche perchè è reale) da parte del genitore dello stesso sesso, perchè essere rifiutato dal padre non mini ulteriormente le sue sicurezze e la sua autostima.
Visto che già ora il bambino sta tentando di attuare una mossa risolutiva per liberarsi dalla sofferenza che evidentemente prova, dicendosi e dicendole che di suo padre non gli importa nulla, forse l'argomento può essere già affrontato con le modalità più adatte al caso con l'aiuto dello psicologo che ha contattato, se questi lo riterrà utile.
Ci faccia sapere cosa le dirà e cosa le proporrà il nostro collega, se di lavorare con lei (come spesso accade quando chi manifesta il disagio è un bambino) e/o con suo figlio.
Nel frattempo stia tranquilla e abbia fiducia nella possibilità di risolvere il problema.
Il bambino quindi sente di avere davvero solo lei, anche se sicuramente prova affetto anche per la zia (ed eventuali cugini) e per la coppia che si occupa di lui.
Queste figure però non possono avere la sua stessa importanza agli occhi di suo figlio, ovviamente, ed è per questo che l'ansia di separazione sta investendo solo il rapporto con lei.
In futuro, quando sarà il momento, se non ci sarà stato alcun modo di creare un rapporto fra il ragazzo e suo padre sarà necessario aiutarlo ad elaborare il rifiuto che percepisce (anche perchè è reale) da parte del genitore dello stesso sesso, perchè essere rifiutato dal padre non mini ulteriormente le sue sicurezze e la sua autostima.
Visto che già ora il bambino sta tentando di attuare una mossa risolutiva per liberarsi dalla sofferenza che evidentemente prova, dicendosi e dicendole che di suo padre non gli importa nulla, forse l'argomento può essere già affrontato con le modalità più adatte al caso con l'aiuto dello psicologo che ha contattato, se questi lo riterrà utile.
Ci faccia sapere cosa le dirà e cosa le proporrà il nostro collega, se di lavorare con lei (come spesso accade quando chi manifesta il disagio è un bambino) e/o con suo figlio.
Nel frattempo stia tranquilla e abbia fiducia nella possibilità di risolvere il problema.
[#8]
Utente
Torno da voi un po' sconfitta.
Lo specialista con cui ho avuto il colloquio non mi ha affatto "ispirata".
Innanzitutto mi ha chiarito che preferisce non occuparsi di bambini/adolescenti
(mi avevano dato il suo nome in questo senso e sono rimasta un po' perplessa)
e poi mi ha paventato la necessità di una terapia con il bambino che certo non si sarebbe risolta in breve.
Ovviamente non pretendo miracoli da nessuno.
Io stessa sono stata, nel corso della mia vita, in analisi
con diversi terapeuti (finchè ho trovato quella giusta).
So che sono cammini lunghi e complessi.
Ma - sicuramente sbaglierò - non ho l'intenzione di "tartassare" mio figlio
con sedute analitiche settimanali.
(visto che con la precedente psicologa l'idea di un appuntamento "fisso"
lo aveva messo in tensione e reso ribelle)
Avrei preferito, come letto anche qui, che si potesse lavorare in maniera più "leggera"
attraverso il genitore (cioè me).
Intanto l'ansia di mio figlio (se pure non esplosa più in attacchi di panico)
prosegue.
Non riesce davvero più ad allontanarsi da me.
Sono il suo unico "porto sicuro".
E questo sta mettendo profonda ansia anche a me.
Sento che la nostra vita si sta come accartocciando su noi stessi,
intrappolandoci.
Vivere costantemente con una persona (per quanto sia tuo figlio) che esige
la tua presenza in ogni azione o ti segue come un'ombra, persino più fedele di un'ombra, ovunque mette a dura prova i nervi e la serenità.
Non riesco a trovare nessun altro psicoterapeuta in zona specializzato
nell'infanzia e nell'adolescenza.
Tra poco partiremo per le vacanze e sono già angosciata all'idea del viaggio.
Rimanderò tutto a settembre ma mio figlio è "normale"?
So che è un termine sciocco e senza senso ma ho paura che questi problemi non si risolveranno mai.
Vi ringrazio per l'attenzione.
C.
Lo specialista con cui ho avuto il colloquio non mi ha affatto "ispirata".
Innanzitutto mi ha chiarito che preferisce non occuparsi di bambini/adolescenti
(mi avevano dato il suo nome in questo senso e sono rimasta un po' perplessa)
e poi mi ha paventato la necessità di una terapia con il bambino che certo non si sarebbe risolta in breve.
Ovviamente non pretendo miracoli da nessuno.
Io stessa sono stata, nel corso della mia vita, in analisi
con diversi terapeuti (finchè ho trovato quella giusta).
So che sono cammini lunghi e complessi.
Ma - sicuramente sbaglierò - non ho l'intenzione di "tartassare" mio figlio
con sedute analitiche settimanali.
(visto che con la precedente psicologa l'idea di un appuntamento "fisso"
lo aveva messo in tensione e reso ribelle)
Avrei preferito, come letto anche qui, che si potesse lavorare in maniera più "leggera"
attraverso il genitore (cioè me).
Intanto l'ansia di mio figlio (se pure non esplosa più in attacchi di panico)
prosegue.
Non riesce davvero più ad allontanarsi da me.
Sono il suo unico "porto sicuro".
E questo sta mettendo profonda ansia anche a me.
Sento che la nostra vita si sta come accartocciando su noi stessi,
intrappolandoci.
Vivere costantemente con una persona (per quanto sia tuo figlio) che esige
la tua presenza in ogni azione o ti segue come un'ombra, persino più fedele di un'ombra, ovunque mette a dura prova i nervi e la serenità.
Non riesco a trovare nessun altro psicoterapeuta in zona specializzato
nell'infanzia e nell'adolescenza.
Tra poco partiremo per le vacanze e sono già angosciata all'idea del viaggio.
Rimanderò tutto a settembre ma mio figlio è "normale"?
So che è un termine sciocco e senza senso ma ho paura che questi problemi non si risolveranno mai.
Vi ringrazio per l'attenzione.
C.
[#9]
Rilegga la mia replica #13.
Le ho suggerito chiaramente di rivolgersi a specialisti in terapia breve strategica o sistemico-relazionale. "Analisi" non è sinonimo di psicoterapia e il terapeuta breve strategico lavora indirettamente, cioè con i genitori.
>>> ma mio figlio è "normale"?
>>>
Questo non è un termine sciocco, ma una richiesta di rassicurazione che deriva evidentemente dalla sua ansia. Però qualunque risposta le si desse non sarebbe opportuna perché non vi conosciamo.
Si rivolga a uno specialista di persona seguendo le indicazioni che le abbiamo dato.
Se ne ha bisogno, legga qui per informarsi sulle differenze fra i vari approcci terapeutici:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/2336-scegliere-lo-psicologo.html
Le ho suggerito chiaramente di rivolgersi a specialisti in terapia breve strategica o sistemico-relazionale. "Analisi" non è sinonimo di psicoterapia e il terapeuta breve strategico lavora indirettamente, cioè con i genitori.
>>> ma mio figlio è "normale"?
>>>
Questo non è un termine sciocco, ma una richiesta di rassicurazione che deriva evidentemente dalla sua ansia. Però qualunque risposta le si desse non sarebbe opportuna perché non vi conosciamo.
Si rivolga a uno specialista di persona seguendo le indicazioni che le abbiamo dato.
Se ne ha bisogno, legga qui per informarsi sulle differenze fra i vari approcci terapeutici:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/2336-scegliere-lo-psicologo.html
[#10]
Carissima Carla,
non ha davvero motivo di sentirsi sconfitta: le hanno semplicemente dato il nominativo di un professionista che non si occupa di Età Evolutiva e che dunque non potrebbe occuparsi del vostro caso.
Nulla di grave.
Non le resta che cercarne un altro, che in ogni caso potrà lavorare per il benessere del bambino anche attraverso di lei - cosa che già avviene molto spesso, perchè intervenire sul genitore è una possibilità ugualmente valida e a volte anche più valida rispetto alla presa in carico diretta del bambino.
Non si abbatta!
non ha davvero motivo di sentirsi sconfitta: le hanno semplicemente dato il nominativo di un professionista che non si occupa di Età Evolutiva e che dunque non potrebbe occuparsi del vostro caso.
Nulla di grave.
Non le resta che cercarne un altro, che in ogni caso potrà lavorare per il benessere del bambino anche attraverso di lei - cosa che già avviene molto spesso, perchè intervenire sul genitore è una possibilità ugualmente valida e a volte anche più valida rispetto alla presa in carico diretta del bambino.
Non si abbatta!
[#11]
Gentile signora,
quello psicologo è stato molto onesto nel dirvi che quello dell'infanzia adolescenza non è il suo campo!
Lei può cercare il nominativo di un professionista su internet, facendo una ricerca mirata. Tuttavia, se non dovesse riuscire in questo modo, potrebbe rivolgersi al consultorio della vostra ASL di riferimento e chiedere ai professionisti che ci lavorano: potrebbero prendere loro in carico la vostra situazione, oppure indicarvi dei collaboratori esterni.
Cordialmente,
quello psicologo è stato molto onesto nel dirvi che quello dell'infanzia adolescenza non è il suo campo!
Lei può cercare il nominativo di un professionista su internet, facendo una ricerca mirata. Tuttavia, se non dovesse riuscire in questo modo, potrebbe rivolgersi al consultorio della vostra ASL di riferimento e chiedere ai professionisti che ci lavorano: potrebbero prendere loro in carico la vostra situazione, oppure indicarvi dei collaboratori esterni.
Cordialmente,
Dott.ssa Giselle Ferretti Psicologa Psicoterapeuta
www.giselleferretti.it
https://www.facebook.com/giselleferrettipsicologa?ref=hl
[#12]
<Rimanderò tutto a settembre ma mio figlio è "normale"?>
Gentile Signora,
non è infrequente che i genitori pongano questa domanda a se stessi e allo specialista. Questo ha a che fare con la concezione di "bambino rotto" che ha in sé qualcosa che non va e pertanto sia da aggiustare.
In realtà, da un punto di vista sistemico-relazionale, escludendo patologie di tipo organico, la risposta è nei contesti nei quali i bimbi sono calati , in primo luogo la famiglia, e nelle dinamiche di relazione in essi presenti, attraverso la comprensione delle quali è possibile decodificare i comportamenti sintomatici dei bimbi, uno dei mezzi attraverso i quali esprimono le difficoltà che a quanto avviene in tali contesti fanno capo.
Concordo dunque pienamente con quanto le ha consigliato il Collega dott. Santonocito sugli approcci terapeutici più indicati nel suo caso.
Cordialmente
Gentile Signora,
non è infrequente che i genitori pongano questa domanda a se stessi e allo specialista. Questo ha a che fare con la concezione di "bambino rotto" che ha in sé qualcosa che non va e pertanto sia da aggiustare.
In realtà, da un punto di vista sistemico-relazionale, escludendo patologie di tipo organico, la risposta è nei contesti nei quali i bimbi sono calati , in primo luogo la famiglia, e nelle dinamiche di relazione in essi presenti, attraverso la comprensione delle quali è possibile decodificare i comportamenti sintomatici dei bimbi, uno dei mezzi attraverso i quali esprimono le difficoltà che a quanto avviene in tali contesti fanno capo.
Concordo dunque pienamente con quanto le ha consigliato il Collega dott. Santonocito sugli approcci terapeutici più indicati nel suo caso.
Cordialmente
Questo consulto ha ricevuto 12 risposte e 12.7k visite dal 13/06/2012.
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Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.