Fuori dal mondo

Scrivo in un momento di totale sconforto. È difficile per me descrivere quello che provo, al di la della confusione e di un dolore sordo, continuo, che non trova sfogo e un'origine precisa. Almeno, io non so più cosa pensare.

E nemmeno a voi so per certo che tipo di parere chiedere, quale consiglio o altro.
Quello che posso dirvi è la vergogna e la fatica che sto provando anche in questo momento, nel tentativo di spiegarmi, convinto ancora una volta della banalità, di non riuscire.

Ho 26 anni e ciò che più mi opprime è il fatto di non avere pace, con me stesso, con gli altri. È come se fossi prigioniero dei miei tormenti, errori, colpe e non abbia altra via di uscita da questo circolo vizioso. Se non la morte, ovviamente. Eppure ritengo che nemmeno quella potrebbe essere la strada giusta: inutile e inopportuna, metterebbe fine precoce ad un'esistenza altrettanto miserabile. In poche parole: uno spreco in tutti i sensi.

D'altra parte non sento più la forza di combattere, inutilmente, per raggiungere un qualsiasi scopo. Non ho obiettivi, ambizioni, interessi, non leggo giornali, non guardo tv. Vivo al pari di quella pianta che ho sul balcone, ma a differenza sua sto marcendo pian piano nella mia ombra. Essa forse, prova dei sentimenti.

Vergogna, rabbia, disperazione, solitudine, paura. Potrei continuare, ma mi fermo qui. Un lavoro che manca di nuovo e che ho smesso di cercare, problemi e sofferenza famigliare che mi provocano un disagio indicibile, una vita sociale che probabilmente non è mai esistita, e un senso di inferiorità e inadeguatezza che spiazza in lungo e in largo questa vergognosa tristezza.

Sono una di quelle persone (a patto che ne esistano altre) che non parlano mai, che non hanno più niente da dire, che non ridono, non piangono, che non hanno nulla da offrire al prossimo. Respirano, non sanno nemmeno loro il perchè.

Ho qui accanto a me una lista di psicologi-psicoterapeuti della mia zona, con tanto di indirizzo e numero di telefono. Ho trascritto e verificato ogni nome con cura. Non trovo il coraggio per chiamare. Credo che le ragioni per farlo non manchino; tuttavia, pur non vedendo alternative, non so, di nuovo, se sia questo un primo passo.

Assurdo. Sono in continua contraddizione in tutto e per tutto. Fuori dal mondo, bloccato e impantanato dove l'apatia la fa da padrona, non so dire quale sia il mio posto, ciò che voglio e che mi serve. Quasi irreale.

Ora, non so cosa chiedervi.
Forse il mio vuole essere solo uno sfogo, un modo per dar voce a qualcosa di muto; forse ho bisogno di una conferma, di sentirmi dire che posso recuperare qualcosa, che la psicoterapia può essere un modo per tornare a vivere. D'altra parte, ho bisogno sia di crederlo, che di non crearmi false aspettative. Insomma, sono in trappola. Forse ora cado dal letto e mi sveglio, contento che sia finito un incubo.

Grazie a quanti leggeranno o vorranno esprimersi in merito.

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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Non sarebbe opportuno dare conferme ai suoi dubbi, perché farlo equivarrebbe a colludere con essi. In particolare, dirle qualcosa tipo: "Ma no, ma che dice, guardi che rivolgersi a uno psicologo le sarebbe di certo utile" presterebbe subito il fianco alle obiezioni più disparate.

No, se proprio deve andare da uno psicologo, è da solo che deve farsene convinto. Tutt'al più le si possono suggerire un paio di articoli, ad esempio questi:

https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/233-la-psicoterapia-che-cos-e-e-come-funziona.html

https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html

Quando li avrà letti, avrà domande più precise da porci.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com