Aiutare chi soffre di attacchi di panico
Sono una ragazza di 20 anni e da due sto con un ragazzo di 28 che soffre di disturbi relativi ad attacchi di panico. I primi attacchi risalgono a 4 anni fa, dopo la morte del nonno, al quale era molto legato, e della cui salute era stato unico responsabile nel periodo antecedente il decesso. Proprio il fatto di doversi occupare, così giovane, delle cure del nonno morente, lo ha portato ad accumulare stress e ansia.
Questi attacchi sono stati eventi sporadici, che non si ripropongono ormai da circa due anni e mezzo, tuttavia lui vive nel terrore che possano riproporsi e, per questo, evita qualunque tipo di situazione che ritiene pericolosa. Il problema è che non è in grado di fare le cose che comunemente sono ritenute "normali": rimanere da solo (non riesce a stare solo in nessun frangente), entrare all'interno di gallerie, treni, aerei... Sono ormai due anni che è in cura da una psicologa, la quale ha deciso poco tempo fa di diminuire il numero di sedute a una al mese, invece di una ogni due settimane. Qualche piccolo progresso c'è stato, ma nulla che possa considerevolmente migliorare la qualità della sua vita. La sua famiglia lo supporta molto, la madre lo accompagna ovunque senza opporre la minima resistenza, io, invece, non so come comportarmi. So che bisogna portare pazienza e assecondare le persone che soffrono di questi disturbi, ed è ciò che ho fatto fino adesso, tentando di comprendere e gioendo con lui per ogni piccolo risultato, d'altra parte sono molte le volte in cui penso che sarebbe meglio dargli una "scrollata", aiutarlo a tirare fuori il coraggio che ha, e che gli serve per superare le sue paure. Sono sempre io a parlare dell'argomento, il suo è un atteggiamento di rifiuto, tende a far finta che il problema non ci sia, e a parlarne solo quando "costretto" da mie esplicite domande. Vorrei sapere se è meglio per lui che io continui ad assecondarlo, o se può essere preferibile un atteggiamento più risoluto da parte mia, ho paura di ferirlo e di farlo stare ancora più male, però anche vivere in questa situazione facendo sempre la parte di colei che comprende e capisce non è facile. Come mi dovrei comportare? Grazie
Questi attacchi sono stati eventi sporadici, che non si ripropongono ormai da circa due anni e mezzo, tuttavia lui vive nel terrore che possano riproporsi e, per questo, evita qualunque tipo di situazione che ritiene pericolosa. Il problema è che non è in grado di fare le cose che comunemente sono ritenute "normali": rimanere da solo (non riesce a stare solo in nessun frangente), entrare all'interno di gallerie, treni, aerei... Sono ormai due anni che è in cura da una psicologa, la quale ha deciso poco tempo fa di diminuire il numero di sedute a una al mese, invece di una ogni due settimane. Qualche piccolo progresso c'è stato, ma nulla che possa considerevolmente migliorare la qualità della sua vita. La sua famiglia lo supporta molto, la madre lo accompagna ovunque senza opporre la minima resistenza, io, invece, non so come comportarmi. So che bisogna portare pazienza e assecondare le persone che soffrono di questi disturbi, ed è ciò che ho fatto fino adesso, tentando di comprendere e gioendo con lui per ogni piccolo risultato, d'altra parte sono molte le volte in cui penso che sarebbe meglio dargli una "scrollata", aiutarlo a tirare fuori il coraggio che ha, e che gli serve per superare le sue paure. Sono sempre io a parlare dell'argomento, il suo è un atteggiamento di rifiuto, tende a far finta che il problema non ci sia, e a parlarne solo quando "costretto" da mie esplicite domande. Vorrei sapere se è meglio per lui che io continui ad assecondarlo, o se può essere preferibile un atteggiamento più risoluto da parte mia, ho paura di ferirlo e di farlo stare ancora più male, però anche vivere in questa situazione facendo sempre la parte di colei che comprende e capisce non è facile. Come mi dovrei comportare? Grazie
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>>> Sono sempre io a parlare dell'argomento, il suo è un atteggiamento di rifiuto, tende a far finta che il problema non ci sia, e a parlarne solo quando "costretto" da mie esplicite domande
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Probabilmente il tuo "marcarlo stretto" non lo sta aiutando.
Se il problema fondamentale dell'ansioso è che non riesce a essere autosufficiente, avere qualcuno accanto che cerca di sorreggerlo e aiutarlo continuamente, contribuisce a relegarlo nel ruolo di ansioso. Oltre naturalmente al fatto che parlarne spesso può contribuire a esacerbare l'ansia.
Puoi dirci che tipo di terapia sta facendo il ragazzo? Approccio teorico, frequenza sedute, contenuti discussi in seduta ecc.
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Probabilmente il tuo "marcarlo stretto" non lo sta aiutando.
Se il problema fondamentale dell'ansioso è che non riesce a essere autosufficiente, avere qualcuno accanto che cerca di sorreggerlo e aiutarlo continuamente, contribuisce a relegarlo nel ruolo di ansioso. Oltre naturalmente al fatto che parlarne spesso può contribuire a esacerbare l'ansia.
Puoi dirci che tipo di terapia sta facendo il ragazzo? Approccio teorico, frequenza sedute, contenuti discussi in seduta ecc.
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#2]
Cara ragazza,
dalla sua storia sembra emergere un suo (di lei) malessere per la situazione che si sente costretta a vivere avendo "scelto" di stare con il ragazzo che ci descrive.
Non credo che un atteggiamento più risoluto da parte sua possa portare benefici.
I disturbi di natura ansiosa si autoalimentano e il fatto di continuare a parlarne con il suo ragazzo e di farlo, quindi, concentrare sul problema non è d'aiuto.
Ci chiede come devo comportarsi? Sinceramente a me sembra più una sua richiesta d'aiuto.
Può decidere di continuare a stare al fianco di questa persona accettandone i limiti (tra cui il disturbo che ci ha descritto in attesa che si risolva) o decidere di cercare altrove ciò che sembra mancarle.
Nel caso sarà solo lui a dover decidere se continuare a curare questo disagio come lo sta facendo o se rivolgersi ad un altro professionista, qualora non sia soddisfatto del percorso attuale; ma questa non può certo essere una decisione per procura.
Un caro saluto e in bocca al lupo.
dalla sua storia sembra emergere un suo (di lei) malessere per la situazione che si sente costretta a vivere avendo "scelto" di stare con il ragazzo che ci descrive.
Non credo che un atteggiamento più risoluto da parte sua possa portare benefici.
I disturbi di natura ansiosa si autoalimentano e il fatto di continuare a parlarne con il suo ragazzo e di farlo, quindi, concentrare sul problema non è d'aiuto.
Ci chiede come devo comportarsi? Sinceramente a me sembra più una sua richiesta d'aiuto.
Può decidere di continuare a stare al fianco di questa persona accettandone i limiti (tra cui il disturbo che ci ha descritto in attesa che si risolva) o decidere di cercare altrove ciò che sembra mancarle.
Nel caso sarà solo lui a dover decidere se continuare a curare questo disagio come lo sta facendo o se rivolgersi ad un altro professionista, qualora non sia soddisfatto del percorso attuale; ma questa non può certo essere una decisione per procura.
Un caro saluto e in bocca al lupo.
Dr. Roberto Callina - Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Specialista in psicoterapia dinamica - Milano
www.robertocallina.com
[#3]
Utente
Grazie per le risposte, io non so veramente come comportarmi e i vostri consigli non possono che aiutarmi.
Purtroppo non so molto della terapia che segue proprio perchè lui evita di parlarmene e io cerco di non chiedere troppo.
Ciò che mi dice è che durante le sedute la sua psicologa tende a farlo parlare delle sue giornate, dei fatti quotidiani, del lavoro, dei colleghi, di quello che fa.
Fino all'anno scorso le sedute erano settimanali, si sono poi diradate a bisettimanali e ora sono mensili, sempre per consiglio della psicologa.
Grazie ancora!
Purtroppo non so molto della terapia che segue proprio perchè lui evita di parlarmene e io cerco di non chiedere troppo.
Ciò che mi dice è che durante le sedute la sua psicologa tende a farlo parlare delle sue giornate, dei fatti quotidiani, del lavoro, dei colleghi, di quello che fa.
Fino all'anno scorso le sedute erano settimanali, si sono poi diradate a bisettimanali e ora sono mensili, sempre per consiglio della psicologa.
Grazie ancora!
[#4]
Gent.le ragazza,
una psicoterapia è efficace se determina un processo di cambiamento, ma questo dovrebbe valutarlo il suo ragazzo facendo il punto della situazione con il terapeuta, in funzione degli obiettivi concordati inizialmente.
Di solito si amplia l'intervallo delle sedute in prossimità della conclusione del percorso terapeutico, ma anche quest'aspetto va affrontato all'interno del setting terapeutico.
Non credo che sia utile che il suo ragazzo le racconti il contenuto delle sedute di psicoterapia, o che lei continui a sottoporlo a domande al riguardo, anche perché lui continuerebbe a chiudersi sulla difensiva.
Tuttavia è importante che il suo ragazzo non dia per scontata la sua sopportazione e che sia consapevole delle difficoltà che vive chi ha una relazione con un partner che soffre d'ansia e di attacchi di panico, non si tratta di colpevolizzarlo ma solo di responsabilizzarlo sia nei confronti del suo disagio sia nei confronti del disagio, anche se indiretto, del partner.
una psicoterapia è efficace se determina un processo di cambiamento, ma questo dovrebbe valutarlo il suo ragazzo facendo il punto della situazione con il terapeuta, in funzione degli obiettivi concordati inizialmente.
Di solito si amplia l'intervallo delle sedute in prossimità della conclusione del percorso terapeutico, ma anche quest'aspetto va affrontato all'interno del setting terapeutico.
Non credo che sia utile che il suo ragazzo le racconti il contenuto delle sedute di psicoterapia, o che lei continui a sottoporlo a domande al riguardo, anche perché lui continuerebbe a chiudersi sulla difensiva.
Tuttavia è importante che il suo ragazzo non dia per scontata la sua sopportazione e che sia consapevole delle difficoltà che vive chi ha una relazione con un partner che soffre d'ansia e di attacchi di panico, non si tratta di colpevolizzarlo ma solo di responsabilizzarlo sia nei confronti del suo disagio sia nei confronti del disagio, anche se indiretto, del partner.
Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it
[#5]
Gentile Ragazza,
anche se per amore, credo che lei non possa fare niente per potrelo aiutare .
Il suo fidanzato è già in terapia e, se la psicologa che lo segue ha ritenuto opportuno ridurre, lo avrà discusso con il paziente .
La "scrollata" di cui lei scrive, potrebbe non necessitargli.
Ogni percorso terapeutico, ha i suoi tempi, luoghi e dinamiche, improntate comunque alla riservatezza e tutela della privacy del paziente.
Immagino il suo disagio e la sua impotenza, ma credo che sarebbe utile , anche per lui, che lei la gestisse senza farlo sentire malato.
anche se per amore, credo che lei non possa fare niente per potrelo aiutare .
Il suo fidanzato è già in terapia e, se la psicologa che lo segue ha ritenuto opportuno ridurre, lo avrà discusso con il paziente .
La "scrollata" di cui lei scrive, potrebbe non necessitargli.
Ogni percorso terapeutico, ha i suoi tempi, luoghi e dinamiche, improntate comunque alla riservatezza e tutela della privacy del paziente.
Immagino il suo disagio e la sua impotenza, ma credo che sarebbe utile , anche per lui, che lei la gestisse senza farlo sentire malato.
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 1.6k visite dal 16/04/2012.
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