La mia impossibilità. Cosa può esserci di possibile?

Ho scritto già diversi consulti qui.
Due anni fa, iniziai un percorso di psicoterapia psicoanalitica inviata da un consultorio presso il quale mi ero rivolta. Avevo ed ho un disturbo alimentare, e consideravo questo il problema principale. Non mi accorgevo del tutto dell'isolamento comunicativo ed affettivo che mi accompagnava e con il quale sono cresciuta. Ora ho quasi 25 anni.

La maggior parte delle situazioni di vita comune, insieme ai miei coetanei, si concludevano con il mio silenzio e la mia immobilità. Col passare degli anni, non ho più nemmeno tentato di coltivare rapporti sociali.
Non mi rendevo completamente conto del mio stato di chiusura anche perché, in famiglia, succedeva più o meno la stessa cosa. Parlavo solo con mia madre che, ora, è l’unica persona (oltre al terapeuta) con la quale ho a che fare. Con mio padre ci sarebbe un discorso abbastanza lungo da fare ma, per essere breve, credo abbia difficoltà di comunicazione anche lui. E con mia sorella maggiore non si è creato alcun tipo di rapporto.

E' ormai un anno che vivo chiusa nella mia stanza.
Ho tentato due volte di portare avanti un percorso di studi. Ho tentato di lavorare, riuscendoci molto poco e non riuscendo ad interagire coi colleghi.

Credo che il terapeuta abbia ricevuto, da me, più parole in questo ultimo mese, che nei due anni trascorsi. Semplicemente perché ho iniziato a portargli fogli scritti. Ancora fatico a parlare. A salutarlo e a guardarlo in faccia.
E non per non-fiducia verso di lui. Anche se, scrivendo qui, sembro dimostrare il contrario.

Scrivo questo nuovo consulto perché credo di non poterne più, di tutto ciò.
Mi sto ritirando mano a mano, sempre di più. E più scopro, più mi ritiro.
Il mondo è un labirinto. Io sono andata avanti, fino ad ora, costruendo mie strade parallele a quelle degli altri. Ora non sono più capace di ri-adattarmi a niente e a nessuno. Nemmeno in casa.

Secondo la vostra esperienza professionale, in casi simili al mio, cosa potrebbe cambiare? Cosa cambierà? Cosa si deve accendere, per farmi venire desiderio di vita?

E' possibile, se un giorno venisse il desiderio, imparare a stare con gli altri alla mia età? Mi pare assurda l’idea di condividere le mie parole, il mio tempo, il mio corpo, con qualcuno. E' un’idea impossibile.

Per me, porre al terapeuta domande normali è abbastanza complicato. Ma mi chiedo perché leggo spesso di diagnosi o inquadramenti di qualche tipo, mentre io rimango sempre nella nebbia.
I miei genitori, per venirmi incontro, hanno anche iniziato degli incontri presso la Asl. Si diceva che i terapeuti si sarebbero contattati tra loro. Sono passati mesi e credo che questi contatti non ci siano stati. Pensavo, anche se temevo, che ci sarebbero stati un cambiamento o una proposta di qualche tipo.

Potrebbe il terapeuta decidere di interrompere la terapia o dirmi chiaramente che qualcosa non va e che così non può continuare?

Mi sento deficiente. Dovrei essere io a chiedere, senza aspettare non so cosa.
[#1]
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220
(..)Secondo la vostra esperienza professionale, in casi simili al mio, cosa potrebbe cambiare? Cosa cambierà? Cosa si deve accendere, per farmi venire desiderio di vita? (..)

gentile ragazza i cambiamenti, se non ci sono processi attivi e scelte, non avvengono. se Si aspetta che qualcosa capiti senca cercarla, allora rischiamo di aspettare a lungo. Spesso il cambiamento consiste solo nel cambiare modo di vedere le cose, ma in questo deve essere aiutata dal suo terapeuta.
in cosa consiste il lavoro che state facendo?

Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks

[#2]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Cara Ragazza,
L' assenza di desiderio di vita come lo chiama lei ed il vivere in una stanza, dovrebbero esse tradotti in diagnosi.
Il suo malessere, credo ad ampio spettro, include le difficolta' alimentari, di relazione, l' immobilismo psichico ecc...
La psicoterapia potrebbe rappresentare la strada verso l' analisi , la comprensione e la risoluzione dei suoi disagi.
Come gia' detto dal collega, I cambiamenti, non avvengono da soli o le busseranno alla porta, ma sono frutto di un processo intrapsichico.

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

[#3]
Dr.ssa Sarah Cervi Psicologo, Psicoterapeuta 74 1
Gentile utente,
proverò a rispondere alle sue domande.

La prima:
"Secondo la vostra esperienza professionale, in casi simili al mio, cosa potrebbe cambiare? Cosa cambierà? Cosa si deve accendere, per farmi venire desiderio di vita? "

Questo essenzialmente dipende da lei e, in questo caso, dal suo terapeuta. Se farete un buon lavoro insieme allora potrà cambiare ciò che lei desidera che cambi. Certo non senza sforzo o impegno, da parte di entrambi. Il cambiamento non avviene solo parlando quell'ora a settimana col terapeuta, avviene anche e soprattutto impegnandosi a riflettere e a fare qualcosa di diverso che va nella direzione che desideriamo.
Riguardo a questo io sono convinta che se dopo un paio di anni al massimo (e mi tengo larga) non si sono verificati cambiamenti significativi, la terapia allora non sta funzionando. Questo non significa che il paziente allora non ha speranze o che il terapeuta non è un buon terapeuta, ma potrebbe essere che quel tipo di terapia o quel terapeuta non sono adatti a quel paziente o alla sua problematica.

La sua seconda domanda:
"E' possibile, se un giorno venisse il desiderio, imparare a stare con gli altri alla mia età?Mi pare assurda l’idea di condividere le mie parole, il mio tempo, il mio corpo, con qualcuno. E' un’idea impossibile."

Ciò che le pare "impossibile" ora potrebbe non esserlo più man mano che inizia ad uscire dalla sua situazione. Avrebbe mai detto di potersi rivolgere ad un terapeuta qualche anno fà e di parlare o comunque riuscire a comunicare con lui? Ipotizzo di no, eppure l'ha fatto e, a quanto dice, ultimamente sta iniziando a comunicare di più con lui. A proposito di questo sono io a volerle rivolgere una domanda: cosa le impedisce di guardarlo in faccia e di salutarlo?

E, infine, la sua terza ed ultima domanda:
"Potrebbe il terapeuta decidere di interrompere la terapia o dirmi chiaramente che qualcosa non va e che così non può continuare?"

Ovviamente anche il terapeuta può decidere di "rescindere" il contratto terapeutico, ma non perchè "qualcosa non va" nel paziente, quanto piuttosto perchè si rende conto di non poterlo aiutare adeguatamente. Il terapeuta non può e non deve abbandonare il suo utente! Anche stavolta mi viene da farle io una domanda: ma lei teme che si possa verificare questa eventualità oppure se la augura?? Inoltre, vorrei chiederle: lei sta trovando giovamento da questa terapia?

un caro saluto

Sarah Cervi
www.psicologadellosviluppo-roma.blogspot.it
www.comunitalaquiete.blogspot.it

[#4]
Utente
Utente
x dr De Vincentiis

C'è spesso silenzio.
Come ho scritto, ho sempre faticato a parlare. Le frasi si interrompevano, non riuscivo a
pensare. Finché mi sono convinta a portare fogli scritti. Fogli che, comunque, non leggo in seduta e, poi, tiene lui.

Lui parla, anche se poco. Ma io non riesco a cogliere subito le sue parole. Se colgo, succede in ritardo. E va a finire che non trovo mai un filo di cose.

Mi è quasi impossibile parlare normalmente. Lì come altrove.
Domande anche semplici o informazioni pratiche, generali, non sono ancora riuscita a chiederle.
[#5]
Dr.ssa Sarah Cervi Psicologo, Psicoterapeuta 74 1
Magari sarebbe utile per voi discutere di ciò che lei scrive, scrivere per lei è già un passo avanti... ma forse questo tipo di terapia diventa (coi tempi analitici+i suoi tempi) troppo lenta. Ma lei pensa che un terapeuta (dunque un approccio) più "stimolante" potrebbe aiutarla? o ne sarebbe spaventata? Magari ha bisogno semplicemente di un tipo di terapia più immediata e diretta...
[#6]
Utente
Utente
x Dr.ssa Randone

Ho ricevuto una diagnosi per il mio disturbo alimentare, anche se era abbastanza ovvia. E solo per il disturbo alimentare, perché i miei genitori si sono rivolti alla Asl partendo da questo problema. Che esiste da almeno una decina di anni.

Solo che, spesso, sento il bisogno di avere un riscontro dal mio terapeuta. Un inquadramento più preciso riguardo la mia situazione. Che di certo non è causata dal disturbo alimentare.
Una diagnosi dovrebbe essere data automaticamente oppure dovrei chiedere io informazioni a riguardo?

[#7]
Utente
Utente
x Dr.ssa Cervi

- Non guardo quasi mai in faccia il terapeuta, e fatico a salutarlo in modo udibile e adeguato, perché succede questo con tutti.

- Non mi auguro che il terapeuta mi proponga di interrompere la terapia. Per me resta un momento importante, quello della seduta. Importante è un termine riduttivo.

- La terapia mi è stata fin qui utile a capire del tutto la mia situazione. Ma ora mi è impossibile andare oltre il mio blocco.

- Ho iniziato da un mese a portare in seduta fogli scritti. Che non abbiamo mai discusso in tempo reale. Infatti non sento simultaneità nella comunicazione.
Non voglio cambiare terapeuta, né tipo di approccio. Non so esattamente cosa voglio. Forse solo più chiarezza.
In effetti, già questi fogli sono stati un cambiamento. Potrebbero arrivarne altri, di cambiamenti.
[#8]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Non mi riferivo al disturbo alimentare, la cui manifestazione e' spesso sintomo di altro.
Solitamente prima di iniziare un possibile percorso psicoterapico, si effettua una diagnosi clinica del disagio, che sia depressione, disturbi dell'umore, della sfera della relazione, altro.....
Se riesce, puo' scrive le sue perplessita' al suo terapeuta
[#9]
Dr.ssa Sarah Cervi Psicologo, Psicoterapeuta 74 1
il fatto che lei sia consapevole che la terapia le è stata utile a raggiungere delle consapevolezze non è poco e nemmeno poco è che lei le abbia raggiunte. Inoltre, sta mettendo in essere dei cambiamenti, di cui è consapevole. In più, sembra che lei abbia stabilito una buona relazione col suo terapeuta e un attaccamento e anche questo non è cosa da poco...
Dice di volere più chiarezza, ma riguardo a cosa?
Per quanto riguarda il disturbo alimentare come sta andando? e di che tipo di disturbo si tratta?
[#10]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> Non so esattamente cosa voglio.
>>>

Almeno questo l'ha detto, al suo terapeuta?

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#11]
Utente
Utente
x Dr.ssa Randone

Sono arrivata al terapeuta che mi segue tramite un consultorio. Presso questo consultorio, ci sono state una serie di sedute alle quali ha partecipato mia madre, visto il mio rifiuto.
Non ho mai avuto un inquadramento diagnostico.
Tra le tante cose scritte sui fogli, c'erano anche frasi riguardanti questo argomento. Forse toccherebbe a me riproporlo.

x Dr.ssa Cervi

Si tratta di bulimia. Potrei dire che è migliorato leggermente il mio rapporto con il cibo in condizioni di pseudo-normalità, ma l'episodio in sé è sempre in agguato.

Vorrei chiarezza, nel senso che, di fatto, è come se un punto fermo nella comunicazione non si sia ancora trovato. Non c'è simultaneità: lui parla, io devo carburare; io scrivo, lui legge quando me ne vado.
Vorrei chiarezza perché spesso non so riflettere sul mio stato attuale. Come se fosse così e basta. E la terapia richiede riflessione.

x Dr. Santonocito

Sì, credo di aver espresso in qualche modo la mia perplessità generale.
[#12]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Bene, e gli ha chiesto, innanzitutto, di aiutarla a fare chiarezza su cosa vuole?

Altrimenti, se non si sa dove andare, è inutile anche partire.

>>> Vorrei chiarezza perché spesso non so riflettere sul mio stato attuale. Come se fosse così e basta. E la terapia richiede riflessione.
>>>

La terapia non deve richiedere solo riflessione. Ci sono forme di terapia dove oltre a riflettere si dà valore alla comunicazione fra paziente e terapeuta e si danno compiti da eseguire fra le varie sedute.

Glielo dico solo per spiegarle che esistono vari tipi di terapia.

Dal punto di vista delle terapie più attive, stabilire obiettivi condivisi è una delle primissime e necessarie fasi.
[#13]
Utente
Utente
x Dr. Santonocito

Non gli ho chiesto esplicitamente di aiutarmi a fare chiarezza. Mi sono (per iscritto) lamentata della situazione. E credo di aver espresso che, di obiettivi, non ne ho più.

Ho cercato di informarmi un po', leggendo, su ciò che sto facendo. E ho letto che esistono diversi approcci terapeutici.
Non credo però di volerne prendere in considerazione altri, rispetto a quello che sto seguendo.
[#14]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Più che cambiare, che per lei potrebbe rappresentare un ulteriore disagio, a mio avviso dovrebbe parlare con il suo terapeuta, anche tramite la scrittura.
Se non è soddisfatta del lavoro fatto e soprattutto dei risultati,dovrebbe fare un feedback al lavoro fatto.
Chiedere diagnosi e progetto terapeutico.
[#15]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Non le ho dato quelle informazioni per invitarla a cambiare, ma per farle comprendere che, se sta facendo una terapia dove non è previsto lavorare per obiettivi e dove la sua difficoltà a parlare si aggiunge alla scarsità di input che riceve, è possibile che si senta disorientata.

[#16]
Utente
Utente
sono arrivata ad un punto che definirei drammatico. non vengono altri termini.

il mio blocco persiste e, dalle frasi che mi sono state dette nella seduta di oggi, ho inteso che lui non può farci molto. se io non mi attivo, lui non può farlo al mio posto.

mi sento per lui un peso morto. nella mia situazione di isolamento praticamente totale, la sua figura è per me di vitale importanza, ma non sono in grado di continuare la terapia in questo modo.
tremo al pensiero che la terapia possa interrompersi.

la situazione a casa non è molto serena, soprattutto per via di mio padre. ma mia madre ha iniziato ad essere più partecipe dei miei problemi, chiamando il terapeuta. credo che lei si aspetti aiuti miracolosi o istruzioni concrete, che dubito arriveranno.

non so cosa potrà succedere. spero di avere inteso male le frasi di oggi.
ma quello che provo, a prescindere dalle frasi, rimane. ed io rimango nel mio blocco.
cosa potrebbe succedere?
[#17]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> se io non mi attivo, lui non può farlo al mio posto.
>>>

Sì, è profondamente vero e credo che il nocciolo della questione sia tutto qui.

>>> cosa potrebbe succedere?
>>>

Questo noi non possiamo dirglielo, non siamo indovini.

Provi però a farsi una domanda diversa e forse più utile: cosa potrebbe succedere se deciderà di non attivarsi?
[#18]
Utente
Utente
x Dr. Santonocito

Il fatto è che, in questo momento, mi sento priva di forze e capacità di decidere.
Non mi attivo, perché non sono capace di attivarmi.
E se continua così, credo che il prossimo passo sarà dis-attivarmi del tutto, in qualche maniera. Le mie giornate sono vuote, io sono completamente vuota.

Questi due anni di terapia mi hanno fatto capire tutto quello che non ho costruito, nella mia vita. Ma mi sento come una bambina piccolissima, a cui la mamma illustra a parole come dovrà essere il suo futuro e poi le dice di cavarsela senza di lei.

Non so se non sono in grado io, di farmi accompagnare. Credo che questo sia parte delle mie difficoltà.
[#19]
Dr. Alessandro Raggi Psicologo, Psicoterapeuta 483 14
gentile utente, la terapia psicoanalitica non è basata sulla riflessione, ma sulla relazione e quindi sulla comunicazione tra paziente e terapeuta, dove sono in gioco dinamiche che toccano la sfera delle emozioni e dei sentimenti, anche quelli difficili che possono scaturire dalla sua difficoltà a parlare, propria del momento che sta attraversando.

E' possibile che il momento in cui si trova adesso sia un punto importante del percorso che sta facendo. La terapia psicoanalitica (che però non si fa nei servizi pubblici, dunque lei sta seguendo molto probabilmente una terapia psicodinamica, cioè basata sui principi della psicoanalisi, ma è un mero dettaglio tecnico), ma non solo questa, non prevede un percorso lineare, ma è possibile che si attraversino (anzi è auspicabile) dei momenti di CRISI durante la terapia. La "crisi" (dal greco Krisis, separazione, divisione), è alla base di ogni cambiamento che può innescarsi, e va evidentemente gestita da lei con l'aiuto del suo terapeuta.

Dunque ripeto, è molto facile che il suo cambiamento e la strada verso la sua guarigione, che le auguro, possa e debba passare per un momento come questo. Cerchi di farsi forza e comunichi al suo terapeuta tutte le sue insicurezze, le sue ansie e i suoi dubbi, anche sul percorso che sta facendo, le sarà utile e sarà utile alla sua terapia.
Cordialmente

Dr. Alessandro Raggi
psicoterapeuta psicoanalista
www.psicheanima.it

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