Ansia, paure, sofferenza verso gli altri, ecc
Buongiorno, sono un ragazzo di 25 anni.Da molto tempo soffro da attacchi di ansia e paure che mi bloccano nel raggiungere un ottimale equilibrio psichico.Inoltre questa mia sofferenza si ripercuote inevitabilmente sulla qualità della mia vita;faccio molta fatica a relazionarmi con gli altri, la maggior parte delle volte non ci provo neanche.Sono molto chiuso in me stesso e la minima impressione di un giudizio esterno negativo nei miei confronti mi porta inevitabilmente a chiudermi ancora di più.Parlo di impressioni perché sono convinto che buona parte dei giudizi esterni negativi sul mio conto sono frutto della mia immaginazione.Credo questa insicurezza sia determinata in sostanza dal fatto che in molti momenti mi sento fuori dal mondo e di questo ne soffro molto; ci sono momenti in cui,in preda all'ansia,mi risulta molto difficile comprendere anche il più elementare dei ragionamenti o svolgere compiti che normalmente sarei in grado di svolgere.Quando il mio stato di ansia si potrae per giorni perdo interesse verso tutto e tutti, mi chiudo a riccio e l'unico luogo sicuro diventa la casa.Ad oggi ho svolto diverse esperienze lavorative che non mi hanno dato grandi soddisfazioni, non perché i lavori non fossero interessanti, ma perché il mio umore ballerino metteva sempre in discussione ogni scelta che facevo e i modi i cui la realizzavo, e in più non sono mai riuscito a socializzare veramente con i miei colleghi; anzi era una continua lotta per affermarmi sugli altri perché il rischio era quello di sprofondare e sentirsi inferiore.Negli ultimi tre anni ho frequentato l'università (a modo mio aggiungerei)e mi sto laureando ma, non vi nascondo che anche questo traguardo non mi soddisfa.E' abbastanza inutile provare a convincermi che sto conquistando un traguardo importante perché secondo me è stata una stupida perdita di tempo.Come potete immaginare faccio molta fatica a circondarmi di persone o amici perché ho un carattere un pò complicato;da quasi un anno sono stato lasciato dalla mia ex dopo una storia durata 6 anni;credo anche lei si fosse stancata di me e del mio carattere.Dopo una fase di totale depressione segnata dai pensieri più brutti ora mi sono lentamente ripreso e impiego il mio tempo anche in altre cose diverse dallo studio e dal pensare che tutto stia procedendo nel peggiore dei modi.La cosa che mi fa maggiormente soffrire è la mia difficoltà a circondarmi di persone.Sto praticamente quasi tutti giorni chiuso dentro casa da solo,ogni tanto esco con alcuni amici che però anche i loro problemi con i quali kmq non c'è una rapporto del tutto sincero.Devo ammettere che l'unica persona che conosceva il mio stato emotivo era la mia ex,nè i miei pochi amici, nè i miei genitori sanno in fondo quello che penso del periodo che sto attraversando. Giusto per chiarire le cose,dei tentativi per uscire da questo stato li ho fatti e li sto facendo, sono in cura da 3 anni con una psicologa e da quasi 1 anno con uno psichiatra ma i risultati sono scarsi.
[#1]
Gentile utente,
può chiarire che tipo di percorso sta effettuando con la sua psicologa? Di quale orientamento è? E' stata fatta una diagnosi? Sono stati stabiliti obiettivi terapeutici?
Quali benefici ha ottenuto?
Ha riferito alla sua curante ogni sua difficoltà e le sue perplessità in merito agli scarsi risultati che ritiene di aver ottenuto finora?
Perdoni le molte domande, ma sono utili per comprendere meglio.
può chiarire che tipo di percorso sta effettuando con la sua psicologa? Di quale orientamento è? E' stata fatta una diagnosi? Sono stati stabiliti obiettivi terapeutici?
Quali benefici ha ottenuto?
Ha riferito alla sua curante ogni sua difficoltà e le sue perplessità in merito agli scarsi risultati che ritiene di aver ottenuto finora?
Perdoni le molte domande, ma sono utili per comprendere meglio.
Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it
[#2]
Utente
Allora, mi sembra di aver capito che è una terapia psicoanalitica. La dottoressa la trovo molto brava perché con lei ho l'opportunità di sfogarmi e dire veramente ciò che penso senza preoccuparmi di essere giudicato. Di diagnosi e obiettivi sinceramente non abbiamo mai parlato. Per quanto riguarda gli obiettivi mi sento di dire che siano impliciti; partecipo alle seduti per curarmi dai problemi di ansia, per comprendere i motivi di alcuni miei comportamenti istintivi e i motivi di alcune reazioni che difficilmente senza il suo apporto riuscirei a capire. Diciamo che mi aiuta ad osservarmi un pò più da vicino. Ho intrapreso con lei un percorso di autoanalisi che ha portato in parte a dei miglioramenti; se prima i miei sbalzi di umore erano continui nell'arco di una giornata adesso sono un pò meno frequenti però le difficoltà a relazionarmi con gli altri rimane sempre uguale. Col passare del tempo mi sto auto convincendo che la mia sia una patologia incurabile perché salvo sporadici momenti in cui mi sento veramente libero da ansie e pensieri la maggior parte dei giorni li passo in tensione, nervoso, con la testa occupata in mille ragionamenti. Sto anche leggendo dei libri tipo "pensare positivo" scritti anche da importanti psicologi con l'intento di liberarmi da molti pensieri che mi bloccano e lasciare fluire i comportamenti più istintivi che evidentemente tendo a tener repressi. Altri benefici li ho ottenuti dal miglioramento del rapporto con i miei genitori; prima ero sempre molto scontroso con loro perché credevo fossero la causa di tutte le mie disgrazie; oggi se lo penso ancora, sicuramente molto meno.
Lo psichiatra invece mi ha consigliato una terapia farmacologica per tenere a bada l'ansia ma sinceramente non sono molto convinto della sua efficacia; prima cosa, secondo me psichiatra e psicologo dovrebbero lavorare in modo congiunto, secondo, credo che l'ansia non si possa curare realmente con i farmaci; l'ansia è prodotta dalle continue alterazioni dell'umore e i motivi più profondi sono sempre riconducibili a ragioni psicologiche. Infine lo psichiatra lo vedo una volta ogni due mesi, mi chiede solo come va con l'ansia perché vuole capire se aumentare o ridurre la somministrazione di farmaci che, per fortuna, è a livelli molto bassi.
Gli sforzi principali li sto facendo con la psicologa anche se una seduta a settimana secondo me non è sufficiente e non sono neanche sicuro che questo tipo di terapia sia sufficiente per risolvere i miei problemi. Purtroppo non saprei proprio quali altre terapie alternative possano essere più indicate. Quelle poche volte che ho provato a denunciare alcune perplessità alla mia psicologa alla fine mi sono auto convinto fossero le solite paranoie che dovevo smontare. Ho deciso di affidarmi completamente a lei perché non trovo neanche corretto rimettere tutto in discussione; altro motivo è un fatto di costo perché non ho molti soldi a disposizione e fortunatamente la dottoressa mi è venuta incontro chiedendomi solo 20 euro a seduta.
Qual'è il suo parere dottoressa? Per qualsiasi cosa non esiterò ad aggiungere altre informazioni..
grazie
Lo psichiatra invece mi ha consigliato una terapia farmacologica per tenere a bada l'ansia ma sinceramente non sono molto convinto della sua efficacia; prima cosa, secondo me psichiatra e psicologo dovrebbero lavorare in modo congiunto, secondo, credo che l'ansia non si possa curare realmente con i farmaci; l'ansia è prodotta dalle continue alterazioni dell'umore e i motivi più profondi sono sempre riconducibili a ragioni psicologiche. Infine lo psichiatra lo vedo una volta ogni due mesi, mi chiede solo come va con l'ansia perché vuole capire se aumentare o ridurre la somministrazione di farmaci che, per fortuna, è a livelli molto bassi.
Gli sforzi principali li sto facendo con la psicologa anche se una seduta a settimana secondo me non è sufficiente e non sono neanche sicuro che questo tipo di terapia sia sufficiente per risolvere i miei problemi. Purtroppo non saprei proprio quali altre terapie alternative possano essere più indicate. Quelle poche volte che ho provato a denunciare alcune perplessità alla mia psicologa alla fine mi sono auto convinto fossero le solite paranoie che dovevo smontare. Ho deciso di affidarmi completamente a lei perché non trovo neanche corretto rimettere tutto in discussione; altro motivo è un fatto di costo perché non ho molti soldi a disposizione e fortunatamente la dottoressa mi è venuta incontro chiedendomi solo 20 euro a seduta.
Qual'è il suo parere dottoressa? Per qualsiasi cosa non esiterò ad aggiungere altre informazioni..
grazie
[#3]
>>> La dottoressa la trovo molto brava perché con lei ho l'opportunità di sfogarmi e dire veramente ciò che penso senza preoccuparmi di essere giudicato
>>>
Bene, ma questo, di per sé, non è terapia.
Anche gli utenti che ci scrivono su questo sito si lasciano andare a sfoghi a volte lunghi e tormentati, ma dopo, passato l'effetto momentaneo del dire ciò che sentono, si ritrovano a fare i conti con il loro problema, rimasto tale e quale.
>>> Di diagnosi e obiettivi sinceramente non abbiamo mai parlato. Per quanto riguarda gli obiettivi mi sento di dire che siano impliciti; partecipo alle seduti per curarmi dai problemi di ansia, per comprendere i motivi di alcuni miei comportamenti istintivi e i motivi di alcune reazioni che difficilmente senza il suo apporto riuscirei a capire. Diciamo che mi aiuta ad osservarmi un pò più da vicino
>>>
Neanche questo, di per sé, è terapia.
"Capire", spesso non basta per cambiare. Immagino che dopo 3 anni lei saprà tutto sul suo problema, che però è sempre là, a quanto ci dice.
>>> Col passare del tempo mi sto auto convincendo che la mia sia una patologia incurabile
>>>
Invece, secondo me, l'unica cosa di cui può essere sicuro è che con la terapia attuale non sta ottenendo i risultati sperati, non che la sua sia una patologia incurabile. Una rondine non fa primavera, non confonda un esempio con il tutto.
Esistono varie forme di terapia, alcune più attive di altre, ovvero dove si forniscono indicazioni pratiche e dettagliate per aiutare il paziente a superare la difficoltà. Esse sono indicate per i disturbi d'ansia; ad esempio, se il problema è l'incapacità ad avvicinarsi agli altri, questo andrà risolto mettendo a punto insieme al terapeuta un piano per avvicinarsi gradualmente all'obiettivo. Prima si agisce, e quindi si cambia. Aspettare di cambiare prima nella propria testa, per poi fare un glorioso ingresso nel mondo dei vincenti, rischia di far aspettare per tutta la vita.
Legga questi articoli, per informarsi un po':
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/233-la-psicoterapia-che-cos-e-e-come-funziona.html
>>>
Bene, ma questo, di per sé, non è terapia.
Anche gli utenti che ci scrivono su questo sito si lasciano andare a sfoghi a volte lunghi e tormentati, ma dopo, passato l'effetto momentaneo del dire ciò che sentono, si ritrovano a fare i conti con il loro problema, rimasto tale e quale.
>>> Di diagnosi e obiettivi sinceramente non abbiamo mai parlato. Per quanto riguarda gli obiettivi mi sento di dire che siano impliciti; partecipo alle seduti per curarmi dai problemi di ansia, per comprendere i motivi di alcuni miei comportamenti istintivi e i motivi di alcune reazioni che difficilmente senza il suo apporto riuscirei a capire. Diciamo che mi aiuta ad osservarmi un pò più da vicino
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Neanche questo, di per sé, è terapia.
"Capire", spesso non basta per cambiare. Immagino che dopo 3 anni lei saprà tutto sul suo problema, che però è sempre là, a quanto ci dice.
>>> Col passare del tempo mi sto auto convincendo che la mia sia una patologia incurabile
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Invece, secondo me, l'unica cosa di cui può essere sicuro è che con la terapia attuale non sta ottenendo i risultati sperati, non che la sua sia una patologia incurabile. Una rondine non fa primavera, non confonda un esempio con il tutto.
Esistono varie forme di terapia, alcune più attive di altre, ovvero dove si forniscono indicazioni pratiche e dettagliate per aiutare il paziente a superare la difficoltà. Esse sono indicate per i disturbi d'ansia; ad esempio, se il problema è l'incapacità ad avvicinarsi agli altri, questo andrà risolto mettendo a punto insieme al terapeuta un piano per avvicinarsi gradualmente all'obiettivo. Prima si agisce, e quindi si cambia. Aspettare di cambiare prima nella propria testa, per poi fare un glorioso ingresso nel mondo dei vincenti, rischia di far aspettare per tutta la vita.
Legga questi articoli, per informarsi un po':
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/233-la-psicoterapia-che-cos-e-e-come-funziona.html
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#4]
Utente
Buongiorno dottore, scusi per il ritardo con cui rispondo.
Ho ripensato a quanto mi scrisse il mese di Aprile.
>> "Capire", spesso non basta per cambiare. Immagino che dopo 3 anni lei saprà tutto sul suo problema, che però è sempre là, a quanto ci dice. <<
In realtà so che può sembrarle strano ma non mi è affatto chiaro cosa mi affligge. Io e la dottoressa parliamo del più e del meno, durante i miei monologhi probabilmente lei nota in me un disagio nell'esporre un determinato fatto. A quel punto si cerca di ragionarci sopra e scoprire i motivi profondi di certi comportamenti e di certe reazioni emotive.
Adesso io non essendo esperto in materia non so se questo lavoro sia sufficiente. Penso sempre sia comunque un processo lungo quello verso la completa guarigione. So di gente che è in cura da una vita intera che in parte hanno risolto i loro problemi ma che non riescono ad abbandonare la figura dello psicologo che (diciamo tutta) spesso svolge il semplice ruolo del confessore.
Io sento di trovarmi bene con questa psicologa, quando ci vediamo con una certa frequenza il mio umore tende a migliorare; il problema sorge quando per un certo periodo (per esempio ora, in pausa estiva) rimango da solo senza il suo apporto, è facile che cado di nuovo nel malumore.
Altra cosa, lei dice che esistono varie forme di terapia, io posso leggerne anche le caratteristiche. Credo tuttavia che non spetti a me decidere quale sia la cura più adatta ai miei problemi ma qualcuno che sappia indirizzarmi. Io vivo i malumori in prima persona, fosse per me mi butterei su ogni genere di terapia diversa ma così facendo rischierei di fare solo confusione.
La mia attuale psicologa non credo neanche possa arrivare a indicarmi un'altra cura. Sarebbe come perdere un cliente.
Io non ho capacità di giudizio in questo senso, conosco solo il suo modo di lavorare, so che in giro è pieno di ciarlatani, nessuno mi ha fatto una diagnosi precisa. Mi chiedo come possa valutare meglio l'idea di sottoporsi a una nuova psicoterapia. Vedo solo parecchi rischi nel cambiare psicologo.
Cosa ne pensa?
Ho ripensato a quanto mi scrisse il mese di Aprile.
>> "Capire", spesso non basta per cambiare. Immagino che dopo 3 anni lei saprà tutto sul suo problema, che però è sempre là, a quanto ci dice. <<
In realtà so che può sembrarle strano ma non mi è affatto chiaro cosa mi affligge. Io e la dottoressa parliamo del più e del meno, durante i miei monologhi probabilmente lei nota in me un disagio nell'esporre un determinato fatto. A quel punto si cerca di ragionarci sopra e scoprire i motivi profondi di certi comportamenti e di certe reazioni emotive.
Adesso io non essendo esperto in materia non so se questo lavoro sia sufficiente. Penso sempre sia comunque un processo lungo quello verso la completa guarigione. So di gente che è in cura da una vita intera che in parte hanno risolto i loro problemi ma che non riescono ad abbandonare la figura dello psicologo che (diciamo tutta) spesso svolge il semplice ruolo del confessore.
Io sento di trovarmi bene con questa psicologa, quando ci vediamo con una certa frequenza il mio umore tende a migliorare; il problema sorge quando per un certo periodo (per esempio ora, in pausa estiva) rimango da solo senza il suo apporto, è facile che cado di nuovo nel malumore.
Altra cosa, lei dice che esistono varie forme di terapia, io posso leggerne anche le caratteristiche. Credo tuttavia che non spetti a me decidere quale sia la cura più adatta ai miei problemi ma qualcuno che sappia indirizzarmi. Io vivo i malumori in prima persona, fosse per me mi butterei su ogni genere di terapia diversa ma così facendo rischierei di fare solo confusione.
La mia attuale psicologa non credo neanche possa arrivare a indicarmi un'altra cura. Sarebbe come perdere un cliente.
Io non ho capacità di giudizio in questo senso, conosco solo il suo modo di lavorare, so che in giro è pieno di ciarlatani, nessuno mi ha fatto una diagnosi precisa. Mi chiedo come possa valutare meglio l'idea di sottoporsi a una nuova psicoterapia. Vedo solo parecchi rischi nel cambiare psicologo.
Cosa ne pensa?
[#5]
>>> In realtà so che può sembrarle strano ma non mi è affatto chiaro cosa mi affligge
>>>
Ancora peggio. Quindi è più confuso di quanto sembrava all'inizio.
>>> Adesso io non essendo esperto in materia non so se questo lavoro sia sufficiente.
>>>
È possibile che lei abbia bisogno di un lavoro qualitativamente diverso, cioè che non sia un problema di lavoro sufficiente/insufficiente.
Le forme di terapia si differenziano ad esempio a seconda dell'importanza attribuita allo stato di malessere portato dal paziente: alcuni approcci lo mettono in secondo piano, sul presupposto che facendo parlare e riflettere la persona alla fine si produrrà spontaneamente (sperabilmente) un cambiamento, che curerà anche il malessere "dalla base", "dal profondo".
Altre forme di terapia prendono invece subito in considerazione il malessere presente e assegnano ove possibile compiti comportamentali precisi per intervenirvi. Dopo, si occupano di costruire o ricostruire ciò che ancora manca. Il presupposto è: per arrivare al profondo non si può che passare prima dalla superficie. Lo stato di malessere viene utilizzato come un "manico" per accedere a tutto il resto. Prima si spegne la casa che brucia, poi si cercano (se serve) le cause che hanno prodotto l'incendio.
Ma non è questione di ciarlataneria né in un caso né nell'altro. Si tratta semplicemente di processi e tecniche differenti. Alcuni si trovano meglio con uno, altri con un altro.
La sua situazione appare quella di una persona che vorrebbe progredire un po' più in fretta, ma sentendosi un "non addetto ai lavori" ha forse un certo timore non solo a mettere in discussione la terapia che sta facendo, ma addirittura a dire con chiarezza alla psicologa quali sono i suoi dubbi in merito.
Cosa, invece, che la invito caldamente a fare.
>>> La mia attuale psicologa non credo neanche possa arrivare a indicarmi un'altra cura. Sarebbe come perdere un cliente.
>>>
Si sbaglia. La nostra deontologia stabilisce che quando non si riesce ad aiutare un paziente è nostro obbligo indicare al paziente altre possibili vie o colleghi, magari che seguono un approccio diverso. Ovviamente la sua psicologa potrebbe sempre dire che ancora la terapia non ha prodotto i suoi effetti, ma 3 anni potrebbero essere sufficienti a decretare il fallimento di una terapia. Tutto sta nella diagnosi che si è ricevuto. Ma se lei non ne ha ricevuta nessuna...
Ma come primo passo deve parlarne con lei.
>>>
Ancora peggio. Quindi è più confuso di quanto sembrava all'inizio.
>>> Adesso io non essendo esperto in materia non so se questo lavoro sia sufficiente.
>>>
È possibile che lei abbia bisogno di un lavoro qualitativamente diverso, cioè che non sia un problema di lavoro sufficiente/insufficiente.
Le forme di terapia si differenziano ad esempio a seconda dell'importanza attribuita allo stato di malessere portato dal paziente: alcuni approcci lo mettono in secondo piano, sul presupposto che facendo parlare e riflettere la persona alla fine si produrrà spontaneamente (sperabilmente) un cambiamento, che curerà anche il malessere "dalla base", "dal profondo".
Altre forme di terapia prendono invece subito in considerazione il malessere presente e assegnano ove possibile compiti comportamentali precisi per intervenirvi. Dopo, si occupano di costruire o ricostruire ciò che ancora manca. Il presupposto è: per arrivare al profondo non si può che passare prima dalla superficie. Lo stato di malessere viene utilizzato come un "manico" per accedere a tutto il resto. Prima si spegne la casa che brucia, poi si cercano (se serve) le cause che hanno prodotto l'incendio.
Ma non è questione di ciarlataneria né in un caso né nell'altro. Si tratta semplicemente di processi e tecniche differenti. Alcuni si trovano meglio con uno, altri con un altro.
La sua situazione appare quella di una persona che vorrebbe progredire un po' più in fretta, ma sentendosi un "non addetto ai lavori" ha forse un certo timore non solo a mettere in discussione la terapia che sta facendo, ma addirittura a dire con chiarezza alla psicologa quali sono i suoi dubbi in merito.
Cosa, invece, che la invito caldamente a fare.
>>> La mia attuale psicologa non credo neanche possa arrivare a indicarmi un'altra cura. Sarebbe come perdere un cliente.
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Si sbaglia. La nostra deontologia stabilisce che quando non si riesce ad aiutare un paziente è nostro obbligo indicare al paziente altre possibili vie o colleghi, magari che seguono un approccio diverso. Ovviamente la sua psicologa potrebbe sempre dire che ancora la terapia non ha prodotto i suoi effetti, ma 3 anni potrebbero essere sufficienti a decretare il fallimento di una terapia. Tutto sta nella diagnosi che si è ricevuto. Ma se lei non ne ha ricevuta nessuna...
Ma come primo passo deve parlarne con lei.
[#6]
Utente
Ok grazie per i suggerimenti. Appena riprenderò con le sedute a Settembre affronterò questo argomento.
Comunque di prassi come avviene la diagnosi? La diagnosi della malattia porta successivamente a stabilire un tipo di cura con un nome specifico? La psicologa mi deve rilasciare qualche documento che attesti il tipo di diagnosi stabilita?
Comunque di prassi come avviene la diagnosi? La diagnosi della malattia porta successivamente a stabilire un tipo di cura con un nome specifico? La psicologa mi deve rilasciare qualche documento che attesti il tipo di diagnosi stabilita?
[#7]
In genere lo psicologo non rilascia documenti scritti, specie se fa professione privata, a meno che non gli venga espressamente richiesto.
Ogni professionista si regola a modo proprio, ma almeno un'indicazione di massima della classe di disturbo - ad es. d'ansia, dell'umore, ecc. - dovrebbe darla. A volte può essere utile non comunicare la diagnosi direttamente, per non creare più ansia del necessario (il cosiddetto problema dell'etichettamento) ma non sembrerebbe il suo caso.
Con i limiti del mezzo, sembra di poter dire che nel suo caso ci siano indicazioni di un problema d'ansia con implicazioni sociali, derivanti da scarsa sicurezza in se stesso che la porta a evitare le situazioni percepite come "pericolose". Sembrano essere presenti sfumature di tipo persecutorio, ossia gli altri sono visti non solo come passivamente pericolosi, ma anche attivamente. La depressione è sopraggiunta in un secondo momento, forse come forma di rinuncia rispetto all'inutilità dei tentativi messi in atto per risolvere gli altri problemi.
Se così fosse, per lei sarebbe forse adatta una forma di terapia più attiva e prescrittiva, che serva a fortificarla gradualmente e a non provare più sensazioni sgradevoli del dovuto. Se si vogliono irrobustire i muscoli, si deve sottoporli a sforzo graduale e progressivo. Tenendoli fermi sperando che crescano da soli ci si potrebbe ritrovare ad aspettare in eterno. Le abilità sociali sono la stessa cosa.
Ogni professionista si regola a modo proprio, ma almeno un'indicazione di massima della classe di disturbo - ad es. d'ansia, dell'umore, ecc. - dovrebbe darla. A volte può essere utile non comunicare la diagnosi direttamente, per non creare più ansia del necessario (il cosiddetto problema dell'etichettamento) ma non sembrerebbe il suo caso.
Con i limiti del mezzo, sembra di poter dire che nel suo caso ci siano indicazioni di un problema d'ansia con implicazioni sociali, derivanti da scarsa sicurezza in se stesso che la porta a evitare le situazioni percepite come "pericolose". Sembrano essere presenti sfumature di tipo persecutorio, ossia gli altri sono visti non solo come passivamente pericolosi, ma anche attivamente. La depressione è sopraggiunta in un secondo momento, forse come forma di rinuncia rispetto all'inutilità dei tentativi messi in atto per risolvere gli altri problemi.
Se così fosse, per lei sarebbe forse adatta una forma di terapia più attiva e prescrittiva, che serva a fortificarla gradualmente e a non provare più sensazioni sgradevoli del dovuto. Se si vogliono irrobustire i muscoli, si deve sottoporli a sforzo graduale e progressivo. Tenendoli fermi sperando che crescano da soli ci si potrebbe ritrovare ad aspettare in eterno. Le abilità sociali sono la stessa cosa.
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Può leggere nei link che le ho fornito ad aprile le differenze fra alcuni orientamenti psicoterapeutici. Esempi di approcci attivi e prescrittivi sono la terapia comportamentale e la breve strategica.
Per nominativi di colleghi dovrebbe scrivere privatamente a qualcuno di noi, per regolamento abbiamo scelto di non dare nominativi in pubblico.
Per nominativi di colleghi dovrebbe scrivere privatamente a qualcuno di noi, per regolamento abbiamo scelto di non dare nominativi in pubblico.
Questo consulto ha ricevuto 10 risposte e 1.9k visite dal 04/04/2012.
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Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.