Come aiutarlo a superare un lutto?
Gentilissimi signori medici,
vi scrivo perché sto terribilmente male.
Il padre del mio ragazzo è morto stanotte. Per lui era l'ultima persona che gli era rimasta a questo mondo (ha 33 anni e ha perso la madre 4 anni fa e la sorella 10 anni fa) e io mi sento terribilmente inutile....non so davvero come aiutarlo, cosa dire, cosa fare, come tirarlo su di morale...ho paura di aprir bocca perché temo risulterei banale. E poi il mio ragazzo è già tanto fragile di suo, ho tanta paura possa cadere in depressione come gli è successo quando è morta sua madre (non stavamo insieme, ma il suo migliore amico mi ha raccontato che era dimagrito tantissimo, di oltre 15 kg, non parlava più e non è uscito di casa per quasi un anno) e quando ha perso sua sorella (io non c'ero, ma lui stesso mi ha detto che erano legatissimi e che "una parte di me è morta per sempre insieme a lei"). In entrambi i casi andò dallo psicologo e prese ansiolitici e antidepressivi. Quando sua sorella morì smise di andare all'università e non si trovò neanche un lavoro, se non dopo parecchi mesi.
Io sono appena uscita io stessa da una brutta depressione, proprio grazie al nostro amore, e mi passano tanti pensieri per la testa: ho paura per lui, per la sua salute mentale e fisica, che possa ricadere in depressione, mandare all'aria il lavoro, il nostro rapporto, tutto...so che è una domanda difficile, ma che cosa posso fare per aiutarlo?Grazie di cuore.
vi scrivo perché sto terribilmente male.
Il padre del mio ragazzo è morto stanotte. Per lui era l'ultima persona che gli era rimasta a questo mondo (ha 33 anni e ha perso la madre 4 anni fa e la sorella 10 anni fa) e io mi sento terribilmente inutile....non so davvero come aiutarlo, cosa dire, cosa fare, come tirarlo su di morale...ho paura di aprir bocca perché temo risulterei banale. E poi il mio ragazzo è già tanto fragile di suo, ho tanta paura possa cadere in depressione come gli è successo quando è morta sua madre (non stavamo insieme, ma il suo migliore amico mi ha raccontato che era dimagrito tantissimo, di oltre 15 kg, non parlava più e non è uscito di casa per quasi un anno) e quando ha perso sua sorella (io non c'ero, ma lui stesso mi ha detto che erano legatissimi e che "una parte di me è morta per sempre insieme a lei"). In entrambi i casi andò dallo psicologo e prese ansiolitici e antidepressivi. Quando sua sorella morì smise di andare all'università e non si trovò neanche un lavoro, se non dopo parecchi mesi.
Io sono appena uscita io stessa da una brutta depressione, proprio grazie al nostro amore, e mi passano tanti pensieri per la testa: ho paura per lui, per la sua salute mentale e fisica, che possa ricadere in depressione, mandare all'aria il lavoro, il nostro rapporto, tutto...so che è una domanda difficile, ma che cosa posso fare per aiutarlo?Grazie di cuore.
[#1]
Cara ragazza,
il tuo fidanzato in questo momento sta sicuramente vivendo un dolore molto acuto e reso ancor meno sopportabile dal fatto che ha già perso la mamma e la sorella.
Non è però solo al mondo perchè ha te, anche se in questo momento non so se il pensiero possa essergli di conforto.
Non credo che ci sia qualcosa in particolare che tu possa dire o fare per lui, se non stargli accanto e fargli sentire che non è rimasto solo al mondo.
Probabilmente sarà necessario che si faccia aiutare anche questa volta da uno psicologo, come ha già fatto in passato, magari anche con lo scopo di appurare se è effettivamente presente in lui una fragilità di fondo e/o una tendenza alla depressione che devono essere curate di per sè, a prescindere dal lutto e dal dolore che sta provando.
Lo stesso direi a te, che parli di "brutta depressione curata con l'amore": non so se sei anche stata seguita da un professionista e quale fosse oggettivamente il tuo stato, ma la depressione è una patologia seria e non è risolvibile semplicemente con la vicinanza umana e l'affetto perchè occorre un intervento tecnicamente fondato per curarla.
Pensi che il tentativo di stargli vicino possa farti ripiombare nel vissuto depressivo?
il tuo fidanzato in questo momento sta sicuramente vivendo un dolore molto acuto e reso ancor meno sopportabile dal fatto che ha già perso la mamma e la sorella.
Non è però solo al mondo perchè ha te, anche se in questo momento non so se il pensiero possa essergli di conforto.
Non credo che ci sia qualcosa in particolare che tu possa dire o fare per lui, se non stargli accanto e fargli sentire che non è rimasto solo al mondo.
Probabilmente sarà necessario che si faccia aiutare anche questa volta da uno psicologo, come ha già fatto in passato, magari anche con lo scopo di appurare se è effettivamente presente in lui una fragilità di fondo e/o una tendenza alla depressione che devono essere curate di per sè, a prescindere dal lutto e dal dolore che sta provando.
Lo stesso direi a te, che parli di "brutta depressione curata con l'amore": non so se sei anche stata seguita da un professionista e quale fosse oggettivamente il tuo stato, ma la depressione è una patologia seria e non è risolvibile semplicemente con la vicinanza umana e l'affetto perchè occorre un intervento tecnicamente fondato per curarla.
Pensi che il tentativo di stargli vicino possa farti ripiombare nel vissuto depressivo?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#2]
Sia che il padre sia ancora vivo, sia che muoia realmente, bisogna a un certo punto staccarsi dalla sua protezione, accettare di non avere più le spalle coperte, inoltrarsi in quel silenzio di angoscia che ci prende quando alla nostra invocazione di aiuto non risponde più la voce rassicurante del padre. Forse il modo più drastico del padre di sottrarsi alle aspettative del figlio di continua protezione è la morte. Allora, la perdita può diventare per quest’ultimo il vero motore del processo di individuazione. A volte il morire è l’ultimo atto d’amore del padre, un mezzo per costringere il figlio a diventare adulto. Quando questi è in età ancora giovane, viene indotto bruscamente a far fronte a tutta una serie di difficoltà e problemi di natura emotiva, pratica, relazionale; difficoltà che tuttavia gli permettono di sviluppare e solidificare le funzioni fino allora trascurate, attivando e accelerando il passaggio verso l’assunzione consapevole delle proprie responsabilità, andando fino in fondo verso la propria individuazione.
Ma non sempre è così. A volte la morte del padre viene vissuta solo come un duro colpo che scoraggia e stronca ogni inizio di autonomia, riconsegnando il figlio alla regressione, soprattutto se c’e un complesso materno negativo che ha già creato sensi di colpa e frustrazione (anche questo complesso può sopravvivere alla morte della madre). Pertanto, la risposta al lutto dipende da come l’Io reagisce al trauma, che a sua volta dipende proprio dalla qualità delle relazioni primarie, con la madre e con il padre, soprattutto nella precoce età del figlio. Quando la prova dell’abbandono non si riesce ad affrontare o ad accettare, si corre il rischio di mancare l’appuntamento con il proprio destino e di non scoprire le segrete energie del proprio carattere attraverso quelle prove di coraggio indispensabili per la crescita della fiducia in se stessi.
Per staccarsi dallo stadio infantile della fiducia primaria e per accettare - nonostante tutto, nonostante anche la morte di entrambi i genitori e di una sorella, dolori indicibili – l’esperienza della solitudine , della perdita, come momento cruciale che permette però l’incontro con il proprio sé, bisogna assolutamente che uno stadio infantile di fiducia primaria ci sia stato. Non si può uscire da una situazione mai vissuta né sacrificare quello che non si è mai posseduto pienamente. Perciò per un pieno sviluppo è importante riconsiderare il punto di partenza, che deve aver garantito e soddisfatto le esigenze primarie di fiducia e di attaccamento, non solo da parte della madre, ma, anche se in modo diverso, da parte del padre.
Quando questo nutrimento sia stato mancato, o carente o inadeguato, sarà allora necessario un percorso di aiuto psicologico che solo la relazione terapeutica può fornire, laddove il dolore non viene eluso (come anche il farmaco antidepressivo fa), ma trasceso e superato per il bene incalcolabile della propria individuazione.
Ma non sempre è così. A volte la morte del padre viene vissuta solo come un duro colpo che scoraggia e stronca ogni inizio di autonomia, riconsegnando il figlio alla regressione, soprattutto se c’e un complesso materno negativo che ha già creato sensi di colpa e frustrazione (anche questo complesso può sopravvivere alla morte della madre). Pertanto, la risposta al lutto dipende da come l’Io reagisce al trauma, che a sua volta dipende proprio dalla qualità delle relazioni primarie, con la madre e con il padre, soprattutto nella precoce età del figlio. Quando la prova dell’abbandono non si riesce ad affrontare o ad accettare, si corre il rischio di mancare l’appuntamento con il proprio destino e di non scoprire le segrete energie del proprio carattere attraverso quelle prove di coraggio indispensabili per la crescita della fiducia in se stessi.
Per staccarsi dallo stadio infantile della fiducia primaria e per accettare - nonostante tutto, nonostante anche la morte di entrambi i genitori e di una sorella, dolori indicibili – l’esperienza della solitudine , della perdita, come momento cruciale che permette però l’incontro con il proprio sé, bisogna assolutamente che uno stadio infantile di fiducia primaria ci sia stato. Non si può uscire da una situazione mai vissuta né sacrificare quello che non si è mai posseduto pienamente. Perciò per un pieno sviluppo è importante riconsiderare il punto di partenza, che deve aver garantito e soddisfatto le esigenze primarie di fiducia e di attaccamento, non solo da parte della madre, ma, anche se in modo diverso, da parte del padre.
Quando questo nutrimento sia stato mancato, o carente o inadeguato, sarà allora necessario un percorso di aiuto psicologico che solo la relazione terapeutica può fornire, laddove il dolore non viene eluso (come anche il farmaco antidepressivo fa), ma trasceso e superato per il bene incalcolabile della propria individuazione.
Dr. DANIELE RONDANINI- Dirig. Psicologo ASL RM 2- Psicoterapeuta - Psicoanalista Junghiano Didatta e Supervisore- Docente - CIPA Roma
3384703937
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 20.5k visite dal 18/11/2011.
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