Solitudine, malinconia e capacità decisionali ridotte.
Gentili dottori/dottoresse,
cerco di essere breve e di fare un quadro della situazione.
Da diversi anni soffro di solitudine. Frequentare l'università non ha aiutato in quanto le relazioni sociali che ho intrapreso, sono sempre finite con un nulla di fatto, nel senso che subito dopo la laurea anche le persone (una in particolare) verso il quale mi ero affezionato e provavo amicizia, si sono rese assenti; mai un messaggio, un sms, un saluto, e tutto nonostante per i primi 4 mesi dalla laurea fossi io a cercare di mantenere vivi i contatti.
Questo mi ha reso molto triste perché già ero solo prima, una volta trovato chi pensavo affidabile in amicizia, mi sono sentito in questo modo abbandonato e ferito.
Ora nessuno mi cerca, non esco praticamente mai perché non ho nessuno con il quale uscire, e la cosa peggiore è che mi rendo conto che sto bruciando la mia vita rinchiuso in casa, senza fare esperienze di nessun tipo e restando nel dimenticatoio di tutti.
Questo ha portato anche ad una riduzione della mia autostima, infatti mi sento spesso inutile, debole e incapace. A volte mi viene di pensare che, nonostante sia ancora giovene, io sia già in condizioni fallimentari in quanto non sto seguendo nessuna strada e sono anni che (a parte una laurea) sono "bloccato"; come provo a muovermi sembrano esserci mille insidie.
Quando ho provato ad esternare la mia tristezza per situazioni di solitudine che non dipendono da me, spesso l'interlocutore non mi capiva, e secondo me mi hanno anche etichettato come una persona lamentosa e noiosa.
Alterno periodi in cui mi sforzo di sorridere dicendomi "Ce la faccio senza nessuno! Non ho bisogno di quel tipo di amici egoisti." ma poi mi ritrovo malinconico nuovamente, a volte anche in maniera molto profonda.
Ho una sensazione di confusione, ad esempio nonostante quello che io consideravo amico mi abbia lasciato a me stesso senza rendersi presente neanche con un sms, so di non provare male per lui anzi! Ancora soffro per il distacco inaspettato. Oppure, ora che sono disoccupato, non so come muovermi per cercarmi un impegno, mi sento smarrito e non ho nessun appoggio a parte la famiglia (che nella vita purtroppo non basta anche perché con loro non tratto di questi argomenti).
Ho letto da qualche parte nel web che il depresso "è colui che si sente solo in mezzo a una folla", e rivedendomi in parte in questa frase, ho avuto il timore che fossi anche io depresso. La realtà però, è che io sono realmente solo, e non ho attorno amici che non considero tali. Non ho proprio nessuno che si interessa a me a parte la famiglia.
Questo significa che sono in uno stato di depressione?
Come potrei provare a comportarmi per affrontare il problema? Come posso agire in maniera concreta?
Ringrazio anticipatamente.
cerco di essere breve e di fare un quadro della situazione.
Da diversi anni soffro di solitudine. Frequentare l'università non ha aiutato in quanto le relazioni sociali che ho intrapreso, sono sempre finite con un nulla di fatto, nel senso che subito dopo la laurea anche le persone (una in particolare) verso il quale mi ero affezionato e provavo amicizia, si sono rese assenti; mai un messaggio, un sms, un saluto, e tutto nonostante per i primi 4 mesi dalla laurea fossi io a cercare di mantenere vivi i contatti.
Questo mi ha reso molto triste perché già ero solo prima, una volta trovato chi pensavo affidabile in amicizia, mi sono sentito in questo modo abbandonato e ferito.
Ora nessuno mi cerca, non esco praticamente mai perché non ho nessuno con il quale uscire, e la cosa peggiore è che mi rendo conto che sto bruciando la mia vita rinchiuso in casa, senza fare esperienze di nessun tipo e restando nel dimenticatoio di tutti.
Questo ha portato anche ad una riduzione della mia autostima, infatti mi sento spesso inutile, debole e incapace. A volte mi viene di pensare che, nonostante sia ancora giovene, io sia già in condizioni fallimentari in quanto non sto seguendo nessuna strada e sono anni che (a parte una laurea) sono "bloccato"; come provo a muovermi sembrano esserci mille insidie.
Quando ho provato ad esternare la mia tristezza per situazioni di solitudine che non dipendono da me, spesso l'interlocutore non mi capiva, e secondo me mi hanno anche etichettato come una persona lamentosa e noiosa.
Alterno periodi in cui mi sforzo di sorridere dicendomi "Ce la faccio senza nessuno! Non ho bisogno di quel tipo di amici egoisti." ma poi mi ritrovo malinconico nuovamente, a volte anche in maniera molto profonda.
Ho una sensazione di confusione, ad esempio nonostante quello che io consideravo amico mi abbia lasciato a me stesso senza rendersi presente neanche con un sms, so di non provare male per lui anzi! Ancora soffro per il distacco inaspettato. Oppure, ora che sono disoccupato, non so come muovermi per cercarmi un impegno, mi sento smarrito e non ho nessun appoggio a parte la famiglia (che nella vita purtroppo non basta anche perché con loro non tratto di questi argomenti).
Ho letto da qualche parte nel web che il depresso "è colui che si sente solo in mezzo a una folla", e rivedendomi in parte in questa frase, ho avuto il timore che fossi anche io depresso. La realtà però, è che io sono realmente solo, e non ho attorno amici che non considero tali. Non ho proprio nessuno che si interessa a me a parte la famiglia.
Questo significa che sono in uno stato di depressione?
Come potrei provare a comportarmi per affrontare il problema? Come posso agire in maniera concreta?
Ringrazio anticipatamente.
[#1]
Caro Utente,
lei afferma di soffrire di solitudine da alcuni anni: quando ha iniziato a sentirsi così?
E' successo qualcosa in particolare che ha innescato questo stato d'animo?
Vorrei anche chiederle come mai non parla di quello che sta provando in famiglia.
Pensa che la considererebbero "lamentoso" come è già avvenuto da parte di altre persone con le quali si è confidato?
lei afferma di soffrire di solitudine da alcuni anni: quando ha iniziato a sentirsi così?
E' successo qualcosa in particolare che ha innescato questo stato d'animo?
Vorrei anche chiederle come mai non parla di quello che sta provando in famiglia.
Pensa che la considererebbero "lamentoso" come è già avvenuto da parte di altre persone con le quali si è confidato?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#2]
Ex utente
Gentilissima dr.ssa Massaro,
diciamo che sin da piccolo non sono mai riuscito mantenere amicizie durature a causa della timidezza. Sempre a causa della timidezza, sono stato oggetto di prese in giro dai compagni di scuola alle superiori, anche con offese pesanti a volte, alle quali io non sapevo reagire. Mi chiudevo e basta.
Ma ho iniziato a sentire davvero il peso della solitudine dopo che ho rischiato di perdere mio padre a fine 2007. E' stato in quel periodo in cui avrei avuto un fortissimo bisogno di qualcuno vicino (oltre al resto della famiglia che soffriva come me), che un gruppo di tre ragazzi che frequentavo sono spariti dalla circolazione e non si sono neanche premurati di scrivermi neanche un sms per chiedermi come mi sentissi in quel difficilissimo momento.
Per fortuna con mio padre è andata bene, ma ho passato più di un anno a continuare l'università senza contatti sociali se non molto molto superficiali.
Mi sono reso conto da allora di trovarmi in condizioni di sloitudine anomale rispetto alle condizioni sociali dei miei coetanei.
Nonostante tutto, non so se questo avvenimento accaduto in famiglia possa essere considerato il motivo scatenante, o l'avvenimento che mi ha semplicemente fatto aprire gli occhi sul reale egoismo altrui.
Non ne parlo in famiglia perché non sono sicuro che possano capirmi. Ognuno di noi, in famiglia, ha seguito vite diverse. Ho paura di essere scambiato per un "pigro" che non ha voglia di mettersi all'opera per fare qualcosa di concreto per la sua vita. Inoltre, anche quando andavo a scuola e mi sentivo preso in giro, ho sempre pensato che i miei problemi sono miei e basta! Non devono essere motivo di preoccupazione anche per i miei genitori perché davvero non se lo meritano.
Spesso sento che mi manca anche il minimo sfogo. Non posso parlarne con i conoscenti in quanto non credo che le persone siano disposte ad ascoltare i problemi altrui (come già mi hanno dimostrato), e finirei per danneggiare la mia figura visto che potrei essere etichettato come "esagerato alla mia età giovanile" oppure "lamentoso e noioso" e di conseguenza potrei essere allontanato.
Spero di aver risposto esaustivamente alle sue domande.
diciamo che sin da piccolo non sono mai riuscito mantenere amicizie durature a causa della timidezza. Sempre a causa della timidezza, sono stato oggetto di prese in giro dai compagni di scuola alle superiori, anche con offese pesanti a volte, alle quali io non sapevo reagire. Mi chiudevo e basta.
Ma ho iniziato a sentire davvero il peso della solitudine dopo che ho rischiato di perdere mio padre a fine 2007. E' stato in quel periodo in cui avrei avuto un fortissimo bisogno di qualcuno vicino (oltre al resto della famiglia che soffriva come me), che un gruppo di tre ragazzi che frequentavo sono spariti dalla circolazione e non si sono neanche premurati di scrivermi neanche un sms per chiedermi come mi sentissi in quel difficilissimo momento.
Per fortuna con mio padre è andata bene, ma ho passato più di un anno a continuare l'università senza contatti sociali se non molto molto superficiali.
Mi sono reso conto da allora di trovarmi in condizioni di sloitudine anomale rispetto alle condizioni sociali dei miei coetanei.
Nonostante tutto, non so se questo avvenimento accaduto in famiglia possa essere considerato il motivo scatenante, o l'avvenimento che mi ha semplicemente fatto aprire gli occhi sul reale egoismo altrui.
Non ne parlo in famiglia perché non sono sicuro che possano capirmi. Ognuno di noi, in famiglia, ha seguito vite diverse. Ho paura di essere scambiato per un "pigro" che non ha voglia di mettersi all'opera per fare qualcosa di concreto per la sua vita. Inoltre, anche quando andavo a scuola e mi sentivo preso in giro, ho sempre pensato che i miei problemi sono miei e basta! Non devono essere motivo di preoccupazione anche per i miei genitori perché davvero non se lo meritano.
Spesso sento che mi manca anche il minimo sfogo. Non posso parlarne con i conoscenti in quanto non credo che le persone siano disposte ad ascoltare i problemi altrui (come già mi hanno dimostrato), e finirei per danneggiare la mia figura visto che potrei essere etichettato come "esagerato alla mia età giovanile" oppure "lamentoso e noioso" e di conseguenza potrei essere allontanato.
Spero di aver risposto esaustivamente alle sue domande.
[#3]
Penso che l'abitudine a tenersi tutto dentro, non confidandosi e non fidandosi di nessuno, abbia fatto peggiorare una situazione già poco serena.
Da quello che ci dice sembra che lei abbia sempre ritenuto i suoi problemi così grossi da non poterli caricare sulle spalle dei suoi genitori, ma se oggi guardiamo la questione con gli occhi di un adulto possiamo dire che situazioni che per lei erano molto difficili e dolorose sarebbero state sicuramente alla portata dei suoi genitori, che avrebbero potuto ascoltarla e consigliarla senza sentirsi travolti da quello che lei avrebbe potuto raccontare loro.
Essendo abituato a non aprirsi e a non pensare che qualcuno avrebbe potuto aiutarla si è probabilmente avvicinato a persone che non hanno fatto altro che confermare i motivi della sua disistima verso gli altri, rendendola maggiormente consapevole dell'opinione negativa che nutre nei confronti delle altre persone.
Questo meccanismo non è nulla di strano e si verifica spesso, portando le persone a legare con chi confermerà le loro opinioni di partenza.
Fortunatamente suo padre si è ripreso bene e lei può iniziare ad occuparsi di sè stesso, non avendo più preoccupazioni per la sua salute.
Non credo comunque che in casa nessuno si sia accorto delle sue difficoltà: non ne ha proprio mai parlato?
Da quello che ci dice sembra che lei abbia sempre ritenuto i suoi problemi così grossi da non poterli caricare sulle spalle dei suoi genitori, ma se oggi guardiamo la questione con gli occhi di un adulto possiamo dire che situazioni che per lei erano molto difficili e dolorose sarebbero state sicuramente alla portata dei suoi genitori, che avrebbero potuto ascoltarla e consigliarla senza sentirsi travolti da quello che lei avrebbe potuto raccontare loro.
Essendo abituato a non aprirsi e a non pensare che qualcuno avrebbe potuto aiutarla si è probabilmente avvicinato a persone che non hanno fatto altro che confermare i motivi della sua disistima verso gli altri, rendendola maggiormente consapevole dell'opinione negativa che nutre nei confronti delle altre persone.
Questo meccanismo non è nulla di strano e si verifica spesso, portando le persone a legare con chi confermerà le loro opinioni di partenza.
Fortunatamente suo padre si è ripreso bene e lei può iniziare ad occuparsi di sè stesso, non avendo più preoccupazioni per la sua salute.
Non credo comunque che in casa nessuno si sia accorto delle sue difficoltà: non ne ha proprio mai parlato?
[#4]
Ex utente
In realtà gli altri componenti della famiglia vedono che sono sempre in casa da solo. Però mi lasciano stare e non toccano (almeno non direttamente) questo argomento. Le dico la verità: in realtà preferisco così! Non mi sento di parlare di queste problematiche con i miei familiari, e sinceramente non so neanche se c'è un vero motivo. Mia sorella, che è caratterialmente più forte di me, quando a scuola mi prendevano in giro (e lei se ne era accorta) , mi spronava ad essere appunto più forte! Ma non riuscivo... . Oltre questo non ho mai affrontato sul serio tale problema in famiglia.
Sanno che ho avuto delusioni in amicizia, ma magari non conoscono proprio tutti i dettagli e non conoscono tutti i casi.
D'altronde, se sono gli altri ad allontanarsi quando non sono più utile a fare qualcosa, come potrebbero aiutarmi i miei genitori?
Sanno che ho avuto delusioni in amicizia, ma magari non conoscono proprio tutti i dettagli e non conoscono tutti i casi.
D'altronde, se sono gli altri ad allontanarsi quando non sono più utile a fare qualcosa, come potrebbero aiutarmi i miei genitori?
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Pensa che anche loro si allontanerebbero se lei facesse presente come si sente e si rappresentasse quindi come "non più utile a fare qualcosa"?
Non penso che i suoi genitori oggi come oggi possano risolvere il suo problema, ma che le sarebbero stati d'aiuto ai tempi della scuola e che comunque le sarebbe d'aiuto non sentirsi costretto a tenere tutto dentro e a dissimulare i suoi veri stati d'animo.
Non ha mai pensato di rivolgersi ad uno psicologo?
Questa è probabilmente l'unica cosa concreta che può iniziare a fare per uscire dalla situazione che ci ha descrittto, e che la fa comprensibilmente soffrire per molti motivi.
Non penso che i suoi genitori oggi come oggi possano risolvere il suo problema, ma che le sarebbero stati d'aiuto ai tempi della scuola e che comunque le sarebbe d'aiuto non sentirsi costretto a tenere tutto dentro e a dissimulare i suoi veri stati d'animo.
Non ha mai pensato di rivolgersi ad uno psicologo?
Questa è probabilmente l'unica cosa concreta che può iniziare a fare per uscire dalla situazione che ci ha descrittto, e che la fa comprensibilmente soffrire per molti motivi.
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Ex utente
No non penso che si allontanerebbero, ma è quasi come se provo un moto di vergogna nel parlare di una mia forte sensazione di solitudine. E non è una "vergogna" che sono disposto a affrontare con i miei genitori.
Sinceramente non ho pensato allo psicologo un po' per un fattore economico, e un po' perché equivarrebbe comunque ad esporre il problema tutto in un colpo ai miei.
Qualche volta ho anche accennato a mia madre il fatto di sentirmi tradito/abbandonato dall'amico di cui parlavo nella descrizione sopra. Ma non ha saputo consigliarmi. Si è dispiaciuta del fatto ma non ha saputo dirmi nulla ovviamente. E questo anche nei confronti dei tre ragazzi del periodo di malattia di mio padre. Ma è finita lì insomma...
Sinceramente non ho pensato allo psicologo un po' per un fattore economico, e un po' perché equivarrebbe comunque ad esporre il problema tutto in un colpo ai miei.
Qualche volta ho anche accennato a mia madre il fatto di sentirmi tradito/abbandonato dall'amico di cui parlavo nella descrizione sopra. Ma non ha saputo consigliarmi. Si è dispiaciuta del fatto ma non ha saputo dirmi nulla ovviamente. E questo anche nei confronti dei tre ragazzi del periodo di malattia di mio padre. Ma è finita lì insomma...
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Come le ho detto, penso che i suoi avrebbero potuto esserle d'aiuto molti anni fa, quando ha avuto dei problemi con i compagni di scuola.
Adesso possono solo ascoltarla, per quanto già questo non sia poco, ma se lei pensa di dare una cattiva immagine di sè confidandosi con loro, e non riesce a superare questa idea, il disagio che proverebbe nell'aprirsi potrebbe anche essere maggiore del sollievo.
Uno psicologo potrebbe invece aiutarla a capire e a cambiare, e credo che valga la pena che lei pensi seramente a questa opportunità.
Adesso possono solo ascoltarla, per quanto già questo non sia poco, ma se lei pensa di dare una cattiva immagine di sè confidandosi con loro, e non riesce a superare questa idea, il disagio che proverebbe nell'aprirsi potrebbe anche essere maggiore del sollievo.
Uno psicologo potrebbe invece aiutarla a capire e a cambiare, e credo che valga la pena che lei pensi seramente a questa opportunità.
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 9.8k visite dal 03/10/2011.
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