Anaffettività
Salve,
Non è difficile intuire che qualcosa in se stessi non va se si indaga anche solo un po’. Magari puoi fuggire all’osservazione degli altri con piccoli accorgimenti e risultare diversa da quella che credi di aver scoperto di essere, ma se qualcuno se ne accorge e te lo fa notare significa che la tua diagnosi era giusta. Credo di essere un’ anaffettiva e me lo ha confermato mia madre questa sera. Ho notato che i rapporti con gli altri non hanno nessun valore, il più delle volte sono forzati e non sono mai completamente me stessa. Alcune volte mi stressano, mi dà fastidio anche un abbraccio. Non lo voglio ricevere e non lo voglio dare. Ho provato ad avvicinarmi alle persone ma ogni gesto non è mai spontaneo, sempre meccanico, posso aiutare se qualcuno ne ha bisogno ma non riesco a dare affetto. Non vedo l’ora di tornarmene a casa per stare sola. La cosa che mi spaventa è che potrei rimanere sola per chissà quanto tempo senza sentire la mancanza di nessuno. Inizialmente credevo fosse insicurezza, paura di sbagliare davanti agli altri, di non piacere, di non sapere come comportarmi, insomma “semplice” insicurezza. E forse inizialmente era così perché non ricordo di essermi mai trovata nella condizione di disinteressarmi completamente delle persone che mi stanno vicino, di stancarmi subito di chi mi sta intorno per giungere a dimenticarmene. Rimuovo qualsiasi cosa, da un articolo letto sul giornale un paio di minuti prima ad interi rapporti con le persone. Semplicemente non mi importa di niente e di nessuno. Ora non so se la mia valutazione è corretta e se uso il termine giusto per definirmi ma sta di fatto che sono presa da qualcosa che mi rende passiva in modo allarmante. Non mi va di pensare che non ci sia una causa, ma l’unica che mi viene in mente è la delusione avuta a scuola. In quel contesto di insoddisfazioni è scattato qualcosa che mi ha cambiata, portandomi a ripetere continuamente per qualsiasi cosa “non mi importa” e così da un semplice paragrafo da rimuovere perché “mentalmente scomodo” ho cominciato a rimuovere tutto quello che mi coinvolgeva un po’ di più; man mano questo meccanismo ha coinvolto altri aspetti della mia vita insomma, comprese le relazioni. Possibile che mi abbia condizionata così tanto anche nella vita? Non mi viene in mente nessun’altra possibile causa, ma è certo che a livello sociale ho sempre avuto problemi, prima di eccessiva insicurezza ora di distacco totale. Penso solo a me e non penso minimamente agli altri ma del resto non offro affetto ma neanche ne chiedo. Qualsiasi cosa sia non mi piace. Cos’è e soprattutto come la risolvo? Chiedo scusa per essermi dilungata troppo, volevo essere chiara.
Ringrazio in anticipo
Cordiali saluti
Non è difficile intuire che qualcosa in se stessi non va se si indaga anche solo un po’. Magari puoi fuggire all’osservazione degli altri con piccoli accorgimenti e risultare diversa da quella che credi di aver scoperto di essere, ma se qualcuno se ne accorge e te lo fa notare significa che la tua diagnosi era giusta. Credo di essere un’ anaffettiva e me lo ha confermato mia madre questa sera. Ho notato che i rapporti con gli altri non hanno nessun valore, il più delle volte sono forzati e non sono mai completamente me stessa. Alcune volte mi stressano, mi dà fastidio anche un abbraccio. Non lo voglio ricevere e non lo voglio dare. Ho provato ad avvicinarmi alle persone ma ogni gesto non è mai spontaneo, sempre meccanico, posso aiutare se qualcuno ne ha bisogno ma non riesco a dare affetto. Non vedo l’ora di tornarmene a casa per stare sola. La cosa che mi spaventa è che potrei rimanere sola per chissà quanto tempo senza sentire la mancanza di nessuno. Inizialmente credevo fosse insicurezza, paura di sbagliare davanti agli altri, di non piacere, di non sapere come comportarmi, insomma “semplice” insicurezza. E forse inizialmente era così perché non ricordo di essermi mai trovata nella condizione di disinteressarmi completamente delle persone che mi stanno vicino, di stancarmi subito di chi mi sta intorno per giungere a dimenticarmene. Rimuovo qualsiasi cosa, da un articolo letto sul giornale un paio di minuti prima ad interi rapporti con le persone. Semplicemente non mi importa di niente e di nessuno. Ora non so se la mia valutazione è corretta e se uso il termine giusto per definirmi ma sta di fatto che sono presa da qualcosa che mi rende passiva in modo allarmante. Non mi va di pensare che non ci sia una causa, ma l’unica che mi viene in mente è la delusione avuta a scuola. In quel contesto di insoddisfazioni è scattato qualcosa che mi ha cambiata, portandomi a ripetere continuamente per qualsiasi cosa “non mi importa” e così da un semplice paragrafo da rimuovere perché “mentalmente scomodo” ho cominciato a rimuovere tutto quello che mi coinvolgeva un po’ di più; man mano questo meccanismo ha coinvolto altri aspetti della mia vita insomma, comprese le relazioni. Possibile che mi abbia condizionata così tanto anche nella vita? Non mi viene in mente nessun’altra possibile causa, ma è certo che a livello sociale ho sempre avuto problemi, prima di eccessiva insicurezza ora di distacco totale. Penso solo a me e non penso minimamente agli altri ma del resto non offro affetto ma neanche ne chiedo. Qualsiasi cosa sia non mi piace. Cos’è e soprattutto come la risolvo? Chiedo scusa per essermi dilungata troppo, volevo essere chiara.
Ringrazio in anticipo
Cordiali saluti
[#1]
Psicologo, Psicoterapeuta
>>Qualsiasi cosa sia non mi piace
Gentile utente, non è sempre facile ricostruire con precisione l'esperienza o la serie di esperienze da cui si sono originati i nostri modi di rapportarci a noi stessi ed agli altri.
A dare la spinta per un cambiamento (o per la ricerca di aiuto) può essere il disagio conseguente alle nostre modalità di relazione: in altre parole, non il modo in cui viviamo i rapporti con gli altri, ma le conseguenze di queste modalità (ad esempio, il fatto di rendersi conto di rimanere soli).
E quindi, cosa fare?
Una possibilità è quella di cercare un aiuto specialistico. Questo perchè, come uno specchio interattivo, uno psicoterapeuta può aiutarci rendendoci consapevoli dei meccanismi che mantengono in piedi il nostro disagio, ed aiutarci a fare i primi passi per modificare quello che si può modificare, e per accettare quello che non si può modificare.
Inoltre, quello con uno psicoterapeuta è "un rapporto", per cui può essere una sorta di "laboratorio" in cui sperimentare "dal vivo" le difficoltà che ci fanno soffrire, e di provare a mettere in atto delle soluzioni.
Le allego il link di un articolo che descrive alcuni tra i modelli di psicoterapia più diffusi:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
Cordiali saluti
Gentile utente, non è sempre facile ricostruire con precisione l'esperienza o la serie di esperienze da cui si sono originati i nostri modi di rapportarci a noi stessi ed agli altri.
A dare la spinta per un cambiamento (o per la ricerca di aiuto) può essere il disagio conseguente alle nostre modalità di relazione: in altre parole, non il modo in cui viviamo i rapporti con gli altri, ma le conseguenze di queste modalità (ad esempio, il fatto di rendersi conto di rimanere soli).
E quindi, cosa fare?
Una possibilità è quella di cercare un aiuto specialistico. Questo perchè, come uno specchio interattivo, uno psicoterapeuta può aiutarci rendendoci consapevoli dei meccanismi che mantengono in piedi il nostro disagio, ed aiutarci a fare i primi passi per modificare quello che si può modificare, e per accettare quello che non si può modificare.
Inoltre, quello con uno psicoterapeuta è "un rapporto", per cui può essere una sorta di "laboratorio" in cui sperimentare "dal vivo" le difficoltà che ci fanno soffrire, e di provare a mettere in atto delle soluzioni.
Le allego il link di un articolo che descrive alcuni tra i modelli di psicoterapia più diffusi:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
Cordiali saluti
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