Perplessità terapia psicologica

Gentili dottori, da alcuni mesi seguo i consulti su questo sito e desidero innanzitutto complimentarmi con voi per la qualità e l'utilità del vostro servizio. Dopo qualche titubanza ho deciso anch'io di disturbarvi per sottoporvi il mio problema. Ho 32 anni e da circa 3 anni sono in terapia psicologica presso una vostra collega. Il mio problema era (ed è) rappresentato da un malessere che si manifesta in frequenti scoppi di pianto e in una sensazione di paura, sia degli altri (delle loro aspettative, giudizi) sia di me stesso (dei miei sentimenti e desideri). In particolare trovo sempre più penoso vivere con la mia compagna, di cui temo le parole, il tono della voce, i pensieri negativi ecc. ecc. Ovviamente in 3 anni di psicologa ho avuto modo di parlare ampiamente di queste cose, e pertanto non è su questo che cerco il vostro consiglio. Il mio problema, che in certi casi mi attanaglia in modo particolarmente forte, è se valga la pena continuare con la terapia. Se da un lato mi scoraggia il fatto di star male proprio come quando ci misi piede per la prima volta (nel lontano 2008...), dall'altro osservo che il mio rapporto con la dottoressa è molto buono e soddisfacente: con lei non ho segreti, non mi sento giudicato e so che ci tiene a me non solo come paziente ma anche come persona. Questi aspetti, che si sono lentamente costruiti e consolidati nel tempo, sono regolarmente richiamati dalla psico quando le espongo le mie perplessità sull'opportunità di proseguire. Poi però, una volta uscito, penso anche che forse sono valutazioni un po' "autoreferenziali", insomma come se la terapia dovesse fare bene a se stessa (star bene in terapia) e non alla vita (star bene fuori dalla stanza). Alla fine per me la dottoressa è un po' una mamma da cui andare a versare fiumi di lacrime (quando esco sono disfatto), ma poi ricomincia la paura del "fuori".
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicoterapeuta, Psicologo 4.9k 87
Gent.le utente,
se dovesse parlare in termini di obiettivi raggiunti in questo percorso quali indicherebbe?

Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it

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Attivo dal 2011 al 2012
Ex utente
Gentile dott.ssa Campione, innanzitutto grazie per la velocità della risposta. E' difficile parlare di obiettivi perché, a parte un generico "non avere più paura" o "star meglio", non sono mai stati posti in terapia. In realtà gli obiettivi raggiunti sono appunto secondo me "interni", mi spiego: dall'iniziale diffidenza e chiusura e persino ostilità nei confronti della Sua collega sono passato col tempo a una maggiore fiducia, se non al 100% nelle sue capacità, sicuramente nella sua qualità umana e nel suo desiderio di capirmi. Mi sento accettato e voluto bene nella stanza e questo sicuramente non accadeva nei primi tempi. Per il resto, nella mia vita quotidiana non penso di avere raggiunto alcun obiettivo di cambiamento. Proprio ieri sera, stando con degli amici, registravo desolato gli sforzi disumani che dovevo fare per non piegarmi a piangere e restare "normale". E la paura del telefonino che squillava (era la mia compagna che mi informava semplicemente che andava a letto). E la paura nel rientrare. Ecc.
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Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220
gentile utente, un percorso terapeutico, per essere efficace, deve stabilire degli obiettivi e rispondere alla domanda del paziente.
Sono stati stabiliti questi obiettivi? solo così ci si può rendere conto dell'utilità del lavoro.
legga questo articolo sulla scelta terapeutica

https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html

Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks

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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
"trovo sempre più penoso vivere con la mia compagna, di cui temo le parole, il tono della voce, i pensieri negativi ecc."

"il mio rapporto con la dottoressa è molto buono e soddisfacente: con lei non ho segreti, non mi sento giudicato e so che ci tiene a me non solo come paziente ma anche come persona. Questi aspetti si sono lentamente costruiti e consolidati nel tempo"


Gentile Amico,

non posso non osservare che quanto lei riferisce sul rapporto con la sua compagna e con la sua psicologa ha un andamento speculare: ora si trova bene con una e male con l'altra, fino a dire che ne ha paura.
Da qui non ci è possibile esprimere dei giudizi sul lavoro di una collega che oltretutto non conosciamo di persona, ma è curioso che il cambiamento che lei sente sia avvenuto solo all'interno della stanza della terapia, mentre fuori tutto è rimasto come prima.
Forse per una serie di fattori non valutabili in questa sede c'è stato una sorta di "travaso" delle emozioni negative dall'una all'altra, o forse è successo qualcosa di diverso, che comunque non le ha ancora permesso di raggiungere una qualità della vita sociale soddisfacente.

A mio parere dovrebbe considerare seriamente di interrompere la terapia attuale, parlandone prima con la dottoressa, perchè se l'empasse si trascina da tanto tempo non è probabile che continuare in questo modo le sarà utile.
Sarà una scelta dolorosa, ma probabilmente necessaria, perchè quello con la sua psicologa è prima di tutto un rapporto professionale e se dopo 3 anni non ha ancora visto dei risultati evidentemente il percorso che sta seguendo può non fare per lei.

Le auguro di risolvere tutte le sue difficoltà,

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicoterapeuta, Psicologo 4.9k 87
"Per il resto, nella mia vita quotidiana non penso di avere raggiunto alcun obiettivo di cambiamento."

Gent.le utente,
se è arrivato a questa conclusione dopo tre anni di psicoterapia è il caso di parlarne con la sua terapeuta e fare il punto della situazione.
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Attivo dal 2011 al 2012
Ex utente
Gentili dottori, Vi ringrazio di cuore per le Vostre risposte. Per quanto riguarda il link del dott. De Vincentiis osservo che si tratta di una prospettiva tecnica che forse non ho gli strumenti per mettere a frutto. Immagino del resto che tutti gli specialisti di tutti gli orientamenti illustrati si definirebbero ugualmente qualificati a trattare un disturbo come il mio..! Ringrazio anche la dott.ssa Massaro, effettivamente potrebbe esserci stato un effetto "travaso" anche se onestamente io ho sempre avuto paura delle donne a cui sono legato (a partire classicamente dalla mamma ecc.). Sospendere le sedute sarà infatti molto doloroso e già la sola ipotesi la vivo come un tradimento di una persona che ha investito tanto, anche emotivamente, su di me. Per questo spero mi perdonerete se ho cercato anche una "sponda" nelle Vostre parole.
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicoterapeuta, Psicologo 4.9k 87
Gent.le utente,
la psicoterapeuta ha la sua parte di responsabilità ma un'altre parte è quella che dovrebbe assumersi lei nel porsi domande magari scomode ma necessarie, se vuole evitare di continuare ad autoingannarsi
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
"Sospendere le sedute sarà infatti molto doloroso e già la sola ipotesi la vivo come un tradimento di una persona che ha investito tanto, anche emotivamente, su di me"

Non si capisce bene per chi sarà doloroso interrompere: sembra che per lei sarebbe doloroso perchè pensa di dare un dolore alla sua terapeuta.
E' così?
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Attivo dal 2011 al 2012
Ex utente
E' esattamente così! Ed è una piccola scoperta che ho fatto leggendo i vostri consigli. Per quanto il cervello mi dica tutt'altro (cioè che è assurdo o quantomeno fuori luogo), se interrogo i miei sentimenti mi accorgo di provare un forte debito verso questa signora e (peggio ancora?) di volerla proteggere dal fallimento e dalla mortificazione. E (sempre peggio?) questo istinto di proteggerla aumenta più prendo coscienza dei suoi errori. Circa un anno fa ero ben determinato a mollare le sedute, che si erano trasformate in atti d'accusa continui da parte mia contro affermazioni e strategie della dottoressa che giudicavo (e giudico ancora) sbagliate, inopportune, colpevolizzanti ecc. La dottoressa era chiaramente in difficoltà ma reggeva bene gli attacchi. Poi, quando era convinta che me ne volessi davvero andare, fece una piccola autoapologia a mo' di addio, che io trovai piuttosto penosa (del tipo: ho sempre lavorato così e ho aiutato tante persone, posso sbagliare ma ce la metto tutta ecc.). A quel punto invece di andarmene provai una tenerezza immensa e restai. Gli attacchi finirono e da allora è come se dentro di me sentissi che la dottoressa diventerebbe vecchia sola e malata se io la lasciassi...
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Non glielo chiedo nemmeno perchè è ovvio che, razionalmente, lei si renda conto che la dottoressa non diventerà "vecchia, sola e malata" senza di lei, ma il punto è che il suo individuarla come figura materna fa sì che lei confonda i sentimenti che prova verso la sua terapeuta con quelli che prova (magari inconsapevolmente) verso sua madre, della quale dice di aver paura.
Provi a considerare la questione in questi termini.

Immagino che il rapporto con sua madre non sia cambiato rispetto a com'era all'inizio della terapia, e penso proprio che un percorso psicologico utile ed efficace dovrebbe servirle a far pace con il mondo femminile, permettendole di vedere dei risultati a partire da come si rapporta a sua madre.

Alla luce di tutto ciò credo che dovrebbe pensare solo che una terapia che non le serve è una terapia che va conclusa, anche se emotivamente questo non sarà semplicissimo.
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Attivo dal 2011 al 2012
Ex utente
La risposta è chiara e La ringrazio per la pazienza e la bontà. Anche se in realtà mia madre è uscita da un pezzo dalla mia vita quotidiana. Probabilmente ne sopravvive il "fantasma" nella mia compagna (la paura) e nella terapeuta (il senso di colpa per l'ingratitudine e la volontà di proteggerla e non deluderla). E poi è vero, con il mondo femminile ho un rapporto di terrore abietto: nelle mie fantasie erotiche sogno donne che mi bruciano vivo.

Dalle sue risposte deduco che in linea generale Lei non vede positivamente questa "confusione di piani" in terapia come trasfert da risolvere ecc. ecc. che probabilmente (immagino) è ciò che fa ben sperare la dottoressa che mi ha in cura.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Gentile utente, se mi permette una nota di spirito, leggendo questo scambio sembra quasi che lei sia andato in terapia per risolvere un problema, e che ora avrebbe bisogno di una seconda terapia per far luce sulla prima!

>>> come se la terapia dovesse fare bene a se stessa (star bene in terapia) e non alla vita (star bene fuori dalla stanza)
>>>

Questo che tocca è un punto importante. Alcuni di noi distinguono (almeno) due componenti nella terapia: una di relazione e un'altra di tecnica. Sembra che nel vostro caso la parte relazionale sia stata forte e salda, seppur messa alla prova dai suoi sfoghi (che alcuni definirebbero "transfert"), ma che sia invece un po' mancata la parte tecnica, ovvero la definizione di obiettivi terapeutici e l'uso deliberato di strategie da parte della terapeuta non tanto per rinsaldare la relazione terapeutica, ma proprio per agire sui problemi che lei ha portato in terapia.

Ad ogni modo non sarebbe facile né opportuno tentare di darle valutazioni precise, dato che non conosciamo né lei né il lavoro della collega.

Cordiali saluti

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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Attivo dal 2011 al 2012
Ex utente
Grazie per la risposta e la chiarezza. Effettivamente la sua distinzione rispecchia anche la mia impressione. Ne parlerò con la terapeuta.