Una finta vita, alias vita da sfigato
Salve,
Ho 23 anni. Come molti consulti simili, anche io non riesco ad avere una vita sociale soddisfacente. Mai avuto la ragazza, mai un bacio, o del sesso, se non a pagamento. A differenza di altri, sono convinto di avere tutte le carte in regola per poter tornare alla vita di un ragazzo normale, solo che per far questo necessito di un aiuto psicoterapeutico. Questa convinzione quindi non limita i miei rapporti sociali, non ho fobie particolari, io esco, e cerco di stare con gli altri, divertirmi e fare tutto ciò che si fà tra amici, ma non ci riesco. Non riesco ad avere una conversazione brillante, a rendermi interessante agli altri, ad instaurare una complicità col gruppo. Questo fatto mi pesa, perchè da bambino avevo un carattere e un modo di fare che era l'opposto, attaccavo bottone con tutti, riuscivo facilmente a stare con il sesso opposto e ad avere frotte di amici. Poi con l'età tutto questo è cambiato. Adesso sono qui, con una lucidità mentale compromessa, non so da cosa. Mi sento come se avessi il cervello "rallentato", mi scordo spesso le cose, capisco i concetti su libri e testi molto più lentamente, non ho personalità. Inoltre sono diventato un "coniglio". Non riesco più a rispondere adeguatamente a certe situazioni sociali che richiederebbero di tirare fuori "le palle". Se qualcuno invade i miei spazi spesso non riesco a reagire. Con gli amici ho un falso rapporto di amicizia: Esco sì, con gli amici, ma se io ci sia o meno, per loro farebbe poca differenza, perchè non riesco ad avere quella complicità che genera amicizia e simpatia. I miei discorsi con gli altri sono tutti di circostanza, butto una battuta qua e là, cercando di far ridere, ma non ci riesco più, perchè devo avere qualche tipo di blocco che mi impedisce di tirare fuori la mia vecchia personalità (da ragazzo ero quasi un comico, facevo battute a raffica e a parole non mi batteva nessuno, ero molto ironico e trovavo sempre il modo per divertirsi). Quindi ora mi trovo così, aspettando di decidermi ad andare dallo psicologo (https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/156-dubbi-e-miti-dell-aspirante-psico-paziente-indeciso.html, ho letto questo e mi riconosco nei punti 2, 4 e 5, non gli altri) perchè io da solo non saprei davvero cosa fare. Dentro di me ho ancora il carattere che avevo da ragazzo, che di rado esce fuori ( 3-4 volte al mese, non sto scherzando) e mi permette di avere una serata soddisfacente, dove mi sento padrone della mia vita. Io mi affiderei completamente allo psicologo, raccontando anche la mia vita privata senza vergogna, avendo tutto da guadagnare. Penso di potermi ancora salvare e vorrei un vostro consiglio. Forse in cuor mio la soluzione già la conosco, ovvero tirare fuori le palle e fare ciò che mi sento. Vengo però bloccato dalle mie convinzioni errate e vico come una specie di manichino sempre pacato, cercando di non urtare nessuno in modo da non compromettermi. La mia malattia è l'inazione, da cui scaturisce pigrizia e poco interesse per la vita
Ho 23 anni. Come molti consulti simili, anche io non riesco ad avere una vita sociale soddisfacente. Mai avuto la ragazza, mai un bacio, o del sesso, se non a pagamento. A differenza di altri, sono convinto di avere tutte le carte in regola per poter tornare alla vita di un ragazzo normale, solo che per far questo necessito di un aiuto psicoterapeutico. Questa convinzione quindi non limita i miei rapporti sociali, non ho fobie particolari, io esco, e cerco di stare con gli altri, divertirmi e fare tutto ciò che si fà tra amici, ma non ci riesco. Non riesco ad avere una conversazione brillante, a rendermi interessante agli altri, ad instaurare una complicità col gruppo. Questo fatto mi pesa, perchè da bambino avevo un carattere e un modo di fare che era l'opposto, attaccavo bottone con tutti, riuscivo facilmente a stare con il sesso opposto e ad avere frotte di amici. Poi con l'età tutto questo è cambiato. Adesso sono qui, con una lucidità mentale compromessa, non so da cosa. Mi sento come se avessi il cervello "rallentato", mi scordo spesso le cose, capisco i concetti su libri e testi molto più lentamente, non ho personalità. Inoltre sono diventato un "coniglio". Non riesco più a rispondere adeguatamente a certe situazioni sociali che richiederebbero di tirare fuori "le palle". Se qualcuno invade i miei spazi spesso non riesco a reagire. Con gli amici ho un falso rapporto di amicizia: Esco sì, con gli amici, ma se io ci sia o meno, per loro farebbe poca differenza, perchè non riesco ad avere quella complicità che genera amicizia e simpatia. I miei discorsi con gli altri sono tutti di circostanza, butto una battuta qua e là, cercando di far ridere, ma non ci riesco più, perchè devo avere qualche tipo di blocco che mi impedisce di tirare fuori la mia vecchia personalità (da ragazzo ero quasi un comico, facevo battute a raffica e a parole non mi batteva nessuno, ero molto ironico e trovavo sempre il modo per divertirsi). Quindi ora mi trovo così, aspettando di decidermi ad andare dallo psicologo (https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/156-dubbi-e-miti-dell-aspirante-psico-paziente-indeciso.html, ho letto questo e mi riconosco nei punti 2, 4 e 5, non gli altri) perchè io da solo non saprei davvero cosa fare. Dentro di me ho ancora il carattere che avevo da ragazzo, che di rado esce fuori ( 3-4 volte al mese, non sto scherzando) e mi permette di avere una serata soddisfacente, dove mi sento padrone della mia vita. Io mi affiderei completamente allo psicologo, raccontando anche la mia vita privata senza vergogna, avendo tutto da guadagnare. Penso di potermi ancora salvare e vorrei un vostro consiglio. Forse in cuor mio la soluzione già la conosco, ovvero tirare fuori le palle e fare ciò che mi sento. Vengo però bloccato dalle mie convinzioni errate e vico come una specie di manichino sempre pacato, cercando di non urtare nessuno in modo da non compromettermi. La mia malattia è l'inazione, da cui scaturisce pigrizia e poco interesse per la vita
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Gentile ragazzo, quello che ha letto, "Dubbi e miti dell'aspirante psico-paziente indeciso" non è un test, ma un articolo fra il serio e lo scherzoso che però, come ha visto, individua alcune delle più diffuse titubanze nel recarsi dallo psicologo.
Il suo sentirsi rallentato potrebbe dipendere da un umore abbattuto, scoraggiato dalla sua stessa incapacità di attivarsi e che le provoca ancor più inattivazione.
Come diceva Don Abbondio, non ci si può dare il coraggio se non lo si ha. Però è possibile fare piccole esperienze graduali e sulla base di queste fare passettini leggermente più ardimentosi le volte successive. Nel frattempo sempre continuando a sostenere la motivazione, per non abbattersi di fronte agli inevitabili insuccessi (sì, perché gli insuccessi sono inevitabili, specie con le donne). È in questo modo che si creano coraggio, autostima e capacità: sulla base dell'esperienza.
È possibile che lei abbia bisogno più di una consulenza per sviluppare le sue abilità sociali che di una psicoterapia vera e propria.
Cordiali saluti
Il suo sentirsi rallentato potrebbe dipendere da un umore abbattuto, scoraggiato dalla sua stessa incapacità di attivarsi e che le provoca ancor più inattivazione.
Come diceva Don Abbondio, non ci si può dare il coraggio se non lo si ha. Però è possibile fare piccole esperienze graduali e sulla base di queste fare passettini leggermente più ardimentosi le volte successive. Nel frattempo sempre continuando a sostenere la motivazione, per non abbattersi di fronte agli inevitabili insuccessi (sì, perché gli insuccessi sono inevitabili, specie con le donne). È in questo modo che si creano coraggio, autostima e capacità: sulla base dell'esperienza.
È possibile che lei abbia bisogno più di una consulenza per sviluppare le sue abilità sociali che di una psicoterapia vera e propria.
Cordiali saluti
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#2]
Utente
Gentile Dr Santonocito,
Ovviamente avevo capito lo scopo dell'articolo, dicevo appunto in quali punti mi riconosco.
Avrei voluto dire di più nella prima richiesta di consulto che ho inviato, ma come si sà, lo spazio è tiranno, e ho dovuto trovare il modo di far stare più cose possibili dentro a 3000 caratteri, cose che non si risolvono certo con una domanda online, come faceva notare il suo articolo :)
Spero mi perdoni se mi dilungo un altro pò...
Detto questo, credo che abbia centrato più o meno il problema. La mia mancanza di abilità sociali, più o meno sopita, visto che pare andare e tornare, anche in situazioni ambientali identiche, mi fà capire che ancora, dentro di me c'e il vero io che vuole uscire, poi però, il prevalere delle situazioni precedentemente descritte cancella tutto questo. Mi trovo quindi a volte brillante e con voglia di fare, come in preda a una momentanea euforia data dal ritrovato "me stesso" e invece la maggior parte del tempo mi ritrovo senza interessi, inattivo, passo molte ore al pc (da 3 a 12 al giorno) perchè uscendo sento che tanto passerei una serata vuota come le altre, dove cerco di dare me stesso e invece riceverò solo uno schiaffo morale, perchè quel me, non vuole uscire.
La soluzione è ormai nota. Far venire fuori le palle, e andare a fare tutte quelle esperienze che non ho fatto. Prendere il primo VERO no da una ragazza, fare qualche figuraccia o una litigata perchè ho voluto essere mè stesso e non un pacifico burattino e via dicendo. Ho detto "VERO NO" da una ragazza perchè effettivamente delle esperienze ci sono state. 4 ragazze mi hanno fatto advances nel periodo delle superiori e io ho rifiutato perchè erano di bellezza media e avevo paura del giudizio altrui. Altre 3 volte ci ho provato io, ma sono stati blandi approcci, dove con azioni (abbracci prolungati, ricerca di contatto fisico) o parole ho cercato di far capire che ero interessato, ma sono stato rifiutato. Ora, sono qui che mi rodo di tanto in tanto il fegato ripensando alle occasioni che ho rifiutato e alla disperata situazione in cui sono adesso, e che forse fare qualcuna di quelle esperienze mi avrebbe evitato un sacco di problemi e questa solitudine che mi pesa come un macigno, non tanto per la solitudine in sè stessa, ma per il fatto che questa derivi da una mia incapacità, dall'essere una persona "sfigata" o ritardata (non sapevo come esprimere con altre parole quello che voglio dire).
Mi vorrà scusare se ho aggiunto ancora qualcosa.
Lei ha detto:
"
È possibile che lei abbia bisogno più di una consulenza per sviluppare le sue abilità sociali che di una psicoterapia vera e propria."
Potrebbe spiegarmi meglio questa sua frase?
Non ho chiara la differenza tra "più di una consulenza" e una "psicoterapia vera e propria". Avevo letto qualcosa in proposito, ma la mia capacità di assorbimento e memorizzazione sono ormai diverse da quelle di un tempo.
Fare più di una consulenza significa fare qualche seduta da uno psicologo o visitarne più di uno? Una psicoterapia vera e propria in cosa differisce?
Vorrei anche sapere se ritiene utile raccontarsi e aprirsi completamente al proprio psicologo. Io sono disposto senza remore e senza vergogna a raccontare qualunque episodio della mia vita al mio psicologo, se questo può aiutare la diagnosi. Cosa è meglio fare in questi casi? Si racconta tutto o qualcosa non và raccontato?
Inoltre vorrei, se lo ritiene utile, un nuovo giudizio su quanto aggiunto. Che ormai abbia bisogno di uno psicologo è chiaro, quindi, voglio vederci più chiaro.
Ovviamente avevo capito lo scopo dell'articolo, dicevo appunto in quali punti mi riconosco.
Avrei voluto dire di più nella prima richiesta di consulto che ho inviato, ma come si sà, lo spazio è tiranno, e ho dovuto trovare il modo di far stare più cose possibili dentro a 3000 caratteri, cose che non si risolvono certo con una domanda online, come faceva notare il suo articolo :)
Spero mi perdoni se mi dilungo un altro pò...
Detto questo, credo che abbia centrato più o meno il problema. La mia mancanza di abilità sociali, più o meno sopita, visto che pare andare e tornare, anche in situazioni ambientali identiche, mi fà capire che ancora, dentro di me c'e il vero io che vuole uscire, poi però, il prevalere delle situazioni precedentemente descritte cancella tutto questo. Mi trovo quindi a volte brillante e con voglia di fare, come in preda a una momentanea euforia data dal ritrovato "me stesso" e invece la maggior parte del tempo mi ritrovo senza interessi, inattivo, passo molte ore al pc (da 3 a 12 al giorno) perchè uscendo sento che tanto passerei una serata vuota come le altre, dove cerco di dare me stesso e invece riceverò solo uno schiaffo morale, perchè quel me, non vuole uscire.
La soluzione è ormai nota. Far venire fuori le palle, e andare a fare tutte quelle esperienze che non ho fatto. Prendere il primo VERO no da una ragazza, fare qualche figuraccia o una litigata perchè ho voluto essere mè stesso e non un pacifico burattino e via dicendo. Ho detto "VERO NO" da una ragazza perchè effettivamente delle esperienze ci sono state. 4 ragazze mi hanno fatto advances nel periodo delle superiori e io ho rifiutato perchè erano di bellezza media e avevo paura del giudizio altrui. Altre 3 volte ci ho provato io, ma sono stati blandi approcci, dove con azioni (abbracci prolungati, ricerca di contatto fisico) o parole ho cercato di far capire che ero interessato, ma sono stato rifiutato. Ora, sono qui che mi rodo di tanto in tanto il fegato ripensando alle occasioni che ho rifiutato e alla disperata situazione in cui sono adesso, e che forse fare qualcuna di quelle esperienze mi avrebbe evitato un sacco di problemi e questa solitudine che mi pesa come un macigno, non tanto per la solitudine in sè stessa, ma per il fatto che questa derivi da una mia incapacità, dall'essere una persona "sfigata" o ritardata (non sapevo come esprimere con altre parole quello che voglio dire).
Mi vorrà scusare se ho aggiunto ancora qualcosa.
Lei ha detto:
"
È possibile che lei abbia bisogno più di una consulenza per sviluppare le sue abilità sociali che di una psicoterapia vera e propria."
Potrebbe spiegarmi meglio questa sua frase?
Non ho chiara la differenza tra "più di una consulenza" e una "psicoterapia vera e propria". Avevo letto qualcosa in proposito, ma la mia capacità di assorbimento e memorizzazione sono ormai diverse da quelle di un tempo.
Fare più di una consulenza significa fare qualche seduta da uno psicologo o visitarne più di uno? Una psicoterapia vera e propria in cosa differisce?
Vorrei anche sapere se ritiene utile raccontarsi e aprirsi completamente al proprio psicologo. Io sono disposto senza remore e senza vergogna a raccontare qualunque episodio della mia vita al mio psicologo, se questo può aiutare la diagnosi. Cosa è meglio fare in questi casi? Si racconta tutto o qualcosa non và raccontato?
Inoltre vorrei, se lo ritiene utile, un nuovo giudizio su quanto aggiunto. Che ormai abbia bisogno di uno psicologo è chiaro, quindi, voglio vederci più chiaro.
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Bene, ma "far venire fuori le palle" non dev'essere l'obiettivo in questo momento, perché non ne sarebbe capace. Ciò che deve fare è pensare a costruirsi esperienza, un poco alla volta, osando fin dove può e allargando progressivamente la sua zona di comfort.
La differenza fra psicoterapia e consulenza è sottile, ma grosso modo si può dire che lo scopo della terapia è prima rompere un circolo vizioso e poi costruire (eventualmente) ciò che manca. Nella consulenza invece c'è poco da demolire e molto da costruire e imparare.
Come rapportarsi con lo psicologo dipende dall'orientamento teorico di quest'ultimo. Ci sono approcci dove si parla molto, si va indietro, si scava nel passato e dentro di sé e questo può richiedere un certo tempo. Altri approcci si focalizzano sul problema ed è lo psicologo a condurre le sedute, facendo solo le domande necessarie per capire il funzionamento del problema e poi assegnando compiti da eseguire fra una seduta e l'altra.
Legga questi articoli per informarsi:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
http://www.giuseppesantonocito.it/art_psicoterapia.htm
Cordiali saluti
La differenza fra psicoterapia e consulenza è sottile, ma grosso modo si può dire che lo scopo della terapia è prima rompere un circolo vizioso e poi costruire (eventualmente) ciò che manca. Nella consulenza invece c'è poco da demolire e molto da costruire e imparare.
Come rapportarsi con lo psicologo dipende dall'orientamento teorico di quest'ultimo. Ci sono approcci dove si parla molto, si va indietro, si scava nel passato e dentro di sé e questo può richiedere un certo tempo. Altri approcci si focalizzano sul problema ed è lo psicologo a condurre le sedute, facendo solo le domande necessarie per capire il funzionamento del problema e poi assegnando compiti da eseguire fra una seduta e l'altra.
Legga questi articoli per informarsi:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
http://www.giuseppesantonocito.it/art_psicoterapia.htm
Cordiali saluti
Questo consulto ha ricevuto 5 risposte e 8.1k visite dal 21/01/2011.
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