Solitudine sentimentale opprimente
Gentilissimi medici, innanzitutto complimenti e grazie per il prezioso servizio che svolgete in questo spazio. Piccola premessa: sono un ragazzo di 36 anni, senza particolari problemi di salute (dal punto di vista organico, s'intende), benestante, in piena e soddisfacente attività lavorativa. I miei genitori sono divorziati, ma ancora ottimi amici, ed ho un buon rapporto (con alcune conflittualità, come credo normale che sia) con entrambi. Vivo solo, in appartamento regalatomi da mia madre, con i miei cani. Mi pare anche di essere di bell'aspetto, quantomeno nella media. Tutto questo per dire che, in apparenza, non ho particolari problemi a cui ricondurre la richiesta di consulto che sto per farvi.
Sono stato diagnosticato depresso e DOC, circa 10 anni fa: la causa scatenante è stata una relazione/convivenza fallita, ma ancor più la totale anorgasmia di questa ragazza, che mi ha fatto sprofondare in una grave crisi personale, con completa perdita di fiducia in me stesso. Ho assunto farmaci quali Efexor e Zoloft fino a circa 3 anni fa; dopo di che, su consiglio di altro psichiatra, sono passato a Fevarin e Anafranil. Ho seguito un percorso psicoterapico durato 5 anni, impossibile da sintetizzare in poche righe, che mi ha senz'altro -e non poco- giovato, ma che ho deciso di interrompere per palese ristagno dei progressi.
In questi anni ho avuto alti e bassi, e soprattutto molte storie (meglio: tante avventure e qualche storia seria). Ho convissuto altre due volte, con esiti non brillanti: l'ultima è finita pochi mesi fa, con una ragazza molto più giovane di me, forse troppo immatura per questo passo. Devo dire che mi sono sempre tenuto abbastanza distante da profondi coinvolgimenti emotivi, forse inconsciamente memore della terribile sofferenza patita a suo tempo, che mi aveva fatto meditare il suicidio a più riprese.
Il problema è questo: sono solo da qualche mese e, contrariamente a quanto pensavo (e speravo), non sto affatto bene in questa condizione. Era molto tempo che non mi trovavo veramente solo, e questo mi fa sentire abbandonato, inutile, senza prospettive e futuro, aggravando il mio stato depressivo. Ho qualche frequentazione, alcune di carattere amicale, altre esclusivamente a fini sessuali, ma non mi appagano in alcun modo. Non mi sento parte di nulla di vero, importante, e questo mi abbatte. Confesso che sto cercando una ragazza, ma mi riesce più difficile del solito: forse che sto diventando vecchio? Temo di finire solo, come mio padre: depresso, infelice, con solo il lavoro che lo sostiene... e, quando anche quest'ultimo è venuto a mancare, ha tentato l'estremo gesto, finendo ricoverato in psichiatria tramite TSO. Ora sta meglio (non si era mai fatto curare), ha ripreso anche a lavorare, ma io non voglio arrivare a questo punto: vorrei solo una vita tranquilla, da condividere con un'altra persona alla quale volere veramente bene, con la quale dividere tutto.
Lo spazio è finito, ringrazio in anticipo per la vostra attenzione.
Sono stato diagnosticato depresso e DOC, circa 10 anni fa: la causa scatenante è stata una relazione/convivenza fallita, ma ancor più la totale anorgasmia di questa ragazza, che mi ha fatto sprofondare in una grave crisi personale, con completa perdita di fiducia in me stesso. Ho assunto farmaci quali Efexor e Zoloft fino a circa 3 anni fa; dopo di che, su consiglio di altro psichiatra, sono passato a Fevarin e Anafranil. Ho seguito un percorso psicoterapico durato 5 anni, impossibile da sintetizzare in poche righe, che mi ha senz'altro -e non poco- giovato, ma che ho deciso di interrompere per palese ristagno dei progressi.
In questi anni ho avuto alti e bassi, e soprattutto molte storie (meglio: tante avventure e qualche storia seria). Ho convissuto altre due volte, con esiti non brillanti: l'ultima è finita pochi mesi fa, con una ragazza molto più giovane di me, forse troppo immatura per questo passo. Devo dire che mi sono sempre tenuto abbastanza distante da profondi coinvolgimenti emotivi, forse inconsciamente memore della terribile sofferenza patita a suo tempo, che mi aveva fatto meditare il suicidio a più riprese.
Il problema è questo: sono solo da qualche mese e, contrariamente a quanto pensavo (e speravo), non sto affatto bene in questa condizione. Era molto tempo che non mi trovavo veramente solo, e questo mi fa sentire abbandonato, inutile, senza prospettive e futuro, aggravando il mio stato depressivo. Ho qualche frequentazione, alcune di carattere amicale, altre esclusivamente a fini sessuali, ma non mi appagano in alcun modo. Non mi sento parte di nulla di vero, importante, e questo mi abbatte. Confesso che sto cercando una ragazza, ma mi riesce più difficile del solito: forse che sto diventando vecchio? Temo di finire solo, come mio padre: depresso, infelice, con solo il lavoro che lo sostiene... e, quando anche quest'ultimo è venuto a mancare, ha tentato l'estremo gesto, finendo ricoverato in psichiatria tramite TSO. Ora sta meglio (non si era mai fatto curare), ha ripreso anche a lavorare, ma io non voglio arrivare a questo punto: vorrei solo una vita tranquilla, da condividere con un'altra persona alla quale volere veramente bene, con la quale dividere tutto.
Lo spazio è finito, ringrazio in anticipo per la vostra attenzione.
[#1]
>>> forse che sto diventando vecchio?
>>>
Gentile utente, in effetti, sentire qualcuno che si definisce "un ragazzo di 36 anni" fa un certo effetto. Alla sua età si dovrebbe già essere diventati uomini da un pezzo. Anche se è vero che oggi l'adolescenza e la giovinezza si sono allungate.
È abbastanza evidente che lei ha paura di qualcosa, e l'attuale solitudine forse le fa male perché le fa venire in mente pensieri di altro tipo: per esempio la vecchiaia, la malattia e l'infelicità di suo padre, come lei stesso ammette.
Credo che ancora le resti del lavoro da fare, psicologicamente parlando, forse di tipo più mirato, per indagare, scovare e risolvere le questioni che la stanno preoccupando.
Cordiali saluti
>>>
Gentile utente, in effetti, sentire qualcuno che si definisce "un ragazzo di 36 anni" fa un certo effetto. Alla sua età si dovrebbe già essere diventati uomini da un pezzo. Anche se è vero che oggi l'adolescenza e la giovinezza si sono allungate.
È abbastanza evidente che lei ha paura di qualcosa, e l'attuale solitudine forse le fa male perché le fa venire in mente pensieri di altro tipo: per esempio la vecchiaia, la malattia e l'infelicità di suo padre, come lei stesso ammette.
Credo che ancora le resti del lavoro da fare, psicologicamente parlando, forse di tipo più mirato, per indagare, scovare e risolvere le questioni che la stanno preoccupando.
Cordiali saluti
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#2]
Ex utente
Salve dottore, ringrazio per la pronta risposta. In effetti, non mi considero un uomo, ma piuttosto un ragazzo, per quanto la distinzione tra i due non mi appare netta o univoca: me la può chiarire lei? Ho conosciuto molte persone nella mia vita, di tutte le età, e, scavando a fondo, ognuna di esse ha peculiarità e fragilità tipiche di un ragazzo, forse anche di un bambino.
In ogni caso, al di là delle disquisizioni su questo argomento, mi piacerebbe capire come muovermi nel prossimo futuro. Ho già tentato la strada di altri psicologi, ma sono rimasto deluso: uno mi ha detto "la sua situazione è molto complessa, forse è meglio che torni da quello che l'ha sempre seguita"; un altro dormiva... che posso fare? Continuare con i farmaci, o sentire un altro psichiatra per variarli nuovamente? Quale sarebbe la figura professionale di elezione in casi come questi? Anche qualche consiglio spicciolo, comunque, sarebbe molto gradito.
Grazie e cordiali saluti
In ogni caso, al di là delle disquisizioni su questo argomento, mi piacerebbe capire come muovermi nel prossimo futuro. Ho già tentato la strada di altri psicologi, ma sono rimasto deluso: uno mi ha detto "la sua situazione è molto complessa, forse è meglio che torni da quello che l'ha sempre seguita"; un altro dormiva... che posso fare? Continuare con i farmaci, o sentire un altro psichiatra per variarli nuovamente? Quale sarebbe la figura professionale di elezione in casi come questi? Anche qualche consiglio spicciolo, comunque, sarebbe molto gradito.
Grazie e cordiali saluti
[#3]
Beh, già il fatto che non abbia chiara la distinzione fra cos'è un uomo e cos'è un ragazzo, dice qualcosa. L'uomo è l'individuo in età adulta, ossia dopo l'uscita dal periodo dell'adolescenza. Quindi, se definiamo l'adolescenza come un periodo di cambiamento e assestamento, di relativa instabilità, di ricerca di un equilibrio e della propria individualità, il tutto accompagnato da sensazioni soggettive d'incertezza, l'uomo è - o dovrebbe essere - colui che è riuscito a superare con successo tale fase.
L'osservazione che molte persone attorno a lei si portino dietro a lungo tratti di questo tipo, è un segno dei tempi, perché insieme a una maggior tranquillità sociale, e al fatto che molti problemi legati alla sopravvivenza e al benessere qualcun'altro oggi li ha già risolti per noi, va di pari passo un con minor stimolo a maturare e ad evolversi. Ecco perché diciamo che l'adolescenza oggi si è allungata.
Ma questo non dovrebbe essere, a mio avviso, un alibi per dire: siccome tutti sono fragili, allora posso adattarmici anch'io.
La figura di elezione nel suo caso mi pare proprio lo psicologo/psicoterapeuta. Ne esistono parecchi tipi diversi, alcuni più disposti a fornire suggerimenti attivi, altri meno, e quindi è bene informarsi e fare qualche telefonata, prima di decidere a chi affidarsi, per capire se corrisponde alle nostre necessità.
Consigli diretti, da qui, sarebbe poco appropriato dargliene, perché innanzitutto ci sarebbe da capire bene come funziona il suo problema. E questo può solo essere fatto faccia a faccia. Però può leggere intanto quest'articolo, per capire per sommicapi le differenze fra alcuni dei principali approcci psicoterapeutici:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
Poi se vorrà potrà chiederci altri chiarimenti.
Cordiali saluti
L'osservazione che molte persone attorno a lei si portino dietro a lungo tratti di questo tipo, è un segno dei tempi, perché insieme a una maggior tranquillità sociale, e al fatto che molti problemi legati alla sopravvivenza e al benessere qualcun'altro oggi li ha già risolti per noi, va di pari passo un con minor stimolo a maturare e ad evolversi. Ecco perché diciamo che l'adolescenza oggi si è allungata.
Ma questo non dovrebbe essere, a mio avviso, un alibi per dire: siccome tutti sono fragili, allora posso adattarmici anch'io.
La figura di elezione nel suo caso mi pare proprio lo psicologo/psicoterapeuta. Ne esistono parecchi tipi diversi, alcuni più disposti a fornire suggerimenti attivi, altri meno, e quindi è bene informarsi e fare qualche telefonata, prima di decidere a chi affidarsi, per capire se corrisponde alle nostre necessità.
Consigli diretti, da qui, sarebbe poco appropriato dargliene, perché innanzitutto ci sarebbe da capire bene come funziona il suo problema. E questo può solo essere fatto faccia a faccia. Però può leggere intanto quest'articolo, per capire per sommicapi le differenze fra alcuni dei principali approcci psicoterapeutici:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
Poi se vorrà potrà chiederci altri chiarimenti.
Cordiali saluti
[#4]
Ex utente
Grazie per i consigli dottore, anche se non condivido molto un passaggio del suo intervento, ovverosia quando scrive: "Beh, già il fatto che non abbia chiara la distinzione fra cos'è un uomo e cos'è un ragazzo, dice qualcosa. L'uomo è l'individuo in età adulta, ossia dopo l'uscita dal periodo dell'adolescenza. Quindi, se definiamo l'adolescenza come un periodo di cambiamento e assestamento, di relativa instabilità, di ricerca di un equilibrio e della propria individualità, il tutto accompagnato da sensazioni soggettive d'incertezza, l'uomo è - o dovrebbe essere - colui che è riuscito a superare con successo tale fase".
Al di là della connotazione vagamente offensiva delle prime parole, che la invito a considerare (sarei curioso di sapere se proferirebbe la stessa frase davanti ad un paziente reale, senza per altro potendone avere controprova), rilevo che le figura di persona matura che lei delinea, in pratica non esiste. Incertezze esistenziali di vario genere accompagnano quasi chiunque nel corso della vita, dipende anche dagli eventi che ci coinvolgono, e non lo trovo neppure sbagliato: a sentire lei, dovremmo tutti essere sicuri di noi stessi, del nostro ruolo nella vita e non metterci mai in discussione. Non mi pare che tale visione abbia un riscontro nella realtà e non mi pare, in ogni caso, del tutto auspicabile.
Cordiali saluti
Al di là della connotazione vagamente offensiva delle prime parole, che la invito a considerare (sarei curioso di sapere se proferirebbe la stessa frase davanti ad un paziente reale, senza per altro potendone avere controprova), rilevo che le figura di persona matura che lei delinea, in pratica non esiste. Incertezze esistenziali di vario genere accompagnano quasi chiunque nel corso della vita, dipende anche dagli eventi che ci coinvolgono, e non lo trovo neppure sbagliato: a sentire lei, dovremmo tutti essere sicuri di noi stessi, del nostro ruolo nella vita e non metterci mai in discussione. Non mi pare che tale visione abbia un riscontro nella realtà e non mi pare, in ogni caso, del tutto auspicabile.
Cordiali saluti
[#5]
Nessuna intenzione offensiva da parte mia, ovviamente. Lei mi ha chiesto un parere, e io gliel'ho dato, sulla base delle informazioni che lei ci ha fornito. Ma come ogni parere a distanza, senza essere l'uno di fronte all'altro, certamente può non corrispondere in tutto e per tutto alla realtà.
Cose come quelle che sto dicendo a lei le dico anche di persona, certo, e in questo caso è più difficile equivocare l'intenzione dell'interlocutore. È il mezzo che è limitato, più che il contenuto di quello che stiamo dicendo.
E questi sono anche i motivi per cui sarebbe improprio fare interventi diretti a distanza, e dare "consigli": si rischierebbe di non essere del tutto calzanti alla situazione.
>>> rilevo che le figura di persona matura che lei delinea, in pratica non esiste
>>>
Certo che esiste, l'insicurezza non è un destino inevitabile dell'essere umano. Ma è anche vero che una persona insicura difficilmente si accompagnerà o frequenterà a persone molto sicure di se stesse.
Cordiali saluti
Cose come quelle che sto dicendo a lei le dico anche di persona, certo, e in questo caso è più difficile equivocare l'intenzione dell'interlocutore. È il mezzo che è limitato, più che il contenuto di quello che stiamo dicendo.
E questi sono anche i motivi per cui sarebbe improprio fare interventi diretti a distanza, e dare "consigli": si rischierebbe di non essere del tutto calzanti alla situazione.
>>> rilevo che le figura di persona matura che lei delinea, in pratica non esiste
>>>
Certo che esiste, l'insicurezza non è un destino inevitabile dell'essere umano. Ma è anche vero che una persona insicura difficilmente si accompagnerà o frequenterà a persone molto sicure di se stesse.
Cordiali saluti
[#6]
Ex utente
Ok dottore, grazie del chiarimento, mi spiace di aver equivocato. Quanto al resto, senz'altro esiste qualcuno come lei lo delinea (mia mamma, direi, ed è l'unica che conosca siffatta), e devo dire che non mi spaventa il pensiero di potermi, eventualmente, accompagnare ad una di queste persone: perchè, a sua detta, dovrebbe essere il contrario, dato che una persona insicura potrebbe avvantaggiarsi dall'avere una spalla sicura su cui appoggiarsi? Non ho mai desiderato essere la metà forte della coppia; per altro, non ho mai desiderato intensamente neppure l'inverso...
Secondo lei dovrei postare il quesito anche in psichiatria, dati i farmaci che assumo?
Ora mi leggo il MiniForma che mi ha linkato.
Cordiali saluti
Secondo lei dovrei postare il quesito anche in psichiatria, dati i farmaci che assumo?
Ora mi leggo il MiniForma che mi ha linkato.
Cordiali saluti
[#7]
Bene, mi fa piacere vedere d'essere stato un poco più chiaro nelle mie intenzioni. E non si preoccupi: i fraintendimenti qui sono relativamente frequenti, proprio perché il canale di comunicazione è limitato e si perdono le sfumature, proprio quelle che rendono efficace qualunque tipo di relazione interpersonale d'aiuto.
La scelta se postare in psichiatria è sua. Può farlo senza problemi, e ricevere così un parere anche dai colleghi psichiatri. Dal canto mio, sono propenso a pensare che un aiuto psicologico le potrebbe essere utile, magari cercandolo fra quelli più focalizzati e concreti. Ossia, fra quelli più disposti a fornire orientamento e suggerimenti concreti.
Cordiali saluti
La scelta se postare in psichiatria è sua. Può farlo senza problemi, e ricevere così un parere anche dai colleghi psichiatri. Dal canto mio, sono propenso a pensare che un aiuto psicologico le potrebbe essere utile, magari cercandolo fra quelli più focalizzati e concreti. Ossia, fra quelli più disposti a fornire orientamento e suggerimenti concreti.
Cordiali saluti
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 3.7k visite dal 30/09/2010.
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