Disturbo narcisistico, ipocondria
Sto male.
Le opzioni sono: 1) lavorare in continuazione, tenermi occupato, provocandomi un'ansia che mi distrae ma che al contempo mi fa rapidamente superare una sana soglio di stress, oppure 2) cercare di avere un ritmo di vita più normale, nel quale si inseriscono però immediatamente insicurezze, timori per il futuro, forme sottili di disprezzo per me stesso e sensi di colpa assortiti, preoccupazioni per la mia salute che in passato mi hanno portato ad attacchi di panico e all'ipocondria.
Il mio analista (che mi ha diagnosticato un disturbo narcisistico) conviene con me che una forma eccessiva di dover essere è stata instillata in me dalla mia famiglia nel corso degli anni, da quando a 3 anni in un test dell'intelligenza somministrato da specialisti avevo ottenuto risultati esorbitanti, cosicché a 3 anni e mezzo leggevo, scrivevo e a 4 o 5 parlavo inglese e francese, a 15 facevo il liceo e al contempo il conservatorio, e correvo da velocista per una squadra di serie A, a 19 frequentavo l'Università e una Scuola Normale e ora che ne ho 28 ho una laurea, un diploma di Scuola Normale, un dottorato e faccio ricerca all'estero. E sono stanco.
La verità è che ora sto cedendo. La qualità del mio lavoro è alta, ma non quanto potrebbe, la qualità della mia vita precipita, e si tira dietro tutto quanto.
Ho il raffreddore e la lingua infiammata. Mi capita periodicamente, qui fa quasi sempre freddo e io sono un leggero fumatore. Ma a questo punto o lavoro come un pazzo (= troppo, privilegiando la quantità alla qualità) o mi convinco di avere un tumore in gola. Un otorino mi ha visto per un controllo due mesi fa, ma si sa, a volte i medici sbagliano... a volte gli aerei cadono... a volte uno va a dormire e muore nel sonno.
Così tutto va a rotoli. E la mia compagna non ne può più. Cerco di tenerla al di fuori di questo circolo buio, ma lei mi vede e capisce. Ed è stufa di un uomo che o è immerso nello studio e nella ricerca o ha paura di qualsiasi starnuto.
A 28 anni mi sento stanco. Mentre gli altri hanno voglia di cominciare, io non ce la faccio più. Ma non voglio ricominciare a prendere fluoxetine e diazepam. Vorrei solo dormire, fregarmene un po' dei problemi. Ma d'altro canto chi mi ama è in agguato. E un anno e mezzo di analisi ha dato risultati troppo modesti.
Non so bene cosa sto chiedendo...
in ogni caso, ringrazio in anticipo per qualsiasi parere io possa ricevere
Le opzioni sono: 1) lavorare in continuazione, tenermi occupato, provocandomi un'ansia che mi distrae ma che al contempo mi fa rapidamente superare una sana soglio di stress, oppure 2) cercare di avere un ritmo di vita più normale, nel quale si inseriscono però immediatamente insicurezze, timori per il futuro, forme sottili di disprezzo per me stesso e sensi di colpa assortiti, preoccupazioni per la mia salute che in passato mi hanno portato ad attacchi di panico e all'ipocondria.
Il mio analista (che mi ha diagnosticato un disturbo narcisistico) conviene con me che una forma eccessiva di dover essere è stata instillata in me dalla mia famiglia nel corso degli anni, da quando a 3 anni in un test dell'intelligenza somministrato da specialisti avevo ottenuto risultati esorbitanti, cosicché a 3 anni e mezzo leggevo, scrivevo e a 4 o 5 parlavo inglese e francese, a 15 facevo il liceo e al contempo il conservatorio, e correvo da velocista per una squadra di serie A, a 19 frequentavo l'Università e una Scuola Normale e ora che ne ho 28 ho una laurea, un diploma di Scuola Normale, un dottorato e faccio ricerca all'estero. E sono stanco.
La verità è che ora sto cedendo. La qualità del mio lavoro è alta, ma non quanto potrebbe, la qualità della mia vita precipita, e si tira dietro tutto quanto.
Ho il raffreddore e la lingua infiammata. Mi capita periodicamente, qui fa quasi sempre freddo e io sono un leggero fumatore. Ma a questo punto o lavoro come un pazzo (= troppo, privilegiando la quantità alla qualità) o mi convinco di avere un tumore in gola. Un otorino mi ha visto per un controllo due mesi fa, ma si sa, a volte i medici sbagliano... a volte gli aerei cadono... a volte uno va a dormire e muore nel sonno.
Così tutto va a rotoli. E la mia compagna non ne può più. Cerco di tenerla al di fuori di questo circolo buio, ma lei mi vede e capisce. Ed è stufa di un uomo che o è immerso nello studio e nella ricerca o ha paura di qualsiasi starnuto.
A 28 anni mi sento stanco. Mentre gli altri hanno voglia di cominciare, io non ce la faccio più. Ma non voglio ricominciare a prendere fluoxetine e diazepam. Vorrei solo dormire, fregarmene un po' dei problemi. Ma d'altro canto chi mi ama è in agguato. E un anno e mezzo di analisi ha dato risultati troppo modesti.
Non so bene cosa sto chiedendo...
in ogni caso, ringrazio in anticipo per qualsiasi parere io possa ricevere
[#2]
Gentile ragazzo, un anno e mezzo di analisi ed i risultati "sono modesti".
forse è il momento di cambiare approccio e di occuparsi in modo più mirato dei sintomi che l'attanagliano.
saluti
forse è il momento di cambiare approccio e di occuparsi in modo più mirato dei sintomi che l'attanagliano.
saluti
Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks
[#3]
Ex utente
Innanzitutto grazie infinite per le risposte così rapide.
L'approccio voluto dal mio analista, che peraltro è molto in gamba, parte dalle mie esperienze infantili e cerca di ravvisarvi le radici di ogni problema. Il dottore non fa mistero di avere una formazione e una fede totalmente freudiane. Io non sono un esperto del settore, ma sono per natura iper-analitico e sospettoso, e ho il sospetto che il procedimento abbia il difetto di non essere in grado di risolvere prima i problemi urgenti per poi poter trattare con tranquillità il resto dell'iceberg... in altre parole, mi pare che tale approccio sia incapace di interventi di pronto soccorso, necessitando un preciso ordine di azione secondo il quale devo affrontare la mia figura materna altrimenti non si può discutere la mia ipocondria... io non ho problemi a sbattere la testa contro l'ombra di mia madre, ma lo farei più volentieri se prima si facesse qualcosa di immediato (e possibilmente non farmacologico) per calmarmi i nervi.
Non so, forse dico sciocchezze, ma almeno, grazie alle vostre risposte, prende forma il senso di questo consulto. La domanda è: questa mia impressione è sensata o sto prendendo un granchio?
L'approccio voluto dal mio analista, che peraltro è molto in gamba, parte dalle mie esperienze infantili e cerca di ravvisarvi le radici di ogni problema. Il dottore non fa mistero di avere una formazione e una fede totalmente freudiane. Io non sono un esperto del settore, ma sono per natura iper-analitico e sospettoso, e ho il sospetto che il procedimento abbia il difetto di non essere in grado di risolvere prima i problemi urgenti per poi poter trattare con tranquillità il resto dell'iceberg... in altre parole, mi pare che tale approccio sia incapace di interventi di pronto soccorso, necessitando un preciso ordine di azione secondo il quale devo affrontare la mia figura materna altrimenti non si può discutere la mia ipocondria... io non ho problemi a sbattere la testa contro l'ombra di mia madre, ma lo farei più volentieri se prima si facesse qualcosa di immediato (e possibilmente non farmacologico) per calmarmi i nervi.
Non so, forse dico sciocchezze, ma almeno, grazie alle vostre risposte, prende forma il senso di questo consulto. La domanda è: questa mia impressione è sensata o sto prendendo un granchio?
[#4]
Gentile ragazzo, nessun granchio, la sua analisi è corretta.
Nulla osta nel voler continuare la terapia che sta seguendo, ma ci sono approcci più rapidi che possono agire direttamente sul problema come quelli strategici e comportamentali.
saluti
Nulla osta nel voler continuare la terapia che sta seguendo, ma ci sono approcci più rapidi che possono agire direttamente sul problema come quelli strategici e comportamentali.
saluti
[#5]
Gentile utente, dal modo in cui scrive la sua intelligenza appare grosso modo nella media, nulla che faccia pensare a eccessi che le avrebbero provocato scompensi, sia pure indirettamente, attraverso i suoi genitori.
Ad ogni modo, se accettasse una piccola provocazione le direi: se è davvero intelligente come dice, come mai non sta riuscendo a superare questo problema? In fondo, la definizione più semplice d'intelligenza è: abilità generale a risolvere i problemi.
>>> ho il sospetto che il procedimento abbia il difetto di non essere in grado di risolvere prima i problemi urgenti per poi poter trattare con tranquillità il resto dell'iceberg
>>>
Il suo sospetto è fondato, e si basa su un equivoco diffuso come luogo comune, ovvero che lavorare sui sintomi sarebbe solo una specie di "pronto soccorso", che non risolverebbe i problemi alla base.
Questo non è affatto vero.
Risolvere i sintomi, la maggior parte delle volte costituisce un potente stimolo per il paziente, che può così dire a se stesso: "Se ci sono riuscito una volta, ci posso riuscire ancora".
Risolvere i sintomi, oltre a fare star meglio il paziente, è benefico per l'autostima e la motivazione a continuare e approfondire la terapia.
Inoltre, se ci pensa, qualsiasi terapeuta ascolta i sintomi prima di decidere cosa fare. Persino lo psicoanalista freudiano ortodosso.
Ecco perché la distinzione fra psicoterapie sintomatiche e psicoterapie non sintomatiche è inesatta e fuorviante.
Cordiali saluti
Ad ogni modo, se accettasse una piccola provocazione le direi: se è davvero intelligente come dice, come mai non sta riuscendo a superare questo problema? In fondo, la definizione più semplice d'intelligenza è: abilità generale a risolvere i problemi.
>>> ho il sospetto che il procedimento abbia il difetto di non essere in grado di risolvere prima i problemi urgenti per poi poter trattare con tranquillità il resto dell'iceberg
>>>
Il suo sospetto è fondato, e si basa su un equivoco diffuso come luogo comune, ovvero che lavorare sui sintomi sarebbe solo una specie di "pronto soccorso", che non risolverebbe i problemi alla base.
Questo non è affatto vero.
Risolvere i sintomi, la maggior parte delle volte costituisce un potente stimolo per il paziente, che può così dire a se stesso: "Se ci sono riuscito una volta, ci posso riuscire ancora".
Risolvere i sintomi, oltre a fare star meglio il paziente, è benefico per l'autostima e la motivazione a continuare e approfondire la terapia.
Inoltre, se ci pensa, qualsiasi terapeuta ascolta i sintomi prima di decidere cosa fare. Persino lo psicoanalista freudiano ortodosso.
Ecco perché la distinzione fra psicoterapie sintomatiche e psicoterapie non sintomatiche è inesatta e fuorviante.
Cordiali saluti
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#6]
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile utente, non ritiene che questa iper-richiestività verso se stesso non sia al contempo rivolta verso gli altri, e oggi verso il suo analista?
Tenga conto che nelle terapie che prendono in considerazione la relazione (in psicanalisi il rapporto transfert-controtransfert) come mezzo di cambiamento tendono a vedere nel setting terapeutico una riproduzione delle modalità relazionali tipiche del paziente. Potrebbe essere che in questo momento lei stia pretendendo iper-risultati dal suo analista, che in altre parole vuol dire pretendere iper risultati da se stesso.
Credo che farebbe bene, prima di prendere una decisione su una possibile interruzione, a parlare col suo analista di ciò che ha scritto a noi, avanzando anche le ipotesi che io ed i colleghi le abbiamo proposto, le sue conclusioni derivate dalle varie suggestioni che le abbiamo fornito e solo successivamente valutare la possibilità di un'interruzione o continuazione della terapia.
Vero è che il procedimento psicanalitico è piuttosto lungo, che esistono altre modalità di lavoro (come ha probabilmente notato dalla differenza delle nostre risposte) e che dunque se volesse cambiare avrebbe molte opzioni di scelta. Il mio invito è a non prendere decisioni affrettate, mi pare che di fretta ne abbia gia avuta troppa nella sua vita.
Un Caro Saluto
Tenga conto che nelle terapie che prendono in considerazione la relazione (in psicanalisi il rapporto transfert-controtransfert) come mezzo di cambiamento tendono a vedere nel setting terapeutico una riproduzione delle modalità relazionali tipiche del paziente. Potrebbe essere che in questo momento lei stia pretendendo iper-risultati dal suo analista, che in altre parole vuol dire pretendere iper risultati da se stesso.
Credo che farebbe bene, prima di prendere una decisione su una possibile interruzione, a parlare col suo analista di ciò che ha scritto a noi, avanzando anche le ipotesi che io ed i colleghi le abbiamo proposto, le sue conclusioni derivate dalle varie suggestioni che le abbiamo fornito e solo successivamente valutare la possibilità di un'interruzione o continuazione della terapia.
Vero è che il procedimento psicanalitico è piuttosto lungo, che esistono altre modalità di lavoro (come ha probabilmente notato dalla differenza delle nostre risposte) e che dunque se volesse cambiare avrebbe molte opzioni di scelta. Il mio invito è a non prendere decisioni affrettate, mi pare che di fretta ne abbia gia avuta troppa nella sua vita.
Un Caro Saluto
Questo consulto ha ricevuto 6 risposte e 4.6k visite dal 03/09/2010.
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Approfondimento su Disturbi di personalità
I disturbi di personalità si verificano in caso di alterazioni di pensiero e di comportamento nei tratti della persona: classificazione e caratteristiche dei vari disturbi.