Tempi ed effetti terapia
Carissimi Dottori,
Mi trovo in terapia cognitivo-costruttivista da circa 6 mesi, nella speranza di superare alcuni problemi che mi porto dietro praticamente da sempre: autostima vacillante, leggera ansia sociale (paura di essere osservato, giudicato in alcune situazioni) e quello che credo sia un "blocco sessuale" che mi porta ad evitare i contatti con il sesso femminile.
Assodato che, nella pratica, non può essere stabilita a priori la durata di un trattamento psicoterapeutico, mi chiedo se - almeno - si possa indicare, in linea generale, un limite di tempo utile entro il quale la terapia dovrebbe - se condotta bene - sortire effetti sostanziali e stabili (un "cambio di vedute" insomma, non piccoli miglioramenti). Personalmente, posso dire che qualche cambiamento c'è stato, ma si tratta per lo più di aspetti marginali.
Per quanto riguarda gli effetti che la terapia dovrebbe sortire: lo scopo è comprendere le dinamiche di funzionamento del problema (come ha detto la terapeuta che mi segue) o ci si dovrebbe aspettare un cambiamento radicale e profondo della personalità?
Grazie a chi vorrà aiutarmi a capire.
Mi trovo in terapia cognitivo-costruttivista da circa 6 mesi, nella speranza di superare alcuni problemi che mi porto dietro praticamente da sempre: autostima vacillante, leggera ansia sociale (paura di essere osservato, giudicato in alcune situazioni) e quello che credo sia un "blocco sessuale" che mi porta ad evitare i contatti con il sesso femminile.
Assodato che, nella pratica, non può essere stabilita a priori la durata di un trattamento psicoterapeutico, mi chiedo se - almeno - si possa indicare, in linea generale, un limite di tempo utile entro il quale la terapia dovrebbe - se condotta bene - sortire effetti sostanziali e stabili (un "cambio di vedute" insomma, non piccoli miglioramenti). Personalmente, posso dire che qualche cambiamento c'è stato, ma si tratta per lo più di aspetti marginali.
Per quanto riguarda gli effetti che la terapia dovrebbe sortire: lo scopo è comprendere le dinamiche di funzionamento del problema (come ha detto la terapeuta che mi segue) o ci si dovrebbe aspettare un cambiamento radicale e profondo della personalità?
Grazie a chi vorrà aiutarmi a capire.
[#1]
Gentile utente, è un po' controintuitivo, ma più un problema è "leggero" e sfumato, più può essere difficile fare previsioni. Proprio perché è leggero, è più difficile anche per la persona rendersi conto degli eventuali miglioramenti.
6 mesi potrebbero essere già sufficienti per vedere risultati, ma non si può darle un parere attendibile senza poter valutare tutti gli aspetti del suo caso, dato che non la conosciamo.
I problemi d'ansia anche molto acuti, oppure blocchi sessuali molto rigidi si possono risolvere anche in pochissime sedute, ma solo se al contorno non c'è nient'altro.
Ha già chiesto al suo stesso terapeuta?
Cordiali saluti
6 mesi potrebbero essere già sufficienti per vedere risultati, ma non si può darle un parere attendibile senza poter valutare tutti gli aspetti del suo caso, dato che non la conosciamo.
I problemi d'ansia anche molto acuti, oppure blocchi sessuali molto rigidi si possono risolvere anche in pochissime sedute, ma solo se al contorno non c'è nient'altro.
Ha già chiesto al suo stesso terapeuta?
Cordiali saluti
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#2]
Gentile Utente,
Credo che ci si debba aspettare una modificazione sostanziale della persona. Per questo ci vuole tempo. D'altronde le tematiche in bilico da dover esaminare sono tali che non possono essere esaurite con poco tempo. Occorrerebbe anche sapere la scansione delle sedute: due settimanali o una soltanto?
Se però il suo terapeuta riduce ad aspetti più visibili e più macroscopici i suoi interventi terapeutici, l'esame delle dinamiche può essere condotto in un termine di tempo più breve.
Ma quantificare le sedute non è possibile. Qualche volta ci si trova in presenza di una persona piuttosto aggrovigliata, complessa ed intricata. E allora il tempo ce ne vuole. Se lei ha 30 anni, e si è costruito, diciamo dai sette anni in poi una personalità che adesso risulta come lei in breve descrive, ritengo che di tempo per districare questa matassa ce ne voglia un po' di più di quello che lei presumerebbe di constatare in questi primi sei mesi.
Ma le sedute, ripeto, che scansione hanno?.
Cordiali saluti.
[#4]
Gent.le utente,
una psicoterapia quando è efficace produce un processo di cambiamento se lei sente tale processo non è sostanzialmente iniziato sarebbe opportuno che ne parli con il suo terapeuta.
Cordialmente
una psicoterapia quando è efficace produce un processo di cambiamento se lei sente tale processo non è sostanzialmente iniziato sarebbe opportuno che ne parli con il suo terapeuta.
Cordialmente
Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it
[#5]
Ex utente
Cari Dottori, grazie veramente per l'interessamento.
Rispondo un po' a tutti.
Anzitutto, le sedute sono state sin dall'inizio (e continuano ad essere) a cadenza settimanale. Fin da subito, la dottoressa mi ha detto che la terapia non serve per cambiare ma per "comprendere le dinamiche che reggono il problema, distanziarsi da esse e acquisire libertà di scelta".
Io ho già esposto alla professionista che mi segue le mie perplessità. La terapeuta le ha attribuite al fatto che in terapia si starebbero riproponendo le stesse dinamiche relazionali che caratterizzano il mio vissuto. Concordo con lei, ma mi chiedo: un terapeuta preparato non dovrebbe essere in grado di "aggirare l'ostacolo"?
Anche quando le ho esposto l'insorgenza di un blocco nell'esecuzione dei "compiti", ha liquidato la cosa con un "Se lei è riuscito a metterli in pratica una volta lo può rifare".
C'è inoltre da dire che la cosa non è iniziata ieri, ma và oramai avanti da un po' di mesi... A detta sua staremmo addirittura conducendo un "lavoro egregio". Io sono stato convinto di ciò fino a metà Maggio, poi non più.
Mi rendo conto, purtroppo, che questa persona ha perso buona parte della fiducia che era riuscita a conquistarsi... però prima di abbandonare tutto e cercare altrove vorrei pensarci bene, poichè non mi spiego questa "cadute di stile" a fronte di un'impressione iniziale molto positiva.
Grazie ancora a tutti.
Rispondo un po' a tutti.
Anzitutto, le sedute sono state sin dall'inizio (e continuano ad essere) a cadenza settimanale. Fin da subito, la dottoressa mi ha detto che la terapia non serve per cambiare ma per "comprendere le dinamiche che reggono il problema, distanziarsi da esse e acquisire libertà di scelta".
Io ho già esposto alla professionista che mi segue le mie perplessità. La terapeuta le ha attribuite al fatto che in terapia si starebbero riproponendo le stesse dinamiche relazionali che caratterizzano il mio vissuto. Concordo con lei, ma mi chiedo: un terapeuta preparato non dovrebbe essere in grado di "aggirare l'ostacolo"?
Anche quando le ho esposto l'insorgenza di un blocco nell'esecuzione dei "compiti", ha liquidato la cosa con un "Se lei è riuscito a metterli in pratica una volta lo può rifare".
C'è inoltre da dire che la cosa non è iniziata ieri, ma và oramai avanti da un po' di mesi... A detta sua staremmo addirittura conducendo un "lavoro egregio". Io sono stato convinto di ciò fino a metà Maggio, poi non più.
Mi rendo conto, purtroppo, che questa persona ha perso buona parte della fiducia che era riuscita a conquistarsi... però prima di abbandonare tutto e cercare altrove vorrei pensarci bene, poichè non mi spiego questa "cadute di stile" a fronte di un'impressione iniziale molto positiva.
Grazie ancora a tutti.
[#6]
Come le dicevo, se il problema portato in terapia è poco definito, o sfumato, o poco fastidioso, paradossalmente c'è la possibilità che i risultati si percepiscano con più difficoltà, perché ogni miglioramento è visto sotto una luce più svalutativa: "Tanto, stavo quasi bene anche prima".
Qual è, secondo lei, la causa principale della perdita della fiducia nella sua attuale terapeuta? È più il fatto che secondo la sua valutazione non state procedendo abbastanza in fretta, oppure più la delusione per non essere riuscito a eseguire i compiti assegnati?
Cordiali saluti
Qual è, secondo lei, la causa principale della perdita della fiducia nella sua attuale terapeuta? È più il fatto che secondo la sua valutazione non state procedendo abbastanza in fretta, oppure più la delusione per non essere riuscito a eseguire i compiti assegnati?
Cordiali saluti
[#7]
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile utente,
ha perso fiducia nella terapeuta, nella terapia o nella sua possibilità di guarire?
Può essere che questa sua grande fiducia iniziale seguita dalla sfiducia successiva abbia a che fare con un suo modo di affrontare le cose più che con questa esperienza terapeutica specifica?
Fa bene a pensarci prima di abbandonare la terpaia poiché è sempre una decisione molto importante. Ritengo possibile che la sua attuale terapeuta sarebbe disposta a parlare con lei di questo suo stato d'animo e di queste riflessioni che ci sta portando, in quanto sono aspetti di estremo rilievo per molti percorsi terapeutici.
Saluti
ha perso fiducia nella terapeuta, nella terapia o nella sua possibilità di guarire?
Può essere che questa sua grande fiducia iniziale seguita dalla sfiducia successiva abbia a che fare con un suo modo di affrontare le cose più che con questa esperienza terapeutica specifica?
Fa bene a pensarci prima di abbandonare la terpaia poiché è sempre una decisione molto importante. Ritengo possibile che la sua attuale terapeuta sarebbe disposta a parlare con lei di questo suo stato d'animo e di queste riflessioni che ci sta portando, in quanto sono aspetti di estremo rilievo per molti percorsi terapeutici.
Saluti
[#8]
Ex utente
Dott. Giusti, ho perso fiducia esclusivamente nella persona che mi sta seguendo. Inoltre, dice qualcosa di vero quando ipotizza un riproporsi di un mio abituale modo di affrontare le cose; tuttavia il problema rimane.
Dott. Santonocito, si tratta di una serie di cause, che ora le esporrò in ordine sequenziale (le prime due sono praticamente contemporanee):
1 - Perdita di entusiasmo nello svolgere i compiti assegnati, dovuta a un fallimento.
2 - Constatazione che le sedute non erano più momenti di "scarico" emotivo o di "scoperta" come nei primi mesi (se non molto di rado), ma momenti sempre più percepiti come chiacchierate vaghe. A volte mi sembra di essere ancora più confuso - su di me, sul mio problema e sul mondo - rispetto a quando ho iniziato.
3 - Constatazione che in 6 mesi di terapia non è cambiato gran che nel mio modo di vedere le cose, di vedere me stesso e di "raccontarmi" la vita. La leggera ansia sociale nei posti affollati rimane e continuo imperterrito ad evitare ogni contatto col sesso femminile.
4 - Perplessità sulla professionalità della terapista quando mi ha risposto in quel modo quando le ho esternato il mio blocco con i compiti e, soprattutto, quando - conseguentemente all'epressione di dubbi sull'intero processo - mi è sembrato di cogliere da parte sua un certo risentimento (ad esempio, ha dovuto tirare in ballo la sua bravura, quando io non l'ho mai messa apertamente in discussione).
Devo dire che quest ultimo avvenimento mi ha turbato profondamente. Mi disse: "Se ha la sensazione di star perdendo tempo è libero di cambiare, io non la trattengo". Sono stato attraversato da una spiacevole emozione, mi sono sentito abbandonato, quasi ricattato moralmente; mi è sembrato di leggere questo messaggio: "Queste sono le mie regole, se non ti vanno bene vattene!".
Tutto ciò quando poco tempo prima, a fronte di una mia dichiarazione di stima, lei mi aveva risposto dicendomi che la cosa era reciproca... alla faccia della stima!!
Dott. Santonocito, si tratta di una serie di cause, che ora le esporrò in ordine sequenziale (le prime due sono praticamente contemporanee):
1 - Perdita di entusiasmo nello svolgere i compiti assegnati, dovuta a un fallimento.
2 - Constatazione che le sedute non erano più momenti di "scarico" emotivo o di "scoperta" come nei primi mesi (se non molto di rado), ma momenti sempre più percepiti come chiacchierate vaghe. A volte mi sembra di essere ancora più confuso - su di me, sul mio problema e sul mondo - rispetto a quando ho iniziato.
3 - Constatazione che in 6 mesi di terapia non è cambiato gran che nel mio modo di vedere le cose, di vedere me stesso e di "raccontarmi" la vita. La leggera ansia sociale nei posti affollati rimane e continuo imperterrito ad evitare ogni contatto col sesso femminile.
4 - Perplessità sulla professionalità della terapista quando mi ha risposto in quel modo quando le ho esternato il mio blocco con i compiti e, soprattutto, quando - conseguentemente all'epressione di dubbi sull'intero processo - mi è sembrato di cogliere da parte sua un certo risentimento (ad esempio, ha dovuto tirare in ballo la sua bravura, quando io non l'ho mai messa apertamente in discussione).
Devo dire che quest ultimo avvenimento mi ha turbato profondamente. Mi disse: "Se ha la sensazione di star perdendo tempo è libero di cambiare, io non la trattengo". Sono stato attraversato da una spiacevole emozione, mi sono sentito abbandonato, quasi ricattato moralmente; mi è sembrato di leggere questo messaggio: "Queste sono le mie regole, se non ti vanno bene vattene!".
Tutto ciò quando poco tempo prima, a fronte di una mia dichiarazione di stima, lei mi aveva risposto dicendomi che la cosa era reciproca... alla faccia della stima!!
[#9]
>>> "Se ha la sensazione di star perdendo tempo è libero di cambiare, io non la trattengo"
>>>
Questo è stato un atto di grande onestà da parte della terapeuta, e forse più avanti potrà capirlo. Ma per il momento limitiamoci ad analizzare l'accaduto tenendo conto della sua situazione emotiva attuale.
>>> Sono stato attraversato da una spiacevole emozione, mi sono sentito abbandonato, quasi ricattato moralmente; mi è sembrato di leggere questo messaggio: "Queste sono le mie regole, se non ti vanno bene vattene!"
>>>
Io credo che abbia sentito una cosa leggermente diversa.
Ovvero, credo che abbia sentito che da quel momento in poi la responsabilità di ogni eventuale miglioramento sarebbe ricaduta soprattutto su di lei, non sulla terapeuta. E questo è proprio ciò che lei cerca da sempre di evitare, vero? Evita di esporsi in prima persona, ad esempio nei confronti delle ragazze.
L'aver fallito nell'esecuzione dei compiti è stato da lei interpretato come un fallimento della terapia, perché ha dovuto confrontarsi con la realtà dei fatti: se vuole superare le sue ansie, dev'essere disposto a tollerare delle piccole frustrazioni, ripetutamente, perché solo così riuscirà a farci il "callo".
Per cui, la mia valutazione sulla sua terapia è che è probabilmente corretta, ma dovrebbe parlare del suo senso di frustrazione alla collega, in modo che lei possa eventualmente aggiustare la difficoltà dei compiti, rendendogliela più graduale.
Ma non si aspetti una pillola magica, o qualcosa che solo il terapeuta deve fare, per risolvere la sua ansia, perché le cose non funzionano in questo modo. La terapeuta le indica la strada, ma poi ci deve mettere del suo.
Questo non vuol dire che non potrà ricorrere alla terapeuta per chiarire i suoi dubbi e per riportargli le sue preoccupazioni, significa solo che deve aver chiaro fin dall'inizio come funziona una terapia dell'ansia, in modo da non crearsi aspettative inappropriate.
>>> in 6 mesi di terapia non è cambiato gran che nel mio modo di vedere le cose, di vedere me stesso e di "raccontarmi" la vita.
>>>
Questo potrà avvenire solo DOPO che avrà sperimentato con i compiti, esponendosi alle situazioni ansiogenge volontariamente e ripetutamente, NON prima.
Se ha altre domande, chieda pure.
Cordiali saluti
>>>
Questo è stato un atto di grande onestà da parte della terapeuta, e forse più avanti potrà capirlo. Ma per il momento limitiamoci ad analizzare l'accaduto tenendo conto della sua situazione emotiva attuale.
>>> Sono stato attraversato da una spiacevole emozione, mi sono sentito abbandonato, quasi ricattato moralmente; mi è sembrato di leggere questo messaggio: "Queste sono le mie regole, se non ti vanno bene vattene!"
>>>
Io credo che abbia sentito una cosa leggermente diversa.
Ovvero, credo che abbia sentito che da quel momento in poi la responsabilità di ogni eventuale miglioramento sarebbe ricaduta soprattutto su di lei, non sulla terapeuta. E questo è proprio ciò che lei cerca da sempre di evitare, vero? Evita di esporsi in prima persona, ad esempio nei confronti delle ragazze.
L'aver fallito nell'esecuzione dei compiti è stato da lei interpretato come un fallimento della terapia, perché ha dovuto confrontarsi con la realtà dei fatti: se vuole superare le sue ansie, dev'essere disposto a tollerare delle piccole frustrazioni, ripetutamente, perché solo così riuscirà a farci il "callo".
Per cui, la mia valutazione sulla sua terapia è che è probabilmente corretta, ma dovrebbe parlare del suo senso di frustrazione alla collega, in modo che lei possa eventualmente aggiustare la difficoltà dei compiti, rendendogliela più graduale.
Ma non si aspetti una pillola magica, o qualcosa che solo il terapeuta deve fare, per risolvere la sua ansia, perché le cose non funzionano in questo modo. La terapeuta le indica la strada, ma poi ci deve mettere del suo.
Questo non vuol dire che non potrà ricorrere alla terapeuta per chiarire i suoi dubbi e per riportargli le sue preoccupazioni, significa solo che deve aver chiaro fin dall'inizio come funziona una terapia dell'ansia, in modo da non crearsi aspettative inappropriate.
>>> in 6 mesi di terapia non è cambiato gran che nel mio modo di vedere le cose, di vedere me stesso e di "raccontarmi" la vita.
>>>
Questo potrà avvenire solo DOPO che avrà sperimentato con i compiti, esponendosi alle situazioni ansiogenge volontariamente e ripetutamente, NON prima.
Se ha altre domande, chieda pure.
Cordiali saluti
[#10]
Psicologo, Psicoterapeuta
""Dott. Giusti, ho perso fiducia esclusivamente nella persona che mi sta seguendo. Inoltre, dice qualcosa di vero quando ipotizza un riproporsi di un mio abituale modo di affrontare le cose; tuttavia il problema rimane""
Se questo è un modo abituale di affrontare le cose potrebbe avere un ruolo nel mantenere il problema. Quindi la sua perdita di fiducia potrebbe avere un ruolo nel fare in modo che la sua situazione attuale rimanga così, senza cambiamenti.
Si tratta di una questione di volontà. Volere o non volere affrontare una modalità di comportarsi per fare in modo che i soliti schemi non si ripetano. Questo indipendentemente dal tipo di terapia che sta svolgendo.
Un passo importante, nel corso della terapia, è quello di mettersi in gioco apertamente, trovando un ruolo attivo nel proprio processo di cura.
Ovviamente per fare ciò è indispensabile la fiducia nel terapeuta. Pertanto, dato che lei ha meditato o sta meditando di lasciare questo percorso, sarebbe rilevante che almeno chiarisse a se stesso se questo "abbandono" della terapia non sia una sua modalità di fuga.
Le dico ciò non per trattenerla in terapia, ma per aiutarla a capire che anche nel caso in cui la terapia viene interrotta non è detto che sia un'evento inutile o fallimentare. Saper scegliere chi ci può aiutare è una risorsa, mettere in atto un comportamento di fuga non è altrettanto di aiuto.
Detto ciò, è ovvio che certe riflessioni possono esser fatte anche dopo aver messo in atto la propria decisione
Un Saluto
Se questo è un modo abituale di affrontare le cose potrebbe avere un ruolo nel mantenere il problema. Quindi la sua perdita di fiducia potrebbe avere un ruolo nel fare in modo che la sua situazione attuale rimanga così, senza cambiamenti.
Si tratta di una questione di volontà. Volere o non volere affrontare una modalità di comportarsi per fare in modo che i soliti schemi non si ripetano. Questo indipendentemente dal tipo di terapia che sta svolgendo.
Un passo importante, nel corso della terapia, è quello di mettersi in gioco apertamente, trovando un ruolo attivo nel proprio processo di cura.
Ovviamente per fare ciò è indispensabile la fiducia nel terapeuta. Pertanto, dato che lei ha meditato o sta meditando di lasciare questo percorso, sarebbe rilevante che almeno chiarisse a se stesso se questo "abbandono" della terapia non sia una sua modalità di fuga.
Le dico ciò non per trattenerla in terapia, ma per aiutarla a capire che anche nel caso in cui la terapia viene interrotta non è detto che sia un'evento inutile o fallimentare. Saper scegliere chi ci può aiutare è una risorsa, mettere in atto un comportamento di fuga non è altrettanto di aiuto.
Detto ciò, è ovvio che certe riflessioni possono esser fatte anche dopo aver messo in atto la propria decisione
Un Saluto
[#11]
Ex utente
Cari Dottori,
mi trovo a convenire con entrambi. Dottor Santonocito, credo che abbia colto nel segno.
D'altronde il problema per il quale ho deciso di rivolgermi ad un professionista è proprio questo: non riuscire ad uscire, con le mie forze, da un circolo vizioso.
Sapevo fin dall'inizio che mi sarei dovuto mettere in gioco e sulle prime l'ho anche fatto. Tuttavia, mi aspettavo che la funzione del professionista fosse quella di renderti meno angoscioso il primo passo. Cosa che, nel mio caso, non vedo come venga messa in atto, laddove da mesi la terapeuta continua a ripetermi di "non dimenticarmi l'esercizio", nonostante le abbia esplicitamente riferito che non riesco a metterlo in pratica.
Mi sembra di sentire, ancora, i consigli triti e ritriti (nonchè inutili e demoralizzanti) di alcuni miei amici: "Non essere timido! Avvicinati! Parlaci!"... risultati? Zero, ovviamente.
E le mie perplessità derivano proprio da questo: Ma un terapeuta non dovrebbe fare in modo di rompere un circolo vizioso? Perchè se fossi stato in grado di avvicinarmi alle donne e di mettere in atto un programma d'apprendimento per prove ed errori, non credo che mi sarei rivolto ad uno specialista.
Cercherò di riaffrontare l'argomento in seduta, perchè mi dispiacerebbe interrompere un percorso iniziato sotto i migliori auspici; tuttavia è anche vero che non posso non tenere conto di una vacillante fiducia nel professionista, poichè mi è stato detto che in terapia la relazione è tutto.
Grazie mille.
mi trovo a convenire con entrambi. Dottor Santonocito, credo che abbia colto nel segno.
D'altronde il problema per il quale ho deciso di rivolgermi ad un professionista è proprio questo: non riuscire ad uscire, con le mie forze, da un circolo vizioso.
Sapevo fin dall'inizio che mi sarei dovuto mettere in gioco e sulle prime l'ho anche fatto. Tuttavia, mi aspettavo che la funzione del professionista fosse quella di renderti meno angoscioso il primo passo. Cosa che, nel mio caso, non vedo come venga messa in atto, laddove da mesi la terapeuta continua a ripetermi di "non dimenticarmi l'esercizio", nonostante le abbia esplicitamente riferito che non riesco a metterlo in pratica.
Mi sembra di sentire, ancora, i consigli triti e ritriti (nonchè inutili e demoralizzanti) di alcuni miei amici: "Non essere timido! Avvicinati! Parlaci!"... risultati? Zero, ovviamente.
E le mie perplessità derivano proprio da questo: Ma un terapeuta non dovrebbe fare in modo di rompere un circolo vizioso? Perchè se fossi stato in grado di avvicinarmi alle donne e di mettere in atto un programma d'apprendimento per prove ed errori, non credo che mi sarei rivolto ad uno specialista.
Cercherò di riaffrontare l'argomento in seduta, perchè mi dispiacerebbe interrompere un percorso iniziato sotto i migliori auspici; tuttavia è anche vero che non posso non tenere conto di una vacillante fiducia nel professionista, poichè mi è stato detto che in terapia la relazione è tutto.
Grazie mille.
[#12]
>>> Ma un terapeuta non dovrebbe fare in modo di rompere un circolo vizioso?
>>>
Certo, il compito del terapeuta è proprio questo. Anzi, per essere precisi, il terapeuta induce il paziente a farlo.
Esistono vari tipi di prescrizioni per la paura del rifiuto, come sembra essere la sua, e ogni indirizzo terapeutico ha le sue. Alcune possono sembrare più spaventose, altre meno, alcune si basano sull'avvicinamento diretto, altre sono paradossali e aiutano a superare il problema senza accorgersene, ma è possibile che parlandone con la terapeuta riusciate a mettere a punto un programma che raggiunga lo scopo.
Il primo passo però è parlare apertamente con lei delle sue perplessità. Quando avrà fatto questo, se ancora non riuscirà a eseguire i compiti e se la terapeuta non dovesse riuscire a venirle incontro, allora potrà pensare a cambiare. Ma non prima di aver tentato tutto ciò che è possibile tentare.
Cordiali saluti
>>>
Certo, il compito del terapeuta è proprio questo. Anzi, per essere precisi, il terapeuta induce il paziente a farlo.
Esistono vari tipi di prescrizioni per la paura del rifiuto, come sembra essere la sua, e ogni indirizzo terapeutico ha le sue. Alcune possono sembrare più spaventose, altre meno, alcune si basano sull'avvicinamento diretto, altre sono paradossali e aiutano a superare il problema senza accorgersene, ma è possibile che parlandone con la terapeuta riusciate a mettere a punto un programma che raggiunga lo scopo.
Il primo passo però è parlare apertamente con lei delle sue perplessità. Quando avrà fatto questo, se ancora non riuscirà a eseguire i compiti e se la terapeuta non dovesse riuscire a venirle incontro, allora potrà pensare a cambiare. Ma non prima di aver tentato tutto ciò che è possibile tentare.
Cordiali saluti
Questo consulto ha ricevuto 12 risposte e 2.3k visite dal 01/09/2010.
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