Perversione famigliare

E' ormai parecchio tempo che la convivenza con mio padre è diventata quantomeno difficile.
Ho avuto un'infanzia felice e piena di tutto l'affetto che potessi desiderare; sono sempre stato un ragazzino sveglio, curioso e determinato, molto fiero dei propri ottimi risultati scolastici e soprattutto con una ottima autostima. Mi ricordo ancora chiaramente che quando ero più piccolo ero sempre e comunque pervaso dalla sottile convinzione di saperne di più di chi mi stava attorno. Avevo sempre un orecchio teso per carpire ogni segreto e imparare cose nuove, e questo mi faceva sentire il mondo in mano.
Non davo mai particolari preoccupazioni in famiglia, in questo modo nessuno veniva a "metter becco" nella gestione della mia vita.
Purtroppo da adolescente(15-16 anni) ho cominciato a sviluppare qualche avversione per il sistema scolastico, cosa che ha portato chiaramente qualche problema. Da quel momento i miei genitori, e in particolare mio padre, si sono sentiti in dovere di aiutarmi a risolvere i miei problemi; di conseguenza sono stati introdotti nella mia vita ansie e ulteriori problemi che hanno aggravato una situazione che credo tuttora avrei potuto superare con le mie forze, magari anche maturando, se solo fossi stato libero di gestirla come avessi voluto.
Nel contempo ho cominciato a divenire più critico verso l'operato di mio padre nei miei confronti, e lui, pur trattandosi di critiche comunque positive, è sempre e solo riuscito a sentirsi ferito da tali critiche e a reagire facendo passare me per una persona che non accetta gli altri per quello che sono. Tutto questo solo per aver cercato un confronto.
La sua paura delle mie critiche lo ha spinto in certi momenti a innervosirsi per qualsiasi cosa io dicessi e a rendere così pressochè impossibile il dialogo.
Negli anni dopo, ai problemi con la scuola, si sono aggiunti anche problemi fisici, alcuni probabilmente di natura somatica, che mi hanno finora limitato nel raggiungere l'indipendenza.
Ad oggi, ci portiamo dietro le conseguenze di tutto ciò: io non riesco a non colpevolizzarlo per non essere stato capace di avere un dialogo e avermi accusato di non accettare gli altri(detto da lui che non è capace di affrontare una discussione), e lui con questo continuo senso di inadeguatezza che lo porta a timori nel rapportarsi con me e ad esternazioni di negatività.
Forse, e me ne rendo conto recentemente, mi ha dato anche fastidio essere così direttamente responsabile dei sentimenti di un'altra persona.
Fatto sta che soffro la sua presenza a livello fisico(mal di stomaco, mal di schiena, mal di testa) perchè per me lui rappresenta i problemi, e in sua assenza la mia mente è più lucida e pronta ad affrontare la vita.
Ora sono in recupero post-operatorio da una vitrectomia(seconda in sei mesi), e se tutto va bene a breve vorrei poter accantonare un periodo di numerosi disagi di ogni genere(ho anche una fastidiosissima infiammazione osteo-tendinea inguinale) e vivere la mia vita al meglio.
[#1]
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220
Gentile ragazzo ha ben espresso la situazione , spesso, queste dinamiche distorte, sono l'espressione di una inadeguata comunicazione la quale è, il più delle volte, castrata da una serie di difese e/o paure che non permettono alcun confronto facendo degenerare la relazione. A volte una soluzione la si trova attraverso la figura di un esperto in grado di moderare tale confronto, di filtrare o favorire questa comunicazione e rendere più accettabile e sereno il contesto.
l'idea di una mediazione attraverso un terapeuta non dovrebbe essere scartata.
saluti

Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks

[#2]
Attivo dal 2009 al 2017
Ex utente
Dottore, secondo lei che tipo di atteggiamento dovrei tenere per riuscire ad essere influenzato il meno possibile dalla presenza di mio padre?
Distacco, ostentata schiettezza o rassicurazione nei suoi confronti? Oppure essere il più possibile neutro, vale a dire tentare di comportarsi "normalmente" come se niente fosse?
E poi come dovrei pormi di fronte alla "responsabilità" che inevitabilmente ho verso il suo stato d'animo? E' un onere o un onore?
Forse io stesso dovrei avere un umore meno dipendente dal suo?
[#3]
Dr. Armando De Vincentiis Psicologo, Psicoterapeuta 7.2k 220
ecco, questi sono i quesiti da riportare allo specialista, perchè solo conoscendo la sua storia e magari ance suo padre potrà dare le migliori indicazioni.
saluti