Il mestiere di psicoterapeuta: dubbi e timori.
Gentili Dottori,
non è mia intenzione richiedere un consulto circa la mia salute personale, ma solamente confrontarmi con Voi in vista di un'importante decisione che riguarda il mio futuro umano e professionale. Chiarito questo, quindi, mi scuso anticipatamente nel caso la mia richiesta dovesse uscire dalle linee guida del sito.
Sono un ragazzo di 23 anni da poco compiuti e a breve conseguirò la laurea di primo livello in una materia umanistica.
Ciò che studio mi piace abbastanza, ma sento che manca quella cosa che viene comunemente definita come "passione".
La scelta di questo corso, in effetti, fu un "ripiego", in quanto varie persone e situazioni mi scoraggiarono, all'epoca del liceo, ad intraprendere lo studio di ciò che fin da adolescente mi appassionava tanto: la psicologia.
A farmi desistere - sono sincero - non furono solamente le notizie poco confortanti riguardo le future possibilità d'impiego, ma anche un mio personale timore circa una professione così delicata e - credo - molto impegnativa sotto il punto di vista emotivo.
Buona parte di questi timori provenivano dal fatto che mi sono sempre ritenuto una persona tanto profonda ed empatica quanto sensibile ed impressionabile.
Sono un introverso, caratterizzato da una forte attitudine alla riflessione e all'intuizione; tutte caratteristiche che, penso, possano rivelarsi molto utili per un aspirante psicoterapeuta.
Tuttavia, pensavo: "e se non fossi in grado di sopportare la sofferenza altrui?". Insomma, non volevo rischiare di intraprendere un mestiere che mi avrebbe fatto star male.
Così, a scanso di problemi, "tagliai la testa al toro" e optai per studi che mi potessero aprire vie lavorative più "tranquille".
In questi anni, però, il mio interesse per la psicologia non è scemato, ma è anzi andato aumentando grazie a letture coltivate autonomamente e, più di recente, all'aver intrapreso un percorso di psicoterapia per risolvere alcuni problemi di tipo relazionale (legati, in parte, proprio alla mia natura introversa).
Sperimentare il rapporto profondo che si stabilisce con il terapeuta e avere la possibilità di vederlo lavorare "dal vivo" (per giunta su di me!) mi hanno fatto capire che, forse, è proprio quello il mestiere che mi piacerebbe fare.
E' come se sentissi qualcosa di molto simile ad una "vocazione" insomma, come se percepissi di poter dare molto in quel campo.
In vita mia mi sono sovente fidato delle "vibrazioni" che percepivo e molto spesso ho fatto bene. Non vorrei non "prestare orecchio" proprio questa volta, col rischio di trovarmi magari, un giorno, a dire: "se avessi assecondato la mia passione.."
La parola và ora a voi, carissimi Dottori: com'è il mestiere che avete scelto di fare? Come si fà a "reggere" carichi emotivi ingenti e ad ascoltare storie personali alle volte molto brutte? E soprattutto... basta la passione?
Grazie mille :)
non è mia intenzione richiedere un consulto circa la mia salute personale, ma solamente confrontarmi con Voi in vista di un'importante decisione che riguarda il mio futuro umano e professionale. Chiarito questo, quindi, mi scuso anticipatamente nel caso la mia richiesta dovesse uscire dalle linee guida del sito.
Sono un ragazzo di 23 anni da poco compiuti e a breve conseguirò la laurea di primo livello in una materia umanistica.
Ciò che studio mi piace abbastanza, ma sento che manca quella cosa che viene comunemente definita come "passione".
La scelta di questo corso, in effetti, fu un "ripiego", in quanto varie persone e situazioni mi scoraggiarono, all'epoca del liceo, ad intraprendere lo studio di ciò che fin da adolescente mi appassionava tanto: la psicologia.
A farmi desistere - sono sincero - non furono solamente le notizie poco confortanti riguardo le future possibilità d'impiego, ma anche un mio personale timore circa una professione così delicata e - credo - molto impegnativa sotto il punto di vista emotivo.
Buona parte di questi timori provenivano dal fatto che mi sono sempre ritenuto una persona tanto profonda ed empatica quanto sensibile ed impressionabile.
Sono un introverso, caratterizzato da una forte attitudine alla riflessione e all'intuizione; tutte caratteristiche che, penso, possano rivelarsi molto utili per un aspirante psicoterapeuta.
Tuttavia, pensavo: "e se non fossi in grado di sopportare la sofferenza altrui?". Insomma, non volevo rischiare di intraprendere un mestiere che mi avrebbe fatto star male.
Così, a scanso di problemi, "tagliai la testa al toro" e optai per studi che mi potessero aprire vie lavorative più "tranquille".
In questi anni, però, il mio interesse per la psicologia non è scemato, ma è anzi andato aumentando grazie a letture coltivate autonomamente e, più di recente, all'aver intrapreso un percorso di psicoterapia per risolvere alcuni problemi di tipo relazionale (legati, in parte, proprio alla mia natura introversa).
Sperimentare il rapporto profondo che si stabilisce con il terapeuta e avere la possibilità di vederlo lavorare "dal vivo" (per giunta su di me!) mi hanno fatto capire che, forse, è proprio quello il mestiere che mi piacerebbe fare.
E' come se sentissi qualcosa di molto simile ad una "vocazione" insomma, come se percepissi di poter dare molto in quel campo.
In vita mia mi sono sovente fidato delle "vibrazioni" che percepivo e molto spesso ho fatto bene. Non vorrei non "prestare orecchio" proprio questa volta, col rischio di trovarmi magari, un giorno, a dire: "se avessi assecondato la mia passione.."
La parola và ora a voi, carissimi Dottori: com'è il mestiere che avete scelto di fare? Come si fà a "reggere" carichi emotivi ingenti e ad ascoltare storie personali alle volte molto brutte? E soprattutto... basta la passione?
Grazie mille :)
[#1]
Gentile Utente,
la Sua domanda appare interessante, ma non credo che questo sia il posto giusto per trovare la risposta.
Mentre invece credo che una delle persone che potrebbe aiutarla in modo significativo potrebbe essere proprio lo psicoterapeuta con cui ha fatto terapia: questo professionista infatti conosce molto bene la Sua storia e soprattutto il Suo profilo emotivo, potrebbe quindi orientarla meglio di quanto potremmo fare noi da questa posizione virtuale.
Al Suo terapeuta potrebbe inoltre porre moltissime domande relative anche ad aspetti concreti di questo lavoro, alle difficoltà, ai tempi, ecc.
Ma magari avete già affrontato questo discorso in passato...
Un altro motivo per cui non credo sia possibile darle una risposta da qui è che ognuno di noi professionisti ha il proprio modo di "vivere" il mestiere di psicoterapeuta: non esiste una "linea" comune perchè non esiste un'esperienza singola e condivisibile.
Per cui dovremmo raccontarle, tediando Lei e tutta l'Utenza, tutta una serie di vissuti, di risvolti emotivi e di difficoltà che ognuno di noi ha incontrato nella propria esistenza professionale.
Ripeto: ne parli tranquillamente con il Suo terapeuta.
la Sua domanda appare interessante, ma non credo che questo sia il posto giusto per trovare la risposta.
Mentre invece credo che una delle persone che potrebbe aiutarla in modo significativo potrebbe essere proprio lo psicoterapeuta con cui ha fatto terapia: questo professionista infatti conosce molto bene la Sua storia e soprattutto il Suo profilo emotivo, potrebbe quindi orientarla meglio di quanto potremmo fare noi da questa posizione virtuale.
Al Suo terapeuta potrebbe inoltre porre moltissime domande relative anche ad aspetti concreti di questo lavoro, alle difficoltà, ai tempi, ecc.
Ma magari avete già affrontato questo discorso in passato...
Un altro motivo per cui non credo sia possibile darle una risposta da qui è che ognuno di noi professionisti ha il proprio modo di "vivere" il mestiere di psicoterapeuta: non esiste una "linea" comune perchè non esiste un'esperienza singola e condivisibile.
Per cui dovremmo raccontarle, tediando Lei e tutta l'Utenza, tutta una serie di vissuti, di risvolti emotivi e di difficoltà che ognuno di noi ha incontrato nella propria esistenza professionale.
Ripeto: ne parli tranquillamente con il Suo terapeuta.
[#2]
Gentile ragazzo, la tua domanda forse nasce dall'entusiasmo per i risultati che stai ottenendo dalla terapia recentemente iniziata. Diversamente, ovvero se non ne stessi ottenendo risultati positivi, non credo ti sarebbe venuta voglia di fare questo mestiere! Mi sbaglio?
Tieni presente che anche a 23 anni può non essere immediato sapere esattamente ciò che si vuole fare. Hai ancora ampio margine di tempo per aggiustare il tiro o cambiare idea. Ma se la passione per la psicologia ce l'hai da tanto tempo, allora forse c'è qualche possibilità che tu sia tagliato.
La passione è una condizione indispensabile per svolgere con successo qualunque professione, e il nostro caso non fa eccezione. E se si è capaci in ciò che si fa, le difficoltà si riesce a superarle.
Lo stress derivante dallo svolgere questo mestiere varia molto a seconda del tipo di formazione che si riceve. Alcuni arrivano alla sera emotivamente esausti dopo aver visto pochi pazienti, altri sono solo un po' stanchi mentalmente dopo averne visti una ventina. C'è molta variabilità.
Intanto ti suggerisco di portare fino in fondo le due cose importanti che stai facendo, ovvero la tua laurea e il tuo percorso terapeutico. Se davvero la passione ce l'hai, non sparirà e durerà anche dopo.
Cordiali saluti
Tieni presente che anche a 23 anni può non essere immediato sapere esattamente ciò che si vuole fare. Hai ancora ampio margine di tempo per aggiustare il tiro o cambiare idea. Ma se la passione per la psicologia ce l'hai da tanto tempo, allora forse c'è qualche possibilità che tu sia tagliato.
La passione è una condizione indispensabile per svolgere con successo qualunque professione, e il nostro caso non fa eccezione. E se si è capaci in ciò che si fa, le difficoltà si riesce a superarle.
Lo stress derivante dallo svolgere questo mestiere varia molto a seconda del tipo di formazione che si riceve. Alcuni arrivano alla sera emotivamente esausti dopo aver visto pochi pazienti, altri sono solo un po' stanchi mentalmente dopo averne visti una ventina. C'è molta variabilità.
Intanto ti suggerisco di portare fino in fondo le due cose importanti che stai facendo, ovvero la tua laurea e il tuo percorso terapeutico. Se davvero la passione ce l'hai, non sparirà e durerà anche dopo.
Cordiali saluti
[#3]
Ex utente
Gentilissimi Dottori,
vedo, con piacere, che l'argomento vi ha entusiasmato e vi ringrazio delle risposte fornitemi, chiare ed esaurienti.
Grazie mille Dottor Bulla, credo anche io che parlarne con il mio terapeuta rappresenti la strada giusta da imboccare. Tuttavia, per natura, sono solito orientarmi sentendo più pareri (paradossalmente, anche chi non ti conosce per niente può dirti qualcosa di significativo!) ed è per questo che ho deciso di sottoporre la cosa alla vostra cortese attenzione.
Dottor Santonocito, non sbaglia affatto quando parla della relazione fra velleità professionali future e successo del mio personale percorso terapeutico. :)
Effettivamente, la terapia mi sta "aprendo un mondo"... mi sembra di rinascere!
Queste "lenti nuove" con le quali guardo la mia vita, mi stanno infatti portando a rileggere tutta la mia storia personale ed è proprio per questo che sto riconsiderando una scelta che in passato accettai di accantonare.
Sicuramente il suo consiglio è validissimo: terminare gli studi che ho scelto (cosa che farò quest'estate) e, soprattutto, portare - come dice lei - "fino in fondo" il percorso di crescita personale che ho intrapreso.
E' vero: il margine di tempo a mia disposizione è ancora ampio; tuttavia non è enorme, considerando che non ho più 18 anni... inoltre, sapete meglio di me che l'iter per diventare psicoterapeuti è molto lungo.
Nel frattempo, come posso approfondire il mio interesse per verificarne la "solidità" e capire se questa strada possa fare o meno per me? Qualche riferimento bibliografico? Sbirciare lezioni all'università?
Grazie ancora per l'attenzione.
vedo, con piacere, che l'argomento vi ha entusiasmato e vi ringrazio delle risposte fornitemi, chiare ed esaurienti.
Grazie mille Dottor Bulla, credo anche io che parlarne con il mio terapeuta rappresenti la strada giusta da imboccare. Tuttavia, per natura, sono solito orientarmi sentendo più pareri (paradossalmente, anche chi non ti conosce per niente può dirti qualcosa di significativo!) ed è per questo che ho deciso di sottoporre la cosa alla vostra cortese attenzione.
Dottor Santonocito, non sbaglia affatto quando parla della relazione fra velleità professionali future e successo del mio personale percorso terapeutico. :)
Effettivamente, la terapia mi sta "aprendo un mondo"... mi sembra di rinascere!
Queste "lenti nuove" con le quali guardo la mia vita, mi stanno infatti portando a rileggere tutta la mia storia personale ed è proprio per questo che sto riconsiderando una scelta che in passato accettai di accantonare.
Sicuramente il suo consiglio è validissimo: terminare gli studi che ho scelto (cosa che farò quest'estate) e, soprattutto, portare - come dice lei - "fino in fondo" il percorso di crescita personale che ho intrapreso.
E' vero: il margine di tempo a mia disposizione è ancora ampio; tuttavia non è enorme, considerando che non ho più 18 anni... inoltre, sapete meglio di me che l'iter per diventare psicoterapeuti è molto lungo.
Nel frattempo, come posso approfondire il mio interesse per verificarne la "solidità" e capire se questa strada possa fare o meno per me? Qualche riferimento bibliografico? Sbirciare lezioni all'università?
Grazie ancora per l'attenzione.
[#4]
Un'idea potrebbe essere partecipare agli open day che le scuole di specializzazione in psicoterapia organizzano un paio di volte l'anno, per spiegare il funzionamento dei loro corsi e delle loro attività.
Questo potrebbe darle un'idea più vicina di cosa consista il lavoro del terapeuta. Ovviamente prima della specializzazione ci sono da fare 5 anni (almeno) di università più 1 anno di tirocinio, più l'esame di Stato.
Quindi il cammino è davvero lungo.
Ad ogni modo in cosa consista una terapia lo sta già vivendo in prima persona, come paziente.
Cordiali saluti
Questo potrebbe darle un'idea più vicina di cosa consista il lavoro del terapeuta. Ovviamente prima della specializzazione ci sono da fare 5 anni (almeno) di università più 1 anno di tirocinio, più l'esame di Stato.
Quindi il cammino è davvero lungo.
Ad ogni modo in cosa consista una terapia lo sta già vivendo in prima persona, come paziente.
Cordiali saluti
[#6]
Gentile aspirante psi...
Naturalmente, leggendo i Suoi pensieri, mi sono ritrovato inevitabilmente a regredire di diversi decenni per recuperare il ricordo di come ci si sente a vent'anni o poco più per una sorta di bilancio con i tempi attuali.
La riflessione mai estinta "..Se tornassi indietro.." é un denominatore comune per tutti coloro che alla luce dell'esperienza cercano attraverso la fantasia di colmare il divario con la realtà, non sempre soddisfacente.
Premesso che ognuno dovrà percorrere con le proprie scelte, ove possibile, il tragitto dell'esistenza, questo non significa che in questo progetto non possano rientrare alcuni aspetti delle esperienze di chi ci ha preceduto.
Non sto parlando di eventuali "consigli" che molti si affannano a prodigare a chiunque nella convinzione errata che possono solo fare del bene a chi li riceve. Mi riferisco invece alla necessità di riuscire a trovare quelle persone speciali che nell'arco della vita abbiamo l'opportunità di incontrare.
In pratica, soprattutto per una persona come Lei che aspira a diventare un capace psicoterapeuta, se non ho capito male il Suo pensiero, questa possibilità potrà realizzarsi unicamente dalla Sua volontà di forzare il fisiologico processo che regola la legge degli accadimenti.
Questo perchè nessuno potrà aiutare nessuno nel tentativo di raggiungere significativi livelli di maturità e salute mentale se lo Psico...sia portatore di qualche condizione mentale, diciamo, non ottimale.
Un percorso impegnativo all'insegna di una vera formazione culturale specifica senza la quale poco si può fare. Ma, come Le dicevo, molto più importante, la ricerca di colui o coloro che attraverso la relazione terapeutica Le consentiranno di liberarsi da quegli aspetti conflittuali inconsci che se non superati ben difficilmente riuscirà a colmare il divario tra sogno e realtà.
Vedo che in tal senso Lei si sta orientando dal momento che frequenta uno Psicoterapeuta. Si ricordi che anche tra gli insospettabili possono nascondersi individui che possono offrirle ben che vada, solo la loro presunzione.
Confidando di esserLe stato di aiuto, nell'augurarLe buon lavoro su di sè e di non disdegnare di bussare ad altre porte,
Le invio i più cordiali saluti.
[#7]
Ex utente
Gentile Dottor Murgolo,
La ringrazio vivamente per il suo parere.
Non mi è però totalmente chiaro un passaggio del Suo ragionamento:
"..questa possibilità potrà realizzarsi unicamente dalla Sua volontà di forzare il fisiologico processo che regola la legge degli accadimenti.
Questo perchè nessuno potrà aiutare nessuno nel tentativo di raggiungere significativi livelli di maturità e salute mentale se lo Psico...sia portatore di qualche condizione mentale, diciamo, non ottimale."
Mi sta dicendo che non devo aspettarmi dei "chiarimenti" da parte del professionista che mi sta seguendo? Che - insomma - se finirò per intraprendere la carriera di psicoterapeuta non sarà di certo perchè qualcuno mi ha dato "l'autorizzazione a procedere"?
Inoltre, quando parla del contrasto tra realtà e fantasia (con relativi rimpianti), intende forse comunicarmi che questo mio ripensare ad una possibilità in passato accantonata faccia parte di quei problemi che sarei chiamato a risolvere prima di poter aspirare a diventare psicoterapeuta? In soldoni: Lei crede che questa mia volontà nasconda delle problematiche sottostanti?
E ancora: Lei parla di "aspetti conflittuali inconsci" e della necessità di superarli. Mi sta suggerendo di intraprendere un percorso di analisi?
Mi rendo conto che qui si entra in argomento delicato, cioè quello rappresentato dall'eterna "battaglia" fra gli approcci dinamici e quelli più recenti; tuttavia la cosa è interessante, poichè agli occhi del profano questo "agone teorico" che infuria nel mondo della psicologia appare spesso disorientante e, purtoppo, delegittimante nei confronti della stessa materia.
Fà bene a mettermi in guardia dagli insospettabili venditori di presunzione, tuttavia non mi sembra che il mio terapeuta rientri in questa deprecabile categoria.
Infine: credo che quel "Bussare ad altre porte" vada interpretato come un consiglio a sperimentare più approcci diversi. O sbaglio?
Nel caso non mi sbagliassi, è veramente possibile farlo?
Ancora grazie.
La ringrazio vivamente per il suo parere.
Non mi è però totalmente chiaro un passaggio del Suo ragionamento:
"..questa possibilità potrà realizzarsi unicamente dalla Sua volontà di forzare il fisiologico processo che regola la legge degli accadimenti.
Questo perchè nessuno potrà aiutare nessuno nel tentativo di raggiungere significativi livelli di maturità e salute mentale se lo Psico...sia portatore di qualche condizione mentale, diciamo, non ottimale."
Mi sta dicendo che non devo aspettarmi dei "chiarimenti" da parte del professionista che mi sta seguendo? Che - insomma - se finirò per intraprendere la carriera di psicoterapeuta non sarà di certo perchè qualcuno mi ha dato "l'autorizzazione a procedere"?
Inoltre, quando parla del contrasto tra realtà e fantasia (con relativi rimpianti), intende forse comunicarmi che questo mio ripensare ad una possibilità in passato accantonata faccia parte di quei problemi che sarei chiamato a risolvere prima di poter aspirare a diventare psicoterapeuta? In soldoni: Lei crede che questa mia volontà nasconda delle problematiche sottostanti?
E ancora: Lei parla di "aspetti conflittuali inconsci" e della necessità di superarli. Mi sta suggerendo di intraprendere un percorso di analisi?
Mi rendo conto che qui si entra in argomento delicato, cioè quello rappresentato dall'eterna "battaglia" fra gli approcci dinamici e quelli più recenti; tuttavia la cosa è interessante, poichè agli occhi del profano questo "agone teorico" che infuria nel mondo della psicologia appare spesso disorientante e, purtoppo, delegittimante nei confronti della stessa materia.
Fà bene a mettermi in guardia dagli insospettabili venditori di presunzione, tuttavia non mi sembra che il mio terapeuta rientri in questa deprecabile categoria.
Infine: credo che quel "Bussare ad altre porte" vada interpretato come un consiglio a sperimentare più approcci diversi. O sbaglio?
Nel caso non mi sbagliassi, è veramente possibile farlo?
Ancora grazie.
[#8]
Gentilissimo,
Vediamo se con altre parole riesco a comunicarLe il mio pensiero
"..questa possibilità potrà realizzarsi unicamente dalla Sua volontà di forzare il fisiologico processo che regola la legge degli accadimenti…”.
Mi riferisco alla scarsa probabilità di incontrare una persona speciale aspettando che Le suoni il campanello di casa. Altra cosa se Lei si impegna con decisione nella ricerca della medesima.
Vorrei aggiungere, nel caso mi chiedesse come fare a riconoscere questa persona speciale, che quando la incontrerà la riconoscerà.
Un avvenimento questo che potrebbe fare la differenza nella costruzione di quelle qualità senza le quali la distanza tra fantasia e realtà rimarrebbe abissale, una situazione insostenibile per un terapeuta responsabile.
Per il resto, io posso solo indicarLe le coordinate generali che si riferiscono alla scelta di una professione non poco impegnativa come quella dello Psicoterapeuta, mentre quelle particolari dovrà deciderle Lei.
Per quanto riguarda ciò che Lei definisce un “argomento delicato” riferendosi “all’eterna battaglia” tra approcci dinamici e non, ritengo che questo sia un problema esistente prevalentemente in coloro che hanno sposato senza riserve una unica impostazione teorica con il risultato di parlare per slogan creando non poca confusione sull’argomento. La moderna concezione della psicoterapia si muove in area eclettica, dove il terapeuta strategico
Si avvale di modalità diverse tra loro ma non in contraddizione.
Ribadisco la mia segnalazione sul non abbassare la guardia dal momento che i ciarlatani non mancano, con conseguenze immaginabili. Parimenti mi sentirei di sottolineare l'importanza di non generalizzare. E' vero che al mondo non mancano personaggi dallo spessore discutibile, come é altrettanto vero che non mancano le brave persone, in tutti i sensi, che lavorano in silenzio per il bene della collettività.
Infine, per quanto riguarda il Suo quesito sulla opportunità di utilizzare e sperimentare approcci diversi, non solo è possibile ma altamente augurabile. Provi a coinvolgere il Suo Psicoterapeuta su questo tema, potrebbe ricavarne qualcosa di molto utile per Lei.
Sempre a disposizione, Le invio i più cordiali saluti
Vediamo se con altre parole riesco a comunicarLe il mio pensiero
"..questa possibilità potrà realizzarsi unicamente dalla Sua volontà di forzare il fisiologico processo che regola la legge degli accadimenti…”.
Mi riferisco alla scarsa probabilità di incontrare una persona speciale aspettando che Le suoni il campanello di casa. Altra cosa se Lei si impegna con decisione nella ricerca della medesima.
Vorrei aggiungere, nel caso mi chiedesse come fare a riconoscere questa persona speciale, che quando la incontrerà la riconoscerà.
Un avvenimento questo che potrebbe fare la differenza nella costruzione di quelle qualità senza le quali la distanza tra fantasia e realtà rimarrebbe abissale, una situazione insostenibile per un terapeuta responsabile.
Per il resto, io posso solo indicarLe le coordinate generali che si riferiscono alla scelta di una professione non poco impegnativa come quella dello Psicoterapeuta, mentre quelle particolari dovrà deciderle Lei.
Per quanto riguarda ciò che Lei definisce un “argomento delicato” riferendosi “all’eterna battaglia” tra approcci dinamici e non, ritengo che questo sia un problema esistente prevalentemente in coloro che hanno sposato senza riserve una unica impostazione teorica con il risultato di parlare per slogan creando non poca confusione sull’argomento. La moderna concezione della psicoterapia si muove in area eclettica, dove il terapeuta strategico
Si avvale di modalità diverse tra loro ma non in contraddizione.
Ribadisco la mia segnalazione sul non abbassare la guardia dal momento che i ciarlatani non mancano, con conseguenze immaginabili. Parimenti mi sentirei di sottolineare l'importanza di non generalizzare. E' vero che al mondo non mancano personaggi dallo spessore discutibile, come é altrettanto vero che non mancano le brave persone, in tutti i sensi, che lavorano in silenzio per il bene della collettività.
Infine, per quanto riguarda il Suo quesito sulla opportunità di utilizzare e sperimentare approcci diversi, non solo è possibile ma altamente augurabile. Provi a coinvolgere il Suo Psicoterapeuta su questo tema, potrebbe ricavarne qualcosa di molto utile per Lei.
Sempre a disposizione, Le invio i più cordiali saluti
[#9]
Ex utente
Gentile Dottore,
trovo le sue risposte molto stimolanti e La ringrazio nuovamente.
Dunque: assodato che questa "persona speciale" di cui Lei parla è il terapeuta che dovrebbe accompagnarmi nella costruzione di una - diciamo - personalità completa, equilibrata e quindi "adatta" a svolgere responsabilmente un mestiere così delicato, mi sembra di percepire nelle sue parole l'intenzione (legittima) di spingermi a mettere in atto un'operazione di ricerca.
Attualmente vengo seguito da un terapeuta cognitivo-comportamentale ad orientamento costruttivista post-razionalista, ramo sul quale ho avuto anche la possibilità di documentarmi.
Il nominativo del professionista in questione l'ho reperito sul sito internet di un'importante associazione nazionale di terapisti cognitivo-comportamentali, presso la quale questo signore ricopre anche una carica abbastanza importante.
Tralasciando le credenziali "sulla carta" (che nella realtà hanno un'importanza relativa), devo dire che il terapista è riuscito anche, fin'ora, a dimostrare effettivamente la sua competenza e la sua professionalità.
Inoltre, il nostro incontro è stato particolare: facendo un simpatico parallelismo amoroso, direi che da parte mia c'è stato un "colpo di fulmine", per come questa persona sia riuscita a "capirmi" e colpirmi emotivamente fin da subito (contrariamente ad altri 3 professionisti sentiti in precedenza).
Insomma, non saprei dirle se ciò possa bastare a definire questo terapista una persona "speciale" nell'accezione da lei utilizzata, ma posso senz'altro tranquillizzarla sul fatto che non mi sono messo nelle mani di un ciarlatano.
Certo, sulla legittimità o meno di un certo orientamento, ognuno dice la sua.. personalmente mi sono indirizzato su questo tipo di approccio per una serie di motivi personali e non di certo per repulsione verso l'analisi o altre forme "tradizionali" di terapia. D'altronde, come dice il mio terapeuta, i vari orientamenti non sono altro che delle teorie, dei modi diversi di "leggere" le cose... insomma, non c'è UNA sola verità.
Per adesso ne sto sperimentando l'efficacia sulla mia pelle e tanto mi basta, se poi in futuro deciderò di approfondire le cose in vista di una carriera professionale, non esiterò a "spaziare".
A proposito: qualche tempo fa, in un forum su internet, lessi il parere di una terapista junghiana, la quale asseriva che in verità i pazienti che hanno seguito una terapia cognitiva sono poi il più delle volte "refrattari" ad un approccio dinamico e viceversa. Lei mi dice l'esatto contrario... la cosa è curiosa.
Come mai secondo lei è "altamente augurabile"? Per una questione di "apertura mentale" in vista di una possibile carriera professionale, o per "studiarsi" a fondo da vari punti di vista?
trovo le sue risposte molto stimolanti e La ringrazio nuovamente.
Dunque: assodato che questa "persona speciale" di cui Lei parla è il terapeuta che dovrebbe accompagnarmi nella costruzione di una - diciamo - personalità completa, equilibrata e quindi "adatta" a svolgere responsabilmente un mestiere così delicato, mi sembra di percepire nelle sue parole l'intenzione (legittima) di spingermi a mettere in atto un'operazione di ricerca.
Attualmente vengo seguito da un terapeuta cognitivo-comportamentale ad orientamento costruttivista post-razionalista, ramo sul quale ho avuto anche la possibilità di documentarmi.
Il nominativo del professionista in questione l'ho reperito sul sito internet di un'importante associazione nazionale di terapisti cognitivo-comportamentali, presso la quale questo signore ricopre anche una carica abbastanza importante.
Tralasciando le credenziali "sulla carta" (che nella realtà hanno un'importanza relativa), devo dire che il terapista è riuscito anche, fin'ora, a dimostrare effettivamente la sua competenza e la sua professionalità.
Inoltre, il nostro incontro è stato particolare: facendo un simpatico parallelismo amoroso, direi che da parte mia c'è stato un "colpo di fulmine", per come questa persona sia riuscita a "capirmi" e colpirmi emotivamente fin da subito (contrariamente ad altri 3 professionisti sentiti in precedenza).
Insomma, non saprei dirle se ciò possa bastare a definire questo terapista una persona "speciale" nell'accezione da lei utilizzata, ma posso senz'altro tranquillizzarla sul fatto che non mi sono messo nelle mani di un ciarlatano.
Certo, sulla legittimità o meno di un certo orientamento, ognuno dice la sua.. personalmente mi sono indirizzato su questo tipo di approccio per una serie di motivi personali e non di certo per repulsione verso l'analisi o altre forme "tradizionali" di terapia. D'altronde, come dice il mio terapeuta, i vari orientamenti non sono altro che delle teorie, dei modi diversi di "leggere" le cose... insomma, non c'è UNA sola verità.
Per adesso ne sto sperimentando l'efficacia sulla mia pelle e tanto mi basta, se poi in futuro deciderò di approfondire le cose in vista di una carriera professionale, non esiterò a "spaziare".
A proposito: qualche tempo fa, in un forum su internet, lessi il parere di una terapista junghiana, la quale asseriva che in verità i pazienti che hanno seguito una terapia cognitiva sono poi il più delle volte "refrattari" ad un approccio dinamico e viceversa. Lei mi dice l'esatto contrario... la cosa è curiosa.
Come mai secondo lei è "altamente augurabile"? Per una questione di "apertura mentale" in vista di una possibile carriera professionale, o per "studiarsi" a fondo da vari punti di vista?
[#10]
Gentilissimo,
una cosa non esclude l'altra, perchè anche se non sempre le strade portano tutte a Roma, certamente portano a Frosinone.
L'opinione da Lei riportata dove ipotizza una diversità di pensiero tra il sottoscritto e l'analista junghiana, andrebbe chiarita anche se rischia di sollevare un polverone:
[1] Un medico può prescrivere una aspirina, ma un farmacista non può prescrivere un antibiotico. Non poche modalità a derivazione cognitivo-comportamentale possono tranquillamente essere inserite nel repertorio dinamico. Non viceversa. Freud stesso concluse positivamente qualche caso in una sola seduta e per di più fuori dal suo Studio.
[2] Ribadisco l'utilità di una formazione eclettica. Un approccio moderno che nelle mani di uno psicoterapeuta strategico, Caposcuola Milton Erichson, può fare la differenza in casi complessi.
Detto questo, nel percorso della vita non solo professionale, scoprirà che non é la tecnica che guarisce, ma la persona che la applica. Una questione che può essere condivisa solo da chi, libero dall'ipocrisia, preferisce pensare con la propria testa piuttosto che ripetere. Da questo punto di vista, confidando di non essere da Lei frainteso, La promuovo a pieni voti, anche se per il momento solo "Honoris Causa"
Cordialità.
una cosa non esclude l'altra, perchè anche se non sempre le strade portano tutte a Roma, certamente portano a Frosinone.
L'opinione da Lei riportata dove ipotizza una diversità di pensiero tra il sottoscritto e l'analista junghiana, andrebbe chiarita anche se rischia di sollevare un polverone:
[1] Un medico può prescrivere una aspirina, ma un farmacista non può prescrivere un antibiotico. Non poche modalità a derivazione cognitivo-comportamentale possono tranquillamente essere inserite nel repertorio dinamico. Non viceversa. Freud stesso concluse positivamente qualche caso in una sola seduta e per di più fuori dal suo Studio.
[2] Ribadisco l'utilità di una formazione eclettica. Un approccio moderno che nelle mani di uno psicoterapeuta strategico, Caposcuola Milton Erichson, può fare la differenza in casi complessi.
Detto questo, nel percorso della vita non solo professionale, scoprirà che non é la tecnica che guarisce, ma la persona che la applica. Una questione che può essere condivisa solo da chi, libero dall'ipocrisia, preferisce pensare con la propria testa piuttosto che ripetere. Da questo punto di vista, confidando di non essere da Lei frainteso, La promuovo a pieni voti, anche se per il momento solo "Honoris Causa"
Cordialità.
[#11]
Ex utente
Gentile Dottor Murgolo,
Ha detto una cosa della quale sono convinto anche io: "..non é la tecnica che guarisce, ma la persona che la applica."
Nel mio personalissimo caso, la scelta iniziale è ricaduta su una particolare tecnica in virtù di un processo di documentazione che ho messo in atto parecchio tempo prima di rivolgermi all'attuale professionista.
Per ora, come Le dicevo, essendo io privo di reali conoscenze in campo psicologico e psicoterapico, non ho elementi per formulare un giudizio "scientifico" circa il modus operandi del mio terapeuta, men che meno circa l'approccio da lui seguito. Posso solo affidarmi a sensazioni "di pelle" e godere i benefici che il rapporto con questa persona mi sta dando.
Sono tuttavia convinto del fatto che avrei potuto trarre gli stessi giovamenti anche dal rapporto con un analista Freudiano, Junghiano, da un ipnoterapeuta o da un terapeuta strategico o gestaltico... PURCHE' vi fosse stato il giusto "feeling" tra me e la persona che mi sarei trovato di fronte.
Non abbia timore, quindi; se veramente deciderò di intraprendere il percorso formativo per svolgere questo delicato e affascinante mestiere, mi adopererò ai fini di quell'eclettismo e di quel sano "relativismo" teorico del quale Lei, da vero professionista, sottolinea l'importanza.
Comunque sia, credo proprio che di tutto questo parlerò con il mio psicoterapeuta, come Lei e il Dottor Bulla mi avete suggerito.
Nel ringraziarla vivamente per questo produttivo e stimolante scambio di battute, la invito a riportare, nel caso le avesse, altre osservazioni ed ulteriori opinioni in merito alla questione.
Coridali saluti.
Ha detto una cosa della quale sono convinto anche io: "..non é la tecnica che guarisce, ma la persona che la applica."
Nel mio personalissimo caso, la scelta iniziale è ricaduta su una particolare tecnica in virtù di un processo di documentazione che ho messo in atto parecchio tempo prima di rivolgermi all'attuale professionista.
Per ora, come Le dicevo, essendo io privo di reali conoscenze in campo psicologico e psicoterapico, non ho elementi per formulare un giudizio "scientifico" circa il modus operandi del mio terapeuta, men che meno circa l'approccio da lui seguito. Posso solo affidarmi a sensazioni "di pelle" e godere i benefici che il rapporto con questa persona mi sta dando.
Sono tuttavia convinto del fatto che avrei potuto trarre gli stessi giovamenti anche dal rapporto con un analista Freudiano, Junghiano, da un ipnoterapeuta o da un terapeuta strategico o gestaltico... PURCHE' vi fosse stato il giusto "feeling" tra me e la persona che mi sarei trovato di fronte.
Non abbia timore, quindi; se veramente deciderò di intraprendere il percorso formativo per svolgere questo delicato e affascinante mestiere, mi adopererò ai fini di quell'eclettismo e di quel sano "relativismo" teorico del quale Lei, da vero professionista, sottolinea l'importanza.
Comunque sia, credo proprio che di tutto questo parlerò con il mio psicoterapeuta, come Lei e il Dottor Bulla mi avete suggerito.
Nel ringraziarla vivamente per questo produttivo e stimolante scambio di battute, la invito a riportare, nel caso le avesse, altre osservazioni ed ulteriori opinioni in merito alla questione.
Coridali saluti.
Questo consulto ha ricevuto 11 risposte e 2.5k visite dal 21/04/2010.
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