Dubbi su colloqui psicologici
da due anni effettuo colloqui con uno psicologo ad orientamento cognitivo comportamentale per una tipica sindrome ansioso depressiva (con insonnia, forte dimagrimento ecc.) dovuta a problemi di lavoro e familiari. Assumo Xanax (di solito solo la sera- 10 gtt).
Dopo un primo periodo molto soddisfacente, non ho più benefici dai colloqui e i miei sintomi sono molto peggiorati (l'ho riferito allo psicologo). Il dottore mi dà suggerimenti pratici (es. cercare appoggio dai colleghi per questioni di lavoro), afferma che ho reazioni normali di fronte ad eventi stressanti, fa quasi sempre parlare me (es. a inizio seduta non mi chiede MAI com'è andata la settimana). Per ridurre l'ansia consiglia una vacanza (sic!), di assumere altri farmaci o di accontentarmi di progressi lievi e graduali (ha detto -non da subito- di essere contro le terapie brevi-- ma la t.c.c. non dovrebbe esserlo?).
Afferma di essere passato personalmente nella mia stessa situazione di stress e insoddisfazione professionali e che per uscirne, ha dovuto licenziarsi! Queste parole mi hanno convinto che non vi sia possibilità di risolvere il problema, quindi ho smesso di parlargliene e ovviamente affrontare il lavoro è diventato ancora più duro. Non nego di aver pensato alle dimissioni, ma non vorrei arrivare a tanto (e lui lo sa).
Chiedo: non sarebbe stato possibile (come volevo e almeno in una prima fase) alleviare i miei sintomi, aiutarmi a sopportare le situazioni senza farmi sopraffare, per riacquistare energia e lucidità e trovare poi da sola le soluzioni pratiche ai problemi? Come posso "aiutare lo psicologo ad aiutarmi"? So che è molto difficile dirlo, dato che non conoscete me e la mia storia, ma dove starò sbagliando?
Che differenza c'è tra colloquio psicologico e psicoterapia?
Grazie per l'attenzione e per la professionalità che mettete a disposizione degli utenti di questo sito, così serio e ben fatto. Cordiali saluti.
Bisogna dire esattamente cosa c'è che non va e cosa si vorrebbe affrontare in seduta. Dopo che ci si è espressi così chiaramente la risposta sarà altrettanto chiara da far comprendere quali sono i progetti del terapeuta e i suoi eventuali limiti. Compresi questi il paziente avrà quindi la possibilità di proseguire e/o decidere che quel tipo di lavoro non fa al caso suo.
saluti
Dr. Armando De Vincentiis
Psicologo-Psicoterapeuta
www.psicoterapiataranto.it
https://www.facebook.com/groups/316311005059257/?ref=bookmarks
Seguirò il suo consiglio e cercherò di ottenere risposte esaurienti dal mio psicologo, anche se forse mi sarà un po' difficile esprimermi apertamente e in modo molto diretto.
Se non dovessi proseguire con lui, spero di trovare un professionista che condivida con me il progetto di arrivare a riprendermi -in parte- in tempi accettabili. Mi ero documentata sulla t.c.c. e continuo a ritenerla interessante (e mi pare strano che il mio psicologo si sia dichiarato in generale -non nel mio caso specifico- contrario alle terapie brevi, pur seguendo quell'orientamento).
A priori, è possibile dire se sia meglio rivolgersi a uno psicoterapeuta piuttosto che a uno psicologo?
Grazie ancora, auguri per le prossime festività e saluti.
Le terapie brevi sono terapie attive, dove il minor tempo dedicato alle sedute dev'essere compensato da un lavoro più intenso e focalizzato, e in compiti e prescrizioni assegnati dal terapeuta, da eseguire nel tempo fra una seduta all'altra.
Per tutti questi motivi, ritengo che debba fare chiarezza con il suo terapeuta riguardo al tipo di terapia che le sta somministrando e soprattutto sugli obiettivi terapeutici che vi siete dati - se ve ne siete dati.
Alternativamente, se ciò che emergerà non dovesse soddisfarla, può sempre cambiare terapeuta e/o terapia.
Cordiali saluti
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
Lei cosa intende per "breve"?
Purtroppo a volte non è possibile indicare un tempo di cura, e nel suo caso temo ci siano problemi col Suo terapeuta circa la possibilità di parlare chiaramente.
Solo per poter riflettere:
“temevo che potesse prendere le mie richieste per critiche, il che mi faceva temere che il suo atteggiamento, molto umano e comprensivo, potesse cambiare” come mai si aspetta che quando esprime al terapeuta le proprie richieste, egli si sentirà criticato?
E perché l’atteggiamento del terapeuta dovrebbe cambiare?
Saluti
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
Cordiali saluti
lei deve sentirsi libera di parlare con lo psicologo di qualunque aspetto della sua vita, per cui se ciò non avviene significa che qualcosa non va, ma tutto questo va portato in seduta, non nascosto, solo così si può superare il momento di empasse. Per farsi aiutare dallo psicologo deve essere più aperta con lui e non lasciare delle zone di ombra tra di voi.
E' poi importante, come le ha suggerito il dott. Santonocito, procedere per obiettivi: deve focalizzare l'attenzione su un problema e lavorare con lo psicologo per la sua risoluzione, se poi col tempo vede che non arriva a nessun risultato, può anche pensare di trovare un altro psicologo.
Il lavoro psicoterapeutico è fondato sull'alleanza di lavoro tra psicologo e paziente, avere poca fiducioa per il proprio terapeuta, non permette una risoluzione adeguata del proprio disagio.
SALUTI
Dott. carlo Conti
carloconti5@tiscali.it
SALUTI
Dr. Carlo Conti
www.spiritoepsiche.it
Lavorare per compiti e prescrizioni, dandosi degli obiettivi terapeutici e focalizzandosi su un problema: sono le considerazioni che mi hanno più fatto riflettere e che non si stanno realizzando nei miei colloqui. In particolare, dato che di solito sono io a parlare, specie a inizio seduta, comincio con l'esporre le situazioni che mi hanno maggiormente coinvolto in settimana e questo ci porta di volta in volta a saltare da un argomento all'altro, mentre io, in effetti, avrei preferito concentrarmi su un problema singolo. Ho avuto l'impressione di un lavoro un po' disorganizzato e poco strutturato, ma non credevo di dover essere io a farlo presente (temevo di apparire come una che vuole insegnare il lavoro a chi ne sa di più...).
Preciso che non mi aspetto guarigioni miracolose, che non leggo nessuna rivista di gossip e che l'informazione circa la brevità della t.c.c. mi è stata fornita dal medico di base. Mi è stato anche citato un testo di J. Beck che descrive tale terapia come limitata nel tempo, affermando che la maggior parte di pazienti con disordini ansioso-depressivi fanno progessi sufficienti in pochi mesi e solo in caso di pensieri disfunzionali molto rigidi e comportamenti che contribuiscono a stress cronici si può arrivare a 1-2 anni di terapia o più.
A proposito di modificare pensieri disfunzionali: nemmeno questo accade nei miei colloqui (il mio psicologo dice che si occupa di questo un ramo particolare della t.c.c., che evidentemente lui non segue).
Forse non sono finora riuscita a parlare apertamente allo psicologo dei miei dubbi perchè temevo che potesse prendere le mie richieste per critiche, il che mi faceva temere che il suo atteggiamento, molto umano e comprensivo, potesse cambiare (in fondo, lui è diventato un punto di riferimento per me). Ma queste erano sensazioni "emotive", mentre ormai ho capito che se voglio uscire dall'impasse devo comportarmi razionalmente.
Rinnovo i ringraziamenti per avermi dedicato il Vostro prezioso tempo anche in questo periodo prefestivo e porgo i miei più cordiali saluti e auguri per la S. Pasqua.
Lei ha sulla terapia. Perché non accenna al Suo dottore ciò che ha letto o
sentito su Aaron Beck e ne discute con lui? Però, ancora una volta, credo siano
importanti le aspettative che ha sulla terapia. Sono certa che questo fornirà
materiale utile su cui lavorare. E anche il fatto che Lei ritenga il Terapeuta
una persona comprensiva, ma con cui non riesce ad essere aperta è un aspetto a
mio avviso importante.
- Brevità -
"Breve" può essere definito in più modi, ma un trattamento contenuto entro le 20 sedute e di una durata media complessiva dai 4 ai 12 mesi può definirsi un trattamento breve. E questo è quanto dura, di solito, un trattamento TCC.
- Efficacia -
Il criterio di efficacia per la scelta di un trattamento è certamente valido, ma lo è altrettanto quello di efficienza. Efficace significa in grado di risolvere il problema, efficiente significa che riesce a risolverlo con meno tempo e meno dispendio di risorse. Quindi il trattamento migliore è quello che garantisce gli stessi risultati - e la loro durevolezza - in modo più efficace ed efficiente.
- Efficacia dei compiti -
L'uso dei compiti in terapia può essere importantissimo, in special modo per l'ansia. Ma è vero che dev'essere il terapeuta a saperli presentare e offrire, nel momento giusto e in modo che il paziente li esegua, ed è vero che alcune forme di terapia si basano in misura maggiore su compiti e prescrizioni, e
altre di meno.
Spero che a questo punto non l'avremo confusa troppo, ma anche così sarebbe positivo perché avrà materiale in più per decidere cosa fare.
Cordiali saluti e molti auguri di Buona Pasqua
Lei riferisce una diagnosi che è sindromica, cioè "sindrome ansioso depressiva" è una diagnosi generica, non individua un decorso specifico e non ha una terapia precisa a cui essere associata.
La descrizione delle sue interazioni con lo psicologo non include elementi specifici di una terapia c/c. I consigli di buon senso o i paragoni con sé non mi sembrano tecnicamente specifici di questa modalità di cura, inoltre in due anni i risultati non è detto che debbano essere completi, ma almeno vanno misurati per trarre una conclusione su dove si va e con che ritmi e vantaggi.
La cura farmacologica che assume è invece prima di un preciso scopo. Lo xanax anche se in dose contenuta dopo un mese non ha più effetto, e necessita poi di sospensione sotto guida medica perché ha indotto assuefazione.
La diagnosi va fatta, perché una depressione maggiore con problemi di vario tipo all'esterno e una sindrome aspecifica "da stress" esterno sono due cose ben diverse e meritano terapie diverse.
Inoltre le psicoterapie c/c interagiscono positivamente con le farmacoterapie, dove indicate, ma non con quelle genericamente ansiolitiche, bensì con quelle specifiche.
Dr.Matteo Pacini
http://www.psichiatriaedipendenze.it
Libri: https://www.amazon.it/s?k=matteo+pacini
Gentile utente, può verificare all'indirizzo https://areariservata.psy.it/cgi-bin/areariservata/albo_nazionale.cgi l'appartenenza all'albo del suo professionista. In alcuni albi regionali cui viene dirottato è possibile leggere la specifica specializzazione conseguita.
La terapia Cognitivo Comportamentale è certamente molto direttiva e prevede homeworks e prescrizioni anche da effettuare con l'intervento del terapeuta, che, al contrario, non dovrebbe intromettersi sul piano farmacologico, affidandosi e collaborando con un medico psichiatra.
Le consiglio dunque di approfondire questo punto al più presto.
Poi, che non vi sia intesa tra un paziente ed il terapeuta può capitare senza per questo invalidare la professionalità di quest'ultimo.
Per quanto riguarda il Prof. Reda, non si parla di TCC e si rischia appunto di dare erronee e confusive informazioni agli utenti.
Cordialmente
Dr.ssa Sara Ginanneschi
Psicologa - Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale Terapeuta EMDR
www.ambulatoriodipsicologia.it
Grazie molte al Dott. Santonocito per la sua precisione, alla Dott.ssa Ginanneschi per la risposta (in particolare per il link) e al Dott. Pacini per avermi ben descritto le sinergie fra t.c.c. e terapia farmacologica (lo psicologo, a inizio terapia, mi ha semplicemente chiesto se assumevo farmaci; lo Xanax mi è stato prescritto dal MDB in sostituzione del Lexotan e a seguito del mio peggioramento -agosto 2009-). Mi rendo conto della necessità di una diagnosi e nella mia ignoranza mi chiedo se essa possa essere formulata da uno psicologo.
Riflettendo sulle osservazioni della dott.ssa Pileci: per breve intendo una terapia che in tempi ragionevoli dia risultati -parziali- di diminuzione dei sintomi, alla lunga davvero debilitanti (vorrei che rispecchiasse le descrizioni dei Dott. Santonocito e Pacini).
Credo che mi sia difficile esporre le mie perplessità allo psicologo perchè non sono riuscita a mantenere con lui un distacco emotivo, a "vedere me e lui sullo stesso piano". Questo a dispetto del fatto che l'ho sempre voluto considerare come pura figura professionale e non come una specie di amico (ad es. non voglio che faccia il minimo accenno alla sua vita privata, ecc.) -e secondo lui sono idee ortodosse.
Inoltre, quando, a seguito di una mia precisa richiesta, mi ha ha dato i "consigli" per ridurre l'ansia che ho citato nel mio primo messaggio, aveva un tono scocciato, proprio come se avesse preso male le mie parole. Irrazionalmente, mi sarebbe stato più facile controbattere se non l'avessi considerato tanto umano e gentile.
Saluti cordiali.
Tuttavia dalle sue parole si capisce che non è soddisfatta non solo dai risultati che sta ottenendo dalla terapia, ma nemmeno dalla qualità della relazione che si è venuta a creare con il suo terapeuta. E questo è un punto veramente fondamentale, perché una buona relazione terapeutica è presupposto indispensabile affinché la terapia possa svolgersi al meglio. Ciò dovrà essere tenuto in conto in ogni caso, sia che decida di continuare la sua terapia attuale, sia che decida di iniziarne un'altra.
Cordiali saluti
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