Insonnia con stato angoscioso intermittente, ed altro.
Salve,
Sono un giovane di ventisei anni. In tutti gli ultimi anni, dai diciannove in su, pur avendo avuto dei periodi di relativo benessere, non posso dire di essere stato COMPLESSIVAMENTE bene: già sono ricorso alla psicoterapia, durata un anno e mezzo e conclusasi nella primavera del 2006 quando decisi di smettere non vedendo frutti soddisfacenti. Cammino sul sentiero dell'esistenza umana da solo e sempre portandomi uno zaino sulle spalle, il cui peso talvolta si fa sentire di più, altre meno. Ma è dalla notte del 26 dicembre che quello zaino si è fatto così pesante da schiacciarmi e farmi cadere a terra; mi sono rialzato e continuo ad andare avanti, ma quello zaino non riesco più a sollevarlo e a mettermelo sulle spalle, pesa troppo, devo prenderlo per le cinghie e trascinarlo così, per terra. La fatica è immane. Quella notte è esplosa una cosa nuova: l'insonnia. E nel tempo in cui aspetto di addormentarmi, sperimento un'ulteriore cosa che mi ha spaventato e continua a spaventarmi: in uno stato di dormiveglia – per cui mi è anche molto difficile capire esattamente cosa accada, perché sono vigile fino a un certo punto –, ho l'impressione proprio nel momento in cui sto per addormentarmi ed in cui mi addormenterei se non accadesse quanto subito Vi dirò, mi sorprende una sensazione sgradevolissima, come di angoscia, dura qualche tempo, e quando finisce resta il ricordo di quella spiacevolissima sensazione e mi accorgo di essere tornato allo stato di veglia; o comunque ad un relativo stato di vigilanza, ad una risalita nel processo che va verso il basso dell'addormentamento, perché può anche accadere che quella sensazione si ripeta ad intermittenza due, tre volte ed io rimango in quello stato di dormiveglia per poi svegliarmi completamente solo dopo la quarta volta, quando il ripetersi di quello stato angoscioso non lo resisto più. Come se la parte vigile di me, quando il sonno sta per arrivare, si impaurisse e allora si mette a sgomitare, scalciare fino a che quel sonno non lo ha scacciato; o forse è il mio inconscio a portarmi quei bruttissimi ripetuti lunghi istanti di angoscia, come se trovasse lo spazio per emergere solo quando il mio Io abbassa le palpebre e si fa più debole. Per ora ho risolto con 30 gocce di Lexotan 2,5 mg/ml.
La seconda questione. Devo fare delle otturazioni. Ma continuo a rimandare. Mi è capitato di essere sulla poltrona del barbiere e di iniziare a sudare freddo, una sensazione di disagio sgradevolissima, d'imbarazzo, non sapevo cosa dire, come giustificare la cosa, inventai che avevo la febbre. Era maggio 2007 e da allora mi taglio i capelli da solo. Ho paura che la stessa cosa mi capiti sulla poltrona del dentista, perché mi è già capitata, seppur in forma più lieve. Non so come fare. Adesso non posso rimandare oltre. Vi prego, aiutatemi a uscirne da questa cosa. Se qualcuno di Voi medici avesse qualche suggerimento, qualche strategia da mettere in pratica da consigliarmi.
Vi ringrazio fin d'ora.
Sono un giovane di ventisei anni. In tutti gli ultimi anni, dai diciannove in su, pur avendo avuto dei periodi di relativo benessere, non posso dire di essere stato COMPLESSIVAMENTE bene: già sono ricorso alla psicoterapia, durata un anno e mezzo e conclusasi nella primavera del 2006 quando decisi di smettere non vedendo frutti soddisfacenti. Cammino sul sentiero dell'esistenza umana da solo e sempre portandomi uno zaino sulle spalle, il cui peso talvolta si fa sentire di più, altre meno. Ma è dalla notte del 26 dicembre che quello zaino si è fatto così pesante da schiacciarmi e farmi cadere a terra; mi sono rialzato e continuo ad andare avanti, ma quello zaino non riesco più a sollevarlo e a mettermelo sulle spalle, pesa troppo, devo prenderlo per le cinghie e trascinarlo così, per terra. La fatica è immane. Quella notte è esplosa una cosa nuova: l'insonnia. E nel tempo in cui aspetto di addormentarmi, sperimento un'ulteriore cosa che mi ha spaventato e continua a spaventarmi: in uno stato di dormiveglia – per cui mi è anche molto difficile capire esattamente cosa accada, perché sono vigile fino a un certo punto –, ho l'impressione proprio nel momento in cui sto per addormentarmi ed in cui mi addormenterei se non accadesse quanto subito Vi dirò, mi sorprende una sensazione sgradevolissima, come di angoscia, dura qualche tempo, e quando finisce resta il ricordo di quella spiacevolissima sensazione e mi accorgo di essere tornato allo stato di veglia; o comunque ad un relativo stato di vigilanza, ad una risalita nel processo che va verso il basso dell'addormentamento, perché può anche accadere che quella sensazione si ripeta ad intermittenza due, tre volte ed io rimango in quello stato di dormiveglia per poi svegliarmi completamente solo dopo la quarta volta, quando il ripetersi di quello stato angoscioso non lo resisto più. Come se la parte vigile di me, quando il sonno sta per arrivare, si impaurisse e allora si mette a sgomitare, scalciare fino a che quel sonno non lo ha scacciato; o forse è il mio inconscio a portarmi quei bruttissimi ripetuti lunghi istanti di angoscia, come se trovasse lo spazio per emergere solo quando il mio Io abbassa le palpebre e si fa più debole. Per ora ho risolto con 30 gocce di Lexotan 2,5 mg/ml.
La seconda questione. Devo fare delle otturazioni. Ma continuo a rimandare. Mi è capitato di essere sulla poltrona del barbiere e di iniziare a sudare freddo, una sensazione di disagio sgradevolissima, d'imbarazzo, non sapevo cosa dire, come giustificare la cosa, inventai che avevo la febbre. Era maggio 2007 e da allora mi taglio i capelli da solo. Ho paura che la stessa cosa mi capiti sulla poltrona del dentista, perché mi è già capitata, seppur in forma più lieve. Non so come fare. Adesso non posso rimandare oltre. Vi prego, aiutatemi a uscirne da questa cosa. Se qualcuno di Voi medici avesse qualche suggerimento, qualche strategia da mettere in pratica da consigliarmi.
Vi ringrazio fin d'ora.
[#1]
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile Utente, descrive un quadro molto invalidante. Il riposo notturno turbato dal quadro di forte attivazione che sperimenta e gli evitamenti che mette in atto non depongono sicuramente a favore di quello stato di benessere che lei auspica per sè (e che le auguro di continuare a cercare!).
Riferisce di aver intrapreso (ed interrotto) un percorso psicoterapeutico. Come vive quest'esperienza? Cosa ne ha conservato?
Le pongo questi interrogativi perchè, purtroppo, non saprei indicarle una semplice strategia (del tipo "faccia questo e tutto andrà bene") che la metta in condizione di affrontare le sue angosce in modo definitivo e risolutivo. Mi sento però di suggerirle la possibilità di non desistere nella sua ricerca: descrive un quadro di compromissione ansiosa che merita una valutazione ed un intervento certamente più accurati di quelli che le potrà riservare un forum.
Uno psicoterapeuta con cui possa stabilire una solida "alleanza di lavoro" potrebbe aiutarla a trovare una risposta efficace al suo disagio: ha fatto un primo passo in quella direzione, non si fermi sul ciglio della strada.
Cordialmente
Riferisce di aver intrapreso (ed interrotto) un percorso psicoterapeutico. Come vive quest'esperienza? Cosa ne ha conservato?
Le pongo questi interrogativi perchè, purtroppo, non saprei indicarle una semplice strategia (del tipo "faccia questo e tutto andrà bene") che la metta in condizione di affrontare le sue angosce in modo definitivo e risolutivo. Mi sento però di suggerirle la possibilità di non desistere nella sua ricerca: descrive un quadro di compromissione ansiosa che merita una valutazione ed un intervento certamente più accurati di quelli che le potrà riservare un forum.
Uno psicoterapeuta con cui possa stabilire una solida "alleanza di lavoro" potrebbe aiutarla a trovare una risposta efficace al suo disagio: ha fatto un primo passo in quella direzione, non si fermi sul ciglio della strada.
Cordialmente
[#2]
Ex utente
Gentile dott. Calì,
Innanzitutto grazie per la risposta. Lei mi chiede: "Riferisce di aver intrapreso (ed interrotto) un percorso psicoterapeutico. Come vive quest'esperienza? Cosa ne ha conservato?"
Le rispondo.
Mi è rimasta una certa sfiducia nella psicologia; all'inizio, invece, confidavo molto nelle sue proprietà curative. Mi è rimasto il piacevole e preziosissimo ricordo della persona meravigliosa che ho incontrato nel terapeuta: uno psicologo, già professore di filosofia, così colto e competente ma allo stesso tempo semplice e dignitosamente umile. Della terapia vera e propria, non molto: forse solo la scoperta che esiste un modo diverso di vedere le cose, di essere meno severi con sé stessi e più rispettosi di sé stessi e delle proprie esigenze, senza però riuscire a calare tutto ciò su me stesso.
Per rigore di completezza, è forse il caso che specifichi anche che più volte (un paio) ho successivamente sentito il bisogno di farmi aiutare: la prima ha visto una decina di sedute, poi, l'impegno economico che la terapia richiede che per uno studente figlio d'operaio è particolarmente gravoso, la distanza del terapista, una certa impazienza nel raccogliere risultati che continuavano a non stagliarsi all'orizzonte, mi hanno fatto desistere; era l'autunno del 2006. Nell'autunno dell'anno dopo, un altro spiacevole episodio che mi occorse mi spinse per la seconda volta a cercare aiuto: le sedute furono solo tre, qui giocò solo la distanza del terapista e la scomodità per raggiungerlo che ebbi modo di constatare mi riuscivano insopportabili.
Ho espunto, a causa del limite dei tremila caratteri, dalla mia richiesta di consulto due cose che ritenevo importanti.
Sono iscritto per l'ottavo anno ad un corso universitario – molto impegnativo, e per tipologia, e per sede – di durata quinquennale, e mi trovo a meno di metà, credo, del percorso di studi. I primi due anni, dopo essere uscito dal liceo con una valutazione d'eccellenza, non diedi un esame. Diedi il primo esame a settembre del secondo anno. Ho dato l'ultimo a giugno 2006. Da allora non ho più dato esami e, salvo un paio di parentesi, studiato. Quello che dovrei fare è studiare e dare esami. Di studiare l'ho scelto liberamente, nessuno me lo impone. Perché non studio? Perché accade che passano i giorni, le settimane, poi i mesi, gli anni!! (mamma mia, che tuffo al cuore al pensiero degli anni che sono passati!), senza che io apra libro e mi metta concentrato su quello a studiare. Trovo sempre qualcos'altro da fare, o qualche pensiero che mi distrae, e rimando, rimando, rimando...
I disturbi di dispepsia e intestino irritabile che mi affliggono. Sono stato in cura fino ad ottobre (da giugno 2004) da un gastroenterologo – docente universitario della materia e già primario – cui sono approdato dopo aver visto con insuccesso alcuni altri medici gastroenterologi. La cura prescrittami contemplava inibitore di pompa protonica, acido ursodesossicolico, Gaviscon Advance e benzodiazepine (in dosaggio basso). Inizialmente e per i primi anni c'è stato un significativo miglioramento, mai una remissione completa dei sintomi. Negli ultimi due anni i sintomi sono di nuovo peggiorati, in specie quanto all'intestino irritabile. E si tratta di disturbi che mi condizionano molto! Proprio soprattutto l'intestino irritabile che mi fa andare al bagno tre giorni no e uno sì, e quando decide che è giunto il momento di svuotarsi lo fa con spasmi molto forti e prolungati che mi costringono per 3/4 ore a continue corse in bagno e a sedute sulla tazza di mezz'ora, un'ora ciascuna, con ad ogni spasmo gli occhi che mi lacrimano e il respiro che si blocca. Così venerdì mattina avrei dovuto accompagnare mio nonno ad una visita medica ma, io bloccato in bagno, ha dovuto sopperire mio padre chiedendo un'ora di permesso al lavoro. Ieri mattina, una giornata di splendido sole, ho dovuto rifiutare l'invito di un mio amico che pratica la voga veneta ad uscire in barca con lui: stavo bene, ma se mi capita mentre sono in barca cosa faccio? Mi chiedono di andare il fine settimana a sciare, ma ogni volta mi vedo costretto a rifiutare. E quando lavorerò come farò? Se dovessi fare il professore universitario, per esempio, come farei a tenere le lezioni? Etc. L'ultimo dell'anno ho lavorato come cameriere: un'ora prima di andare in ristorante ho preso 30 gocce di Valpinax 4%: mi è seccato molto farlo, ma il timore, fondato, che le coliche potessero prendermi proprio nelle ore in cui non potevo permettermi di stare al bagno perché dovevo essere tra i tavoli a servire, mi ha determinato, controvoglia, a prendere il Valpinax a scopo preventivo. Allora mi chiedo e Vi chiedo quanto vi sia di squisitamente organico – io, personalmente, mi ero persuaso di quest'idea – e quanto di psicologico, perché solo inquadrando bene il problema lo posso affrontare efficacemente. Perché qui i discorsi dei medici si fanno nebulosi e possibilisti. Il mio medico curante mi ha detto che “nasciamo con uno stampo, il tuo è questo, si tratta di un disturbo funzionale e se giri specialisti giri per niente”. Perciò mi dovrei rassegnare? Io francamente proprio non ci riesco...
Se ho scritto qui, è per due ragioni.
1. La prima ragione per cui ho scritto qui è per trovare una soluzione per quanto possibile immediata circa le otturazioni che devo fare e non posso rimandare a sei mesi, un anno, perché già da molto le rimando. E da qualche giorno mi succede che quando mangio dei dolci ed il cibo dolce viene in contatto con qualcuno dei denti, avverto dolore! Ma una piscoterapia, anche una psicoterapia efficace, esige comunque dei tempi.
2. La seconda ragione è proprio perché mi sto determinando ad intraprendere una nuova psicoterapia, ma sono consapevole di accingermi ad una scelta molto importante e delicata, che, in un modo o nell'altro – nel bene se le cose andranno bene perché ho fatto una buona scelta, nel male se ne farò una cattiva –, potrà condizionare la mia esistenza, la quale, data la mia età, ho ragione di ritenere sia per la maggior parte ancora tutta da venire. Perciò, sto cercando di raccogliere informazioni e di farmi indirizzare da persone competenti per poter operare, non dico la migliore delle scelte possibili, ma, quantomeno, una BUONA scelta. Allora, Vi chiedo gentilmente, se potete aiutarmi a capire:
A) se è meglio, se è più indicata, nel mio caso, la figura di uno psicoterapeuta psichiatra o psicologo. Io, personalmente, mi ero orientato verso quella di uno psichiatra dal momento che dovrà gestire anche il farmaco che sto al momento assumendo. Ma, per certi altri versi, sento che potrei porre la mia piena fiducia solo in una persona che so avere anche una solida preparazione psicologica, oltre che medica. So che il laureato in psicologia deve successivamente frequentare una specifica scuola ai fini dell'abilitazione alla psicoterapia, mentre per il medico è sufficiente la specializzazione in psichiatria: mi piacerebbe che, qualora lo psicoterapeuta cui mi affidassi fosse uno psichiatra, avesse anch'egli frequentato una scuola di psicoterapia.
B) se ci sono delle terapie che sono più di altre indicate per il mio tipo di problematiche. Ho letto, in proposito, che il dott. Murgolo – i cui interventi ho apprezzato molto – scrive che non è la terapia che guarisce ma il terapeuta che la mette in atto, e lo esemplifica con una metafora molto efficace per cui tra due chirurghi con lo stesso bisturi, la differenza la fa il chirurgo. Sono d'accordo. Ma non riesco a non pormi un'immediata susseguente questione, vale a dire: lo stesso chirurgo con un bisturi ed un coltello da cucina, riuscirebbe ad ottenere il medesimo risultato?
C) come fare per riuscire a scegliere, tra i tanti, il terapeuta che faccia davvero al caso mio, che possa davvero aiutarmi a levare e a lasciare per strada, una ad una, le pietre che riempiono il mio zaino zavorrando il mio cammino in questa strana cosa che è l'esistenza umana. Insomma questo per me è un momento piuttosto difficile e brutto, senza dubbio il più difficile e brutto da quando sono approdato alla riva di questa cosa misteriosa, a tratti incomprensibile, ma che so saper essere anche meravigliosa, che è l'esperienza umana. Ma alle volte veramente la fatica mi sopraffa e mi sembra di non riuscire a farcela più; e allora sento del terremoto ad Haiti, e mi sorprendo ad invidiarle quelle vittime anziché compiangerle e compatirle, ad invidiare un'esistenza magari anche solo di quarant'anni, ma non punteggiata dalla sofferenza, e poi... puff! una sofferenza, seppur mortale, seppur troppo prematuramente arrivata, ma di soli cinque minuti. Quanto mi piacerebbe, quello zaino, riuscire a svuotarlo dei massi che lo riempiono per metterci magari, al loro posto, un po' di elio, e come su un aerostato prendere il volo, con ritrovata leggerezza, sulla vita.
Mi scuso per la lunghezza.
Vi ringrazio nuovamente per l'attenzione che eventualmente vorrete dedicarmi, e, permettetemi anche, per il Servizio che offrite.
Innanzitutto grazie per la risposta. Lei mi chiede: "Riferisce di aver intrapreso (ed interrotto) un percorso psicoterapeutico. Come vive quest'esperienza? Cosa ne ha conservato?"
Le rispondo.
Mi è rimasta una certa sfiducia nella psicologia; all'inizio, invece, confidavo molto nelle sue proprietà curative. Mi è rimasto il piacevole e preziosissimo ricordo della persona meravigliosa che ho incontrato nel terapeuta: uno psicologo, già professore di filosofia, così colto e competente ma allo stesso tempo semplice e dignitosamente umile. Della terapia vera e propria, non molto: forse solo la scoperta che esiste un modo diverso di vedere le cose, di essere meno severi con sé stessi e più rispettosi di sé stessi e delle proprie esigenze, senza però riuscire a calare tutto ciò su me stesso.
Per rigore di completezza, è forse il caso che specifichi anche che più volte (un paio) ho successivamente sentito il bisogno di farmi aiutare: la prima ha visto una decina di sedute, poi, l'impegno economico che la terapia richiede che per uno studente figlio d'operaio è particolarmente gravoso, la distanza del terapista, una certa impazienza nel raccogliere risultati che continuavano a non stagliarsi all'orizzonte, mi hanno fatto desistere; era l'autunno del 2006. Nell'autunno dell'anno dopo, un altro spiacevole episodio che mi occorse mi spinse per la seconda volta a cercare aiuto: le sedute furono solo tre, qui giocò solo la distanza del terapista e la scomodità per raggiungerlo che ebbi modo di constatare mi riuscivano insopportabili.
Ho espunto, a causa del limite dei tremila caratteri, dalla mia richiesta di consulto due cose che ritenevo importanti.
Sono iscritto per l'ottavo anno ad un corso universitario – molto impegnativo, e per tipologia, e per sede – di durata quinquennale, e mi trovo a meno di metà, credo, del percorso di studi. I primi due anni, dopo essere uscito dal liceo con una valutazione d'eccellenza, non diedi un esame. Diedi il primo esame a settembre del secondo anno. Ho dato l'ultimo a giugno 2006. Da allora non ho più dato esami e, salvo un paio di parentesi, studiato. Quello che dovrei fare è studiare e dare esami. Di studiare l'ho scelto liberamente, nessuno me lo impone. Perché non studio? Perché accade che passano i giorni, le settimane, poi i mesi, gli anni!! (mamma mia, che tuffo al cuore al pensiero degli anni che sono passati!), senza che io apra libro e mi metta concentrato su quello a studiare. Trovo sempre qualcos'altro da fare, o qualche pensiero che mi distrae, e rimando, rimando, rimando...
I disturbi di dispepsia e intestino irritabile che mi affliggono. Sono stato in cura fino ad ottobre (da giugno 2004) da un gastroenterologo – docente universitario della materia e già primario – cui sono approdato dopo aver visto con insuccesso alcuni altri medici gastroenterologi. La cura prescrittami contemplava inibitore di pompa protonica, acido ursodesossicolico, Gaviscon Advance e benzodiazepine (in dosaggio basso). Inizialmente e per i primi anni c'è stato un significativo miglioramento, mai una remissione completa dei sintomi. Negli ultimi due anni i sintomi sono di nuovo peggiorati, in specie quanto all'intestino irritabile. E si tratta di disturbi che mi condizionano molto! Proprio soprattutto l'intestino irritabile che mi fa andare al bagno tre giorni no e uno sì, e quando decide che è giunto il momento di svuotarsi lo fa con spasmi molto forti e prolungati che mi costringono per 3/4 ore a continue corse in bagno e a sedute sulla tazza di mezz'ora, un'ora ciascuna, con ad ogni spasmo gli occhi che mi lacrimano e il respiro che si blocca. Così venerdì mattina avrei dovuto accompagnare mio nonno ad una visita medica ma, io bloccato in bagno, ha dovuto sopperire mio padre chiedendo un'ora di permesso al lavoro. Ieri mattina, una giornata di splendido sole, ho dovuto rifiutare l'invito di un mio amico che pratica la voga veneta ad uscire in barca con lui: stavo bene, ma se mi capita mentre sono in barca cosa faccio? Mi chiedono di andare il fine settimana a sciare, ma ogni volta mi vedo costretto a rifiutare. E quando lavorerò come farò? Se dovessi fare il professore universitario, per esempio, come farei a tenere le lezioni? Etc. L'ultimo dell'anno ho lavorato come cameriere: un'ora prima di andare in ristorante ho preso 30 gocce di Valpinax 4%: mi è seccato molto farlo, ma il timore, fondato, che le coliche potessero prendermi proprio nelle ore in cui non potevo permettermi di stare al bagno perché dovevo essere tra i tavoli a servire, mi ha determinato, controvoglia, a prendere il Valpinax a scopo preventivo. Allora mi chiedo e Vi chiedo quanto vi sia di squisitamente organico – io, personalmente, mi ero persuaso di quest'idea – e quanto di psicologico, perché solo inquadrando bene il problema lo posso affrontare efficacemente. Perché qui i discorsi dei medici si fanno nebulosi e possibilisti. Il mio medico curante mi ha detto che “nasciamo con uno stampo, il tuo è questo, si tratta di un disturbo funzionale e se giri specialisti giri per niente”. Perciò mi dovrei rassegnare? Io francamente proprio non ci riesco...
Se ho scritto qui, è per due ragioni.
1. La prima ragione per cui ho scritto qui è per trovare una soluzione per quanto possibile immediata circa le otturazioni che devo fare e non posso rimandare a sei mesi, un anno, perché già da molto le rimando. E da qualche giorno mi succede che quando mangio dei dolci ed il cibo dolce viene in contatto con qualcuno dei denti, avverto dolore! Ma una piscoterapia, anche una psicoterapia efficace, esige comunque dei tempi.
2. La seconda ragione è proprio perché mi sto determinando ad intraprendere una nuova psicoterapia, ma sono consapevole di accingermi ad una scelta molto importante e delicata, che, in un modo o nell'altro – nel bene se le cose andranno bene perché ho fatto una buona scelta, nel male se ne farò una cattiva –, potrà condizionare la mia esistenza, la quale, data la mia età, ho ragione di ritenere sia per la maggior parte ancora tutta da venire. Perciò, sto cercando di raccogliere informazioni e di farmi indirizzare da persone competenti per poter operare, non dico la migliore delle scelte possibili, ma, quantomeno, una BUONA scelta. Allora, Vi chiedo gentilmente, se potete aiutarmi a capire:
A) se è meglio, se è più indicata, nel mio caso, la figura di uno psicoterapeuta psichiatra o psicologo. Io, personalmente, mi ero orientato verso quella di uno psichiatra dal momento che dovrà gestire anche il farmaco che sto al momento assumendo. Ma, per certi altri versi, sento che potrei porre la mia piena fiducia solo in una persona che so avere anche una solida preparazione psicologica, oltre che medica. So che il laureato in psicologia deve successivamente frequentare una specifica scuola ai fini dell'abilitazione alla psicoterapia, mentre per il medico è sufficiente la specializzazione in psichiatria: mi piacerebbe che, qualora lo psicoterapeuta cui mi affidassi fosse uno psichiatra, avesse anch'egli frequentato una scuola di psicoterapia.
B) se ci sono delle terapie che sono più di altre indicate per il mio tipo di problematiche. Ho letto, in proposito, che il dott. Murgolo – i cui interventi ho apprezzato molto – scrive che non è la terapia che guarisce ma il terapeuta che la mette in atto, e lo esemplifica con una metafora molto efficace per cui tra due chirurghi con lo stesso bisturi, la differenza la fa il chirurgo. Sono d'accordo. Ma non riesco a non pormi un'immediata susseguente questione, vale a dire: lo stesso chirurgo con un bisturi ed un coltello da cucina, riuscirebbe ad ottenere il medesimo risultato?
C) come fare per riuscire a scegliere, tra i tanti, il terapeuta che faccia davvero al caso mio, che possa davvero aiutarmi a levare e a lasciare per strada, una ad una, le pietre che riempiono il mio zaino zavorrando il mio cammino in questa strana cosa che è l'esistenza umana. Insomma questo per me è un momento piuttosto difficile e brutto, senza dubbio il più difficile e brutto da quando sono approdato alla riva di questa cosa misteriosa, a tratti incomprensibile, ma che so saper essere anche meravigliosa, che è l'esperienza umana. Ma alle volte veramente la fatica mi sopraffa e mi sembra di non riuscire a farcela più; e allora sento del terremoto ad Haiti, e mi sorprendo ad invidiarle quelle vittime anziché compiangerle e compatirle, ad invidiare un'esistenza magari anche solo di quarant'anni, ma non punteggiata dalla sofferenza, e poi... puff! una sofferenza, seppur mortale, seppur troppo prematuramente arrivata, ma di soli cinque minuti. Quanto mi piacerebbe, quello zaino, riuscire a svuotarlo dei massi che lo riempiono per metterci magari, al loro posto, un po' di elio, e come su un aerostato prendere il volo, con ritrovata leggerezza, sulla vita.
Mi scuso per la lunghezza.
Vi ringrazio nuovamente per l'attenzione che eventualmente vorrete dedicarmi, e, permettetemi anche, per il Servizio che offrite.
[#3]
Psicologo, Psicoterapeuta
La sua risposta aggiunge parecchi tasselli alla sua richiesta di aiuto. Le risponderò procedendo in ordine, perchè gli spunti che propone sono davvero numerosi:
- nel corso della sua esistenza le è capitato già tre volte di chiedere aiuto di persona ad uno specialista. Tutte e tre le volte, si è trattato di cicli molto brevi di sedute (il più lungo, circa tre mesi) che non hanno prodotto gli effetti che lei si attendeva, o che, a causa di costi (in termini economici, di impegno, di distanze) non riusciva più a sostenere.
Mi permetto di rivolgerle due domande: quando ha scelto i professionisti cui rivolgersi, ha tenuto conto del "costo" di un percorso di cambiamento? Puntualizzo che il termine costo include, oltre agli aspetti materiali di tempo, distanze, denaro, anche i costi soggettivi e personali in termini di fatica, di frustrazione, di dolore che ogni sforzo per conoscere e modificare sè stessi implica. Ha accettato fino in fondo il fatto che, indipendentemente dall'orientamento teorico e dai modelli di intervento, il "lavoro" psicologico richiede una partecipazione attiva da parte del vero protagonista del cambiamento, cioè lei? Finchè non accetterà di rimboccarsi le maniche e sostenere la fatica e lo sforzo necessari, e per il tempo necessario, qualsiasi intervento sarà destinato probabilmente ad un'interruzione pre-termine.
In merito al "blocco dello studente" (mi passi l'espressione un pò semplificata, ma che secondo me rende bene), mi sembra che il problema non sia tanto l'aver saltato qualche sessione di esami (o parecchie sessioni di esame), ma l'idea di "non essere in grado" di studiare e di completare efficacemente il suo percorso. La procrastinazione dei suoi impegni universitari si è "aggrovigliata" in un circolo vizioso di ansia, difficoltà di concentrazione, decadimento dell'autostima e senso di colpa che non rappresentano certo il "cocktail" migliore per superare gli esami. Solo che non basta "saperlo": questo lo capirà già da solo. Anche in questo caso, come per il problema dell'evitamento del barbiere e del dentista, rimandare od evitare servono solo ad ingigantire il problema ed alimentare l'ansia.
Per quanto concerne l'organicità o meno dei suoi disturbi, mi permetta di dirle che rappresenta forse un falso problema, nel senso che accusa dei sintomi per i quali, indipendentemente dalla loro etiologia, un'attivazione ansiosa come quella da lei descritta non è certo un toccasana; quindi, che siano disturbi organici o funzionali (o, come è realisticamente possibile, una commistione dei due fattori), affrontare le sue problematiche irrisolte non solo non può danneggiarla, ma anzi potrebbe esitare in un miglioramento del suo quadro. Voglio puntualizzare che non si tratta di un'indicazione prognostica: è però verosimile che l'ansia non giovi alla sua funzionalità intestinale!
- penso sia importante che lei scelga oculatamente il professionista cui rivolgersi; prenda in considerazione diversi fattori (le ricordo che, per legge, anche i Colleghi psichiatri sono abilitati all'esercizio della psicoterapia, quindi nulla le vieta di cercare uno psicoterapeuta ed uno psichiatra che lavorino in equipe o di rivolgersi ad una delle due figure), non tralasciando quegli aspetti concreti ed organizzativi che incidono sulla motivazione a proseguire un trattamento.
Scegliere un terapeuta non è facile, ma la invito a riflettere un attimo: se io le indicassi il nome del terapeuta "perfetto", che fa al caso suo, in cosa la aiuterei nel suo percorso di crescita? Come posso sapere quale professionista stabilirà con lei una buona alleanza terapeutica? Ha già avuto delle esperienze: valuti anche alla luce di ciò che ha appreso, facendo attenzione alle sue aspettative ma avendo anche il coraggio di "esplorare".
Le auguro di proseguire il suo cammino con lo zaino del peso giusto, che la faccia rimanere con i piedi per terra lasciandole le energie per godersi il panorama
Cordialmente
- nel corso della sua esistenza le è capitato già tre volte di chiedere aiuto di persona ad uno specialista. Tutte e tre le volte, si è trattato di cicli molto brevi di sedute (il più lungo, circa tre mesi) che non hanno prodotto gli effetti che lei si attendeva, o che, a causa di costi (in termini economici, di impegno, di distanze) non riusciva più a sostenere.
Mi permetto di rivolgerle due domande: quando ha scelto i professionisti cui rivolgersi, ha tenuto conto del "costo" di un percorso di cambiamento? Puntualizzo che il termine costo include, oltre agli aspetti materiali di tempo, distanze, denaro, anche i costi soggettivi e personali in termini di fatica, di frustrazione, di dolore che ogni sforzo per conoscere e modificare sè stessi implica. Ha accettato fino in fondo il fatto che, indipendentemente dall'orientamento teorico e dai modelli di intervento, il "lavoro" psicologico richiede una partecipazione attiva da parte del vero protagonista del cambiamento, cioè lei? Finchè non accetterà di rimboccarsi le maniche e sostenere la fatica e lo sforzo necessari, e per il tempo necessario, qualsiasi intervento sarà destinato probabilmente ad un'interruzione pre-termine.
In merito al "blocco dello studente" (mi passi l'espressione un pò semplificata, ma che secondo me rende bene), mi sembra che il problema non sia tanto l'aver saltato qualche sessione di esami (o parecchie sessioni di esame), ma l'idea di "non essere in grado" di studiare e di completare efficacemente il suo percorso. La procrastinazione dei suoi impegni universitari si è "aggrovigliata" in un circolo vizioso di ansia, difficoltà di concentrazione, decadimento dell'autostima e senso di colpa che non rappresentano certo il "cocktail" migliore per superare gli esami. Solo che non basta "saperlo": questo lo capirà già da solo. Anche in questo caso, come per il problema dell'evitamento del barbiere e del dentista, rimandare od evitare servono solo ad ingigantire il problema ed alimentare l'ansia.
Per quanto concerne l'organicità o meno dei suoi disturbi, mi permetta di dirle che rappresenta forse un falso problema, nel senso che accusa dei sintomi per i quali, indipendentemente dalla loro etiologia, un'attivazione ansiosa come quella da lei descritta non è certo un toccasana; quindi, che siano disturbi organici o funzionali (o, come è realisticamente possibile, una commistione dei due fattori), affrontare le sue problematiche irrisolte non solo non può danneggiarla, ma anzi potrebbe esitare in un miglioramento del suo quadro. Voglio puntualizzare che non si tratta di un'indicazione prognostica: è però verosimile che l'ansia non giovi alla sua funzionalità intestinale!
- penso sia importante che lei scelga oculatamente il professionista cui rivolgersi; prenda in considerazione diversi fattori (le ricordo che, per legge, anche i Colleghi psichiatri sono abilitati all'esercizio della psicoterapia, quindi nulla le vieta di cercare uno psicoterapeuta ed uno psichiatra che lavorino in equipe o di rivolgersi ad una delle due figure), non tralasciando quegli aspetti concreti ed organizzativi che incidono sulla motivazione a proseguire un trattamento.
Scegliere un terapeuta non è facile, ma la invito a riflettere un attimo: se io le indicassi il nome del terapeuta "perfetto", che fa al caso suo, in cosa la aiuterei nel suo percorso di crescita? Come posso sapere quale professionista stabilirà con lei una buona alleanza terapeutica? Ha già avuto delle esperienze: valuti anche alla luce di ciò che ha appreso, facendo attenzione alle sue aspettative ma avendo anche il coraggio di "esplorare".
Le auguro di proseguire il suo cammino con lo zaino del peso giusto, che la faccia rimanere con i piedi per terra lasciandole le energie per godersi il panorama
Cordialmente
[#4]
Ex utente
Grazie per la risposta, dott. Calì.
Devo, però, fare due precisazioni.
Ho intrapreso tre terapie, questo è vero, di cui la più lunga - la prima - non è durata tre mesi, ma un anno e mezzo: mi sembrava - d'accordo con il terapeuta che mi stava seguendo - un tempo ragionevole per vedere dei risultati, poiché non ne vedevo, allora ho interrotto. Delle tre terapie direi che solo la seconda, durata dieci sedute, è stata interrotta anzitempo. Perché la terza - tre sedute -, la considero come nemmeno iniziata: fu lo stesso terapeuta, ricordo, a dirmi che le prime tre/quattro sedute sarebbero state non impegnative, nel senso che sarebbero servite a conoscerci reciprocamente e a vedere se reciprocamente potevamo andarci bene.
Quanto al "blocco dello studente", personalmente mi sento assolutamente in grado di studiare e di sostenere esami, anzi, Le dirò, mi considero più in grado di altri (non tutti, beninteso, la maggior parte delle persone sono in grado tanto quanto me ed alcune più di me, alcune altre meno): quando trovo la volontà di impormi di studiare, studio dieci ore al giorno ed in maniera scrupolosa e con buoni risultati, gli esami vanno bene, e quando mi capita di confrontarmi con gli altri, non così infrequentemente mi capita di constatare di avere una preparazione più solida. Il problema c'è, ma credo di doverlo cercare altrove.
Devo, però, fare due precisazioni.
Ho intrapreso tre terapie, questo è vero, di cui la più lunga - la prima - non è durata tre mesi, ma un anno e mezzo: mi sembrava - d'accordo con il terapeuta che mi stava seguendo - un tempo ragionevole per vedere dei risultati, poiché non ne vedevo, allora ho interrotto. Delle tre terapie direi che solo la seconda, durata dieci sedute, è stata interrotta anzitempo. Perché la terza - tre sedute -, la considero come nemmeno iniziata: fu lo stesso terapeuta, ricordo, a dirmi che le prime tre/quattro sedute sarebbero state non impegnative, nel senso che sarebbero servite a conoscerci reciprocamente e a vedere se reciprocamente potevamo andarci bene.
Quanto al "blocco dello studente", personalmente mi sento assolutamente in grado di studiare e di sostenere esami, anzi, Le dirò, mi considero più in grado di altri (non tutti, beninteso, la maggior parte delle persone sono in grado tanto quanto me ed alcune più di me, alcune altre meno): quando trovo la volontà di impormi di studiare, studio dieci ore al giorno ed in maniera scrupolosa e con buoni risultati, gli esami vanno bene, e quando mi capita di confrontarmi con gli altri, non così infrequentemente mi capita di constatare di avere una preparazione più solida. Il problema c'è, ma credo di doverlo cercare altrove.
[#5]
Ex utente
Buonasera gentili Medici e Psicologi,
Nel tentativo di affrontare il "problema del dentista", stavo riflettendo sul fatto di mettere al corrente di questa mia problematica, nel momento in cui durante la seduta si presentasse, il medico dentista, così da "affrontarla" assieme, in qualche modo. Sempre che riesca a farlo e a vincere la vergogna. Secondo Voi, potrebbe essere opportuno? O rischierei semplicemente di invischiarmi in una situazione di ulteriore disagio?
Vi ringrazio sin d'ora.
Nel tentativo di affrontare il "problema del dentista", stavo riflettendo sul fatto di mettere al corrente di questa mia problematica, nel momento in cui durante la seduta si presentasse, il medico dentista, così da "affrontarla" assieme, in qualche modo. Sempre che riesca a farlo e a vincere la vergogna. Secondo Voi, potrebbe essere opportuno? O rischierei semplicemente di invischiarmi in una situazione di ulteriore disagio?
Vi ringrazio sin d'ora.
[#6]
Psicologo, Psicoterapeuta
Gentile Utente, condenso brevemente alcuni spunti che propone.
In merito alla scelta del Professionista cui rivolgersi, non mi sento di consigliarle questo o quell'orientamento; ciò presupporrebbe una conoscenza approfondita della sua situazione, cosa che esula dai confini di questo forum. Certamente ognuno di noi ha un modello di intervento (il mio è quello cognitivo-comportamentale), ma penso che la scelta non sia tra bisturi e coltellacci, ma tra modelli scientifici, ognuno con i suoi pro ed i suoi contro.
Non condivido la necessità di coinvolgere il suo Odontoiatra in una questione che non è di sua competenza; non so come potrebbe aiutarla, ed inoltre così facendo Lei potrebbe rimandare ed evitare di affrontare direttamente le sue difficoltà.
Propendo per l'avvio di una terapia, che, alla luce delle esperienze passate, possa essere intrapresa con ancor maggiore consapevolezza sia da un punto di vista logistico che personale.
Cordiali saluti
In merito alla scelta del Professionista cui rivolgersi, non mi sento di consigliarle questo o quell'orientamento; ciò presupporrebbe una conoscenza approfondita della sua situazione, cosa che esula dai confini di questo forum. Certamente ognuno di noi ha un modello di intervento (il mio è quello cognitivo-comportamentale), ma penso che la scelta non sia tra bisturi e coltellacci, ma tra modelli scientifici, ognuno con i suoi pro ed i suoi contro.
Non condivido la necessità di coinvolgere il suo Odontoiatra in una questione che non è di sua competenza; non so come potrebbe aiutarla, ed inoltre così facendo Lei potrebbe rimandare ed evitare di affrontare direttamente le sue difficoltà.
Propendo per l'avvio di una terapia, che, alla luce delle esperienze passate, possa essere intrapresa con ancor maggiore consapevolezza sia da un punto di vista logistico che personale.
Cordiali saluti
[#7]
Ex utente
Gentile dott. Calì,
Non so se abbia inteso esattamente quanto volevo dire, potrebbe anche essere di sì, ma non ne sono certo. Per cui lo esplicito ulteriormente. Non intendevo coinvolgere il mio odontoiatra nel mio problema, ma semplicemente predispormi ad andarci comunque e subito, con l'idea che se mi capiterà, gli dirò di avere questo problema, senza inventarmi la febbre o altro. E questo, intendiamoci, non certo perché non mi sia già risolto nell'intraprendere una terapia che possa essere quella risolutiva; l'intento non è quello di rimandare una terapia che mi sono già risolto a fare, ma solo quello di vedere di riuscire a farmi curare i denti sin da subito, prima dei risultati della terapia, perché allora potrebbe essere troppo tardi.
Non so se abbia inteso esattamente quanto volevo dire, potrebbe anche essere di sì, ma non ne sono certo. Per cui lo esplicito ulteriormente. Non intendevo coinvolgere il mio odontoiatra nel mio problema, ma semplicemente predispormi ad andarci comunque e subito, con l'idea che se mi capiterà, gli dirò di avere questo problema, senza inventarmi la febbre o altro. E questo, intendiamoci, non certo perché non mi sia già risolto nell'intraprendere una terapia che possa essere quella risolutiva; l'intento non è quello di rimandare una terapia che mi sono già risolto a fare, ma solo quello di vedere di riuscire a farmi curare i denti sin da subito, prima dei risultati della terapia, perché allora potrebbe essere troppo tardi.
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 3.8k visite dal 28/02/2010.
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