La mia bimba di 3 anni é, in molto, il mio opposto
Salve,
Scrivo per avere un consiglio in merito al mio rapporto con mia figlia di tre anni.
Da quando è nata ho cercato sempre di esserle vicina, di supportarla, confortarla, sostenerla, ascoltarla attivamente (e prima che parlasse di osservarla, capirla e "sentirla" emotivamente).
Per circa i primi 7 mesi di vita é stata accudita per lo più da me, non perché non volessi affidarla al padre, alla nonna, alla zia, ma perché lei non accettava minimamente di staccarsi da me.
È tutt' ora molto attaccata a me e so che è normale e positivo.
Ha passato molto molto molto tempo in braccio e spesso il seno era l'unica fonte di consolazione.
Col tempo ha iniziato poi a stare volentieri anche con mia madre e mia sorella, solo ultimamente (dopo i due anni) con il padre, mio compagno.
Sono tornata a lavorare quando aveva poco meno di due anni e lei ha iniziato a frequentare l' asilo dopo 9 mesi.
Ogni cambiamento significativo è stato gestito al meglio delle possibilità, con calma, empatia, dolcezza e sostegno.
Il nostro problema, però, per quanto non mi piaccia ammetterlo, é che siamo molto diverse.
Se penso a me da bambina, o se chiedo a tutti i miei parenti com' ero, rimaniamo comunque molto diverse.
Io amo la diversità, amo che non sia come me, ma in generale nella vita faccio fatica a passare il tempo con persone che si lamentano di continuo.
E mia figlia si lamenta.
Non di continuo e non di certo per piangersi addosso perché "la vita è triste", ma si lamenta molto.
Ho lavorato tanto su di me per mantenere il mio lato zen (che mi apparteneva di natura) con lei, ascoltandola, non giudicandola, non minimizzando i pianti e le lamentele, aiutandola a verbalizzare, spiegandole che può chiedere senza piagnucolare.
Ma sono arrivata a capire che non sto accettando questo lato di lei.
E che ho paura di non trasmetterle l' entusiasmo per la vita e che la sua non sia una semplice fase della vita, ma piuttosto di un' eredità genetica presa dalla famiglia del mio compagno, che é obiettivamente un po' triste, chiusa e lamentosa.
Ho paura di non riconoscermi mai in lei, anche se so che mia figlia non é me e non deve esserlo.
Vorrei insegnarle ad essere resiliente, proattiva, indipendente, a non piangersi addosso per ottenere qualcosa, ma a fare qualcosa per ottenerlo.
Da quando e' nata e, soprattutto, da quando ha iniziato a parlare e a spiegare, non le ho negato nulla prima di averla ascoltata e capita e nei no che ritengo importanti ho sempre dato una spiegazione.
Sa, infatti, accettare i no e se non riesce a condividerli nell' immediato ha comunque il mio sostegno e la mia comprensione finché non li accetta.
Premetto che i miei no non sono nemmeno molti: ritengo (magari erroneamente a questo punto) che i no importanti siano quelli necessari alla sopravvivenza e al rispetto degli altri).
Perché allora chiedere piagnucolando "a priori", come se la risposta fosse sempre un no o come se non la ascoltassi se non piange?
Cosa migliorare e come imparare ad accettare?
Grazie
Scrivo per avere un consiglio in merito al mio rapporto con mia figlia di tre anni.
Da quando è nata ho cercato sempre di esserle vicina, di supportarla, confortarla, sostenerla, ascoltarla attivamente (e prima che parlasse di osservarla, capirla e "sentirla" emotivamente).
Per circa i primi 7 mesi di vita é stata accudita per lo più da me, non perché non volessi affidarla al padre, alla nonna, alla zia, ma perché lei non accettava minimamente di staccarsi da me.
È tutt' ora molto attaccata a me e so che è normale e positivo.
Ha passato molto molto molto tempo in braccio e spesso il seno era l'unica fonte di consolazione.
Col tempo ha iniziato poi a stare volentieri anche con mia madre e mia sorella, solo ultimamente (dopo i due anni) con il padre, mio compagno.
Sono tornata a lavorare quando aveva poco meno di due anni e lei ha iniziato a frequentare l' asilo dopo 9 mesi.
Ogni cambiamento significativo è stato gestito al meglio delle possibilità, con calma, empatia, dolcezza e sostegno.
Il nostro problema, però, per quanto non mi piaccia ammetterlo, é che siamo molto diverse.
Se penso a me da bambina, o se chiedo a tutti i miei parenti com' ero, rimaniamo comunque molto diverse.
Io amo la diversità, amo che non sia come me, ma in generale nella vita faccio fatica a passare il tempo con persone che si lamentano di continuo.
E mia figlia si lamenta.
Non di continuo e non di certo per piangersi addosso perché "la vita è triste", ma si lamenta molto.
Ho lavorato tanto su di me per mantenere il mio lato zen (che mi apparteneva di natura) con lei, ascoltandola, non giudicandola, non minimizzando i pianti e le lamentele, aiutandola a verbalizzare, spiegandole che può chiedere senza piagnucolare.
Ma sono arrivata a capire che non sto accettando questo lato di lei.
E che ho paura di non trasmetterle l' entusiasmo per la vita e che la sua non sia una semplice fase della vita, ma piuttosto di un' eredità genetica presa dalla famiglia del mio compagno, che é obiettivamente un po' triste, chiusa e lamentosa.
Ho paura di non riconoscermi mai in lei, anche se so che mia figlia non é me e non deve esserlo.
Vorrei insegnarle ad essere resiliente, proattiva, indipendente, a non piangersi addosso per ottenere qualcosa, ma a fare qualcosa per ottenerlo.
Da quando e' nata e, soprattutto, da quando ha iniziato a parlare e a spiegare, non le ho negato nulla prima di averla ascoltata e capita e nei no che ritengo importanti ho sempre dato una spiegazione.
Sa, infatti, accettare i no e se non riesce a condividerli nell' immediato ha comunque il mio sostegno e la mia comprensione finché non li accetta.
Premetto che i miei no non sono nemmeno molti: ritengo (magari erroneamente a questo punto) che i no importanti siano quelli necessari alla sopravvivenza e al rispetto degli altri).
Perché allora chiedere piagnucolando "a priori", come se la risposta fosse sempre un no o come se non la ascoltassi se non piange?
Cosa migliorare e come imparare ad accettare?
Grazie
Gentile Signora,
intanto mi lasci dire che le premesse date dalla sua consapevolezza e dal suo approccio educativo mi sembrano le migliori.
Probabilmente la bimba ha delle caratteristiche temperamentali innate che la guidano verso questa modalità di richiesta di accudimento. Però è piccola e lei ha già notato che in precedenza, con i suoi tempi, è riuscita a modificare le proprie modalità di soddisfazione dei bisogni di sicurezza. Probabilmente, quindi, avrà bisogno di un po' più di tempo - e pazienza - per sperimentare anche altre modalità per comunicare i suoi bisogni e verificare che il messaggio venga recepito.
Mi viene da domandarle quanto c'è di suo fastidio in questa percezione di "lamentela" e quanto è rilevato anche dagli altri? Sua figlia "si lamenta" solo/soprattutto insieme a lei o anche con gli altri? Le maestre dell'asilo cosa dicono? Per il momento osserverei questi dati. Se poi diventa qualcosa che crea problemi alla bambina nelle sue relazioni con gli altri, può lavorare insieme alle maestre per rinforzare positivamente modalità di richiesta alternative.
intanto mi lasci dire che le premesse date dalla sua consapevolezza e dal suo approccio educativo mi sembrano le migliori.
Probabilmente la bimba ha delle caratteristiche temperamentali innate che la guidano verso questa modalità di richiesta di accudimento. Però è piccola e lei ha già notato che in precedenza, con i suoi tempi, è riuscita a modificare le proprie modalità di soddisfazione dei bisogni di sicurezza. Probabilmente, quindi, avrà bisogno di un po' più di tempo - e pazienza - per sperimentare anche altre modalità per comunicare i suoi bisogni e verificare che il messaggio venga recepito.
Mi viene da domandarle quanto c'è di suo fastidio in questa percezione di "lamentela" e quanto è rilevato anche dagli altri? Sua figlia "si lamenta" solo/soprattutto insieme a lei o anche con gli altri? Le maestre dell'asilo cosa dicono? Per il momento osserverei questi dati. Se poi diventa qualcosa che crea problemi alla bambina nelle sue relazioni con gli altri, può lavorare insieme alle maestre per rinforzare positivamente modalità di richiesta alternative.
Dr.ssa Paola Cattelan
psicoterapeuta Torino
pg.cattelan@hotmail.it

Utente
Salve dottoressa,
La ringrazio molto per le sue parole: mi hanno risollevata molto!
La maestra mi dice che é determinata, ma dall' inizio dell' anno scolastico é decisamente migliorata e non più piagnucolante. Le lamentele e i piagniucolamenti si manifestano soprattutto in mia presenza: quando io non ci sono sembra andare tutto bene. Il che mi fa ovviamente pensare che lei senta anche il mio "mal ricevere" le sue richieste. E capisco. Noto lo stesso atteggiamento anche con la nonna paterna, con la quale però tende anche ad imporsi di più e ad essere più "imperativa". Con lei "gioca" anche a "fare la piccola", facendo finta di piangere e di chiamare la mamma piangendo o di chiedere il ciuccio (mai usato nella realtà) sempre piangendo.
Il fatto é che vorrei lavorare su questo mio fastidio e sui miei modi con lei prima di guardare a cosa migliorare in lei perché mi rendo conto che il non accettare questo suo lato/modo rende più difficile il nostro rapporto.
Nella vita in generale tendo ad allontanare le persone "a bassa energia" e lamentose, ma in quei casi posso non rispondere/rimandare/chiedere distanza, cosa che di certo non voglio fare con mia figlia..
La ringrazio molto per le sue parole: mi hanno risollevata molto!
La maestra mi dice che é determinata, ma dall' inizio dell' anno scolastico é decisamente migliorata e non più piagnucolante. Le lamentele e i piagniucolamenti si manifestano soprattutto in mia presenza: quando io non ci sono sembra andare tutto bene. Il che mi fa ovviamente pensare che lei senta anche il mio "mal ricevere" le sue richieste. E capisco. Noto lo stesso atteggiamento anche con la nonna paterna, con la quale però tende anche ad imporsi di più e ad essere più "imperativa". Con lei "gioca" anche a "fare la piccola", facendo finta di piangere e di chiamare la mamma piangendo o di chiedere il ciuccio (mai usato nella realtà) sempre piangendo.
Il fatto é che vorrei lavorare su questo mio fastidio e sui miei modi con lei prima di guardare a cosa migliorare in lei perché mi rendo conto che il non accettare questo suo lato/modo rende più difficile il nostro rapporto.
Nella vita in generale tendo ad allontanare le persone "a bassa energia" e lamentose, ma in quei casi posso non rispondere/rimandare/chiedere distanza, cosa che di certo non voglio fare con mia figlia..
Molto belle queste sue intenzioni di scovare su che note sono sintonizzate queste sue corde che la bambina fa risuonare.
Valuti un percorso di psicoterapia, con questo obiettivo.
Valuti un percorso di psicoterapia, con questo obiettivo.
Dr.ssa Paola Cattelan
psicoterapeuta Torino
pg.cattelan@hotmail.it

Utente
La ringrazio molto dottoressa.
Posso chiederLe se secondo lei c'è un approccio psicoterapeutico più adatto al mio caso nello specifico?
Posso chiederLe se secondo lei c'è un approccio psicoterapeutico più adatto al mio caso nello specifico?
Guardi, ogni psicoterapeuta tira l'acqua al suo mulino. Per fortuna direi, perché vuol dire che si fida dello strumento che ha scelto di usare. Quindi io le suggerirei un approccio di tipo psicodinamico, che la guidi nell'esplorazione delle sue "note dolenti".
Detto ciò, cerchi un po' e scelga cosa le sembra che le suoni meglio. Starei solo lontana dagli "integralisti" del metodo. Per esperienza ho imparato che integrare nella propria tecnica aspetti provenienti da diversi approcci permette una maggiore adattabilità alle esigenze del paziente.
Il fattore più importante è che si senta a proprio agio insieme al* terapeuta: che non significa che debba essere gentile e simpatic*, ma che rispetti regole e confini del setting (purtroppo non è così scontato), non giudichi, non consigli e sia disponibile a rispondere a ogni suo dubbio o domanda sulla terapia.
Buon percorso!
Detto ciò, cerchi un po' e scelga cosa le sembra che le suoni meglio. Starei solo lontana dagli "integralisti" del metodo. Per esperienza ho imparato che integrare nella propria tecnica aspetti provenienti da diversi approcci permette una maggiore adattabilità alle esigenze del paziente.
Il fattore più importante è che si senta a proprio agio insieme al* terapeuta: che non significa che debba essere gentile e simpatic*, ma che rispetti regole e confini del setting (purtroppo non è così scontato), non giudichi, non consigli e sia disponibile a rispondere a ogni suo dubbio o domanda sulla terapia.
Buon percorso!
Dr.ssa Paola Cattelan
psicoterapeuta Torino
pg.cattelan@hotmail.it

Utente
Condivido molto il suo pensiero sui requisiti di un bravo psicoterapeuta: cercherò su queste linee!
Grazie ancora per il suo parere e per i suoi consigli. E grazie soprattutto per aver dato attenzione alle mie parole!
Buona serata
Grazie ancora per il suo parere e per i suoi consigli. E grazie soprattutto per aver dato attenzione alle mie parole!
Buona serata
Questo consulto ha ricevuto 6 risposte e 337 visite dal 20/04/2025.
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