Consulto sulla sindrome del gemello scomparso e le sue implicazioni fisiche e psicologiche
Ho 67 anni e vorrei chiedere un consulto riguardo un'esperienza che mi ha segnato fin dalla nascita e che, a distanza di molti anni, continua a influenzare il mio benessere fisico e psicologico.
Nel 1958, alla nascita, ho perso il mio gemello monozigote, ma questa realtà non mi è stata raccontata esplicitamente fino a poco tempo fa.
Durante la gravidanza, mia madre non ebbe accesso a tecnologie diagnostiche come ecografie o TAC, e quindi la morte del mio gemello non fu rilevata.
Questo evento ha avuto, a quanto credo, un impatto diretto sul mio sviluppo, che si è manifestato con la nascita di patologie come insufficienza renale, monorene, e pressione alta.
Nel corso degli anni si sono aggiunti anche problemi neurologici.
Sento una profonda mancanza del mio gemello, e il mio vissuto psicologico ha sempre mostrato una forte ansia, paura di abbandono, e difficoltà nelle relazioni interpersonali, che sento potrebbero essere legate alla mia esperienza di "gemello sopravvissuto".
Nonostante la mia salute fisica sembri stabile, mi domando se queste problematiche siano collegate alla perdita in utero del mio gemello, e quanto ciò possa influenzare ancora oggi la mia vita.
Vorrei capire se esiste una correlazione tra la perdita di un gemello monozigote in gravidanza e lo sviluppo di problematiche fisiche, psicologiche e comportamentali, e se ci sono possibilità di supporto o trattamento per affrontare queste difficoltà.
Ringrazio anticipatamente per l'attenzione e spero in una risposta.
Cordiali saluti.
Nel 1958, alla nascita, ho perso il mio gemello monozigote, ma questa realtà non mi è stata raccontata esplicitamente fino a poco tempo fa.
Durante la gravidanza, mia madre non ebbe accesso a tecnologie diagnostiche come ecografie o TAC, e quindi la morte del mio gemello non fu rilevata.
Questo evento ha avuto, a quanto credo, un impatto diretto sul mio sviluppo, che si è manifestato con la nascita di patologie come insufficienza renale, monorene, e pressione alta.
Nel corso degli anni si sono aggiunti anche problemi neurologici.
Sento una profonda mancanza del mio gemello, e il mio vissuto psicologico ha sempre mostrato una forte ansia, paura di abbandono, e difficoltà nelle relazioni interpersonali, che sento potrebbero essere legate alla mia esperienza di "gemello sopravvissuto".
Nonostante la mia salute fisica sembri stabile, mi domando se queste problematiche siano collegate alla perdita in utero del mio gemello, e quanto ciò possa influenzare ancora oggi la mia vita.
Vorrei capire se esiste una correlazione tra la perdita di un gemello monozigote in gravidanza e lo sviluppo di problematiche fisiche, psicologiche e comportamentali, e se ci sono possibilità di supporto o trattamento per affrontare queste difficoltà.
Ringrazio anticipatamente per l'attenzione e spero in una risposta.
Cordiali saluti.
Gentile Signore ho letto la Sua cortese richiesta e credo di comprendere il suo stato d'animo: per questo mi permetto di offrirle questa mia riflessione.
Deve sapere che in un trattamento psicologico quasi sempre noi psicologi, all'inizio del nostro lavoro, incontriamo quelle che chiamiamo "teorie ingenue" che i pazienti ci portano per raccontare, o per spiegare, i motivi che, secondo loro, li hanno condotti al disagio psicologico di cui soffrono: una madre "anaffettiva", un padre "autoritario", un marito "distante", una moglie "fredda"...
Non sono teorie "sbagliate", sono solo teorie che permettono a una persona sofferente di provare a dare una senso al proprio disagio psicologico e esistenziale.
Per alcune persone queste teorie sono sufficienti per spiegarsi la loro vita così come la vivono: generalmente la vivono male ma la "spiegazione" le aiuta ad autoassolversi e vanno avanti così: probabilmente non andranno mai da uno Psicologo..
Altre persone invece, dopo un po' di tempo, sentiranno un tale disagio psicologico per cui quelle teorie, alle quali erano in qualche modo affezionati, non saranno più sufficienti per ritrovare la serenità: e queste sono le persone che chiedono aiuto a un professionista della salute psicologica.
A seconda dei vari metodi clinici queste "teorie" possono essere affrontate direttamente col paziente oppure lasciate in disparte, ma l'obiettivo terapeutico rimane lo stesso: aiutare il paziente a prendere consapevolezza dei propri processi psichici (sia emozionali che cognitivi) e ad assumersi la responsabilità dei propri pensieri e delle proprie azioni.
Tra i processi psichici più rilevanti appare il bisogno -che tutti abbiamo- di raccontarci delle storie (le cosiddette "narrazioni") da utilizzare per sostenerci nella nostra vita e che diano senso alla nostra vita (il famoso "da dove vengo, dove sto e dove sto andando?").
Tante sono le narrazioni possibili: alcune sono tossiche, altre invece sono terapeutiche e liberatorie.
Quelle tossiche sono le narrazioni in cui il paziente si avvolge sempre di più, come un ragno prigioniero della sua stessa rete; le narrazioni terapeutiche sono quelle che è possibile costruire insieme con lo psicologo e sono il filo di Arianna che permette al paziente di uscire finalmente dal suo labirinto e tornare a vivere pienamente la sua vita.
Una delle convinzioni su cui è bene lavorare, con delicatezza e rispetto del paziente, è quella per cui vi dovrebbe essere una presunta catena di cause ed effetti che ci avrebbe condotto ad essere quelli che siamo. Non è questo il luogo per raccontare la storia culturale relativamente recente di questa "narrazione" molto diffusa, però è da rilevare come questo modello narrativo "causale" (la "catena"...) si configura proprio come un classico modello protettivo, anzi ultraprotettivo, che se da una parte serve al paziente per spiegare a sé stesso e al mondo i motivi per cui egli oggi è quello che è (autoassolvendosi o autocolpevolizzandosi), dall'altra questa pesante catena gli impedisce ulteriori movimenti (e con ciò giustificando il suo attuale immobilismo).
Nel mio metodo di lavoro aiuto il paziente a trasformare queste narrazioni rigide e patogene (nel senso che arrecano dolore al paziente) in narrazioni più flessibili e che permettono al paziente di ritrovare gioia e piacere nella sua vita, senza però cambiare l' "argomento" principale delle sue narrazioni: nel Suo caso, ad esempio, caro Signore, ci sono tanti altri modi per narrare l'esperienza da lei vissuta della "perdita del gemello". Basti pensare alle molte favole e ai molti miti che hanno proprio questo argomento: Castore e Polluce, Romolo e Remo, Eteocle e Polinice, e che si trovano anche in altre culture ad esempio africane e tra gli Inca ...
Infatti il "Gemello" possiamo considerarlo un archetipo (il dottor Jung ad esempio lo considera tale) e pertanto è generatore di tante possibili narrazioni terapeutiche che La potrebbero aiutare a trasformare questa Sua attuale narrazione (che, così come la racconta mi sembra Le generi tanta sofferenza) in una narrazione differente che Le dia la possibilità di liberarsi da una catena pesante e di recuperare la pienezza della Sua vita.
Mi farà piacere, se lo vorrà, continuare a confrontarmi con Lei e con i nostri utenti su questi argomenti che reputo molto interessanti, e pertanto La ringrazio per avermi offerto questa possibilità di riflessione.
Un caro saluto.
Dr. Claudio Puliatti
Deve sapere che in un trattamento psicologico quasi sempre noi psicologi, all'inizio del nostro lavoro, incontriamo quelle che chiamiamo "teorie ingenue" che i pazienti ci portano per raccontare, o per spiegare, i motivi che, secondo loro, li hanno condotti al disagio psicologico di cui soffrono: una madre "anaffettiva", un padre "autoritario", un marito "distante", una moglie "fredda"...
Non sono teorie "sbagliate", sono solo teorie che permettono a una persona sofferente di provare a dare una senso al proprio disagio psicologico e esistenziale.
Per alcune persone queste teorie sono sufficienti per spiegarsi la loro vita così come la vivono: generalmente la vivono male ma la "spiegazione" le aiuta ad autoassolversi e vanno avanti così: probabilmente non andranno mai da uno Psicologo..
Altre persone invece, dopo un po' di tempo, sentiranno un tale disagio psicologico per cui quelle teorie, alle quali erano in qualche modo affezionati, non saranno più sufficienti per ritrovare la serenità: e queste sono le persone che chiedono aiuto a un professionista della salute psicologica.
A seconda dei vari metodi clinici queste "teorie" possono essere affrontate direttamente col paziente oppure lasciate in disparte, ma l'obiettivo terapeutico rimane lo stesso: aiutare il paziente a prendere consapevolezza dei propri processi psichici (sia emozionali che cognitivi) e ad assumersi la responsabilità dei propri pensieri e delle proprie azioni.
Tra i processi psichici più rilevanti appare il bisogno -che tutti abbiamo- di raccontarci delle storie (le cosiddette "narrazioni") da utilizzare per sostenerci nella nostra vita e che diano senso alla nostra vita (il famoso "da dove vengo, dove sto e dove sto andando?").
Tante sono le narrazioni possibili: alcune sono tossiche, altre invece sono terapeutiche e liberatorie.
Quelle tossiche sono le narrazioni in cui il paziente si avvolge sempre di più, come un ragno prigioniero della sua stessa rete; le narrazioni terapeutiche sono quelle che è possibile costruire insieme con lo psicologo e sono il filo di Arianna che permette al paziente di uscire finalmente dal suo labirinto e tornare a vivere pienamente la sua vita.
Una delle convinzioni su cui è bene lavorare, con delicatezza e rispetto del paziente, è quella per cui vi dovrebbe essere una presunta catena di cause ed effetti che ci avrebbe condotto ad essere quelli che siamo. Non è questo il luogo per raccontare la storia culturale relativamente recente di questa "narrazione" molto diffusa, però è da rilevare come questo modello narrativo "causale" (la "catena"...) si configura proprio come un classico modello protettivo, anzi ultraprotettivo, che se da una parte serve al paziente per spiegare a sé stesso e al mondo i motivi per cui egli oggi è quello che è (autoassolvendosi o autocolpevolizzandosi), dall'altra questa pesante catena gli impedisce ulteriori movimenti (e con ciò giustificando il suo attuale immobilismo).
Nel mio metodo di lavoro aiuto il paziente a trasformare queste narrazioni rigide e patogene (nel senso che arrecano dolore al paziente) in narrazioni più flessibili e che permettono al paziente di ritrovare gioia e piacere nella sua vita, senza però cambiare l' "argomento" principale delle sue narrazioni: nel Suo caso, ad esempio, caro Signore, ci sono tanti altri modi per narrare l'esperienza da lei vissuta della "perdita del gemello". Basti pensare alle molte favole e ai molti miti che hanno proprio questo argomento: Castore e Polluce, Romolo e Remo, Eteocle e Polinice, e che si trovano anche in altre culture ad esempio africane e tra gli Inca ...
Infatti il "Gemello" possiamo considerarlo un archetipo (il dottor Jung ad esempio lo considera tale) e pertanto è generatore di tante possibili narrazioni terapeutiche che La potrebbero aiutare a trasformare questa Sua attuale narrazione (che, così come la racconta mi sembra Le generi tanta sofferenza) in una narrazione differente che Le dia la possibilità di liberarsi da una catena pesante e di recuperare la pienezza della Sua vita.
Mi farà piacere, se lo vorrà, continuare a confrontarmi con Lei e con i nostri utenti su questi argomenti che reputo molto interessanti, e pertanto La ringrazio per avermi offerto questa possibilità di riflessione.
Un caro saluto.
Dr. Claudio Puliatti
Dr. Claudio Puliatti, psicologo.
Ricevo a Roma e Online.
www.psicologoclaudiopuliatti.com
Gentile utente,
non mi pronuncerò in merito alle patologie organiche, in quanto non sono di mia competenza.
Per quanto concerne l'aspetto psicologico, il legame tra gemelli è più intenso di quello tra fratelli, si fonda su uno spazio condiviso sin dalla vita intrauterina e su un' identità comune che intreccia un Io ad un Io-Noi, a partire dai quali si struttura un vincolo destinato a non spezzarsi.
Il processo di separazione dei gemelli che avviene dopo il parto non comporta una totale individuazione e differenziazione psichica dell'uno verso l'altro.
Quindi è normale e comprensibile che lei avverta la mancanza del suo gemello, e pur non avendolo incontrato e conosciuto, senta che qualcosa di questi e del vostro legame riecheggia dentro di lei.
Poi c'è la questione del non detto, di un segreto a lungo taciuto perché ritenuto indicibile, che però probabilmente, come tutti i segreti non rivelati, è stato in qualche modo da lei percepito.
Infatti le verità inconfessate spesso sono comunque conosciute, più o meno consapevolmente, e oltre a ciò non si possono affrontare ed elaborare.
Ciò sicuramente ha avuto profonde ripercussioni non solo su di lei, ma anche sui suoi genitori, e forse su sua madre in particolare, segnando dunque anche il vostro rapporto.
Un altro aspetto estremamente importante è costituito dal suo sentirsi il "gemello sopravvissuto".
Questo è un vissuto doloroso, complesso da elaborare, nel quale probabilmente si annida un profondo senso di colpa, di incomprensibilità, una domanda che non trova risposta sul "perché io?", un senso di dolore e smarrimento nell'aver perduto un altro identico a sé.
Personalmente ritengo che su tale vissuto si possa lavorare all'interno di un percorso psicologico, per esprimerlo, poterlo rendere sostenibile, elaborabile; poterlo trasformare. Lei infatti potrebbe pensarsi in un modo diverso, non più come colui che è sopravvissuto, ma come colui che è stato salvato... dalla vita.
Le consiglio di affidarsi ad un professionista di sua fiducia -in presenza o online- per poter dipanare e affrontare tutte queste questioni dolorose e irrisolte che porta con sé da molto tempo.
Cordiali saluti.
non mi pronuncerò in merito alle patologie organiche, in quanto non sono di mia competenza.
Per quanto concerne l'aspetto psicologico, il legame tra gemelli è più intenso di quello tra fratelli, si fonda su uno spazio condiviso sin dalla vita intrauterina e su un' identità comune che intreccia un Io ad un Io-Noi, a partire dai quali si struttura un vincolo destinato a non spezzarsi.
Il processo di separazione dei gemelli che avviene dopo il parto non comporta una totale individuazione e differenziazione psichica dell'uno verso l'altro.
Quindi è normale e comprensibile che lei avverta la mancanza del suo gemello, e pur non avendolo incontrato e conosciuto, senta che qualcosa di questi e del vostro legame riecheggia dentro di lei.
Poi c'è la questione del non detto, di un segreto a lungo taciuto perché ritenuto indicibile, che però probabilmente, come tutti i segreti non rivelati, è stato in qualche modo da lei percepito.
Infatti le verità inconfessate spesso sono comunque conosciute, più o meno consapevolmente, e oltre a ciò non si possono affrontare ed elaborare.
Ciò sicuramente ha avuto profonde ripercussioni non solo su di lei, ma anche sui suoi genitori, e forse su sua madre in particolare, segnando dunque anche il vostro rapporto.
Un altro aspetto estremamente importante è costituito dal suo sentirsi il "gemello sopravvissuto".
Questo è un vissuto doloroso, complesso da elaborare, nel quale probabilmente si annida un profondo senso di colpa, di incomprensibilità, una domanda che non trova risposta sul "perché io?", un senso di dolore e smarrimento nell'aver perduto un altro identico a sé.
Personalmente ritengo che su tale vissuto si possa lavorare all'interno di un percorso psicologico, per esprimerlo, poterlo rendere sostenibile, elaborabile; poterlo trasformare. Lei infatti potrebbe pensarsi in un modo diverso, non più come colui che è sopravvissuto, ma come colui che è stato salvato... dalla vita.
Le consiglio di affidarsi ad un professionista di sua fiducia -in presenza o online- per poter dipanare e affrontare tutte queste questioni dolorose e irrisolte che porta con sé da molto tempo.
Cordiali saluti.
Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it

Utente
Buongiorno, dopo aver riflettuto ulteriormente, credo che un consulto in ginecologia e ostetricia sia più adatto alle mie esigenze.
Vi ringrazio per la risposta precedente e mi scuso per eventuali confusioni.
Grazie per la disponibilità.
Cordiali saluti
Vi ringrazio per la risposta precedente e mi scuso per eventuali confusioni.
Grazie per la disponibilità.
Cordiali saluti

Utente
Buongiorno, dopo aver ponderato meglio la situazione, ritengo che un consulto in ginecologia e ostetricia sia più in linea con le mie necessità. Vi ringrazio per la risposta ricevuta in precedenza e mi scuso per eventuali fraintendimenti. Grazie per la cortese disponibilità.
Cordiali saluti
Cordiali saluti
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 285 visite dal 02/04/2025.
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